XI

Sabato 14 aprile 2001


«Aveva ragione, il signor Bravo», osservò Ramírez, «il collegamento è troppo ovvio, ma l'assassino potrebbe essere effettivamente uno dei suoi uomini.»

«Ma solo se è corretta la seconda ipotesi, quella in cui Eloisa Gómez fa entrare l'assassino», obiettò Falcón. «Se avesse usato l'autoscala, sarebbe risultato assente dal lavoro nel pomeriggio. Dobbiamo interrogare tutti i dipendenti e aumentare la pressione sulla ragazza.»

«Sa che cosa non mi va giù di questo tizio?» osservò Ramírez. «Del nostro assassino?»

Falcón non rispose, guardando dal finestrino i vari bar e caffè che sfrecciavano lungo la calle San Jacinto mentre l'auto attraversava Triana, dirigendosi verso il fiume. All'improvviso si sentì scoraggiato; l'indagine si stava abbassando al livello di minuzie del quotidiano di una ditta di traslochi.

«Non mi va giù che sia fortunato», terminò Ramírez. «Perché è davvero molto fortunato, Inspector Jefe.»

«Speriamo che conti su questo», disse Falcón, irritato e di pessimo umore. Era infastidito dal caffè bevuto a stomaco vuoto e privo di energie per mancanza di sonno; e il caso era ancora in alto mare. I suoi uomini non avevano trovato nessuno a Los Remedios, non una sola persona che avesse notato almeno il furgone delle Mudanzas Triana e l'autoscala.

«Che cosa intende dire, Inspector Jefe?»

«La gente che conta sulla propria fortuna in genere continua a farlo anche quando la fortuna si è esaurita da un pezzo. Come i giocatori. In ultima analisi sono poco intelligenti.»

«Lei ha in mente qualcosa, Inspector Jefe.»

«Davvero? Non mi pare.»

«Non crede che abbia finito, vero? L'assassino, intendo.»

«Non lo so.»

«Pensa che voglia mettere alla prova la sua fortuna ancora un po'… per vedere fin dove può arrivare.»

A Falcón non piaceva, di Ramírez, proprio quel suo fare sempre il bravo poliziotto che osservava, coglieva e definiva parole e frasi. E ora si stava comportando così con lui.

«Lei parla dell'assassino al maschile», disse, usando una tattica diversiva, «ma non possiamo essere sicuri nemmeno di questo.»

Ramírez sorrise divertito mentre attraversavano il puente de Isabel II e seguivano la sponda orientale del fiume verso nord, San Jerónimo e il cimitero.

«Lei sa che venendo qui stiamo perdendo tempo, non è vero, Inspector Jefe?»

«No, non lo so. Dove pensa che possiamo scoprire il punto in cui fare breccia? Non l'abbiamo trovato in nessuno dei posti ovvi, sul corpo, nell'appartamento, nell'Edificio Presidente, all'esterno dell'Edificio, nella ditta di traslochi: in nessuno di questi luoghi.»

«Sa che ieri l'ho cercata?» disse Ramírez, cambiando argomento.

«Non ho trovato nessun messaggio fino a stamani.»

«Era solo per dirle che lei aveva ragione, Inspector Jefe.»

Falcón si girò verso di lui lentamente, non in modo furtivo, ma come se stesse osservando gli edifici dell'Expo '92, La Isla Mágica con la sua aria assolutamente banale al di là del fiume pigro, grigio. In genere secondo Ramírez nessuno aveva mai ragione, meno di tutti il suo Inspector Jefe.

«Come ha detto lei, è troppo elaborato. Il modo», spiegò Ramírez.

«Per un movente comune come una questione di affari, vuol dire?»

«Sì.»

Occorse una frazione di secondo perché una quantità di osservazioni subliminali si fondesse nella mente di Falcón. Ramírez non era mai stato così gradevole: non lo aveva ostacolato alle Mudanzas Triana; aveva saputo trattare con il capodeposito, un tipo d'uomo più adatto a lui; gli aveva telefonato quattro volte in un giorno festivo; aveva ammesso di essere stato da Eloisa Gómez per interrogarla di nuovo, riconoscendo che la sua impazienza aveva probabilmente impedito che si ottenessero da lei informazioni preziose. E credeva che lui, Javier Falcón, avesse avuto ragione.

