Martedì 17 aprile 2001, Edificio de los Juzgados, Siviglia
Falcón e Ramírez spensero i cellulari e sedettero di fronte a Calderón, il quale rimase fermo in piedi finché i due non si furono accomodati. Poi sedette a sua volta con lentezza, come se stesse compiendo uno sforzo tremendo per mantenere la calma.
«Procedete», disse, congiungendo la punta delle dita. «Cominciamo dalle ultime notizie sul principale indagato.»
«A questo proposito c'è stato uno sviluppo importante», disse Falcón e Ramírez, cogliendo l'imbeccata, estrasse dalla cartella i due ingrandimenti 'ripuliti', per farli scivolare sulla scrivania verso Calderón. «Crediamo che sia il nostro assassino.»
Gli occhi del magistrato si spalancarono, riassumendo tuttavia la loro espressione cupa nel vedere che nessuna delle due immagini aveva un valore conclusivo. Falcón nel frattempo riferiva il modo in cui si era arrivati all'avvistamento, in un tono di voce che lui stesso avvertiva disincarnato, non umano, da generatore robotico di parole. La stanchezza che lo pervadeva fino alle ossa lo stava separando da se stesso. Le frasi gli rotolavano daña bocca: «… probabilmente maschio di età compresa tra i venti e i quarant'anni… un ulteriore sviluppo… un video porno… ha confuso la nostra percezione della principale indagata…» Si fermò solo quando Calderón, alzando una mano, si mise a leggere il rapporto sul film. La mano ricadde, Falcón riavviò il nastro delle parole, domandandosi quante riuscisse a pronunciarne un essere umano nel corso della sua vita. «La prostituta Eloisa Gómez… scomparsa da venerdì notte… un contatto… telefono cellulare rubato… forse assassinata…» Tutto così lontano nel tempo e così recente, pensò. E passò all'indagine nella vita privata di Raúl Jiménez, al rapimento del bambino, al suicidio della moglie, alla follia della figlia, alle nevrosi del figlio: un altro secolo, il che poi era la verità. Tutto apparteneva a un altro secolo ormai, una grande tranche di storia alla deriva, così che noi possiamo cominciare ad accumulare torti senza punti di riferimento…
«Inspector Jefe», disse la voce di Calderón, «le sue speculazioni storiche non hanno una relazione con l'indagine in corso.»
«Lei crede?» ribatté Falcón, trovando un'ispirazione, o così sperava, nel timore improvviso di essere stato colto in flagrante cedimento psichico. «Il movente è sempre storico, a meno che non sia psicotico. L'unica domanda da porsi è: quanto indietro dobbiamo risalire? Al mese scorso, quando Raúl Jiménez ha cercato di vendere i suoi ristoranti a Joaquín López? O a dieci anni fa, quando presiedeva la commissione per gli appalti dell'Expo '92? O a trentasei anni fa, quando gli rapirono il figlio?»
«Concentriamoci su quello che abbiamo», suggerì Calderón. «Lei è un Inspector Jefe con cinque uomini al suo servizio, c'è un limite a ciò che può fare con queste risorse. Ha seguito le piste che si sono presentate, ha ottenuto qualche risultato: l'avvistamento, per esempio. Ma la cosa più importante è l'apparente audacia dell'assassino e la sua inclinazione a comunicare con lei. Come ha detto, essendo audace commette errori, il che, nel caso del funerale, gli è stato quasi fatale. Le manda cose, le parla.»
«Alla luce della reazione di Consuelo Jiménez di fronte al film pornografico, sta proponendo di abbandonare la pista della principale indagata?» si preoccupò Ramírez. «Per stare ad aspettare che l'assassino ci parli?»
