CAPITOLO XIV

Entro con una discreta vivacita, questa volta. I suoi gesti erano brevi, rapidi, decisi. Sorrideva: uno di quei sorrisi fragili, lustri, misurati. Depose la borsa con fermezza, si accomodo nella poltrona destinata ai clienti e continuo a sorridere.

– Siete stato molto carino, ad aspettarmi – disse. – Scommetto che non avete ancora cenato.

– Errore – risposi. – Ho cenato. E ora sto bevendo whisky. Voi non approvate i bevitori di whisky, vero?

– Sicuramente no.

– Magnifico – esclamai. – Speravo proprio che non aveste cambiato parere.

Deposi la bottiglia sulla scrivania e mi versai un altro cicchetto. Ne bevvi qualche sorso, e lanciai un'occhiata poco raccomandabile alla ragazza, al di sopra del bicchiere.

– Se continuate cosi non sarete in condizione d'ascoltare quel che vi diro – scatto lei.

– A proposito di quel delitto – risposi. – E qualcuno che conosco? A quanto vedo voi non siete stata assassinata… per ora.

– Prego, non siate inutilmente macabro. Non e colpa mia. Voi avete mostrato di dubitare di me, al telefono, e ho dovuto convincervi. Orrin mi ha davvero chiamata. Ma non ha voluto dirmi ne dove si trova ne cosa fa.

Non so perche.

– Voleva che lo scopriste da voi. Sta cercando di temprarvi il carattere.

– Non e una risposta spiritosa. E nemmeno intelligente.

– Pero dovete ammettere che e offensiva – replicai. – Chi e stato assassinato? O e un segreto anche questo?

Lei giocherello con la borsetta, ma non abbastanza per nascondere il suo imbarazzo, perche non era imbarazzata. Pero riusci a indurmi a versarmi dell'altro liquore.

– Quell'essere disgustoso della pensione e morto. Il signor… il signor…

Ho dimenticato come si chiama.

– Dimentichiamolo tutti e due – consigliai. – Facciamo qualcosa insieme, per una volta tanto. – Lasciai cadere la bottiglia del whisky nel cassetto e mi alzai. – Sentite, Orfamay, io non vi domando come fate a sapere tutto questo. O meglio come fa a saperlo Orrin. O se effettivamente lo sa. Avete trovato vostro fratello: e quello che volevate da me. Forse e stato lui a trovare voi; ma a conti fatti e la stessa cosa.

– Non e la stessa cosa! – esclamo vivamente la ragazza. – Non l'ho ritrovato del tutto. Non ha voluto dirmi dove abita!

– Be', se e un posto come l'altra pensione non posso biasimarlo.

Lei strinse le labbra, in una linea dura di disgusto.

– In fondo non ha voluto dirmi niente di niente.

– Vi ha solo parlato di delitti, e altre bazzecole del genere.

Diede una risatina che pareva una cascatella.

– L'ho detto per farvi paura. Non intendevo veramente che avessero assassinato qualcuno, signor Marlowe. Mi eravate parso cosi freddo e distante. Ho temuto che non voleste piu aiutarmi. E… ebbene, ho inventato tutto.

Trassi un paio di respiri profondi e mi guardai le mani. Stesi le dita, molto lentamente. Poi mi alzai in piedi. Senza una parola.

– Siete in collera con me? – chiese la ragazza timidamente, disegnando un circolino con un dito, sul piano della scrivania.

– Dovrei portarvi via la faccia a schiaffi – dissi. – E piantatela di fare l'innocentina, altrimenti gli schiaffi non vi arriveranno in faccia.

Le si mozzo il fiato, di colpo.

– Ma dico! Come vi permettete!

– E una battuta che avete gia usato. – replicai. – Anzi l'usate troppo spesso. E ora chiudete il becco e levatevi dai piedi. Credete che mi diverta, a prendere di certi spaventi? Oh, gia… ecco qua. – Spalancai il cassetto di colpo, tirai fuori i suoi venti dollari e glieli gettai davanti. – Portatevi via questi quattrini. Fateci un reddito vitalizio per un ospedale, un laboratorio di ricerche o qualcosa di simile. Mi rende nervoso, averli in giro.

