CAPITOLO XXVII

Rimasi a osservarla, per qualche minuto, mordendomi un labbro. Lei osservava me. La sua espressione non era cambiata. Cominciai a percorrere la stanza con lo sguardo. Alzai la copertura di tela d'uno dei tavoli. Sotto c'era un tappeto da roulette, ma non la ruota. Sotto il tavolo non c'era nulla.

– Provate la poltrona con le magnolie – consiglio Mavis Weld.

Non guardo verso la poltrona, cosi dovetti trovarmela da solo. E incredibile, quanto tempo mi ci volle. Era una poltrona di chintz a fiorami, dallo schienale alto, a conchiglia, il tipo che tanti anni fa si costruiva appositamente per riparare dagli spifferi quando si stava chini su un fuoco di carbone bituminoso.

Le girai attorno lentamente, senza rumore. Era quasi del tutto rivolta verso il muro. Tuttavia era ridicolo che non avessi notato il morto, mentre tornavo dal bar. Era rannicchiato in un angolo, con la testa rovesciata indietro. Il suo garofano era bianco e rosso e fresco, come se la fioraia gliel'avesse appuntato al bavero un istante prima. Gli occhi erano semiaperti, come sono spesso gli occhi di quel genere. Fissavano un punto imprecisato, in un angolo del soffitto. Il proiettile era penetrato attraverso il taschino della giacca a doppio petto. Chi aveva sparato sapeva dove si trovava il cuore.

Gli toccai una guancia, ed era ancora calda. Gli alzai una mano e la lasciai ricadere. Era completamente inerte. Posai le dita sulla grossa arteria del collo. Il sangue non pulsava piu. Solo poche gocce rosse avevano macchiato la giacca. Mi asciugai le dita, nel fazzoletto e rimasi ancora per qualche istante a fissare il piccolo viso tranquillo del morto. Tutto quel che avevo fatto o non fatto, buono o cattivo era stato inutile.

Tornai al divano, mi sedetti accanto alla ragazza e mi strinsi le ginocchia fra le mani.

– Che cosa vi aspettavate? – mi chiese Mavis. – Aveva ucciso mio fratello.

– Vostro fratello non era un angelo.

– Non era una buona ragione per ucciderlo.

– Qualcuno doveva ucciderlo… e al piu presto.

Lei sgrano gli occhi.

– Non vi siete mai chiesta perche Steelgrave non si e mai occupato di me, e perche ha lasciato andare voi, al Van Nuys, invece di andarci personalmente? Non vi siete mai chiesta perche un individuo con le sue risorse e la sua esperienza non ha mai cercato di metter le mani su quelle foto, costasse quel che costasse?

La ragazza non rispose.

– Da quanto tempo sapevate dell'esistenza delle foto? – domandai.

– Da qualche settimana. Da quasi due mesi, ormai. Ne ricevetti una per posta un paio di giorni dopo… dopo il pranzo con Steelgrave.

– Dopo che Stein venne ucciso.

– Si. Naturalmente.

– Pensavate che Steelgrave avesse ucciso Stein?

– No. Perche avrei dovuto? Cioe, non l'ho pensato fino a questa sera.

– Che cosa accadde, dopo che riceveste la foto?

– Mio fratello Orrin mi telefono e mi racconto che aveva perso l'impiego e che era in bolletta. Aveva bisogno di denaro. Non mi disse una parola della fotografia. Non era necessario. Quella istantanea poteva essere stata presa in una sola occasione.

– Come aveva ottenuto il vostro numero, Orrin?

– Il numero di telefono? Come l'avete avuto, voi?

– L'ho comprato.

– Ebbene… – abbozzo un gesto vago, con la mano. – Perche non chiamiamo la polizia e non la facciamo finita?

– Un momento. E poi? Che cosa accadde? Arrivarono altre copie della foto?

– Una alla settimana. Le mostrai a lui. – Accenno alla poltrona a fiorami. – La cosa non gli piacque. Di Orrin non gli dissi nulla.

– Ma lui lo scopri. I tipi come lui tendono sempre a scoprire le cose.

– Immagino di si.

– Pero non scopri il nascondiglio di Orrin. Altrimenti non avrebbe aspettato tanto. Quando avete dato l'indirizzo di vostro fratello a Steelgrave?

Lei distolse lo sguardo, e si affondo le unghie in un braccio.

– Oggi – disse con voce lontana.

– Perche oggi?

Il respiro le si ruppe in gola.