«No, Inspector, Consuelo Jiménez ci fornisce un obiettivo per le indagini. È tutto ciò che abbiamo. Noi crediamo che la vittima non conoscesse l'assassino. Al momento due persone hanno un possibile movente: Joaquín López della catena Cinco Bellotas, con un movente molto debole, e Consuelo Jiménez, con un movente classico, quasi uno stereotipo. Considerando la sua reazione al film come l'ha descritta l'Inspector Jefe, sembrerebbe meno sospettabile, ma non per questo deve essere eliminata dalla scena. Il suo comportamento l'ha fatta ritenere da voi perlomeno una donna dura, priva di scrupoli e sembra che gli interessi sessuali del marito e il tradimento di lui nel campo degli affari l'abbiano disgustata. Non sono ancora convinto che non sia stata capace di assoldare qualcuno per portare a termine questa faccenda raccapricciante. E, se lo ha assoldato e se questo killer ha ormai ucciso la sua complice, allora può darsi che la scelta della signora non sia stata giusta, perché a quanto pare è sfuggito al guinzaglio.»
«Ritiene che dovremmo tentare di metterci in contatto con lui?» domandò Falcón.
«E che potremmo dire a questo tío?» chiese Ramírez.
«Facciamone un profilo… subito», propose Calderón.
«Ho già osservato che è audace e che gli piace farsi beffe degli altri», disse Falcón. «Vorrei aggiungere che è creativo. Si intende di cinema, di arti visive… l'idea degli occhi, della vista, della visione. È interessato al modo in cui guardiamo le cose, a quanto chiaramente o non chiaramente le vediamo… la lezione di vista.»
«Ce ne saranno altre», disse Calderón.
«È anche interessato al modo in cui ci presentiamo alla gente e a quanto questa presentazione sia in disaccordo con la nostra vita segreta e forse con la nostra storia segreta.»
«Fa ricerche», intervenne Ramírez, «filma la famiglia Jiménez, scopre il cambiamento di programma alle Mudanzas Triana.»
«Deve avere fascino, forse è di bell'aspetto e comprende i meno fortunati di questo mondo, se è stato capace di persuadere Eloisa Gómez a diventare sua complice», soggiunse Falcón. «Una donna così non ha certo bisogno di visite della polizia e la Gómez deve aver saputo che sarebbe stata interrogata, anche se lui le aveva assicurato di avere intenzione di eseguire solo un furtarello da nulla.»
«Che mestiere fa?» si domandò Calderón. «Gli arrivano soldi non si sa da dove. Ha modo di procurarsi videocamera, computer…»
«È andato fino a Madrid per spedire il film pornografico», continuò Ramírez, «non si è fidato di nessun altro. Ha del tempo a disposizione.»
«Chi è ossessionato ha sempre tempo», disse Falcón. «Potrebbe lavorare nell'industria cinematografica, questo gli permetterebbe di accedere alle attrezzature e, nel caso lavorasse come freelance, avrebbe tempo e soldi.»
«Il Médico Forense afferma che ha dimostrato una certa perizia chirurgica», intervenne Ramírez.
«Una quantità di gente sa usare bene le mani», obiettò Calderón. «Lei ha detto che è un individuo ossessionato, Inspector Jefe.»
«La seconda volta che mi ha telefonato non mi ha lasciato dubbi sul fatto che avesse una storia da raccontare e che l'avrebbe raccontata come voleva lui. C'era rabbia e forse amarezza.»
«Perciò potremmo fargli perdere l'equilibrio interferendo, potremmo spingerlo a commettere un errore facendolo infuriare ancora di più», suggerì Calderón.
«Sa che cosa odiano veramente le persone creative?» disse Falcón. «Le critiche della gente che ritengono indegna di esprimere un giudizio su di loro. Mi creda, lo so… ho assistito alle sfuriate di mio padre.»
«Ma su quello che ha fatto», insistette Ramírez, «che cosa potrebbe dirgli per farlo arrabbiare?»
«Potremmo parlargli dei suoi errori», propose Falcón, «dello straccio imbevuto di cloroformio, dell'avvistamento al cimitero. Sbattergli in faccia che non ha agito da professionista.»
Calderón annuì. Falcón tirò fuori il cellulare, le mani umidicce. C'erano due messaggi. Il primo era un SMS e lo lesse subito, visto che non riceveva molti messaggi scritti.
