12 gennaio 1958, Tangeri
Torno presto a casa per portare fuori Javier e festeggiare il suo secondo compleanno, ma P. e lui non ci sono. Gli altri bambini sono a scuola, a casa c'è soltanto la cameriera, la donna del Rif col suo impenetrabile dialetto berbero che solo P. riesce a capire. Sono furibondo e tornato allo studio dipingo una tela con terribili pennellate di rosso, come se mi stessi aprendo un varco tra i ranghi del nemico. Il risultato è un lavoro di un'energia terrificante, di una spaventosa violenza quale ho conosciuto solo sul campo di battaglia. Lo brucio e mentre guardo le falci rosse consumate dalle fiamme provo quasi un piacere sessuale.
15 luglio 1958, Tangeri
R. è comparso nello studio (non c'era mai stato). G. è di nuovo incinta e lui è in uno stato terribile. Si aspetta i miei rimproveri. Io non dico nulla e R. mi definisce un vero amico. Il dottore gliene ha dette di tutti i colori. Non fa che ripetermi che è stato un incidente, a tal punto che smetto di credergli. «Questa volta la perdo», dice, e io capisco la passione che ha per lei, la passione che io avevo per P. e che ora ho per Javier. Sono commosso e cerco di calmarlo. Sua moglie dovrà restare a letto per tutta la durata della gravidanza, dice, e per la prima volta intuisco che c'è dell'altro in gioco. Sembra spaventato all'idea che non possa essere spostata di lì e quando cerco di sapere di più improvvisamente mi dice: «Dovremmo andarcene tutti e tornare in Spagna». Credo che abbia un problema d'affari, ma non si lascia convincere a parlarne.
25 settembre 1958, Tangeri
Sono stato un ingenuo, avrei dovuto capire che R., se negli affari può comportarsi con durezza e intelligenza, nelle cose di cuore è come un bambino, incapace di essere obiettivo e vittima delle sue passioni, pulsioni ancora giovanili. Ora so perché non voleva parlarmi. Si vergognava. Sembra assurdo, vivendo a Tangeri dove le orge dell'antica Roma appaiono compassate come un tè inglese, che un uomo adulto possa ancora vergognarsi. R. è un'isola di virtù in un mare di svergognatezza. Non si è mai divertito con i giovanetti locali e l'idea lo scandalizza, la definisce una cosa «contro natura». Da quando ha conosciuto G, per quanto ne so, non ha mai trasgredito, nemmeno con una prostituta prima che si sposassero. Al pensiero della frenesia della loro notte di nozze mi si indeboliscono le ginocchia.
Le rivelazioni di R. mi impressionano davvero e a lui costa visibilmente parlarne. Siamo sulla veranda dello studio e, quando non si tiene la testa tra le mani confessandosi con me (che comincio a sentirmi un grasso prelato corrotto), passeggia da un lato all'altro e si guarda intorno per paura che qualcuno nelle vicinanze possa aver sentito. R, ora trentacinquenne, ha trasgredito in un modo irresponsabile e spettacolare. Mi accorgo di aver quasi scherzato su questo, ma ciò che R. ha fatto è grave. Non sono sicuro che i marocchini con i quali fa affari non abbiano una parte di colpa. Noi europei e gli americani in particolare siamo impressionati dai punti forti, ci piace vederli esposti, specialmente negli affari. Il marocchino, al contrario, e forse l'africano in generale, non è tanto interessato ai punti forti, che sono palesi, quanto a quelli deboli, che sono nascosti. È triste che la virtù sia vista come una debolezza… ma è poi virtù? Sono sempre stato turbato dalla passione di R. per G. quando era ancora una ragazzina. È ricaduto nella stessa situazione. Ha visto una delle figlie più piccole di un suo socio in affari a Fez. La ragazza era a viso scoperto, perciò forse non aveva più di dodici anni. L'interesse di R. è stato notato, la ragazza è stata resa disponibile, R. ha trasgredito e ora è in gioco la cosa forse più seria nella società marocchina: l'onore. Ci si aspetta che R. sposi la ragazza. Questo è impossibile. Ed ecco lo scontro culturale e la ragione del tormento di R. Esiste una soluzione: lasciare il paese. Perderà tutto quanto ha investito nel progetto marocchino, e cioè 25.000 dollari. Ma G. non può muoversi e R. non può sradicare tutti i suoi senza fare qualche rivelazione spiacevole. Teme che la sua famiglia sia in pericolo ora che la Zona Internazionale non esiste più. Quale pericolo? R. lascia la rivelazione finale all'ultimo momento. La ragazza araba è incinta. R. teme che se lascia Tangeri i marocchini si possano vendicare sui suoi cari.
