CAPITOLO XX

Stavano giusto terminando un funerale, alla Casa della Pace. Un grande carro funebre grigio aspettava alla porta di fianco. Vi erano varie automobili, allineate ai lati della strada, e tre grandi berline nere di fronte alla palazzina del dottor Vincent Lagardie. Un gruppo di persone compunte scendeva lungo il viale della cappella funeraria, e montava sulle automobili. Mi fermai a mezzo isolato di distanza e aspettai. Per ultime uscirono tre persone con una donna velatissima, tutta in nero, e la condussero, quasi portandola, a una grande limousine. L'impresario di pompe funebri fluttuava in giro, facendo tanti piccoli gesti, con le mani e col corpo, gesti graziosi, come un finale di Chopin. Il suo viso grigio e composto era cosi lungo che avrebbe potuto avvolgerselo un paio di volte attorno al collo.

I necrofori dilettanti portarono il feretro fuori dalla porta laterale e quelli professionisti li liberarono dal carico e lo fecero scivolare elegantemente nel carro funebre, come se non pesasse piu d'un piatto di frittelle. I fiori cominciarono ad ammonticchiarsi sopra la cassa. Le portiere di vetro si chiusero e i motori si avviarono, lungo tutto l'isolato.

Pochi minuti dopo non restava piu nulla, all'infuori di una berlina, all'altro capo della via e dell'impresario di pompe funebri che si era soffermato ad annusare un cespuglio di rose prima di rientrare a contare il malloppo.

Poi, con un sorriso radioso, svani oltre l'elegante porta in stile coloniale e il mondo fu di nuovo immobile e vuoto. La berlina rimasta non si era mossa.

Percorsi un tratto di strada, feci una svolta ad U e andai a fermarmi dietro la berlina. Il guidatore portava un abito blu e un berretto molle, con la visiera lucida. Stava facendo il gioco di parole incrociate del giornale del mattino. Inforcai un paio di occhiali da sole di specchio trasparente e gli passai accanto molto adagio, diretto alla casa del dottor Lagardie. L'autista non alzo gli occhi. Quando mi fui allontanato di alcuni metri mi tolsi gli occhiali e finsi di pulirli col fazzoletto. Captai la sua immagine in una delle lenti di specchio. Non aveva alzato gli occhi. Stava semplicemente facendo le parole incrociate. Infilai di nuovo gli occhiali e andai alla porta d'ingresso del dottor Lagardie.

Il cartello, sul battente diceva: "Suonare ed Entrare". Io suonai, ma la porta non mi lascio entrare. Aspettai. Suonai di nuovo. Aspettai di nuovo.

All'interno era tutto muto. Poi, molto lentamente, si aperse uno spiraglio nella porta e un viso magro e inespressivo, sopra un'uniforme bianca fece capolino e mi guardo.

– Mi spiace, il dottore oggi non riceve.

L'infermiera sbatte le palpebre, fissando i miei occhiali di specchio. Non le piacevano. Dietro le labbra la lingua si muoveva, ininterrottamente.

– Cerco il signor Quest. Orrin P. Quest.

– Chi? – Nei suoi occhi passo un rapido lampo di sorpresa.

– Quest. Q, come Quintessenziato, U come Ultraterreno, E come Extrasensorio, S come Subliminale, T come Trallalla. Mettete tutto insieme, e leggete Fratello.

L'infermiera mi guardo come se fossi emerso dal fondo dell'oceano, con una sirena annegata sotto il braccio.

– Vogliate scusare. Il dottor Lagardie non…

Una mano invisibile la tolse di mezzo, e un uomo alto, magro, dall'aria spiritata apparve nel vano dell'uscio semiaperto.

– Sono il dottor Lagardie. Che c'e, prego?

Gli porsi un biglietto da visita. Lui lo lesse. Poi mi guardo. Aveva la faccia bianca, tirata, di un uomo che aspetta la rovina.

– Ci siamo gia parlati al telefono – dissi. – A proposito di un certo Clausen.