«Ci ha battuto sul tempo», disse, porgendo il telefonino al magistrato.
Il testo era un indovinello in forma di poesia.
Cuando su amor es ciego
No arde más su fuego.
Jamás abrirá los ojos
Ni hablará con los locos.
En paz yacen sus hombros
Donde se agitan las sombras.
Ahora ella duerme en la oscuridad
Con su fiel amante de la celebridad.
Se il suo amore è cieco, in lei non arde più la fiamma. Mai più aprirà gli occhi, né parlerà con i folli. Le sue membra riposano in pace dove si muovono le ombre. Ella ora dorme nell'oscurità con il suo fedele amante della celebrità.
«Può rispondergli che la sua poesia fa schifo, questo dovrebbe irritarlo», suggerì Calderón, restituendogli il cellulare.
«L'ha uccisa», spiegò Falcón, «e ci sta dicendo che ha messo il cadavere nella tomba di famiglia di Jiménez nel cimitero di San Fernando.»
«Lo chiami», disse Calderón, «glielo dica.»
Falcón richiamò il numero di Eloisa Gómez dalla memoria del cellulare e lo digitò. Nessuna risposta. I tre uomini uscirono dal palazzo di giustizia e, saliti sulla vettura di Falcón, si diressero al cimitero costeggiando il fiume e percorrendo il viale di cipressi fino a Jesús de la Pasión; Falcón riprovò a chiamare il numero di Eloisa Gómez durante tutto il tragitto. Mentre si avvicinavano alla cappella della famiglia Jiménez udirono un telefono cellulare suonare all'interno. Il suono cessò quando Falcón ebbe riattaccato.
La porta della cappella si aprì con una spinta e il lezzo li informò che la putrefazione era già cominciata. Sulla lastra di marmo sotto quella dove era stata deposta la cassa di Raúl Jiménez, Eloisa Gómez giaceva supina. Sotto il telefonino posato sullo stomaco era stata infilata una busta sulla quale era scritto: «Lezione di vista n. 2». La gonna era arrotolata, rivelando la biancheria nera e un reggicalze al quale era attaccata una sola calza.
La testa era invisibile nell'ombra del piccolo mausoleo. Falcón prese la torcia tascabile e illuminò il cadavere. Le braccia erano incrociate sul petto, le mani a coprire pudicamente i seni, sul collo il segno di una bruciatura e una profonda escoriazione. Il viso conservava ancora tracce del trucco proprio del mestiere e su ognuna delle due palpebre era stata posta una moneta. Dal modo in cui le monete erano affondate nelle orbite Falcón comprese che le erano stati strappati gli occhi. Sconvolto, arretrò di colpo andando a sbattere contro la bara della prima moglie di Jiménez e la pila gli sfuggì di mano. Barcollando, uscì all'aperto, incespicando sui gradini, scosso da un tremito.
Davanti alla cappella Ramírez stava telefonando alla Jefatura per chiedere l'intervento di una pattuglia e della Policía Científica, avvertendo di non preoccuparsi del Juez de Guardia perché il Juez de Instrucción era già sul posto.
«Com'è là dentro?» domandò Calderón, vedendo l'orrore dipinto sul volto dell'ispettore capo.
«È morta», rispose Falcón, «e le ha strappato gli occhi.»
«Joder!» esclamò Calderón, visibilmente impressionato.
«'Lezione di vista numero due' c'è scritto sotto il cellulare posato sulla pancia della vittima. Dovremo aspettare la scientifica prima di procedere.»
Falcón si allontanò di qualche passo, trasse respiri profondi, controllò rapidamente l'area intorno alla cappella e tornò da Calderón.
«Prima abbiamo parlato della creatività di questo individuo», disse, «dei suoi momenti di improvvisazione. Non so perché, ma penso che questo delitto non facesse parte del suo piano. Forse ha solo voluto farci vedere quanto sia bravo, credo che per lui sia importante che noi lo sappiamo.»
«Ma se la ragazza è stata sua complice, quell'uomo deve aver saputo che avrebbe dovuto sbarazzarsene», obiettò Calderón.
