CAPITOLO XXXIII

Il Chateau Bercy era un palazzo vecchio rimodernato. Aveva il tipo di vestibolo che richiede velluti rossi e dorature e ottiene vetrocemento, luci diffuse e tavolini triangolari di cristallo; e in complesso ha l'aria d'essere stato decorato da un evaso dal manicomio. I colori dominanti erano verdebile, marrone-impiastro-di-lino, grigio-marciapiedi e blu-sedere-discimmia. Era riposante come un'unghia incarnata.

La piccola scrivania all'ingresso era vuota, ma lo specchio dietro di essa poteva essere trasparente, percio non tentai di sgattaiolare su per le scale.

Suonai il campanello e un uomo corpulento e molliccio comparve da dietro un muro e mi sorrise con le labbra umide e morbide, i denti biancoazzurrastri e gli occhi che luccicavano in maniera innaturale.

– La signorina Gonzales – dissi. – Mi chiamo Marlowe. La signorina mi aspetta.

– Ma certo, si, naturalmente, – garri il ciccione agitando le mani come un frullo d'ali. – Si, naturalmente. Le telefono subito.

Anche la voce, pareva un frullo d'ali. L'uomo prese il ricevitore del telefono, vi gorgoglio dentro e lo mise giu.

– Si, signor Marlowe. La signorina Gonzales dice che andiate subito su.

Appartamento dodici, quarto piano. – Diede una risatina da scolaretta. – Ma immagino che lo sappiate.

– Lo so adesso – ribattei. – Oh, tra parentesi, eravate qui, nel febbraio scorso?

– Nel febbraio scorso? Nel febbraio… Oh, si. Ero qui, nel febbraio scorso. – La sua pronuncia era meticolosa, come un manuale di fonetica.

– Ricordate la sera in cui han fatto fuori Stein, qui di fronte?

Il sorriso spari, a precipizio.

– Siete un ufficiale di polizia? – La voce era sottile e flebile, ora.

– No. Ma avete i pantaloni aperti, se ci tenete a saperlo.

Lui guardo giu, inorridito e chiuse la cerniera con le mani che quasi gli tremavano.

– Oh, grazie – balbetto. – grazie. – Si chino sopra la piccola scrivania. – Non e successo proprio qui davanti – disse. – Non esattamente. E stato quasi all'angolo della via.

– Abitava qui, vero?

– Preferirei proprio non parlarne. Sinceramente, preferirei non parlarne.

– Tacque e si passo la lingua sul labbro inferiore. – Perche queste domande?

– Cosi, tanto per farvi parlare. Dovete starci piu attento, amico. Vi si sente nel fiato.

Divenne tutto rosa, fino al collo.

– Se insinuate che abbia bevuto…

– Solo te – risposi. – E non in infusione.

Mi allontanai. Lui non aperse bocca. Quando arrivai all'ascensore mi voltai a guardare. Era in piedi con le mani piatte sulla scrivania e il collo torto indietro, per guardarmi. Anche da quella distanza pareva che tremasse.

L'ascensore era automatico. L'atrio del quarto piano era tappezzato in grigio chiaro, ed aveva un tappeto foltissimo. Accanto alla porta dell'appartamento numero dodici c'era un minuscolo pulsante. Il campanello tintinno gentilmente all'interno. L'uscio si spalanco immediatamente. I begli occhi neri e profondi si posarono su di me, e la bocca scarlatta mi sorrise.

Pantaloni neri e camicetta color fiamma. Come la sera prima.

– Amigo – sussurro, e tese le braccia.

Le afferrai i polsi e le feci unire le palme. Giocai a scaldamano con lei per qualche istante. Nei suoi occhi c'era un'espressione languida ma bruciante.

Lasciai andare i polsi, chiusi la porta con un gomito e scivolai nella stanza, insinuandomi tra lei e il muro. Fu come la prima volta.

– Dovreste assicurare questa roba – dissi sfiorandole un seno.

Non era di gomma. Il capezzolo era duro come un rubino.

Dolores scoppio in una delle sue risate gioiose. Avanzai nel locale e mi guardai intorno. Era grigio perla e azzurro polvere. Non adatto a lei ma molto grazioso. C'era un caminetto finto, coi ceppi che nascondevano un radiatore a gas, e un certo numero di poltrone, tavolini e lampade, ma non troppa roba. In un angolo c'era un piccolo scaffale di liquori.

– Vi piace il mio piccolo nido, amigo?

– Non lo chiamate "piccolo nido". Anche questa e un'espressione da sgualdrina.