– Vi prego, non fatemi tante domande inutili. Non mi tormentate. Non potete far nulla per me. Credevo che poteste… quando ho telefonato a Dolores. Ora non e piu possibile.

– Benissimo – dissi. – Ma c'e qualcosa che, a quanto sembra, non riuscite a capire. Steelgrave sapeva che la persona che stava dietro quella fotografia, chiunque fosse, voleva quattrini, un mucchio di quattrini. Sapeva che, presto o tardi, il ricattatore si sarebbe dovuto scoprire. Era questo che Steelgrave aspettava. Della foto, in se, non gli importava niente, se non per amor vostro.

– L'ha dimostrato – osservo la ragazza, in tono stanco.

– A suo modo.

La sua voce si alzo, con calma glaciale.

– Ha ucciso mio fratello. Me l'ha detto lui, con la sua bocca. E in quel momento si e rivelato il gangster. Che strana gente si incontra a Hollywood, vero… me compresa?

– Gli volevate bene, una volta – dissi brutalmente.

Due macchie rosse le si accesero sulle guance.

– Non voglio bene a nessuno – ribatte. – Ho finito di voler bene alla gente. – Lancio una breve occhiata alla poltrona fiorata. – A lui ho smesso di voler bene ieri sera. Mi ha chiesto di voi… chi eravate e cosi via.

Glie l'ho detto. E gli ho detto che avrei dovuto confessare di essere stata vista all'albergo Van Nuys, vicino a quel morto.

– Avevate intenzione di dirlo alla polizia?

– Volevo dirlo a Jules Oppenheimer. Lui avrebbe saputo come risolvere la situazione.

– E se non lui uno dei suoi cani.

Non sorrise. Nemmeno io sorrisi.

– Se Oppenheimer non fosse riuscito a sbrogliare le cose sarei stata finita come attrice – soggiunse Mavis, senza interesse. – Adesso sono finita in tutti i sensi.

Trassi di tasca una sigaretta e l'accesi. Ne offersi una anche a lei, ma non la volle. Non avevo nessuna fretta. Mi pareva di avere perso il senso del tempo. E quasi di ogni altra cosa. Ero come svuotato.

– Correte troppo, per me – dissi, dopo una pausa. – Quando siete andata al Van Nuys non sapevate che Steelgrave era "Frigna" Moyer?

– No.

– E allora perche ci siete andata?

– Per comprare quelle foto.

– Come e possibile? Non e chiaro. In questo caso le foto non avrebbero dovuto avere nessun senso, per voi. Si trattava solo di voi e del vostro amico che facevate colazione.

Lei sbatte gli occhi poi il spalanco, al massimo.

– Non sto per piangere – mi rassicuro. – Vi ho detto che non sapevo.

Pero, quando lui ando in prigione, quella volta, dovetti per forza rendermi conto che c'era qualcosa, nella sua vita, che desiderava tener nascosto.

Larvatamente avevo capito che si era dedicato a qualche attivita illegale.

Ma non pensavo che fosse un assassino.

Dissi «gia gia», mi alzai e mi avvicinai di nuovo alla poltrona. Gli occhi della ragazza mi seguirono lentamente. Mi chinai su Steelgrave e gli tastai l'ascella sinistra. C'era una rivoltella, nella fondina a tracolla. Non la toccai. Tornai a sedermi di fronte a Mavis.

– Ci vorra un sacco di soldi per mettere a posto questo pasticcio – annunziai.

Per la prima volta Mavis Weld sorrise. Fu un sorriso molto fragile e vago ma pur sempre un sorriso.

– Io non ho un sacco di soldi – disse. – Quindi la cosa e fuori questione.

– Oppenheimer ne ha. E per lui, oggi, voi valete dei milioni.

– Non correrebbe mai il rischio. Troppa gente oggigiorno cerca solo un appiglio per nuocere al cinema. Oppenheimer si sobbarchera la sua perdita senza fiatare e fra sei mesi non se ne ricordera piu.

– Avete detto che volevate rivolgervi a lui.

– Ho detto che se mi fossi trovata in un ginepraio senza aver fatto nulla di male mi sarei rivolta a lui. Ma ora ho fatto qualcosa.

– E Ballou? Anche per lui rappresentate un grosso investimento.

– Io non valgo un fico secco per nessuno. Lasciate correre, Marlowe.

Siete pieno di buone intenzioni, ma io conosco quella gente.

– Quindi la responsabilita ricade su di me – osservai. – Dev'essere per questo che mi avete mandato a chiamare.