«In questo modo? So che sembra ridicolo, ma lei sa quanto sia difficile far entrare un cadavere in un cimitero? Non si può semplicemente passare dal cancello con il corpo sulle spalle. Guardi il muro di cinta. Di notte i cancelli sono chiusi. È una cosa non facile. E se poi la ragazza non fosse stata sua complice, vorrebbe dire che l'assassino si è preso la briga di rintracciarla, di ucciderla, di disporre del cadavere in questo modo complicato e… credo che scopriremo proprio questo… di inserirla nel suo tema di fondo.»
«Il suo tema di fondo?»
«Vista, visione, illusione, realtà.»
«Crede che stia agendo da solo?»
«Ho ancora qualche dubbio su Consuelo Jiménez e rispetto ciò che lei ha detto a proposito di concentrare le indagini su un obiettivo. Senza di lei siamo in alto mare. Il mio istinto mi dice che sta agendo da solo, ma esiste una vaga possibilità che sia stato ingaggiato da Consuelo Jiménez, che abbia portato a termine l'opera e che gli sia piaciuta al punto di… E intendo dire opera con la O maiuscola, perché penso che la consideri come un'opera d'arte.»
«Allora crede che sia un artista?»
«Lui crede di esserlo, con le sue lezioni di vista e la poesia e la 'storia da raccontare'.»
«Ammettiamo che la ragazza non sia stata sua complice», domandò Calderón, «e che lui l'abbia vista solo nell'appartamento, ripresa dalla sua telecamera, e abbia deciso di utilizzarla: come avrebbe fatto a rintracciarla?»
«Le ragazze sull'Alameda hanno detto che Raúl Jiménez l'aveva cercata due volte, perché Eloisa Gómez la prima volta non c'era, dicendo che voleva proprio lei. Perciò l'assassino, se fosse stato nell'appartamento, avrebbe potuto sentir pronunciare il suo nome. E poi ha rubato il cellulare di Raúl Jiménez, così ha avuto il suo numero. Ma, senta… questo è interessante: nella poesia che ha mandato c'è un verso, Donde se agitan las sombras, dove si muovono le ombre. Sono parole di Eloisa, infatti mi ha confidato che le ragazze che fanno il suo lavoro devono preoccuparsi delle ombre.»
«Perciò le ha parlato», concluse Calderón, «ha instaurato una specie di rapporto con lei.»
«E questo è insolito tra una prostituta e un cliente.»
«Dunque la conosceva.»
«Mi sorprende un po' che le sue compagne non lo sapessero», disse Falcón, «però… temo che abbiamo condotto male il primo colloquio con lei e, dopotutto, per quelle ragazze noi siamo la polizia, non ci amano molto, non gradiscono parlare con noi.»
«Lei ritiene, Inspector Jefe», domandò Calderón, con una certa gravità, «che ci troviamo di fronte a un serial killer?»
«Ci troviamo di fronte a un pluriomicida e, con l'assassinio di Eloisa Gómez, credo che siamo in presenza di un'improvvisazione, anche se, come ho detto, probabilmente scopriremo che è divenuta parte del suo piano, perciò dipende da quel che si intende per improvvisazione. La programmazione e la motivazione presenti nell'omicidio di Raúl Jiménez mancano in quest'ultimo assassinio. Se nel primo avevamo logica, metodo e tecnica, qui abbiamo unicamente l'ispirazione del momento.»
«Perciò lei pensa che ucciderà di nuovo?»
«Sì… ma non credo che lo farà a caso, credo che sarà un omicidio inserito nella struttura della sua opera. E vi si è inserito anche quello di Eloisa Gómez. La ragazza deve aver detto qualcosa, a parte Donde se agitan las sombras, che ha lavorato nella mente contorta di questo assassino.