«Conosce la procedura», disse Falcón. «Non ci è permesso non fare nulla. Abbiamo offerto molto poco al Juez Calderón, a parte Consuelo Jiménez ed Eloisa Gómez. La prima è una persona complessa e raffinata che aveva l'occasione e i mezzi, la seconda aveva l'occasione ma non vuole dirci nulla. Il nostro compito è di trovare piste e quando le piste non si presentano con prove materiali, dobbiamo, poco alla volta e in modo umano, tirarle fuori dalle persone… o talvolta da luoghi privi di vita come i cimiteri o le rubriche telefoniche.»

«Ma lei dubita che ora, qui, troviamo qualcosa che abbia a che vedere con il caso, non è vero?»

«Esiste il dubbio, certo, ma proverò lo stesso, perché potrebbe saltarne fuori qualcosa che indirettamente porti a una traccia.»

«Per esempio?»

«Quello di cui parlava lei l'altra sera. Come si chiamava quel tipo? Cinco Bellotas?»

«Joaquín López.»

«I ragazzi licenziati dalla signora Jiménez… hanno visto i due parlare tra loro. Non sappiamo di che cosa si sia trattato, potrebbe avere un collegamento oppure no, ma dobbiamo accertarlo.»

«Però lei continua a pensare che si tratti dell'opera di una mente disturbata?»

«Le menti non disturbate possono diventarlo, se viene minacciata la loro intera esistenza.»

«Ma quei filmati, quell'introdursi nell'appartamento, quel restarvi nascosto per dodici ore…»

«Ancora non sappiamo se le cose siano andate davvero così. Sono più incline a pensare che l'assassino abbia stretto un rapporto con la ragazza, che abbia ottenuto le informazioni necessarie alle Mudanzas Triana e abbia messo le due cose insieme per entrare nell'appartamento.»

«Ma lo spettacolo dell'orrore che ha inscenato con Jiménez?»

«Non è che non si possa immaginare», ribatté Falcón, dubitando di se stesso mentre lo diceva. «Non è inimmaginabile, vero?»

«Per me sì.»

Era vero, pensò Falcón, e la visione di Marta Jiménez gli attraversò la mente, con il suo mento sporco di vomito e la benda sulle sopracciglia. Ramírez era un individuo troppo poco complicato. Sarebbe sempre rimasto ispettore, perché la sua immaginazione non gli permetteva di aspirare a qualcosa di più, i suoi orizzonti erano troppo limitati.

«Che cosa crede che gli abbia fatto vedere, Inspector?»

Ramírez frenò a un semaforo, le mani strette sul volante, lo sguardo fisso sull'auto che lo precedeva, aspettando la mossa di Falcón. Lui cercò di far correre la mente in solchi laterali e inesplorati.

«La sostanza dell'orrore», disse Falcón, «non consiste necessariamente in ciò che è realmente terribile.»

«Continui», lo incoraggiò Ramírez, giudicandolo un animale strano, ma contento di aver evitato uno sforzo creativo.

«Pensiamo a noi, al livello raggiunto dalla nostra civiltà… voglio dire, ormai possiamo anche ridere del cannibalismo, certo, non c'è più niente che ci spaventi, abbiamo visto tutto… tranne…»

Il semaforo cambiò, a Ramírez si spense il motore, suoni di clacson.

«Tranne che cosa?»

«Tranne ciò che abbiamo scelto di non sapere.»

«E questo non è inimmaginabile?»

«Intendo dire qualcosa che sappiamo di noi stessi, qualcosa di assolutamente privato, nascosto profondamente, che non mostriamo a nessuno e che neghiamo fermamente, perché non saremmo in grado di vivere se ne ammettessimo l'esistenza.»