– Meraviglioso – esclamo. – Aggiustate tutto voi, tesoro. E gratis.

La sua voce era di nuovo esile, priva di echi. Andai a sedermi accanto a lei, sul divano. Le afferrai il braccio, le sfilai la mano di tasca e gliela strinsi. Era quasi gelata, nonostante la pelliccia.

Lei si volto a guardarmi, dritto negli occhi. Poi scosse lievemente il capo.

– Credetemi tesoro, non ne vale la pena… neanche per venire a letto con me.

Voltai la mano in su, e cercai di stenderle le dita. Erano rigide e resistevano. Le apersi una per una. Poi carezzai il palmo.

– Ditemi perche vi eravate portata dietro la rivoltella.

– La rivoltella?

– Non cercate di guadagnare tempo per pensare. Ditemelo, semplicemente. Avevate intenzione di ucciderlo?

– Perche no, tesoro? Credevo di significare qualcosa, per lui. Temo di essere un po' vanitosa. E invece nessuno significa niente, per gli Steelgrave di questo mondo. E nulla significa nulla, per le Mavis Weld di questo mondo ormai…

Si stacco bruscamente da me e mi rivolse un sorriso stentato.

– Non avrei dovuto darvi quella rivoltella. Se vi avessi ucciso potrei ancora cavarmela.

Trassi la rivoltella di tasca e gliela porsi. Lei la prese e si alzo di scatto.

La canna puntava contro il mio petto. La ragazza contrasse di nuovo le labbra nel suo piccolo sorriso stanco. L'indice era fermo, sul grilletto.

– Mirate alto – consigliai. – Ho la cannoniera di maglia di ferro.

Lascio ricadere la mano lungo il fianco, e per un istante rimase immobile, a fissarmi. Poi getto l'arma sul divano.

– Il copione non mi piace – affermo. – Non mi vanno le battute. Non e adatto alla mia personalita, se capite che cosa intendo.

Rise brevemente e si mise a fissare il pavimento. La punta della sua scarpina si moveva avanti e indietro, sul tappeto.

– Abbiamo fatto una bella chiacchierata, tesoro. Il telefono e laggiu, in fondo al bar.

– Grazie per avermi fatto memoria. Ricordate il numero di Dolores?

– Perche proprio Dolores?

Quando vide che non le rispondevo fini col dirmelo. Andai in fondo alla stanza, nell'angolo del bar, e chiamai. Fu la stessa trafila dell'altra volta.

Buona sera, parla il Chateau Bercy. Chi desidera la signorina Gonzales, prego? Un momento per cortesia, buzz, buzz, buzz, e poi una voce imbronciata che diceva.

– Pronto?

– Qui parla Marlowe. Avevate davvero intenzione di farmi ammazzare?

Arrivai quasi a sentire che le si mozzava il fiato. Non proprio. Non si puo sentire una cosa simile, al telefono. Ma a volte si crede di potere.

– Oh, sono contenta di sentire la vostra voce, amigo! Sono molto, molto contenta.

– Allora, avevate intenzione di farmi ammazzare o no?

– Io… non lo so. Mi rattrista molto il pensiero che avrei potuto nuocervi. Mi piacete… tanto.

– Sono un po' nei guai, qui.

– Lui e… – Una lunga pausa. Telefono di casa albergo. Prudenza. – Lui e li?

– Be', in un certo senso. C'e e non c'e.

La sentii davvero respirare, questa volta. Un'aspirazione prolungata.

Quasi un sibilo.

– Chi altri c'e li, con voi?

– Nessuno. Solo io e il mio lavoro a maglia. Voglio farvi una domanda.

E d'importanza vitale. Ditemi la verita. Dove avete preso la cosa che mi avete consegnata questa sera?

– Ma… da lui. Me l'ha data.

– Quando?

– Questa sera, sul presto. Perche?

– Quanto presto?

– Verso le sei, mi pare.

– Perche ve l'ha data?

– Mi ha chiesto di conservarla, per lui. Ne porta sempre una in tasca.

– E perche vi ha chiesto di conservargliela?

– Non me l'ha detto, amigo. Era fatto cosi. Ben di rado dava spiegazioni.

– Avete notato qualcosa d'insolito nella cosa che vi ha consegnata?

– Ma… no. Non ho notato niente.

– Invece si. Avete notato che aveva sparato da poco e che puzzava di polvere bruciata.

– Ma io non…

– Si. L'avete notato. Il fatto vi ha lasciata perplessa. Non vi garbava l'idea di tenervi quell'oggetto. Cosi non lo avete tenuto. Lo avete restituito a lui. Non vi piace avere arnesi di quel genere per casa, comunque.