«A ben pensarci, queste ragazze si guadagnano da vivere in ambienti oscuri e pericolosi, vedono quotidianamente aspetti della natura umana con i quali la gente normale raramente viene a contatto. Devono avere un sesto senso per sopravvivere a rapporti in qualche caso terrificanti. Una quantità di assassini va a caccia tra le prostitute. Per certi uomini tutto ciò che quelle ragazze fanno è mettere in evidenza il loro lato debole e questo li fa infuriare. Raúl Jiménez poteva sembrare un riccone innocuo che si concedesse qualche vizietto, ma noi sappiamo che nella sua testa si nascondeva qualcosa di molto contorto.»
«Be', l'istinto della ragazza ha funzionato con lui», osservò Calderón, «ma ha fallito clamorosamente con l'assassino.»
«L'assassino è riuscito a entrare dentro di lei, a toccarla, lei gli ha parlato. Le prostitute sopravvivono mantenendo le distanze con i clienti, l'intimità è fatale.»
«Un mondo nel quale non si vorrebbe vivere… un mondo dove l'intimità può essere fatale», commentò Calderón e Falcón, che non si era fatto nessun amico nell'ambiente di lavoro da quando aveva lasciato Barcellona, provò un moto di simpatia per lui.
Un'auto della polizia stava risalendo il viale principale del cimitero, le luci azzurre lampeggianti tra il granito nero e il marmo bianco. Calderón accese una sigaretta, fumò con aria disgustata. Falcón controllò sul cellulare il secondo messaggio, quello che aveva dimenticato nell'eccitazione suscitata dal primo. Il dottor Fernando Valera lo informava di avergli fissato un appuntamento dallo psicologo e gli dava un indirizzo a Tabladilla.
Arrivarono Felipe e Jorge, gli stessi uomini della scientifica assegnati all'omicidio di Raúl Jiménez, e tutti insieme rimasero ad aspettare il medico legale. Si presentò qualche minuto dopo, una donna sulla trentina, con lunghi capelli neri che infilò subito in una cuffia bianca di plastica. L'esame del cadavere durò meno di un quarto d'ora. Uscì dalla cappella, porse distrattamente a un poliziotto la torcia tascabile che Falcón aveva fatto cadere e fece rapporto al giudice Calderón, indicando l'ora della morte nelle prime ore del sabato mattina: dal rigor mortis già sopraggiunto si deduceva che fosse lì dal fine settimana. Probabilmente la causa della morte era strangolamento e, data la natura dell'escoriazione, probabilmente era stata usata la calza mancante. La profondità delle abrasioni sulla parte anteriore del collo poteva indicare che l'assassino l'avesse afferrata da dietro e avesse usato il peso della ragazza stessa per ucciderla. Il medico legale si asteneva dal pronunciarsi a proposito degli occhi, in attesa di esaminare con cura il cadavere all'istituto di Medicina legale.
Subentrarono Felipe e Jorge, per rilevare eventuali impronte sul cellulare e sulla busta, una ricerca infruttuosa, tuttavia. Aprirono la busta, accertarono l'assenza di impronte anche sul biglietto che essa conteneva e lo porsero a Falcón, le sopracciglia inarcate.
¿Por qué tienen que morir aquellos a quienes les encanta el amor?
Perché devono morire coloro che amano l'amore?
E sul retro la risposta:
Porque tienen el don de la vista perfecta.
Perché hanno il dono della vista perfetta.
Falcón lesse ad alta voce, poi fece scivolare il biglietto nel sacchetto di plastica. Il medico legale parlò con Calderón e la secretaria prese appunti. Ramírez ripeté la lezione di vista.
«Non capisco che cosa voglia dire», disse. «Cioè, capisco le parole, ma… lei ha compreso il significato, Inspector Jefe?»
«Be'… forse è ironico. Le prostitute non amano l'amore.»
Cambiò idea non appena pronunciate quelle parole. Il panda dagli occhi tristi e dall'abbraccio rigido nella camera da letto di Eloisa Gómez gli era venuto alla mente con l'intuizione che forse l'assassino si era spinto molto avanti nel suo rapporto con la ragazza.
«E il dono della vista perfetta?»