La sua mano si poso, automaticamente, sul danaro. Dietro le lenti gli occhi erano tondi, perplessi.

– Oh, cielo – disse raccogliendo la borsetta, con graziosa dignita. – Non immaginavo proprio che vi spaventaste tanto facilmente. Vi credevo un tipo energico.

– E tutta una commedia – mugolai, girando attorno alla scrivania. Lei si ritrasse, sulla poltrona, come per proteggersi da me. – Sono energico solo con le ragazzine come voi, che tengono le unghie troppo corte. Ma dentro sono pura acqua di rose.

L'afferrai per un braccio e la feci alzare di scatto. Il capo le si rovescio all'indietro. Le labbra le si schiusero. Ero un pericolo pubblico, per le donne, quel giorno.

– Mi troverete Orrin, vero? – bisbiglio lei. – Eran tutte bugie… Tutto quel che vi ho detto eran bugie. Orrin non mi ha telefonato. Io… io non so niente.

– Profumo – dissi, fiutando. – Ma come, piccola cara, ti sei messa il profumo dietro le orecchie… e tutto per me!

Lei accenno di si, col mento. Pareva che gli occhi le si sciogliessero.

– Levami gli occhiali, Philip – sussurro. – Non m'importa se bevi un po' di whisky, ogni tanto. Davvero. Non m'importa.

C'erano si e no dieci centimetri, tra i nostri visi. Avevo paura, a levarle gli occhiali. Paura di darle un pugno sul naso.

– Si – dissi con una voce che pareva quella di Orson Welles con la bocca piena di croccanti. – Te lo trovero, dolcezza, se e ancora vivo. E gratis. Neanche un centesimo di spese. In cambio ti chiedo solo una cosa.

– Che cosa, Philip? – chiese sommessamente, e aperse un poco di piu le labbra.

– Chi e la pecora nera della tua famiglia?

Si strappo da me, come una gazzella spaventata, ammesso che io spaventi una gazzella e quella si strappi da me. Poi mi fisso, con un viso che pareva di pietra.

– Avete detto che Orrin non era la pecora nera della vostra famiglia, ricordate? E con un'enfasi tutta particolare. In seguito, poi, quando avete accennato a vostra sorella Leila avete tirato via alla svelta, come se si fosse trattato d'un argomento sgradevole.

– Io… io non ricordo d'aver detto niente di simile – rispose molto lentamente.

– Cosi io ho cominciato a chiedermi, come si fa chiamare vostra sorella Leila, nel cinema?

– Cinema? – chiese con aria vaga. – Ah, volete dire… nei film? Ma io non ho mai detto che lavorasse nei film. Non ho mai detto niente, di lei.

Le rivolsi il mio consueto, brutto, largo sorriso un po' storto. Improvvisamente lei monto su tutte le furie.

– Lasciate stare mia sorella Leila! – mi grido, come un gatto che soffia. – Non toccate mia sorella Leila con le vostre luride insinuazioni.

– Quali luride insinuazioni? – domandai. – O devo provarmi a indovinare?

– Voi pensate soltanto ai liquori e alle donne! – strillo. – Vi odio!

Si precipito alla porta, l'aperse con violenza e usci. Percorse il corridoio esterno quasi correndo.

Tornai alla scrivania e mi lasciai cadere sulla poltroncina. Una ragazzetta molto strana. Molto strana davvero. Dopo qualche istante il telefono suono, com'era prevedibile. Al quarto trillo allungai la mano e mi portai il ricevitore al viso, con un gesto maldestro.

– Impresa pompe funebri McKinley – dissi.

Una voce femminile esclamo: "Coooosa?" e scoppio in una risata stridula. Quella battuta aveva avuto un successo travolgente fra i funzionari di polizia, nel millenovecentoventuno. Che spirito. Acuto, come la punta d'un materasso.

Spensi le luci e me ne andai a casa.

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