Non la guardavo.Non avevo voglia di guardarla. Mi sedetti sul divano e mi passai una mano sulla fronte.

– Quattro ore di sonno, e un paio di cicchetti e sarei di nuovo in grado di parlare a vanvera con voi – dissi. – Ora ho appena appena la forza di parlarvi sul serio. Ci sono costretto.

Venne a sedermisi vicino. Scossi il capo.

– Mettetevi la. Devo proprio parlarvi sul serio.

Si sedette di fronte a me e mi guardo, con quei suoi occhi bruni e gravi.

– Ma si, amigo, tutto quel che volete. Sono la vostra ragazza… o per lo meno sarei ben contenta di diventarlo.

– Dove abitavate, a Cleveland?

– A Cleveland? – parlava con voce morbida, tubava quasi. – Vi ho detto di aver vissuto a Cleveland?

– Avete detto che lui l'avevate conosciuto la.

Ci ripenso un istante, poi accenno di si.

– Ero sposata a quel tempo, amigo. Che cosa succede?

– Allora avete abitato a Cleveland?

– Si – mormoro.

– Come avete conosciuto Steelgrave?

– Erano i tempi in cui era di moda conoscere un gangster. Una forma di snobismo alla rovescia, immagino. Si andava nei locali in cui si diceva che bazzicassero i fuori legge e se si era fortunate forse, una sera…

– Gli avete permesso di abbordarvi. Annui vivacemente.

– Diciamo che io ho abbordato lui. Era un omino infinitamente simpatico. Ve l'assicuro.

– E il marito? Vostro marito, intendo. O non ve ne ricordate?

La ragazza sorrise.

– Le strade del mondo sono lastricate di mariti scartati.

– Verita sacrosanta. Se ne trovano dovunque. Persino a Bay City.

Non ottenni nulla. Lei si strinse educatamente nelle spalle.

– Non ne dubito.

– Forse c'e persino qualche laureato alla Sorbonne. Forse si spreca a esercitare in una cittadina miserabile… e aspetta e spera. Questa e una coincidenza che sarei disposto ad accettare. Ha un tocco di poesia.

Il sorriso cortese rimase fermo sul bel viso di Dolores.

– Siamo diversi, ormai – disse. – Siamo mille miglia lontano. Ed eravamo cosi uniti, un tempo.

Abbassai gli occhi e mi guardai le dita. La testa mi doleva. Non ero nemmeno il quaranta per cento di quel che avrei dovuto essere. La mia ospite mi porse una scatola di cristallo piena di sigarette ed io mi servii. Lei ne infilo una, per se, nelle mollette d'oro. L'aveva presa da un'altra scatola.

– Vorrei provarne una delle vostre – dissi.

– Ma il tabacco messicano brucia la gola, alla maggior parte della gente.

– Fin che e tabacco… – mormorai, osservandola attentamente. Poi mi decisi. – No, avete ragione, non mi piacerebbe.

– Che cosa significano, queste battute d'aspetto? – mi domando con aria cauta.

– L'impiegato ricevitore fuma marijuana.

Annui, lentamente.

– L'ho avvertito di stare attento. Parecchie volte.

– Amigo – dissi.

– Che?

– Voi non vi servite molto dello spagnolo, vero? Forse non ne sapete molto, di spagnolo. "Amigo" e cosi frusto che cade in pezzi.

– Non vogliamo ricominciare come ieri nel pomeriggio, spero – disse lentamente.

– No, Di messicano avete ben poco: una dozzina di parole e un modo preciso calcolato di parlare, come chi si serve d'una lingua che ha dovuto studiare. Evitate rigorosamente le abbreviazioni ad esempio. Cose di questo genere.

Non rispose. Fumava elegantemente la sigaretta e sorrideva.

– Sono in un brutto guaio, con la polizia – continuai. – A quanto pare la signorina Weld ha avuto il buon senso di dire tutto al suo principale…

Jules Oppenheimer… e lui non l'ha lasciata colare a picco. Le ha procurato Lee Farrell. Non credo che alla polizia pensino che Mavis Weld abbia ucciso Steelgrave. Pero pensano che io sappia chi e stato e non mi vogliono piu bene.

– E lo sapete davvero, amigo?

– Ve l'ho detto al telefono, che lo sapevo.

Mi guardo dritto in faccia, per un lungo istante.

– Ero presente. – La sua voce aveva un tono composto e grave, per una volta tanto.

– E stato molto curioso, davvero. La piccola aveva voglia di visitare una casa da gioco. Non aveva mai visto niente di simile e i giornali ne avevano parlato…

– Abitava qui, con voi?