«Forse, come diceva lei, Inspector Jefe», intervenne Calderón, unendosi alla conversazione, «queste ragazze vedono le cose con molta chiarezza.»
«La calza», cominciò Falcón, «l'unica calza mancante…»
«Probabilmente l'ha cloroformizzata per sfilargliela.»
«Sì, è probabile», convenne Falcón, deluso dalla spiegazione banale, anche se verosimile. Aveva immaginato un inizio di comunicazione più intima tra l'assassino e la ragazza, finché, al momento del sesso, con tutte le sue rivelazioni psicologiche, si era scoperta la vera natura dell'uomo.
«Dove è stata uccisa?» domandò Calderón. «Deve averlo fatto in città, non è vero?»
«E deve anche aver avuto modo di trasportarla fin qui», disse Ramírez.
«Oppure forse sono venuti insieme qui, poi lui l'ha uccisa e ha nascosto il cadavere. Deve esserci una quantità di attrezzi nel cimitero», disse Falcón e incaricò Ramírez di trovare una foto della ragazza e di mostrarla al portero: vi era una possibilità che l'avesse vista. «Dovremo anche far setacciare il cimitero», concluse.
Ramírez parlò nel cellulare, contemplando gli ettari di croci e di mausolei che si stendevano in ogni direzione fino alle lontane palme e ai cipressi lungo il muro. Anche Falcón fece scorrere lo sguardo sui fiori sgargianti, sui nomi senza fine, sui ranghi dei morti che si allungavano fin quasi a raggiungere il cielo azzurro e gli alti cirri.
Lungo il viale principale avanzò lentamente un'ambulanza, il cui parabrezza vuoto la faceva sembrare disabitata, impersonale.
«Parlerò con il Comisario Lobo e gli chiederò un certo numero di uomini per far perquisire il cimitero», disse Falcón e Ramírez annuì, sfilando una sigaretta dal pacchetto e accendendola.
«Gli occhi», disse Calderón. «Crede che anche qui abbia mutilato gli occhi?»
«So, perché me lo ha detto un marito geloso che ho messo in galera qualche anno fa a Barcellona, che strappare gli occhi non è una cosa difficile da fare», spiegò Falcón. «Lo aveva fatto alla moglie che lo tradiva. L'uomo ha detto che sotto la pressione del pollice erano saltati fuori dañe orbite come un paio d'uova di uccello.»
Falcón rabbrividì al pensiero di ciò che aveva detto. Gli uomini della scientifica uscirono per fare rapporto.
«L'ha uccisa fuori dalla cappella e poi l'ha trascinata all'interno», spiegò Felipe. «L'entrata era troppo stretta perché riuscisse a trasportarla sollevandola sulle braccia, perciò l'ha trascinata su per i gradini. La gonna è arrotolata sulle gambe, la calza rimasta è strappata malamente e la parte posteriore della gamba nuda è escoriata. Abbiamo trovato una quantità di filamenti di stoffa nel punto in cui l'assassino ha sfregato la giacca contro la lastra, ma nessuna traccia di sangue, di saliva o di sperma. E nemmeno impronte di piedi riconoscibili. Però abbiamo rinvenuto tra i capelli della vittima qualcosa che potrebbe aiutarci a individuare il luogo dove è stata uccisa…»
Jorge allungò un sacchetto contenente petali di rosa, erba e foglie.
«Gli scarti di un giardino», disse Felipe e gli uomini della scientifica se ne andarono.
Calderón firmò il levantamiento del cadaver, gli uomini dell'ambulanza sollevarono il corpo e lo infilarono nel sacco, chiusero la lampo e lo deposero sulla barella. L'ambulanza ripercorse a marcia indietro Jesús de la Pasión fino al viale e, con le luci lampeggianti, attirò gli sguardi dei visitatori del cimitero, stupefatti di vederla lì. Lobo mandò una squadra di quindici uomini a setacciare il cimitero. Calderón raggiunse l'Inspector Jefe.
«Quel verso, 'dove si muovono le ombre'», disse. «Se è di questo che si ha paura, perché andare in un cimitero… con chiunque, figuriamoci poi con un cliente? Non ha senso.»