– Prego, entrate – invito, frettolosamente. – Non ricordo, ma entrate.

Entrai. Il locale era buio. Gli scuri abbassati, le finestre chiuse. Era buio e freddo.

L'infermiera arretro e ando a sedersi dietro una piccola scrivania. Era una comune stanza di soggiorno, coi serramenti dipinti di bianco: serramenti che erano stati scuri, un tempo, a giudicare dall'eta della casa. Un arco quadrato divideva la stanza di soggiorno dalla sala da pranzo. Vi erano alcune poltrone e un tavolo centrale, cosparso di riviste. L'insieme aveva l'aria di quel che era; la sala d'aspetto di un medico che tiene l'ambulatorio in un'ex casa privata.

Il telefono squillo, sulla scrivania dell'infermiera. Lei allungo la mano, ma poi si fermo, e fisso l'apparecchio. Dopo un certo tempo gli squilli cessarono.

– Che nome avete detto, prima? – mi chiese il dottor Lagardie, a bassa voce.

– Orrin Quest. Sua sorella mi ha detto che lavora per voi, dottore. Sono giorni che lo cerco. Ieri sera lui le ha telefonato. Da qui, dice la signorina.

– In questa casa non c'e nessuno che si chiami cosi – annunzio educatamente il dottor Lagardie. – Non c'e mai stato.

– Non lo conoscete nemmeno?

– Non l'ho mai sentito nominare.

– Non capisco perche abbia detto una cosa simile a sua sorella.

L'infermiera si asciugo gli occhi furtivamente. Il telefono sulla sua scrivania gracchio e la fece di nuovo trasalire.

– Non rispondete – ordino il dottor Lagardie, senza voltarsi.

Aspettammo, mentre il telefono suonava. Tutti aspettano, quando un telefono suona. Dopo un po' smise.

– Perche non andate a casa, signorina Watson? Non avete niente da fare, qui.

– Grazie, dottore.

La ragazza rimase seduta, immobile, fissando il piano della scrivania.

Chiuse gli occhi, stringendoli forte, poi li riaperse, sbattendo le palpebre. E scosse il capo, con aria di sconforto.

Il dottor Lagardie torno a rivolgersi a me.

– Andiamo nel mio studio?

Passammo un'altra porta, che dava su un corridoio. Mi pareva di camminare sulle uova. L'atmosfera della casa era greve di presentimenti funesti.

Il dottore aperse una porta e mi fece passare in un locale che doveva essere stato una camera da letto, solo che ora non faceva piu pensare a una camera da letto. Era lo studio d'un medico. Piccolo. Raccolto. Da una porta aperta si scorgeva parte di un gabinetto di consultazione. In un angolo funzionava una sterilizzatrice. C'era un'enorme quantita di aghi a bollire.

– Una bella quantita di aghi – osservai, pronto come sempre.

– Accomodatevi, signor Marlowe.

Il medico ando a sedersi dietro la scrivania e comincio a giocherellare con un tagliacarte lungo e sottile. Poi mi guardo, dritto in faccia, coi suoi occhi dolorosi.

– No, non conosco nessuno che si chiami Orrin Quest, signor Marlowe.

Non riesco a immaginare una sola ragione per cui una persona di questo nome debba dire che si trova in casa mia.

– Si nasconde – affermai.

Lagardie alzo le sopracciglia:

– Da che cosa?

– Da alcuni individui che potrebbero decidere di punto in bianco di piantargli uno scalpello da ghiaccio nella nuca. Per il fatto che lui e un po' troppo svelto, con la Leica. E scatta foto alla gente che vorrebbe mantenere l'incognito. O forse si tratta di qualcos'altro. Ad esempio il giovane puo essersi accorto che qualcuno traffica in "paglia". O parlo per enigmi?

– Siete stato voi a mandar qui la polizia – disse il medico freddamente.

Non apersi bocca.

– Siete stato voi a denunziare la morte di Clausen.

Io dissi esattamente quel che avevo detto prima.