– Non nel mio appartamento, amigo. In una stanza che avevo preso per lei.

– Non c'e da meravigliarsi che non abbia voluto dirmi dove stava – osservai. – Comunque immagino che non abbiate avuto tempo per insegnarle il mestiere…

Corrugo lievemente la fronte e abbozzo un gesto vago con la sigaretta bruna. Guardai il fumo scrivere una parola misteriosa, nell'aria immobile.

– Vi prego. Come vi dicevo, la piccola desiderava andare in quella casa. Cosi io ho telefonato, e lui ha detto che andassimo pure. Quando siamo arrivate lui era ubriaco. Non l'avevo mai visto prima in quello stato. Si e messo a ridere, ha passato un braccio intorno alla vita della piccola Orfamay e le ha detto che aveva guadagnato bene i suoi quattrini. Poi ha aggiunto che aveva qualcosa da darle e ha tirato fuori di tasca un portafogli avvolto in un pezzo di stoffa. Quando la piccola l'ha svolto, ha visto che c'era un buco, nel centro del portafogli. E il buco era sporco di sangue.

– Questo non e stato carino – dichiarai. – Non lo definirei nemmeno caratteristico.

– Voi non lo conoscevate.

– Giusto. Continuate.

– La piccola Orfamay ha preso il portafogli e l'ha fissato un po', poi si e messa a fissare Steelgrave con un faccino bianco e immobile. Ha ringraziato, ha aperto la borsa per riporre il portafogli, o almeno io credevo… e stato molto curioso.

– Una cannonata – dichiarai. – Mi avrebbe fatto restare col fiato sospeso. -…ma invece, ha tirato fuori una rivoltella, dalla borsa. Era una rivoltella che lui aveva regalato a Mavis, mi pare. Era uguale e…

– So benissimo com'era – dichiarai. – Ci ho giocato un po'.

– Poi la piccola si e voltata di scatto e l'ha freddato, con un colpo solo.

E stato molto drammatico.

Si porto la sigaretta bruna alla bocca e mi sorrise. Un sorriso strano, distante, come se stesse pensando a una cosa lontana.

– E voi le avete fatto confessare tutto a Mavis Weld – dissi.

La ragazza annui.

– Mavis non avrebbe creduto a voi, immagino.

– Non volevo correre rischi.

– Non siete stata voi a dare i mille dollari a Orfamay, vero, cara? Per farle raccontare quella storia? E una ragazzina disposta a molte cose, per mille dollari.

– Non desidero rispondere a certe insinuazioni – replico Dolores con dignita.

– No. Quindi ieri sera quando mi avete trascinato lassu di gran carriera sapevate gia che lui era morto e che non c'era niente da temere. Ragion per cui tutta quella scena con la rivoltella… era soltanto una scena.

– Non mi piace dover recitare la parte del Destino – sussurro. – La situazione era intricata e io sapevo che in un modo o nell'altro ne avreste tirato fuori Mavis. Nessuno ci sarebbe riuscito, all'infuori di voi. Mavis era decisa ad addossarsi tutta la colpa.

– Avrei bisogno di un cicchetto – borbottai. – Sono sfinito.

Balzo in piedi e si diresse al mobile bar. Poco dopo ritorno con due enormi bicchieri di whisky e acqua. Me ne porse uno e mi osservo sopra l'orlo del suo, mentre assaggiavo il liquore. Era magnifico. Ne bevvi qualche sorso. Lei si lascio cadere di nuovo sulla sua poltrona e prese le mollette d'oro.

– L'ho cacciata via – ripresi, finalmente. – Sto parlando di Mavis. Mi aveva detto che l'aveva ucciso. Aveva in tasca la pistola. La gemella di quella che avevate data a me. Probabilmente non vi eravate accorta che la vostra aveva sparato.

– Me ne intendo pochissimo di armi – rispose sommessamente.

– Sicuro. Ho contato i proiettili e, posto che all'inizio il caricatore fosse stato pieno, mancavano due colpi. Quest era stato ucciso con due colpi di automatica, calibro trentadue. Lo stesso calibro. Avevo raccolto i bossoli, nel salottino, laggiu.

– Laggiu dove, amigo?

Stava cominciando a darmi sui nervi. Troppi "amigo". Assolutamente troppi.

– Naturalmente non potevo esser certo che si trattasse della stessa arma, ma mi e parso che valesse la pena di tentare. Se non altro per confondere un po' le cose e dare un minimo di possibilita di cavarsela a Mavis.