«Non ho capito niente», affermò Ramírez. «Come è possibile sapere e non sapere allo stesso tempo? È un'assurdità.»

«Quando mio padre si trasferì a Siviglia negli anni '60, fece amicizia con il prete della parrocchia che passava sempre davanti alla sua porta per andare alla chiesa in fondo a calle Bailén. Mio padre non andava in chiesa e non credeva in Dio, ma si trovavano allo stesso caffè e in tanti anni di discussioni erano diventati amici. Una volta, alle tre del mattino, mentre lavorava nel suo studio, mio padre sentì gridare in strada: 'Ehi! Cabrón! Sei stato mandato apposta per me, non è vero, Francisco Cabrón!' Era il prete. Aveva perso la sua abituale calma e sembrava infuriato, quasi pazzo, la tonaca strappata, i capelli scompigliati e beveva brandy dalla bottiglia. Mio padre lo fece entrare e lui si mise a camminare intorno al patio, imprecando contro se stesso e contro la sua vita inutile. Gli era capitato quella mattina, mentre distribuiva la comunione.»

«Aveva perso la fede», disse Ramírez. «Capita sempre. Poi la ritrovano.»

«Peggio di così. Disse a mio padre di non aver mai avuto la fede, tutta la sua vita nella chiesa era cominciata con una bugia. Una ragazza non aveva ricambiato il suo amore. Sembra che si fosse fatto prete per farle dispetto e avesse finito per fare torto a se stesso. Da più di quarant'anni lo sapeva… ma senza esserne realmente consapevole. Era stato un buon prete, ma non aveva importanza, perché nell'edificio della sua vita c'era quella falla, quella minuscola bugia sulla quale era stato costruito tutto.»

«Che cosa gli successe dopo?» domandò Ramírez.

«Il giorno seguente si impiccò», rispose Falcón. «Che cosa si fa quando si è un prete e si è passata tutta la vita a insegnare la ricerca della verità nella parola di Dio?»

«Mio Dio!» esclamò Ramírez. «Ma non è necessario uccidersi, non bisogna prendere la vita così seriamente!»

«Per questo mio padre me lo raccontò», spiegò Falcón. «Gli avevo detto che avrei voluto essere un artista… come lui. Mi disse di stare attento, perché anche l'arte ha a che fare con la ricerca della verità, personale o universale che sia.»

«Ci sono!» esclamò Ramírez, scoppiando a ridere e battendo il palmo della mano sul volante.

«Bene, allora ha capito che cosa vuol dire sapere senza sapere.»

«Macché! Ho capito perché ha fatto il poliziotto!»

«Ah, sì?»

«La ricerca della verità! Cazzo, è geniale! E noi siamo tutti artisti, cazzo!»

Era stata quella la ragione? No. Perché dopo aver rinunciato all'idea di diventare artista, una volta venuto a patti con i dubbi di suo padre sul suo talento, gli aveva detto di voler fare invece lo storico dell'arte e suo padre gli aveva riso in faccia. «Gli storici dell'arte, i critici d'arte sono solo poliziotti che indagano sui quadri, vanno a caccia di indizi, si riempiono la vita di speculazioni e di congetture e nove volte su dieci fanno fiasco. La critica d'arte è per i falliti», aveva detto, «non solo artisti falliti, ma esseri umani falliti.» Quali riserve di derisione aveva suo padre per quella gente! E così era entrato nella polizia. No, non era del tutto vero nemmeno questo. Era andato a Madrid all'università e aveva studiato inglese (il solo popolo, a parte lo spagnolo, che suo padre tollerasse in certa misura) e aveva cominciato ad appassionarsi ai film noir americani degli anni '40. E aveva fatto il poliziotto.

Provò un senso di precipitazione, come avesse dormito e stesse affiorando rapidamente dal sonno, ma era sveglio e i pensieri gli guizzavano intorno, lucenti e veloci come sardine. Scosse il capo, tornò con un brivido alla vita reale, ai sedili dell'auto, alla plastica, al vetro e alle altre cose solide, fatte dall'uomo.