– Siete stato voi a telefonarmi, per sapere se conoscevo Clausen. E io vi ho risposto di no.

– Ma non era vero.

– Non ero tenuto a darvi informazioni, signor Marlowe.

Accennai di si, trassi di tasca una sigaretta e l'accesi. Il dottor Lagardie diede un'occhiata all'orologio, si volto, sulla poltrona, e spense la sterilizzatrice. Guardai gli aghi. Un mucchio di aghi. Gia una volta, a Bay City, avevo avuto dei guai con un tale che bolliva troppi aghi.

– Da dove viene? – gli chiesi. – Dal porto?

Lui riprese tra le dita il suo tagliacarte, dall'aria malvagia. L'impugnatura d'argento, rappresentava una donna nuda. Lagardie si punse il polpastrello del pollice. Sulla puntura si formo una perla scura di sangue. Lui porto il dito alla bocca e lo lambi.

– Mi piace il sapore del sangue – disse sottovoce.

Si udi un cigolio lontano, come se la porta d'ingresso si aprisse e si richiudesse. Entrambi ascoltammo, con attenzione. Ascoltammo l'eco dei passi che scendevano i gradini esterni. Ascoltammo con le orecchie tese.

– La signorina Watson e andata a casa – annunzio il dottore. – Siamo in casa soli. – Medito un poco sul fatto e torno a lambirsi il pollice. Depose il tagliacarte con cura, sulla cartella portassorbenti. – Ah, la domanda del porto – riprese. – Pensavate alla vicinanza del Messico, senza dubbio. La facilita con cui la marijuana…

– Non ci pensavo quasi piu alla marijuana, ormai – tornai a fissare gli aghi. Lui segui il mio sguardo e si strinse nelle spalle. – Perche tanti aghi? – domandai.

– E affar vostro?

– Niente e affar mio.

– Pero sembra che aspettiate una risposta alle vostre domande.

– Parlo per parlare – affermai. – Mentre aspetto che accada qualcosa.

Sta per accadere qualcosa, in questa casa. Lo sento nell'aria.

Il dottor Lagardie lecco via un'altra perla di sangue dal pollice.

Lo fissai intensamente. Questo non mi aperse una via nei suoi pensieri.

Era nero, chiuso e tranquillo e nei suoi occhi c'era tutta l'infelicita della vita. Ma continuava ad esser gentile.

– Lasciate che vi parli degli aghi – dissi.

– Fate pure.

Riprese in mano la lunga lama sottile.

– Basta – ordinai duramente. – Mi date i brividi. Come veder accarezzare i serpenti.

Lui mise giu di nuovo il tagliacarte, con delicatezza, e sorrise.

– Mi pare che non veniamo mai al punto – osservo.

– Ci arriveremo. Ma torniamo agli aghi. Un paio d'anni fa mi e capitato un "caso" che mi ha portato da queste parti e mi ha fatto conoscere un certo dottor Almore. Abitava in Altair Street. Lavorava in maniera strana. Usciva la notte, con una gran borsa piena di siringhe… tutte pronte per l'uso.

Cariche di "medicina". Una clientela curiosa, la sua. Ubriachi, ricchi tossicomani, e ce n'e piu di quanti la gente non creda, persone sovreccitate che si erano ridotte al punto di non riuscir piu a riposare… Sofferenti d'insonnia, tutti i tipi di nevrotici che non sapevano affrontare la vita a freddo.

Gente che doveva avere la sua pilloletta o la sua punturina nel braccio.

Gente che doveva farsi dare una mano, per superare le difficolta. E tutto diventa difficile, dopo un certo tempo. Buoni affari, per il medico. E Almore era appunto il medico di quella gente. Lo si puo dire ormai. E morto un anno fa. Della sua stessa medicina.

– E voi pensate che io abbia ereditato la sua clientela?

– Qualcuno deve pur averla ereditata. Fin che ci saranno pazienti ci saranno medici.

Lagardie pareva piu esausto di prima.