«Provi, però, a considerare la difficoltà di issare un cadavere al di là di quelle mura», disse Falcón. «Credo che l'assassino sia riuscito a conquistarsi la sua fiducia… al punto da convincerla ad aprirgli la porta dell'appartamento di Jiménez e a seguirlo in un cimitero.»
«La ragazza è stata ammazzata sabato mattina», intervenne Ramírez tornato dalla sua conversazione sul cellulare, «e noi sappiamo che più tardi, in quello stesso giorno, l'assassino è stato qui, perché lo abbiamo visto al funerale.»
«Forse non sapeva dove trovare la cappella Jiménez», suggerì Falcón, «ma stava anche filmando il funerale, perciò aveva una doppia ragione per essere qui.»
«I fili d'erba», disse Calderón.
«Se l'ha uccisa qui, allora l'ha ricoperta con le erbacce, probabilmente presumendo che nessuno sarebbe venuto a portare via il mucchio di foglie e di scarti durante il fine settimana. Se l'ha uccisa altrove e ha dovuto issarla al di là del muro, allora ha dovuto anche trasportarla qui con una macchina che non avrà voluto lasciare parcheggiata troppo a lungo davanti al cimitero.»
«Quell'improvvisazione di cui mi parlava gli ha procurato parecchi problemi», osservò Calderón.
«È stato importante per lui dal punto di vista del tema e vuole mostrarci il suo talento», disse Falcón.
Calderón tornò in taxi all'Edificio de los Juzgados, mentre Falcón e Ramírez fecero allontanare la gente dal cimitero, che sarebbe rimasto chiuso per il resto della giornata. Lobo inviò altri dodici uomini e alle sei del pomeriggio tutta l'area era stata perquisita. Una calza nera era stata trovata legata all'impugnatura della spada spezzata sulla statua di bronzo del torero Francisco Rivera. Un bidone vicino a un cancello arrugginito nel muro in fondo al cimitero era stato rinvenuto pieno di fiori appassiti, di erba falciata e di foglie. Quel muro confinava con una fabbrica e lungo di esso, all'esterno del cimitero, correva uno stretto sentiero invaso dalle erbacce. In quel viottolo, che i sorveglianti della zona industriale avrebbero potuto controllare solo percorrendolo a piedi, erano appoggiate al muro alcune vecchie porte di metallo e una scala della specie usata nei cimiteri per salire fino ai loculi più alti. Non sarebbe stato difficile per l'assassino sollevare la minuta Eloisa Gómez su per la scala e calarla nel bidone dall'altra parte del muro.
«È la seconda volta che ci fa questo», disse Falcón.
«Confonderci con lo scenario del delitto?» domandò Ramírez.
«Sì, è uno dei suoi talenti… rallentare l'intero processo», confermò Falcón.
«Ci costringe a lavorare il doppio», si rammaricò Ramírez.
«Mio padre lo diceva sempre a proposito delle persone di genio: fanno sembrare tutto così lento intorno a loro.»
Alle sei e mezzo del pomeriggio Falcón e Ramírez erano sull'Alameda, ma non videro nessuna ragazza del gruppo di Eloisa. Si diressero allora alla sua abitazione in calle Joaquín Costa e Falcón bussò alla porta dell'amica grassa che aveva le chiavi della stanza di Eloisa. La ragazza venne ad aprire in accappatoio blu e ciabattine rosa di pelliccia, gli occhi ancora gonfi di sonno, ma desti all'istante alla vista dei due poliziotti. Falcón la pregò di consegnargli la chiave e le raccomandò di sforzarsi di ricordare quando avesse visto la sua amica l'ultima volta e di dire alle altre di fare lo stesso. La ragazza non ebbe bisogno di chiedere che cosa fosse accaduto e gli porse subito la chiave.
Lo stupido panda accolse i due uomini, che si guardarono intorno, osservando i miseri oggetti accumulati nel corso di quella vita breve e dura. Ramírez lanciò un'occhiata alle cianfrusaglie sulla toletta.
