CAPITOLO XIX

Nel corridoio, davanti al mio ufficio, c'era il solito andirivieni, e quando apersi la porta ed entrai nel silenzio ammuffito della piccola sala d'aspetto provai la consueta sensazione d'esser stato gettato in un pozzo prosciugato vent'anni prima, un pozzo al quale nessuno mai sarebbe piu tornato. Un odore di vecchia polvere incombeva nell'aria, greve e raffermo come un'intervista con un calciatore.

Apersi la porta interna e nel mio studio trovai la stessa aria morta, la stessa polvere nelle imbottiture dei mobili, la stessa promessa mancata di una vita di agi. Apersi le finestre e accesi la radio. Quando si riscaldo si mise a urlare troppo forte, e appena ebbi regolato il volume sentii suonare il telefono, come se stesse suonando da un po'. Mi tolsi il cappello e presi il ricevitore.

Era ora di avere sue notizie. La sua vocetta fredda e contenuta annunzio:

– Questa volta parlo sul serio.

– Avanti.

– Prima ho mentito. Ma ora non mentisco. Ho avuto davvero notizie di Orrin.

– Avanti.

– Voi non mi credete. Lo capisco dalla voce.

– Dalla mia voce non potete capire niente. Sono un investigatore. Avete avuto sue notizie… Come?

– Per telefono, da Bay City.

– Aspettate un momento. – Deposi il ricevitore sulla cartella di cuoio marrone, costellata di macchie e accesi la pipa. Con comodo. Le bugie sono sempre pazienti. Poi ripresi il ricevitore.

– Questa commedia l'abbiamo gia recitata tutta – dissi. – Avete poca memoria, per la vostra eta. Non credo che il dottor Zugsmith approverebbe.

– Vi prego, non mi punzecchiate. E una cosa molto seria. Orrin ha ricevuto la mia lettera. E andato all'ufficio postale e ha chiesto la sua corrispondenza. Sapeva dove avrei alloggiato, e pressappoco l'epoca in cui sarei stata qui. Cosi mi ha telefonato. Abita con un dottore che ha conosciuto a Bay City. Fa del lavoro per lui. Ve l'ho detto che aveva frequentato due anni di medicina.

– Questo dottore ha un nome?

– Si. Un nome strano. Dottor Vincent Lagardie.

– Un momento, per cortesia. C'e qualcuno alla porta.

Misi giu il ricevitore con infinita precauzione. Come se fosse fragile.

Trassi un fazzoletto di tasca e mi asciugai il palmo della mano, quella che aveva tenuto il ricevitore. Mi alzai, andai all'armadio a muro e mi guardai nello specchio macchiato. Ero proprio io. Avevo una espressione ansiosa, tirata. Vivevo troppo intensamente.

Dottor Vincent Lagardie, Wyoming Street 965. A due passi dalla Casa della Pace Garland. Una palazzina di legno, sull'angolo. Tranquilla. Paraggi distinti. Amico del defunto Clausen. Forse. Non a sentir lui. Ma, ugualmente, forse.

Tornai al telefono e mi costrinsi a parlare con calma.

– Come si scrive? – domandai.

Lei compito il nome. Con facilita e precisione.

– Non c'e altro da fare, allora, no? – dissi. – Tutto e bello per gli angeli… o come diavolo si dice a Manhattan, Kansas.

– Smettetela di trattarmi cosi. Orrin e in un guaio serio. Certi… – La voce le tremo lievemente, e il suo respiro mi giunse un po' affannoso. – Certi gangsters gli danno la caccia.

– Non fate la sciocca, Orfamay. Non ci sono gangsters a Bay City. Lavorano tutti nel cinema. Qual e il numero di telefono del dottor Lagardie?

Mi diede il numero. Era esatto. Non voglio dire che i pezzi del rompicapo cominciassero a combaciare, ma per lo meno cominciavano ad aver l'aria di far parte dello stesso rompicapo. Il che e tutto quello che ottengo, di solito, o quel che chiedo.

– Vi prego, andate laggiu a parlargli, e aiutatelo. Ha paura a uscire di casa. Dopo tutto vi ho pagato.

– Vi ho dato indietro i soldi.

– Be', ve li ho offerti di nuovo.

– Voi mi avete piu o meno offerto altre cose, che son molto piu di quanto possa accettare.

Vi fu di nuovo silenzio.

– D'accordo – dissi. – D'accordo. Ci andro, se riusciro a rimanere in liberta per tanto tempo. Sono in un mare di guai anch'io.

– Perche?

– Ho detto bugie e ho taciuto la verita. Son cose che finisco sempre col pagare. Non sono fortunato come certa gente.

– Ma io non mentisco, Philip. Non mentisco. Son fuori di me.

– Tirate un respiro profondo e uscite di voi in modo ch'io possa sentirvi.

– Possono ucciderlo – disse la ragazza, quietamente.

– E in questo frattempo che cosa fa, il dottor Vincent Lagardie?

– Lui non sa nulla, naturalmente. Vi prego, andateci subito. Ho qui l'indirizzo. Aspettate un secondo.

Dentro di me squillo un campanello. Quello che suona all'estremita piu lontana del corridoio, e che non suona forte, ma e bene sentire. Non importa quanti altri rumori vi siano intorno. E bene sentirlo.

– Sara sulla guida telefonica – dissi. – E per strana coincidenza io possiedo una guida telefonica di Bay City. Chiamatemi alle quattro. O alle cinque. Meglio alle cinque.

Deposi in fretta il ricevitore. Mi alzai e spensi la radio, senza aver sentito una sola parola di quel che aveva detto. Tornai a chiudere le finestre. Apersi il cassetto della scrivania, tirai fuori la mia Luger e indossai la fondina a tracolla. Mi misi il cappello e mentre mi dirigevo alla porta mi soffermai, per darmi un'occhiata allo specchio.

Avevo la faccia di uno che ha deciso di buttarsi a mare.

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