– Per me, voi siete un asino, amico mio. Non conoscevo il dottor Almore. Non faccio il lavoro di cui l'accusate. Quanto agli aghi… tanto per spiegare questa sciocchezza… una volta per tutte, i medici li usano continuamente, oggigiorno, nell'esercizio della loro professione, e a volte per medicine innocentissime, come le iniezioni di vitamina. E gli aghi si spuntano. E quando son spuntati fanno male. Percio, nel corso di una giornata puo capitare di usarne una dozzina, e anche di piu. Senza che una sola siringa contenga narcotici.

Alzo lentamente il capo e mi fisso, con disprezzo.

– Posso sbagliarmi – affermai. – Ma dopo aver sentito odore di marijuana in casa di Clausen, ieri, e averlo visto comporre il vostro numero al telefono… poi averlo sentito che vi chiamava per nome… e probabile che tutto questo mi abbia fatto arrivare a una conclusione errata.

– Ho avuto a che fare coi tossicomani – disse Lagardie. – Quale medico non ne ha avuti in cura? Ma e una completa perdita di tempo.

– A volte riescono a guarire.

– Possono venir privati dello stupefacente. Alla fine, dopo infinite sofferenze, arrivano a farne a meno. Ma questo non significa guarirli, amico mio. Non significa rimuovere la causa, la tara nervosa o sentimentale che ha fatto di loro dei tossicomani. Significa ridurli a creature inerti, negative, che se ne stanno sedute al sole a far girare i pollici e muoiono di noia e di inanizione.

– E una teoria piuttosto semplicistica, dottore.

– Voi avete sollevato la questione. Io l'ho risolta. Ora sollevero io un'altra questione. Forse avrete notato una certa atmosfera di tensione, in questa casa. L'avrete notata, nonostante quegli stupidi occhiali di specchio.

Che ora potete togliervi. Non vi aiutano affatto a somigliare a Gary Grant.

Levai gli occhiali. Me ne ero completamente dimenticato.

– E stata qui la polizia, signor Marlowe. Un certo tenente Maglashan, che sta svolgendo indagini sulla morte di Clausen. Gli farebbe piacere conoscervi. Devo chiamarlo? Sono certo che ritornerebbe volentieri.

– Avanti, chiamatelo – invitai. – Mi sono soffermato qui un istante, mentre stavo andando a impiccarmi.

La sua mano si mosse verso il telefono, ma fu attratta, da un lato, dai poteri magnetici del tagliacarte. Fini col prenderlo di nuovo… Non riusciva a lasciarlo stare, a quanto sembrava.

– Potreste uccidere un uomo, con quell'arnese – osservai.

– Molto facilmente – convenne, con un mezzo sorriso.

– Affondandolo tre centimetri, nella nuca, proprio in centro, sotto l'occipite.

– Uno scalpello da ghiaccio andrebbe meglio – affermo Lagardie. – Soprattutto uno corto, e molto affilato. Non si piegherebbe. Ma se si manca il midollo spinale non si fa gran danno.

– Allora ci vuole un minimo di preparazione medica, no? – Trassi di tasca un pacchetto di Camel, misero e vecchio, e districai una sigaretta dal cellophane.

Il medico continuo a sorridere. Un sorriso molto vago, piuttosto triste.

Non il sorriso di un uomo che ha paura.

– Potrebbe tornar utile – convenne. – Ma chiunque sia dotato di una certa destrezza potrebbe impadronirsi della tecnica in dieci minuti.

– Orrin Quest ha frequentato due anni di medicina – dissi.

– Vi ho detto che non conosco nessuno che si chiami cosi.

– Gia. Ma io non vi ho creduto.

Lui scrollo le spalle. Ma come sempre gli occhi finirono col posarsi sulla lama.

– Siamo due bei tipi, noi due – affermai. – Ce ne stiamo qui, a far la scena del colloquio amichevole, come se non avessimo un pensiero al mondo, invece prima di sera saremo entrambi in gattabuia.