«Serrano ha trovato qualcosa sul cloroformio e gli strumenti chirurgici?» domandò, ritrovando l'equilibrio grazie alle parole.

«Fino a questo momento niente.»

Fermarono l'auto davanti al cimitero. Ramírez prese la videocamera sul sedile posteriore, Falcón esitò sul marciapiede osservando la folla numerosa, il muro di fiori all'esterno della cappella, il cielo azzurro che quasi rendeva allegra la scena. Consuelo Jiménez era al centro del gregge, i suoi tre figli un po' stralunati nella foresta di gambe degli adulti. Falcón era alto come loro, a un altro funerale.

La funzione doveva essere già finita, stavano caricando la bara sul carro funebre fuori dalla cappella. Il conducente si diresse al cancello e i partecipanti si avviarono in lenta processione verso il centro del cimitero, lungo il vialetto fiancheggiato da siepi di bosso al di là delle quali si allineavano le cappelle e le tombe; superarono un enorme monumento in bronzo del torero Francisco Rivera nel suo costume, un toro immaginario galoppante in sempiterno alle sue spalle, una mano del torero sull'elsa della spada spezzata, nell'altra una cappa altrettanto immaginaria.

Il carro funebre arrivò a Jesús de la Pasión. La bara venne scaricata e trasportata al mausoleo di granito dove venne deposta di fronte all'unico altro occupante: la prima moglie. Consuelo Jiménez ricevette le condoglianze di quelli che non aveva ancora potuto salutare. Falcón controllò l'interno della cappella. Il ripiano di marmo sotto a quello della prima moglie di Jiménez non era completamente vuoto: in un angolo si vedeva una piccola urna, troppo piccola per contenere ceneri. La illuminò con la pila inserita nella penna e lesse la placchetta d'argento: ARTURO MANOLO JIMÉNEZ BAUTISTA. Forse era quella la conclusione di cui aveva parlato José Manuel.

Falcón raggiunse gli altri, porse le sue condoglianze e si avviò lentamente all'uscita mentre Ramírez si aggirava tra le tombe con la videocamera.

«Naturalmente lo conoscevi, non è vero?» disse una voce vicino all'orecchio di Falcón mentre una mano gli stringeva il gomito.

La faccia da cane triste di Ramón Salgado si insinuò nella visione periferica di Falcón. Ecco un individuo della specie che suo padre disprezzava cordialmente. Non lo derideva apertamente, certo, perché, pur essendo un critico d'arte, Salgado era più conosciuto come il gallerista che aveva reso suo padre famoso. Aveva un elenco di clienti ricchissimi e, fino al primo infarto di suo padre, li aveva indirizzati regolarmente a calle Bailén, perché potessero liberarsi di quegli inutili pacchi di denaro che intasavano il loro conto in banca.

«No, non lo conoscevo», rispose Falcón, ricorrendo alla freddezza che in genere riservava a quell'uomo. «Avrei dovuto?»

Gli tese la mano e Salgado la strinse tra le sue. Falcón la ritirò. Salgado si passò le dita tra i capelli lunghi, pretenziosi, il cui biancore argenteo si arricciava sul colletto dell'abito blu scuro. «Salgado… gli brilla perfino la forfora», soleva dire suo padre.

«No, è possibile che tu non l'abbia conosciuto, a ben pensarci», disse Salgado. «Non veniva mai a casa vostra, proprio così, ora ricordo. Mandava sempre Consuelo da sola.»

«Mandava?»

«Ogni volta che apriva un nuovo ristorante voleva sempre che vi fosse un Falcón. Sinonimo di Siviglia, capisci, con quel che segue.»

«Ma perché mandare lei

«Penso che forse sapesse del modo di fare piuttosto particolare di Falcón ed essendo un importante uomo d'affari non era disposto a sopportare il… come posso dire, il suo atteggiamento sarcastico, sì, sarcastico.»

Naturalmente intendeva parlare del disprezzo assoluto con cui suo padre faceva a pezzi gli eventuali compratori, ricavandone palesemente piacere.

