CAPITOLO XVI

Sulla terrazza di Alle Danze qualche cliente mattiniero stava preparandosi a far colazione a base di liquori. Il salone all'ultimo piano, che aveva un'intera parete di vetro era riparato da un tendone. Passai oltre, imboccai la curva dello Strip, e andai a fermarmi di fronte a un edificio a due piani, di mattoni rosa carico, con delle piccole finestre-veranda a vetri bianchi impiombati e un portico greco, davanti alla porta d'ingresso, nonche un arnese che, dall'altro lato della strada mi parve un antico pomolo da porta in peltro. Sopra l'uscio c'era uno sfiatatoio a mezzaluna, col nome Sheridan Ballou e Soci, in lettere nere di legno, severamente stilizzate. Chiusi la macchina e mi diressi alla porta principale. Era alta, bianca, larga e aveva una toppa che avrebbe lasciato passare un topo. Dentro c'era la vera serratura. Cercai il batacchio; ma avevano pensato anche a quello. Era tutto d'un pezzo e non bussava affatto. Era solo un ornamento.

Quindi diedi una pacca a una colonna bianca, esile, molto rastremata, ed entrai direttamente nella sala d'aspetto che teneva tutta la parte verso strada dell'edificio. Era arredata all'antica con mobili neri e molte sedie e divanetti rivestiti di una stoffa trapunta, simile al chintz. Alle finestre pendevano tendoni di pizzo, inquadrati da volanti di chintz che richiamavano il chintz dei sedili. C'era un gran tappeto a fiori, e una quantita di persone che aspettavano di vedere il signor Sheridan Ballou.

Alcune di esse erano allegre, vivaci e piene di speranza. Altre avevano l'aria d'esser li da mesi. Una ragazza piccola e bruna piangeva in un angolo, nascondendo il viso nel fazzoletto. Nessuno le badava. Ebbi modo di vedere un paio di profili in eleganti prospettive prima che la compagnia decidesse che non ero venuto per comprare e che non ero impiegato li.

Una rossa dall'aria pericolosa sedeva languidamente dietro una scrivania del settecento e parlava in un telefono candido. Mi avvicinai, e lei mi trafisse con le lame azzurre dei suoi occhi, poi fisso la cornice che correva tutt'intorno alla stanza.

– No – disse nel telefono. – No. Dolentissima. Mi spiace, ma non e possibile. E troppo, troppo occupato.

Depose il ricevitore, spunto una voce, su un elenco, e mi gratifico di nuovo del suo sguardo adamantino.

– Buon giorno. Vorrei parlare col signor Ballou – dissi, deponendo sulla scrivania il mio biglietto da visita personale. Lei lo prese per un angolo e lo lesse sorridendo, divertita.

– Oggi? – chiese in tono amabile. – Questa settimana?

– Quanto ci vuole, di solito?

– Ci son voluti anche sei mesi – rispose allegramente. – Non puo esservi utile qualcun altro?

– No.

– Spiacentissima. E impossibile. Provate a ripassare… Quando vi pare, verso novembre.

Portava una gonna di panno bianco, una camicetta di seta color borgogna e una giacca molle di velluto nero, con le maniche corte. I suoi capelli erano un tramonto di fuoco. Portava un bracciale d'oro e topazi, orecchini di topazi e un anello di topazi, in forma di scudo. Le unghie erano esattamente del colore della camicetta, Aveva l'aria di metterci un paio di settimane a vestirsi.

– Devo parlargli – insistei.

La ragazza lesse di nuovo il mio biglietto da visita. Poi mi rivolse un sorriso sfolgorante.

– Tutti debbono parlargli – affermo. – Ma perbacco, signor… ehem…

Marlowe! Guardate questa bella gente. Sono qui tutti da quando s'e aperto l'ufficio, due ore fa.

– E importante.

– Non ne dubito. E perche e importante, se e lecito?

– Voglio smerciare un po' di indecenze.

La ragazza prese una sigaretta da una scatola di cristallo e l'accese, con un accendisigari di cristallo.

– Smerciare… Volete dire per danaro?… Qui? A Hollywood?

– Puo darsi.

– Che genere di indecenze? Non abbiate paura di scandalizzarmi.

– E un po' osceno, signorina… signorina… – Allungai il collo, per leggere la targa, sulla scrivania.

– Helen Grady – m'informo lei. – Be', un pizzico di raffinate oscenita non ha mai fatto male a nessuno, vi pare?

– Non ho detto che fossero raffinate.

La rossa si chino in avanti, con cautela e mi soffio una boccata di fumo in faccia.

– Insomma, in due parole e un ricatto – e trasse un sospiro. – Perche non filate via in quarta, cocco? Prima che vi metta alle calcagna una dozzina di poliziotti grandi e grossi.