Cosi l'ho appioppata al morto, e ho deposto la sua rivoltella sotto il banco del bar. La sua era una trentotto, nera. Molto piu in carattere. Anche su un'impugnatura ruvida si possono lasciare tracce, ma con un calcio di avorio, si e quasi certi di lasciare una bella serie di impronte sul lato sinistro.

Steelgrave non avrebbe mai portato un'arma di quel genere.

I suoi occhi erano tondi, vuoti e perplessi.

– Temo di non riuscire a seguirvi – bisbiglio.

– E se Steelgrave avesse ucciso qualcuno l'avrebbe ucciso del tutto, e si sarebbe assicurato che fosse morto. Il ragazzo si e rialzato ed e andato un po' in giro.

Nei suoi occhi brillo un lampo, e subito si spense.

– Mi piacerebbe poter dire che ha parlato un po' – continuai. – Ma non l'ha fatto. Aveva i polmoni pieni di sangue. E morto ai miei piedi.

Laggiu.

– Ma laggiu dove? Non mi avete detto dove e accaduta questa..

– Devo proprio?

Bevve qualche sorso di liquore, depose il bicchiere sorridendo.

– Eravate presente, quando Orfamay gli ha dato l'indirizzo – le rammentai.

– Oh, si, naturalmente. – Si era ripresa bene, subito, e con eleganza.

Ma il suo sorriso pareva un poco piu stanco.

– Solo che lui non ci e andato.

La sua sigaretta si fermo a mezz'aria. Questo fu tutto. Poi, la sigaretta riprese lentamente la via verso le labbra. Dolores aspiro il fumo con eleganza.

– Sapete qual e stato il guaio, fin dal principio? Io mi sono sempre rifiutato di credere alle cose che mi parevano troppo chiare e lampanti. Steelgrave era "Frigna" Moyer. Questo e un dato di fatto, no?

– Sicuro. E lo si puo provare.

– Ebbene. Steelgrave ha cambiato vita e le cose gli vanno bene. Poi compare Stein e comincia a tormentarlo perche vuole una fetta della torta.

Sto tirando a indovinare, ma le cose devono essere andate piu o meno cosi.

Benissimo, Stein deve sparire dalla circolazione. Steelgrave non vuole uccidere nessuno e, per la storia, non e mai stato accusato d'aver ucciso nessuno. La polizia di Cleveland si e rifiutata di venire a prenderselo. Non ci sono denunzie pendenti. Non c'e mistero… a parte il fatto che un tempo Steelgrave aveva fatto parte di una gang con un compito ignoto. Ma ora Steelgrave deve liberarsi di Stein. Cosi si fa mettere al fresco. Poi esce, prezzolando il dottore del carcere, ammazza Stein e ritorna subito in cella.

Tanto sa benissimo che quando la notizia del delitto diverra di dominio pubblico, le persone che l'hanno lasciato uscire di prigione si precipiteranno a distruggere tutte le eventuali prove della sua uscita. Perche sicuramente arrivera la polizia e comincera a far domande.

– Molto naturale, amigo.

La studiai, cercando segni di resa, ma non ne vidi.

– Fin qui tutto bene. Ma dobbiamo pure far credito d'un po' di cervello a questo figliolo. Perche ha lasciato che lo tenessero in galera per dieci giorni? Risposta numero uno: per crearsi un alibi. Risposta numero due: perche sapeva che presto o tardi il fatto che lui era "Frigna" Moyer sarebbe venuto a galla; quindi perche non dar tempo alla polizia di prendere tutte le informazioni che credeva e farla finita, una volta per sempre? Almeno, dopo, ogni volta che qualcuno avesse fatto la pelle a un gangster nella zona, i questurini non si sarebbero precipitati ad arrestarlo, cercando di affibbiare la colpa a lui.

– E questa ipotesi, vi piace, amigo?

– Si. Considerate le cose dal mio punto di vista. Perche il nostro uomo sarebbe dovuto andare a far colazione in un locale pubblico proprio il giorno in cui era uscito di prigione per saldare il conto a Stein? E se cosi fosse stato, come mai il giovane Quest era capitato da quelle parti, per fare l'istantanea? Stein non era ancora stato ucciso, quindi la foto non costituiva la prova di niente. Mi piace che la gente abbia fortuna, ma questo si chiama avere una fortuna sfacciata. Inoltre, anche se Steelgrave non si fosse accorto di esser stato fotografato, sapeva chi era il giovanotto. Quest aveva continuato a chiedere quattrini alla sorella da quando aveva perso l'impiego, e forse anche da prima. Steelgrave possedeva la chiave dell'appartamento di Mavis. Doveva pur sapere qualcosa del fratello della sua ragazza.