Il medico inarco di nuovo le sopracciglia. Io continuai:

– Voi, perche Clausen vi conosceva abbastanza bene da chiamarvi per nome. E puo darsi che siate l'ultima persona con la quale ha parlato. Io, perche ho fatto tutte le cose che un investigatore privato non puo fare impunemente. Nascondere prove, trattenere informazioni, scoprire cadaveri, e non presentarmi, col cappello in mano, ad annunziarlo alla cara e incorruttibile polizia di Bay City. Oh, sono finito. Piu che finito. Ma c'e un profumo selvaggio nell'aria, quest'oggi. Pare che non me ne importi niente. O forse sono innamorato. Cosi. Pare che non me ne importi niente.

– Avete bevuto – disse Lagardie, lentamente.

– Solo Chanel numero cinque, e baci, e il pallido splendore di due belle gambe, e l'ironico invito di due profondi occhi azzurri. Cosucce innocenti, come queste…

Lui parve piu triste che mai.

– Le donne possono indebolire terribilmente la volonta d'un uomo, vero?

– Parliamo di Clausen.

– Un alcolizzato, senza speranza. Certo conoscete il tipo. Bevono continuamente e non mangiano mai. E a poco a poco, la carenza di vitamine porta al delirium tremens. C'e una cosa sola, per loro – si volto a guardare la sterilizzatrice. – Punture e poi ancora punture. Mi fanno sentire sporco.

Sono un laureato della Sorbonne. Ma esercito in una cittadina piccola e sudicia, in mezzo a gente piccola e sudicia.

– Perche?

– Per un fatto accaduto anni fa… in un'altra citta. Non chiedetemi troppo, signor Marlowe.

– Clausen vi chiamava per nome.

– E un'abitudine comune, fra la gente di una certa classe. Fra gli ex attori, in special modo. E fra gli ex malviventi.

– Oh – feci. – E tutto qui?

– Tutto qui.

– Allora il fatto che sia venuta la polizia non vi preoccupa per via di Clausen. Voi avete paura per l'altra cosa, quella accaduta altrove, tanti anni fa. O forse vi tormentate per amore.

– Amore? – Parve che Lagardie si lasciasse cadere la parola dalle labbra con infinita lentezza, assaporandola fino all'ultimo. E, dopo la parola, sulle labbra rimase un piccolo sorriso amaro, come l'odore di polvere, nell'aria, dopo uno sparo. Poi il medico si strinse nelle spalle e trasse da dietro lo schedario una scatola da tavolo di sigarette, e la spinse verso di me.

– Niente amore, allora – dissi. – Sto cercando di leggervi nel pensiero. Eccovi qua, un uomo con tanto di laurea alla Sorbonne e una clientela ristretta e meschina, in una cittaducola meschina e malvagia. La conosco bene, Bay City. Che cosa fate, qui? Che cosa fate, con gli individui come Clausen? Di che cosa siete stato accusato, dottore? Stupefacenti, aborti… o per caso eravate il medico di una gang in una citta dell'Est, piuttosto… movimentata?

– Ad esempio? – chiese con un sorriso fragile.

– Ad esempio Cleveland.

– Un'insinuazione molto arrischiata, amico mio. – La sua voce pareva di ghiaccio, ora.

– Bestialmente arrischiata – convenni. – Ma un tipo dal cervello limitato come me ha la tendenza a cercar di inquadrare le cose che conosce in uno schema prestabilito. Spesso prende delle cantonate… ma e una malattia professionale, per me. Lo schema sarebbe questo, se volete ascoltarmi.

– Vi sto ascoltando.

Lagardie impugno di nuovo il tagliacarte e punzecchio delicatamente la cartella sulla scrivania.