Si avvicinarono al cancello del cimitero. I cerchi rossi davano l'impressione che gli occhi afflosciati di Salgado fossero stati appena asciugati dopo un pianto dirotto; secondo Javier un tempo quell'uomo era stato ben diverso dallo stecco che era diventato e il peso perduto, per forza di gravità, aveva reso cascante la pelle sotto gli occhi e gli zigomi. Suo padre diceva sempre che gli ricordava un segugio, ma che perlomeno non sbavava. Un complimento velato. Suo padre odiava gli atteggiamenti deferenti, a meno che non fossero da parte di una bella donna o di qualcuno di cui ammirava il talento.

«Come mai conosceva Jiménez?» domandò.

«Come sai, io abito a El Porvenir. Quando ha aperto quel suo ristorante, sono stato uno dei primi clienti.»

«Non lo conosceva già?»

Camminavano a passo svelto e le lunghe gambe di Salgado avevano una certa tendenza a muoversi disordinatamente; il piede urtò la gamba di Falcón e il gallerista sarebbe finito lungo disteso per terra, se l'ispettore capo non lo avesse trattenuto.

«Mio Dio, grazie, Javier! Non voglio cadere, alla mia età mi romperei il femore e finirei confinato in casa con la testa che mi svanisce.»

«Lei è in gamba, Ramón.»

«No, no, questa è una mia grande paura. Un unico stupido errore e pochi mesi più tardi eccomi diventato un vecchio rimbambito e solo, in un angolo buio di una casa dove non viene nessuno.»

«Non sia sciocco, Ramón.»

«È accaduto a mia sorella. La settimana prossima vado a San Sebastián per portarla a Madrid. Proprio così. È caduta, ha battuto la testa, si è rotta un ginocchio e hanno dovuto ricoverarla in un istituto. Io non posso andare là a trovarla ogni mese, preferisco che sia più vicina. Terribile. Ma non pensiamoci, senti, perché non andiamo a berci un fino

Falcón gli batté una mano sulla spalla. Non aveva nessuna voglia di trattenersi in sua compagnia, ma in quel momento provava una certa compassione per lui, il che probabilmente era nelle intenzioni di Salgado.

«Sono in servizio.»

«Di sabato pomeriggio?»

«Mi trovo qui per lavoro.»

«Ah, sì, dimenticavo», disse Salgado, guardando i partecipanti al funerale che gli sfilavano accanto. «Avrai il tuo da fare solo per compilare l'elenco dei suoi nemici, non parliamo poi per interrogarli tutti.»

«Davvero?» Falcón conosceva il grado di esagerazione a cui poteva arrivare Salgado.

«Un uomo d'affari potente come lui non se ne va all'altro mondo senza trascinarsi dietro qualcuno.»

«L'omicidio è un passo grave.»

«Non per la gente con cui era abituato a trattare.»

«E chi è questa gente?»

«Non possiamo parlarne qui davanti al cimitero, Javier.»

Falcón scambiò qualche breve parola con Ramírez e salì sulla grossa Mercedes di Salgado che si diresse verso la calle Betis, sul lungofiume, tra i ponti, dove Salgado parcheggiò spingendo una vecchia Seat in avanti di mezzo metro per inserirsi. Camminarono per un po' sul marciapiede alto sull'acqua finché Salgado si fermò per inspirare con espressione drammatica l'aria di Siviglia, non proprio pura in quel punto.

«Sevilla!» esclamò, contento ora che si era assicurato una compagnia. «La puta del Moro, la chiamava tuo padre. Ricordi, Javier?»

«Sì, lo ricordo, Ramón», rispose Falcón, depresso all'idea di aver offerto volontariamente a Salgado l'opportunità di circuirlo, come cercava sempre di fare.