7 ottobre 1958, Tangeri
Come misura di sicurezza R. ha affittato una casa quasi di fronte alla sua dove abbiamo installato quattro legionari. È sottoposto a una grande pressione e sta cercando di prendere tempo continuando a investire soldi nel progetto marocchino. Gli costa migliaia di dollari, ma è disposto a rimetterci qualsiasi somma. P. è stata a trovare G., e ha detto che non si può spostare, non parliamo poi di affrontare una traversata d'inverno.
14 dicembre 1958, Tangeri
La pressione è stata troppo grande e la salute di R. ne ha sofferto: si è preso un'infezione polmonare. Gli ho detto che dovrebbe partire non appena guarito, cosa che ha fatto ieri portando con sé Marta, la sua bambina di sei anni (che ha sofferto nel parto ed è un po' ritardata). R. ha fatto tutto il possibile, ha corrotto l'intera Tangeri. Non so quanto siano consistenti le sue risorse, ma devono essere considerevoli, visto che ha investito con i marocchini quasi 40.000 dollari. Ha trovato non so quale scusa per convincerli che deve tornare in Spagna e che possono fidarsi, lui è un uomo d'onore. Preferirei saperne di più di quella gente, ma R. non vuole assolutamente coinvolgermi in quell'aspetto dei suoi affari e io non ho idea se siano farabutti che hanno visto la possibilità di mungere un europeo vulnerabile o tradizionalisti genuini, attaccati a qualche loro antico codice di comportamento o costume. R. dice che non capiscono come non possa semplicemente divorziare da G. Nella loro cultura non hanno che da ripetere tre volte le parole di rito ed è fatta.
22 gennaio 1959, Tangeri
A G. si sono rotte le acque e inizia un travaglio che P. descrive come uno stato di contrazioni quasi continue. P. è convinta che il bambino non sopravvivrà al trauma. Avverto R. in Spagna. Accoglie la notizia in silenzio. Dodici ore dopo compare nella casa, buia come una tomba nel cupo mattino invernale. Il cinquantenne medico spagnolo e la levatrice fanno quello che possono per far nascere il bambino, ma è nella posizione sbagliata e sembra bloccato. L'atmosfera è di abbattimento senza speranza, ricorda vagamente quella che circonda una camera di tortura, con le urla di G., la tensione del medico e dell'assistente e la nostra desolazione profonda. Dopo cinquantadue ore di travaglio nasce un maschio di tre chili. G. è così sfinita che se dovesse addormentarsi troppo profondamente potrebbe non risvegliarsi più. Il dottore rivolge una predica feroce a R., che gli domanda se sia possibile trasportare G. altrove. «Potrebbe non uscire viva da questa casa», dice il medico, «ma lo saprete fra una settimana.»
7 febbraio 1959, Tangeri
Scendo al porto con le tasche piene di dollari. Per G. è meglio essere trasportata su un mare calmo che sulla strada sterrata fino a Ceuta. La notte è tranquilla, i funzionari malleabili. Portiamo G. al porto in una grossa Studebaker e di lì sullo yacht che R. ha noleggiato. Mentre stanno per levare l'ancora arriva sulla banchina un'auto della polizia e nasce una discussione durante la quale i documenti vengono confiscati, il permesso di lasciare il porto revocato e dobbiamo tornare tutti alla capitaneria per essere interrogati. Domandiamo quali siano le contestazioni a nostro carico e restiamo allibiti quando ci rispondono che l'accusa è di frode e fanno il nome dell'impresa in cui R. ha investito i suoi soldi. R., convinto che non ci sia niente altro da fare, rinuncia a duecento dollari. Il denaro è intascato, i documenti sono restituiti, il permesso di salpare accordato con tanti saluti.
12 febbraio 1959, Tangeri
Mentre i legionari che avevo messo di guardia nella casa di fronte a quella di R. se ne stavano andando, si è presentato un gruppo di marocchini accompagnati da poliziotti con un mandato. Hanno sfondato la porta di casa di R. e portato via tutto. In seguito mi è arrivata a casa una lettera scritta in arabo che non so leggere. La porto alla legazione spagnola dove perfino l'interprete impallidisce nel tradurla.