– Voi conoscevate Clausen. Clausen e stato ucciso, molto abilmente, con uno scalpello da ghiaccio, ucciso mentre io ero nella sua pensione al piano di sopra a parlare con un piccolo truffatore, un certo Hicks. Hicks se l'e battuta a gran velocita, portandosi via una pagina del registro degli ospiti: la pagina col nome di Orrin Quest. Nel tardo pomeriggio, Hicks e stato assassinato a Los Angeles, con uno scalpello da ghiaccio. La sua camera era stata perquisita. La ho trovato una ragazza, che era andata a comprare qualcosa da Hicks. Ma non aveva trovato niente. Io ho avuto piu tempo per cercare e l'ho trovata. Ipotesi A: Clausen e Hicks sono stati uccisi dalla stessa persona, non necessariamente per lo stesso motivo. Hicks e stato ucciso perche si era intrufolato nei traffici sporchi di un altro, soppiantandolo in tronco. Clausen e stato ucciso perche era un ubriacone che blaterava senza controllo e avrebbe potuto riconoscere la persona che aveva deciso di uccidere Hicks. Niente di buono, fin qui?

– La cosa non mi interessa minimamente – dichiaro il dottor Lagardie.

– Pero mi ascoltate. Per pura educazione, immagino. E va bene. Ora, che cosa ho trovato, io? La foto di una diva del cinema, e di un ex gangster di Cleveland, attualmente proprietario di un ristorante di Hollywood, che fanno colazione insieme, un certo giorno. Un giorno in cui questo ex ganster era, ufficialmente, al fresco nella prigione della contea. Un giorno, inoltre, in cui un antico complice dell'ex gangster viene ucciso a revolverate in Franklin Avenue, a Los Angeles. Perche era al fresco, il nostro uomo?

Qualcuno aveva informato la polizia della sua vera identita, e, dite quel che volete contro la polizia di Los Angeles, ma effettivamente fa di tutto per rispedire al loro paese i banditi dell'est. Chi aveva fatto la spia alla polizia? Era stato l'arrestato stesso, per vie traverse, perche il suo ex-socio stava dandogli delle noie, e bisognava eliminarlo; e trovarsi al fresco, al momento del fatto era un alibi di prim'ordine.

– Tutto fantastico. – Il dottor Lagardie abbozzo un sorriso stanco. – Assolutamente fantastico.

– Sicuro. E lo sara sempre di piu. I questurini non riescono a provare niente, contro l'ex gangster di Cleveland. Alla polizia di Cleveland la cosa non interessa. Cosi la polizia di Los Angeles lo rimette in liberta. Ma certo non l'avrebbe fatto se avesse visto quella foto. Ergo, la foto e una splendida arma di ricatto, anzitutto contro l'ex gangster di Cleveland (sempre che si tratti di un ex gangster), e in secondo luogo contro la diva del cinema, che e stata vista in pubblico con lui. Un elemento abile potrebbe guadagnare una fortuna, con quella sola foto. Hicks non e abbastanza abile. Punto e a capo. Ipotesi B: Orrin Quest, il ragazzo che sto cercando, e l'autore di quella foto. L'ha scattata senza flash e senza che i soggetti se ne accorgessero. Quest possedeva una Leica, e gli piaceva far cose di questo genere.

Nel caso specifico, pero, aveva una ragione piu commerciale. Domanda: come mai ha avuto la possibilita di fare quell'istantanea? Risposta: la diva del cinema e sua sorella. Gli avrebbe certo permesso di salire in albergo a parlarle. Lui era senza lavoro, aveva bisogno di danaro. E probabile che la ragazza gli abbia dato una certa somma, a condizione che non le andasse piu tra i piedi. Non vuol saperne, della sua famiglia. E sempre assolutamente fantastico, dottore?

Lui mi fisso, con aria tetra.

– Non saprei – disse lentamente. – La cosa comincia a presentare qualche possibilita. Ma perche mi raccontate questa storia, piuttosto pericolosa?

Prese una sigaretta dalla scatola, e ne getto una anche a me; con un gesto distratto. L'afferrai a volo, e l'esaminai. Egiziana, ovale, spessa, un po' troppo ricca, per il mio sangue. Non l'accesi. Rimasi seduto stringendola tra le dita, studiando gli occhi, neri e malinconici del mio compagno. Lagardie accese la propria sigaretta e ne aspiro il fumo, nervosamente.