«Sento la sua mancanza, Javier, la sento molto. Aveva uno sguardo così penetrante, sai. Una volta mi disse: 'Siviglia è fatta di due odori, Ramón, e il mio trucco… no, il mio grande segreto svelato, è che ora, alla fine della mia vita, ne dipingo soltanto uno e per questo vendo sempre tutto'. Stava scherzando, naturalmente, lo so bene, quei paesaggi di Siviglia che dipingeva non significavano niente per lui, erano un divertimento, ora che la sua fama era assicurata. Io gli dissi: 'E così il grande Francisco Falcón sa dipingere gli odori. In che cosa intingi il pennello?' E lui mi rispose: 'Solo nei fiori d'arancio, Ramón, mai nello sterco di cavallo'. Io risi, Javier, pensando che fosse finita lì, ma dopo una lunga pausa tuo padre soggiunse: 'Ho passato la maggior parte della vita a dipingere quello'. Che ne pensi, Javier?»

«Andiamo a prenderci una manzanilla», disse Falcón.

Attraversarono la strada per entrare nella Bodega de Alabriza e, in piedi davanti a una delle grandi botti nere, ordinarono manzanilla e un piatto di olive, che arrivò guarnito con capperi e aglio marinato, bianco come lo smalto dei denti. Sorseggiarono lo sherry chiaro che Falcón preferiva al fino, per via del gusto di mare dell'uva di Sanlúcar de Barrameda.

«Mi parli dei nemici di Raúl Jiménez», lo invitò Falcón prima che Salgado si rituffasse in un altro stagno di ricordi.

«Sta succedendo tutto di nuovo mentre parliamo, mentre ci beviamo la nostra manzanilla. Si sta ripetendo quello che è successo nel 1992», disse, godendosi il suo approccio obliquo, ora che aveva tutta l'attenzione di Falcón. «Lo sento. Eccomi qui a settant'anni che faccio più soldi di quanti ne abbia mai fatti in tutta la mia vita.»

«Gli affari vanno bene», disse Javier, sull'orlo della noia.

«Stiamo parlando in via non ufficiale, vero?» domandò Salgado. «Capisci, non dovrei…»

«Assolutamente», lo rassicurò Falcón, alzando le mani.

«È illegale, naturalmente…»

«Purché non sia criminale.»

«Ah, sì, una distinzione sottile, Javier. Tuo padre diceva sempre che sei il più intelligente. 'Pensano tutti a Manuela', diceva, 'ma è Javier quello che vede le cose più chiaramente.'»

«L'ansia mi sta uccidendo, Ramón.»

«La Gran Limpieza», disse Salgado. Le grandi pulizie.

«Che cosa stanno pulendo?»

«Denaro, naturalmente. Che cos'altro può insudiciarsi tanto? Non per nulla lo chiamano 'denaro sporco'.»

«Da dove viene?»

«Non lo chiedo mai.»

«Droga?»

«Diciamo soltanto che 'non è dichiarato'.»

«Okay. E così lo ripuliscono. Perché lo fanno?»

«Perché lo fanno ora, dovresti dire.»

«Va bene. Questa è la domanda.»

«L'anno prossimo l'euro sostituirà definitivamente la peseta. Occorre dichiarare le pesetas per avere gli euro. Se fossero 'sporche', si potrebbero avere problemi.»

«Che cosa ne fanno?»

«Comprano arte, fra le altre cose, e immobili», rispose Salgado. «Prova a comprare un appartamento a Siviglia in questo momento.»

«Non conosco il mercato.»

«E quello dell'arte?»

«Tampoco.»

«Hai cominciato a fare ordine nello studio di tuo padre?»

Eccola. Ecco la domanda. Falcón non riusciva a credere di essersi fatto incantare dalla patetica commedia di Salgado al cimitero. Era questo che il gallerista faceva scivolare in ogni conversazione tra loro due e per questo Falcón non desiderava trovarsi con lui. Ora sarebbe cominciato il tentativo di persuasione occulta, a meno che lui non diventasse scortese o quanto meno cambiasse subito argomento.

«Nel campo della ristorazione girano molti fondi neri, non è così, Ramón?»

«Perché credi che stesse traslocando?»

«È quasi interessante.»