Mi sedetti su un angolo della scrivania, mi feci schermo al viso con le mani e le soffiai nei capelli il fumo della sua sigaretta. Lei si scosto, rabbiosamente.

– Fuori dai piedi, animale – mi disse con una voce che sarebbe potuta servire come solvente per vernici.

– Oh, oh! Che cosa ne e stato del vostro accento aristocratico? Senza voltarsi la rossa chiamo seccamente:

– Signorina Vane.

Una ragazza alta, snella, elegante, dalle sopracciglia altere sollevo lo sguardo. Era entrata un istante prima da una porta che fingeva d'essere un finestrone a vetri colorati. Ci venne vicino e la signorina Grady le porse il mio biglietto:

– Spink.

La signorina Vane spari dietro la porta a vetri col mio biglietto.

– Sedetevi e riposate un po' i "fettoni", grand'uomo – m'invito la signorina Grady. – Puo darsi che dobbiate star qui tutta la settimana. – Mi sedetti su una poltrona di chintz. Lo schienale mi sorpassava la testa d'una ventina di centimetri, e mi faceva sentire piccolo e raggrinzito. La signorina Grady mi regalo un altro sorriso, dai bordi taglienti e torno a chinarsi sul telefono.

Mi guardai attorno. La ragazza, nell'angolo, aveva smesso di piangere e stava rifacendosi il viso, placidamente. Un uomo, molto alto e molto distinto sollevo un braccio, con un gesto aggraziato, per consultare un elegante orologio da polso, scivolo in piedi, e calzo un capello Homburg grigio perla, inclinandolo spavaldamente su un occhio. Poi lancio un'occhiata scrutatrice ai propri guanti di camoscio giallo e al bastone dal pomo d'argento e s'incammino, languidamente verso la ricevitrice dai capelli rossi.

– Sono due ore che aspetto di parlare col signor Ballou – disse in tono gelido, con una voce dolce, ricca, modulata da anni di esercizio. – Non e mia abitudine aspettare due ore per parlare con chicchessia.

– Spiacentissima, signor Fortescue. Il signor Ballou e terribilmente occupato, questa mattina.

– Mi duole di non potergli lasciare un assegno – dichiaro l'elegantone, in tono di stanco disprezzo. – Probabilmente e l'unica cosa che potrebbe interessarlo. Ma in mancanza di questo…

– Un istante pupo. – La rossa sollevo la cornetta del telefono e protesto nel microfono: – E chi lo dice, oltre a Goldwyn? Non potete chiederlo a qualcuno che non sia completamente pazzo?… Be', provate ancora. – E mise giu il ricevitore di scatto. L'uomo alto non si era mosso.

– In mancanza di questo – riprese, come se non fosse mai stato interrotto – vorrei lasciargli un breve messaggio personale.

– Ma certo – gli disse la signorina Grady. – Vedro di farglielo pervenire in un modo o nell'altro.

– Fategli i miei piu sentiti omaggi, e ditegli che e una fetida moffetta.

– Fate puzzola, tesoro – consiglio la ragazza. – Lui non sa geologia.

– E allora facciamo puzzola, una lurida e fetentissima puzzola – replico Fortescue. – Con una piccola aggiunta di idrogeno solforato e di profumo di bordello da poco prezzo.

Si assesto il cappello, e lancio un'occhiata di controllo al proprio profilo in uno specchio.

– E con questo vi auguro il buon giorno, e possa sprofondare tutta l'agenzia Sheridan Ballou e soci.

L'attore usci a lunghi passi eleganti aprendo la porta con il bastone.

– Ma che cosa gli e preso? – domandai.

La rossa mi lancio un'occhiata piena di pieta.

– A Billy Fortescue? Niente. Da un po' di tempo non trova piu parti, cosi viene qui ogni giorno e ripete tutta la scena. Spera che qualcuno la veda e la trovi di suo gusto.

Chiusi la bocca lentamente. Si puo vivere molto tempo a Hollywood e non conoscere mai la vera faccia del cinema.

La signorina Vane apparve sulla soglia della porta interna e mi chiamo con un cenno del mento. La raggiunsi e varcai la soglia.

– Da questa parte. Seconda a destra.

Rimase ad osservarmi mentre percorrevo il corridoio fino alla seconda porta, che era aperta. Entrai e la chiusi alle mie spalle.

Un uomo paffuto, dai capelli bianchi era seduto dietro una scrivania e mi sorrideva, teneramente.

– Omaggi – disse. – Sono Moss Spink. Che cosa mi raccontate di bello? Parcheggiatevi in quella poltrona. Sigaretta?

Aperse un affare che pareva un baule e mi fece omaggio di una sigaretta lunga piu d'una spanna. Era chiusa in un tubo di vetro.

– No, grazie – risposi. – Fumo tabacco.

Lui sospiro.