«Mi chiamo Abdullah Diouri. Ero socio in affari del suo amico, di cui non riesco nemmeno a scrivere il nome. Forse lei sa che egli ha profondamente offeso l'onore della mia famiglia. Ha trattato una delle mie figlie più giovani come una volgare prostituta. La sua vita è rovinata e non c'è somma di denaro che possa riparare il danno fatto a lei o al buon nome della mia famiglia. Sappia che mi sono ritirato dall'affare in cui avevo investito denaro insieme con i miei soci.
«Dovrebbe riferire al suo amico che la famiglia di Abdullah Diouri sarà vendicata e il prezzo che esigeremo sarà lo stesso che è stato estorto a noi. Io ho perso una figlia e la mia famiglia è stata disonorata. Troverò il suo amico, dovessi cercarlo fino ai confini della terra, e vendicherò il mio onore.»
Nella lettera si avvertiva una crudezza e una mancanza di affettazione che le conferivano autenticità. I punti sopra e sotto le righe erano stati aggiunti in inchiostro rosso e l'effetto era di gocce di sangue. Ho fatto pervenire l'originale e la traduzione a R., il quale non è riuscito a lasciare Algeciras: G. è ancora in ospedale, dove era arrivata priva di sensi dopo la traversata.
17 marzo 1959, Tangeri
Negli ultimi sei mesi sono stato troppo occupato con i problemi di R. per poter riflettere sulla fine di un'epoca. Mi è arrivata addosso senza che me ne accorgessi, lasciandomi nella sua scia turbolenta. La partenza di R. è stata per me un colpo più duro di quanto pensassi. Siedo da solo al suo tavolo al Café de Paris e i discorsi che sento sono un lamento unico. Aziende che chiudono, in porto non si può caricare alcol o tabacco, gli alberghi sono vuoti, la moneta che dobbiamo usare è il dirham, i negozi eleganti in boulevard Pasteur sono stati rilevati da marocchini che vendono paccottiglia per turisti. Se non fosse per la presenza di B.H. nel palazzo di Sidi Hosni scompariremmo del tutto dalla scena del mondo. Con la pittura sono a terra. Sembra che io sappia soltanto copiare De Kooning anche se M. mi scrive che i miei «paesaggi umani» sono stati molto ammirati dai visitatori ammessi nella casa di M.G. Nemmeno queste parole riescono a contenere la mia sensazione di declino: mi sento come un antico romano dopo un baccanale, stanco e svogliato, incline all'ennui e preso da ansietà alla vigilia della caduta dell'impero.
R. mi fa sapere che vive nella Sierra de Ronda. L'aria pura e il clima asciutto giovano alla salute di G.
18 giugno 1959, Tangeri
Il primo caldo estivo è brutale. Il mio cervello è un ribollire di niente. Resto sdraiato sulle stuoie nel mio studio a bere tè e a fumare, dormo tutto il pomeriggio e mi sveglio alle otto di sera per trovare una temperatura appena sopportabile. All'improvviso mi viene in mente che è il compleanno di P. e che ho dimenticato di comprarle un regalo. Frugo in tutti i cassetti e trovo un cubo di agata montato su una modesta fascetta d'argento, probabilmente scartato da M. Gli sistemo intorno un po' di carta colorata in modo che l'agata faccia l'effetto del pistillo di un fiore. Comprimo tutto quanto in una scatoletta in modo che quando si toglie il coperchio il fiore salti su. Lego la scatola con una striscia di stoffa rossa e vado a casa.
Finiamo di mangiare a mezzanotte. I bambini stanno per andare a letto quando mi ricordo del regalo. Mando Javier da lei all'altro capo del tavolo con la mia scatolina. P. la scarta con grandi cerimonie, il fiore salta su e il coperchio colpisce il naso di Javier. Tutti sono divertiti e contenti, compresa P., finché all'improvviso assume un'espressione di assoluto imbarazzo. Per un attimo sono preso dal panico al pensiero che sia un anello che le avevo già regalato; ma sono sicuro che non è così, me ne sarei accorto. Il momento passa. Lei si infila l'anello, io la bacio e noto che non ne porta altri, a parte la fede nuziale. Questo mi sorprende perché ne aveva sempre avuto uno che non si toglieva mai, una fascetta d'argento con un piccolo zaffiro che le avevano regalato i suoi genitori quando era diventata donna. Sto per chiederle se lo abbia perduto, ma l'espressione sul suo viso quando ha visto l'agata mi ha messo a disagio.