– Ora ricondurremo tutto a voi – annunziai. – Voi conoscevate Clausen. Per ragioni professionali, dite. Io gli ho dimostrato che ero un poliziotto. Lui ha cercato immediatamente di telefonarvi. Ma era troppo ubriaco, per parlare. Ho preso nota del numero, e piu tardi vi ho chiamato, per annunziarvi che Clausen era morto. Perche? Se aveste avuto la coscienza a posto avreste chiamato la polizia. Invece non l'avete fatto. Perche? Conoscevate Clausen: potevate benissimo conoscere qualcuno dei suoi pensionanti. Non ci sono prove, ne pro ne contro. Punto e a capo. Ipotesi C: Voi conoscevate Hicks, o Orrin Quest, o tutti e due. La polizia di Los Angeles non ha potuto, o non ha voluto stabilire l'identita dell'ex gangster di Cleveland… chiamiamolo col suo nuovo nome, Steelgrave. Ma qualcuno doveva essere in grado di farlo… se e valsa la pena di assassinare della gente per quella foto. Avete mai esercitato a Cleveland, dottore?

– Sicuramente no. – La sua voce pareva venire da molto lontano. Anche il suo sguardo era remoto. Le labbra si schiusero solo quel tanto che bastava per far passare la sigaretta. Lagardie era quasi immobile.

– C'e un'intera sala piena di guide alla direzione dei telefoni – dichiarai. – Guide di tutta l'America. Ho cercato il vostro nome. – Avevate uno studio di lusso, in un palazzo del centro, a Cleveland – soggiunsi dopo una breve pausa. – Ed ora questo… lavorate, quasi di nascosto, in una cittadina balneare. Avreste voluto cambiar nome ma era impossibile farlo mantenendo la possibilita di esercitare. Ci dev'essere una mente direttiva, dietro gli avvenimenti degli ultimi giorni, dottore. Clausen era un alcoolizzato, Hicks un truffatore ottuso, Orrin Quest un menagramo gretto e malintenzionato. Pero potevano essere manovrati. Voi non potevate andare contro Steelgrave direttamente. Non sareste rimasto vivo nemmeno il tempo necessario per pulirvi il naso. Dovevate levare la castagna dal fuoco con le zampe del gatto. Zampe piuttosto costose. Be', abbiamo fatto qualche passo avanti?

Il dottor Lagardie mi sorrise debolmente e si appoggio allo schienale della poltrona, con un sospiro.

– Supposizione D, signor Marlowe – disse, quasi bisbigliando. – Voi siete un perfetto idiota.

Sorrisi, e cercai un fiammifero, per accendere la sigaretta egiziana.

– E come se questo non bastasse – continuai – la sorella di Orrin mi telefona e mi dice che il ragazzo e in casa vostra. Ammetto che sono argomenti ben poco probativi, presi uno per uno. Pero, nel loro complesso, han proprio l'aria di puntare tutti verso di voi. – E aspirai placidamente il fumo della sigaretta.

Il medico mi studiava. Il suo viso parve fluttuare, andar molto lontano, poi tornare. Sentii irrigidirmisi qualcosa, nello stomaco. Il mio cervello rallento, e marcio a passo di tartaruga.

– Che cosa sta succedendo? – mi udii borbottare.

Posai le mani sui braccioli della poltrona e mi tirai su. -… stato idiota, eh? – chiesi, con la sigaretta ancora in bocca, fumandola ancora. Idiota non era precisamente la parola. Dovro coniarne una nuova.

Mi ero alzato dalla poltrona, e avevo i piedi presi in due barili di cemento. Quando avevo parlato mi era parso che la mia voce si facesse strada attraverso la bambagia.

Lasciai andare i braccioli e cercai di prendere la sigaretta. La mancai in tronco, un paio di volte, poi riuscii a chiuderle intorno un mano. Ma non pareva una sigaretta. Pareva la gamba posteriore di un elefante. Con le unghie affilate. Mi si piantavano nella carne. Scossi la mano, e l'elefante ritiro la gamba.