Vi fu un lungo silenzio. Alla fine lei disse:

– Ma certo. Ma perche lui voleva che io lo tenessi? Voglio dire, se e successo cosi?

– Non vi ha detto il perche. Ha semplicemente tentato di liberarsi d'una pistola appioppandola a voi e voi non avete voluto saperne. Ricordate?

– E una cosa che dovro dire a qualcuno?

– Si.

– Non avro guai se lo diro?

– Quando mai avete cercato di evitare i guai?

Diede una risatina sommessa.

– Amigo, come mi conoscete bene!

– Buona notte – mormorai.

– Un momento, non mi avete detto che cosa e successo!

– Non vi ho nemmeno telefonato.

Deposi il ricevitore e mi voltai.

Mavis Weld era in piedi, in mezzo alla sala e mi osservava.

– Avete qui la vostra macchina? – le domandai.

– Si.

– Filate.

– E poi?

– Niente. Andate a casa.

– Non potete cavarvela, in questa situazione – mormoro.

– Siete la mia cliente.

– Non posso permettervelo. L'ho ucciso io. Perche dovrei trascinarvi in questo pasticcio?

– Non tergiversate. E quando ve ne andate prendete la strada posteriore.

Non quella che mi ha fatto fare Dolores.

Lei mi guardo dritto negli occhi e ripete, con voce vibrante:

– Ma io l'ho ucciso.

– Non riesco a sentire una sola parola di quel che dite.

Poso i denti sul labbro inferiore e ve li affondo, crudelmente. Se ne stava rigida, in piedi, e pareva quasi che non respirasse. Le andai vicino e le toccai la guancia con la punta d'un dito. Premetti forte. Poi guardai la macchia bianca diventare lentamente rossa.

– Se ci tenete a saperlo, le mie ragioni non hanno nulla a che vedere con voi – le dissi. – Sono in debito coi questurini. Non ho fatto un gioco pulito, questa volta. Loro lo sanno. Io lo so. Sto semplicemente cercando di offrir loro l'occasione di darsi un po' di arie.

– Come se non se ne procurassero abbastanza da soli – osservo Mavis, poi si volto di scatto e si allontano. La fissai, mentre si dirigeva verso l'arco, aspettando che si guardasse indietro. Se ne ando senza voltarsi. Dopo molto tempo udii un ronzio. Poi una specie di tonfo… la porta del garage che si alzava. Un'automobile si avvio, a grande distanza. Poi rallento, vi fu una pausa di silenzio… poi di nuovo il ronzio.

Il ronzio cesso, poi il rombo del motore si perse in lontananza. Non udivo piu nulla, ora. Il silenzio della casa mi avvolgeva, come la cappa di pelo intorno alle spalle di Mavis Weld.

Riportai la bottiglia e il bicchiere al bar e scavalcai il banco. Sciacquai il bicchiere nel minuscolo acquaio e riposi la bottiglia sullo scaffale. Questa volta trovai la serratura e spalancai lo sportello, dal lato opposto del telefono.

Tornai da Steelgrave. Trassi di tasca l'automatica che mi aveva dato Dolores, la ripulii col fazzoletto. Chiusi la piccola mano inerte del morto intorno al calcio, la tenni cosi per un istante, poi la lasciai andare. La rivoltella cadde al suolo con un tonfo. La posizione aveva un'aria naturale. Delle impronte digitali non mi preoccupavo. Certo lui aveva imparato da un pezzo a non lasciarne su nessun tipo di pistola.

Mi rimanevano ancora tre rivoltelle. Tirai fuori quella che Steelgrave teneva nella fondina a tracolla, la portai al bar e la deposi su un ripiano, sotto il banco, avvolta in un asciugamano. La mia Luger non la toccai. Rimaneva l'altra automatica dall'impugnatura bianca. Cercai di stabilire a quale distanza da lui era stato sparato. Non a bruciapelo; ma probabilmente molto da vicino. Mi piazzai a circa un metro dal morto e sparai due colpi al di sopra della sua spalla. I proiettili andarono ad annidarsi tranquillamente nel muro. Voltai la poltrona, in modo che guardasse la stanza. Poi deposi la minuscola automatica sul telo che copriva uno dei tavoli da roulette.

Tornai da Steelgrave. Tastai il muscolo grande al lato del collo, quello che di solito si irrigidisce per primo. Non riuscii a capire se aveva cominciato a indurirsi o no. Pero la pelle era piu fredda.