E tutto questo ci porta a una sola conclusione, cioe che quella sera in particolare, Steelgrave non avrebbe sparato a Stein per nessuna ragione al mondo, anche se ne avesse avuta l'intenzione.

– E ora e il mio turno, e devo chiedervi chi l'ha fatto – disse lei, educatamente.

– L'ha fatto una persona che conosceva Stein e poteva avvicinarlo. Una persona che aveva saputo subito che quella foto era stata presa, e conosceva l'identita di Steelgrave. Sapeva che Mavis Weld era sul punto di diventare una stella di prima grandezza e si rendeva conto che la relazione di Mavis con Steelgrave era pericolosa, per la ragazza, ma lo sarebbe stata mille volte di piu se si fosse potuto far apparire Steelgrave colpevole dell'assassinio di Stein. Questa persona conosceva Quest, perche l'aveva incontrato in casa di Mavis Weld e l'aveva sedotto e Quest era un ragazzo al quale un certo trattamento era destinato a fargli perdere del tutto il lume della ragione. Questa persona sapeva che le due rivoltelline dall'impugnatura d'osso erano registrate a nome di Steelgrave, quantunque lui le avesse comprate per regalarle a due ragazze, perche se Steelgrave fosse andato in giro armato la pistola non sarebbe stata registrata, e non sarebbe stato possibile provare che gli apparteneva. Questa persona sapeva…

– Basta! – La sua voce era una pugnalata, ma non tradiva paura, e nemmeno ira. – Tacete immediatamente, prego! Non voglio tollerarvi un momento di piu. Andatevene, subito!

Mi alzai. Lei si appoggio all'indietro e vidi che una vena le pulsava in gola. Era bruna, era squisita, era mortale. E nulla avrebbe mai potuto toccarla. Nemmeno la legge.

– Perche avete ucciso Quest? – le chiesi.

Si alzo e mi venne vicina, di nuovo sorridendo.

– Per due ragioni, amigo. Era completamente pazzo, e avrebbe finito coll'uccidermi. E l'altra ragione e che nulla di tutto questo… assolutamente nulla… l'ho fatto per danaro. E stato per amore.

Fui per riderle in faccia. Ma non lo feci. Dolores parlava con estrema gravita. Mi pareva di esser fuori da questo mondo.

– Non importa quanti amanti puo avere una donna – continuo con voce sommessa. – Ce n'e sempre uno che non puo perdere, che non si puo cedere a un'altra. Quell'uomo era Steelgrave, per me.

La fissai nei begli occhi bruni.

– Vi credo – dissi dopo un lungo istante.

– Baciatemi, amigo.

– Ma per Dio!

– Io devo avere uomini, amigo. Ma l'uomo che amavo e morto. L'ho ucciso io. L'uomo che non potevo dividere.

– Avete aspettato molto tempo.

– So essere paziente… fin che c'e speranza.

– Oh, quante storie!

Lei sorrise, un sorriso spontaneo bellissimo, perfettamente naturale.

– E voi non potete farmi niente, per tutto questo, tesoro. A meno che non vogliate distruggere Mavis Weld, completamente e irrimediabilmente.

– Ieri sera ha dimostrato di essere pronta a distruggersi con le proprie mani.

– Se non recitava. – Mi lancio un'occhiata penetrante e scoppio a ridere. – Vi ho fatto male, eh? Siete innamorato di lei.

– Sarebbe piuttosto sciocco – dissi lentamente. – Potrei starmene seduto al buio, al suo fianco con le mani nelle mani, ma fino a quando? Tra un po' sara presa in un turbine di splendore illusorio, di abiti costosi, di discorsi vuoti, di irrealta e di sesso promiscuo. Non sara piu una persona reale. Diverra un viso su uno schermo, una voce da una colonna sonora. Io voglio qualcosa di piu.

Mi incamminai verso la porta senza voltarle completamente le spalle.

Ma non mi aspettavo una revolverata. Pensavo che in fondo Dolores mi preferisse cosi, come stavo… con le mani legate senza la minima possibilita di fare qualcosa.

Mi voltai a guardarla, mentre aprivo la porta. Snella, bruna, bella e sorridente. Tutta sesso. E completamente al di la delle leggi morali di questo mondo, o di qualsiasi mondo ch'io potessi immaginare.

Non era un tipo che si dimenticava. Oh, no. Uscii quietamente. La sua voce sommessa mi segui, mentre accostavo il battente.

– Querido… mi sei piaciuto tanto. Che peccato.

Chiusi la porta.

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