– E va bene. Parlate. Vediamo un po'. Vi chiamate Marlowe, eh? Marlowe, Marlowe. Ho mai sentito nominare un certo Marlowe, io?

– Probabilmente no – ribattei. – E io non ho mai sentito nominare un certo Spink. Ho chiesto di parlare con un tale che si chiama Ballou. Vi pare che Ballou somigli a Spink? Io non sono in cerca di nessuno Spink. E proprio tra noi, al diavolo tutti quelli che si chiamano Spink.

– Antisemita, eh? – chiese il paffuto. – Agito una mano, in un gesto generoso, facendo baluginare un brillante paglierino che pareva la luce arancione d'un semaforo. – Non fate cosi – mi prego. – Sedetevi e riordinate un po' le idee. Voi non mi conoscete. E dite che non avete voglia di conoscermi. D'accordo. Mica mi offendo. In un'impresa come questa deve pur esserci qualcuno che non si offende.

– Voglio Ballou – ripetei.

– Su, siate ragionevole, figliolo. Sherry Ballou e un ragazzo molto occupato. Lavora venti ore al giorno e nonostante questo e sempre in ritardo col programma. Sedetevi e raccontate tutto al vostro Spinky.

– Che cosa siete voi, qua dentro?

– La barriera protettiva di Sherry, figliolo. Devo per forza proteggerlo.

Sherry non puo ricevere tutti. E io ricevo la gente in sua vece. Sono l'alter ego di Sherry… fino a un certo punto, capite?

– Puo darsi che quanto ho da dirgli io vada da quel punto in poi.

– Puo darsi – convenne Spink, cordialmente. Strappo lo spesso cerotto di chiusura da un astuccio di alluminio, ne trasse un sigaro, quasi con tenerezza, e lo studio, in cerca di eventuali nei. – Non dico di no. Perche non mi date una piccola dimostrazione? Poi lo sapremmo piu di preciso. Fino a questo momento non avete fatto che recitare una parte. E qui ci siamo tanto abituati che non significa piu niente, per noi.

Rimasi a osservarlo mentre spuntava e accendeva il suo sigaro di lusso.

– Come posso esser certo che non gli fate il doppio gioco? – chiesi con aria astuta.

I piccoli occhi intensi di Spink ammiccarono e non avrei potuto giurare che non vi fosse spuntata una lacrima.

– Fare il doppio gioco a Sherry Ballou? Io? – Chiese in tono desolato, con una voce sommessa, da funerale da seicento dollari. – Io? Ma farei il doppio gioco a mia madre, prima!

– Questo non vuol dir molto, per me – replicai. – Non conosco vostra madre.

Spink depose il sigaro, in un portacenere che aveva le dimensioni di una bagnarola, e agito le braccia. Il dolore lo divorava.

– Oh, figliolo, son cose da dire! – vagi – Io voglio bene a Sherry Ballou, come se fosse mio padre. Anzi, di piu. Mio padre… be', lasciamo correre. Suvvia, figliolo, siate buono. Abbiate un po' di fiducia… Siatemi amico. Raccontate tutta la porcheriola al piccolo Spink, eh?

Trassi di tasca una busta la feci scorrere verso di lui lungo il piano della scrivania. Spink ne trasse la foto ritagliata e la fisso, con aria solenne. Poi torno a deporla sullo scrittoio. Alzo gli occhi su di me, li abbasso sulla foto, torno ad alzarli su di me.

– Bene – disse rigidamente, con una voce a un tratto priva della fiducia e dell'amicizia che aveva invocato. – Che cos'ha di straordinario questa roba?

– Devo dirvi chi e la ragazza?

– Chi e l'uomo? – rimbecco Spink.

Non risposi.

– Chi e l'uomo, ho detto? – ripete Spink, quasi urlando. – Sputate, bel giovane, sputate il rospo!

Continuai a tacere. Spink allungo una mano, lentamente, verso il telefono, tenendomi incollati in faccia gli occhietti duri e luminosi.

– Avanti, chiamateli – invitai. – Chiamate la Centrale e chiedete del tenente Christy French, della Squadra Omicidi. E un altro ragazzo piuttosto duro, da convincere.

Spink tolse la mano dal telefono. Si alzo lentamente e usci, portando con se la fotografia. Aspettai. Fuori, sul Sunset Boulevard il traffico rumoreggiava, lontano, monotono. I minuti cadevano silenziosi nel fondo d'un pozzo. Il profumo del sigaro appena acceso di Spink gioco nell'aria per un istante, poi venne succhiato dal ventilatore dell'impianto d'aria condizionata. Sfiorai con lo sguardo le innumerevoli fotografie alle pareti, tutte dedicate a Sheridan Ballou, con l'imperituro affetto di questo e di quello. Dovevano essere celebrita passate di moda, mi dissi, se le avevano messe nell'ufficio di Spink.

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