Non avevo tempo da perdere.

Andai al telefono e feci il numero della Centrale di Polizia di Los Angeles. Chiesi al centralinista di passarmi Christy French. Una voce della squadra omicidi venne in linea e mi annunzio che il tenente era andato a casa, e amen. Affermai che si trattava di una chiamata personale, che French aspettava. Mi diedero il suo numero privato, con riluttanza, non perche fosse proibito, ma perche i poliziotti odiano dover dare qualcosa a qualcuno in qualsiasi momento.

Chiamai di nuovo: venne una donna all'apparecchio e strillo: Christy.

Poi venne lui, tranquillo e riposato.

– Qui parla Marlowe. Che cosa stavate facendo?

– Leggevo i giornaletti al mio bambino. Dovrebbe essere a letto. Che novita ci sono?

– Vi ricordate ieri, al Van Nuys, quando avete detto che chi avesse fornito una prova contro "Frigna" Moyer si sarebbe fatto un amico?

– Gia.

– Mi occorre un amico.

Il tenente non mi parve molto interessato.

– Che cosa sapete sul suo conto?

– Suppongo che sia la stessa persona. Steelgrave.

– Troppe ipotesi, figlio. L'abbiamo messo al fresco perche supponevamo la stessa cosa. Ma e andata buca.

– Avevate avuto un'informazione segreta. Ve l'aveva fatta arrivare lui.

In modo che la sera del lacrimato trapasso di Stein voi sapeste dove si trovava.

– State inventandovi tutto… o avete prove? – French mi pareva un po' meno placido.

– Se un tale esce di prigione con un lasciapassare del medico del carcere, potete provarlo?

Vi fu una pausa di silenzio. Udii la voce del ragazzino che si lamentava e una voce di donna che parlava al bambino.

– E successo – rispose il tenente, a fatica. – Non saprei. E una faccenda piuttosto complicata. Naturalmente lo manderebbero con una scorta.

E riuscito a corrompere la guardia?

– Io penso di si.

– Meglio dormirci sopra. C'e altro?

– Sono alle Stillwood Heights. In una enorme villa dove si sta allestendo una sala da gioco, nonostante il parere contrario degli abitanti della zona.

– Ho letto qualcosa in proposito. Steelgrave e li?

– E qui. Sono solo con lui.

Un altro silenzio. Il ragazzino strillo e mi parve di udire l'eco di uno scapaccione. Il ragazzino strillo piu forte. French urlo dietro a qualcuno.

– Fatelo venire al telefono – mi disse finalmente.

– Non siete molto sveglio, stasera, Christy. Perche chiamerei proprio voi?

– Gia – fece lui. – Che stupido. Qual e l'indirizzo?

– Non lo so. Ma la villa e in fondo a Tower Road, sulle Stillwood Heights, e il numero telefonico e nove cinque zero tre tre, centrale di Halldale. Vi aspetto qui.

Il tenente ripete il numero, poi disse adagio:

– Questa volta aspettate, eh?

– Doveva pur venire la volta buona.

La comunicazione si interruppe, e io deposi il ricevitore.

Rifeci il giro della casa, accendendo le luci man mano che trovavo gli interruttori e uscii dalla porta posteriore che dava sulla gradinata. C'era un riflettore nel cortile delle macchine. Accesi anche quello poi scesi la scala e mi diressi alla macchia di oleandri. Il cancello della via privata era aperto, come prima. Lo chiusi con violenza, agganciai la catena e feci scattare il lucchetto. Tornai lentamente sui miei passi guardando la luna, odorando l'aria notturna, ascoltando i grilli e le raganelle. Sulla facciata c'era un grande parcheggio e un prato tondeggiante pieno di rose. Ma bisognava sgattaiolare sul retro della casa, per potersene andare.

Il luogo era un vicolo cieco, a parte il viale che correva lungo la tenuta d'un vicino. Mi domandai chi potesse essere, quel vicino. Molto lontano, fra gli alberi, scorgevo le luci di una grande casa. Un pezzo grosso di Hollywood, probabilmente, un asso del bacio bavoso e della dissolvenza pornografica.

Ritornai nella grande sala e tastai la rivoltella che avevo appena sparato.

Era abbastanza fredda. Quanto al signor Steelgrave cominciava ad aver l'aria di voler rimanere morto in definitiva.

Niente sirena. Ma il rombo di una macchina che saliva la collina, finalmente. Scesi a incontrarla. Io e il mio magnifico sogno.

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