Una figura vaga, ma enormemente alta apparve a un tratto di fronte a me, e un mulo mi diede una pedata nel petto. Mi sedetti sul pavimento.

– Un po' di acido cianidrico – disse una voce, al telefono transatlantico. – Non e fatale… nemmeno pericoloso. Aiuta soltanto a riposare.

Cercai di alzarmi dal pavimento. Dovreste provarvi, qualche volta. Ma prima dite a qualcuno di inchiodare il pavimento. Quello dov'ero io faceva il giro della morte. Dopo un certo tempo si calmo un poco. Si stabilizzo a un angolo di quarantacinque gradi. Mi rimisi in sesto e cercai di andare in qualche posto. All'orizzonte c'era una cosa che poteva essere la tomba di Napoleone. Era una meta possibile. Mi avviai da quella parte. Il cuore mi batteva forte, e in fretta, e faticavo a far funzionare i polmoni. Come quando si "scoppia"' giocando al calcio. Si pensa che il fiato non tornera mai piu. Mai, mai mai piu.

Poi non era piu la tomba di Napoleone. Era una zattera in balia delle onde. C'era un uomo, sopra. Una cara persona. Eravamo andati cosi bene d'accordo. Mi incamminai verso di lui, e urtai una parete con la spalla.

Questo mi fece girare su me stesso. Cercai di afferrare qualcosa per sostenermi. Non c'era nulla all'infuori del tappeto. Come mai ero arrivato laggiu? Inutile chiederlo. E un segreto. Ogni volta che fate una domanda di questo genere vi sbattono un pavimento in faccia. E va bene… cominciai a trascinarmi carponi sul tappeto. Mi appoggiavo su quelle che un tempo erano state le mie mani e le mie ginocchia. Ora non le sentivo piu. Mi trascinai verso un muro di legno nero. O forse era marmo nero. Di nuovo la tomba di Napoleone. Che male avevo fatto a Napoleone? Perche continuava a tirarmi dietro la sua tomba?

– Voglio un bicchier d'acqua – dissi.

Ascoltai, per sentire l'eco. Niente eco. Nessuno disse nulla. Forse non avevo parlato. Forse era stata un'idea, che poi avevo scartato. Acido cianidrico. Sono due parole molto lunghe, da rimuginare mentre si sta strisciando in un tunnel. Niente di fatale, aveva detto lui. D'accordo. Si fa per ridere. E quel che si puo definire: semi-fatale. Philip Marlowe, di anni trentotto, investigatore privato di dubbia reputazione e stato arrestato dalla polizia, la notte scorsa mentre stava strisciando attraverso La Grande Grondaia Interplanetaria con un piano a coda sulla schiena. Interrogato al posto di polizia delle Alture Universitarie, Marlowe ha dichiarato che stava portando il piano al Maragia di Cucii Berar. Richiesto del perche portasse speroni Marlowe ha dichiarato che le confidenze del cliente sono sacre. Marlowe e trattenuto in stato di fermo per ulteriori indagini. Il Capo Cornosecco ha annunziato che la polizia non era ancora disposta a dare altri particolari.

Ai giornalisti che gli chiedevano se il piano fosse accordato il Capo Cornosecco ha risposto che vi aveva suonato sopra il Valzer del Minuto in trentacinque secondi; per quanto gli constava la cassa armonica non conteneva corde. Il Capo ha lasciato capire che la cassa conteneva qualcos'altro.

Un esauriente comunicato per la stampa verra emesso entro dodici ore, ha promesso bruscamente il Capo Cornosecco. Ovunque si sussurra che Marlowe stesse cercando di occultare un cadavere.

Un viso fluttuo, verso di me, uscendo dall'oscurita. Cambiai direzione e mi incamminai a quella volta. Ma il pomeriggio era troppo avanzato. Il sole stava tramontando. Si faceva notte rapidamente. Il viso non c'era piu.

Non c'era piu il muro, piu la scrivania. Poi non ci fu piu il pavimento. Non ci fu piu nulla.

Anch'io non ero piu la.

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