«Nessuno ha mai comprato un quadro di tuo padre con un assegno», riprese Salgado, «e hai ragione sul settore della ristorazione, specialmente per quanto riguarda i ristoranti per turisti che servono pasti a prezzi ragionevoli, i conti pagati sempre in contanti e senza fattura. È ben difficile che quel denaro arrivi mai sui libri contabili da mostrare al fisco.»

«E ora starebbe accadendo questo? E che mi dice del 1992?»

«Cose vecchie e superate. Io cercavo solo di farti capire.»

«A quel tempo non ero qui, ma sembra che vi sia stata molta corruzione.»

«Sì, sì, sì, ma sono passati dieci anni.»

«Dal modo in cui parla, sembra che abbia qualcosa da nascondere, Ramón. Non era per caso…?»

«Io?» saltò su Salgado, offeso. «Un mercante d'arte? Se credi che io abbia avuto la possibilità di incassare qualcosa con l'Expo '92 vuol dire che sei matto.»

«Ma sa qualcosa, Ramón? Voglio dire, siamo venuti qui solo perché potesse espormi le sue idee in generale oppure ha qualcosa di concreto da rivelarmi che possa aiutarmi a trovare l'assassino di Raúl Jiménez? Che cosa sa di tutta quella gente che viene a vedere le sue mostre? Scommetto che parlano di cose 'reali', una volta finite le stronzate sulla pittura.»

«'Stronzate sulla pittura'? Mi meraviglio, Javier, da te proprio non me l'aspettavo.»

Ci stiamo arrivando, pensò Falcón. È una trattativa d'affari, informazioni in cambio di ciò che Salgado desidera più di qualsiasi altra cosa: frugare nello studio di mio padre. E non era nemmeno una questione di denaro, si trattava di prestigio, sarebbe stato il coronamento della vita ingloriosa di quell'uomo organizzare la mostra definitiva delle opere mai viste prima del grande Francisco Falcón. Collezionisti a frotte. Americani. Conservatori di musei. Di colpo nuovamente al centro dell'attenzione, come quarant'anni prima.

Falcón addentò una grossa oliva carnosa. Salgado staccò un cappero dal picciolo che rigirò tra le dita.

«Quest'informazione è sicura al cento per cento, Ramón?»

«Ho avuto modo di ascoltare cose alle quali altri avevano aggiunto altre cose senza sapere che io sapevo. Nel corso degli anni mi sono fatto un quadro. Un tableau vivant.»

«E questo quadro ha un titolo?»

«Fiori d'arancio e sterco di cavallo: direi che è un titolo appropriato.»

«E lei mi darebbe una copia di quest'opera importante, se io la lasciassi entrare nello studio di mio padre e… che altro? Se le lasciassi organizzare una mostra…»

«Oh, no, no, no, que no, Javier, hombre, non pretenderei mai una cosa simile. Certo, sarebbe bello un giro nostalgico tra i suoi paesaggi astratti, ma è tutto passé, ormai. Se avesse qualche nudo nascosto come quello del Reina Sofía, o come i due del Guggenheim e quello che Barbara Hutton ha donato al MOMA, be', allora sarebbe diverso. Ma tu e io sappiamo…»

«Sono sconcertato, Ramón.»

«Voglio soltanto passare una giornata da solo nel suo studio», disse Salgado, mordicchiando un altro cappero. «Puoi chiudermi dentro. Puoi perquisirmi quando esco. Tutto ciò che chiedo è un giorno tra i suoi pennelli, i suoi rotoli di tela, i suoi telai e i suoi colori.»

Il bicchiere di manzanilla a mezz'aria, Falcón fissò il vecchio, cercando di leggergli dentro, di intravedere il suo meccanismo interno, le molle e gli ingranaggi. Salgado faceva girare il bicchiere tenendolo per lo stelo, disegnando un cerchio sul legno della botte. Aveva l'aria triste, perché era quella la sua espressione abituale. E impenetrabile, i suoi modi cortesi solidi come una corazza.

«Devo pensarci, Ramón», disse Falcón. «Non è esattamente una normale trattativa d'affari.»

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