«Che ci facciamo qui?» domandò.
«Guardiamo e basta.»
«Crede che ci sia venuto?»
«Troppo rischioso», rispose Falcón. «Dobbiamo trovare l'indirizzo e il numero di telefono della sorella. Il panda è per la nipotina.»
Ramírez, alzando gli occhi dal panda, osservò il suo capo come se stesse vedendo un essere patetico, sperduto, sminuito e scollegato.
«Ne ho vinto uno per mia figlia l'anno scorso alla Feria», disse poi, accennando con il capo all'ospite silenzioso. «Ne va matta.»
«Strano come i pupazzi di peluche suscitino quell'istinto», osservò Falcón.
Ramírez indietreggiò davanti a una possibile intimità.
«Non aveva poi una vista così perfetta», disse indicando un paio di lenti a contatto sul comodino.
«Lo conosceva già», affermò Falcón. «Ne sono sicuro. Pensi a tutte le riprese che ha fatto per girare La Familia Jiménez. Deve aver visto Raúl insieme con quella ragazza ben più di una volta e certamente ha voluto sapere perché cercasse proprio lei.»
«Probabilmente faceva i migliori pompini della città», suggerì Ramírez brutalmente.
«Deve esserci un motivo.»
«Sembrava molto giovane, forse a lui piaceva per questo», disse Ramírez.
«Il figlio ha detto che si era innamorato della prima moglie quando lei aveva tredici anni.»
«Comunque sia, ispettore capo, queste sono solo congetture.»
«Di cos'altro disponiamo per supportare le nostre idee? Non abbiamo bisogno di altri indizi con le tracce che si sta lasciando dietro.»
«Secondo il Juez Calderón una principale indiziata esiste ancora», fece notare Ramírez.
«Non l'ho dimenticata, Inspector», disse Falcón.
«Ammesso che abbia assoldato qualcuno e che abbia capito di aver scatenato un pazzo, forse sta pensando di non essere proprio al sicuro lei stessa», osservò Ramírez. «Continuo a credere che dovremmo torchiarla.»
Le ragazze del gruppo di Eloisa sfilarono davanti alla porta dirette alla stanza dell'amica grassa. Ramírez trovò la rubrica del telefono di Eloisa e i due poliziotti percorsero il corridoio per raggiungere le ragazze, stravaccate in un locale fumoso.
Mentre Falcón le metteva al corrente di quanto era successo gli unici rumori nella stanza erano lo scatto degli accendini di poco prezzo e il sibilo delle boccate di fumo aspirate. Alla domanda se Eloisa vedesse qualcuno al di fuori del suo lavoro si levò qualche risatina di derisione. Dovevano riflettere bene, le invitò Falcón, ma le ragazze risposero che non ce n'era bisogno: Eloisa non aveva nessuno tranne la sorella a Cadice. Falcón scrutò attentamente i loro volti, facce da profughe, in fuga dalla vita, bloccate al confine della civiltà, lontane da ogni conforto. Le congedò, rimase soltanto la ragazza grassa.
«Qualcuno c'era», disse quest'ultima quando tutte le altre furono uscite. «Non un cliente regolare, ma l'aveva visto più di una volta. Diceva che era diverso dagli altri.»
«Perché non ce lo hai detto subito?» le domandò Falcón.
«Perché pensavo che fosse riuscita ad andarsene, aveva detto che se ne sarebbe andata.»
«Comincia dal principio», suggerì Falcón.
«Ha detto che lui non voleva fare sesso, voleva soltanto parlare.»
«Un altro», borbottò Ramírez e Falcón lo zittì con un'occhiataccia.
«Le aveva detto che era uno scrittore, che stava facendo non so che cosa per un film.»
«Di che cosa parlavano?»
«Lui le chiedeva tutto sulla sua vita, si interessava anche dei minimi particolari, e specialmente si interessava a quello che chiamava 'varcare la frontiera'.»
«Sai che cosa intendesse dire con questo?» le domandò Falcón.
«La prima volta che aveva fatto sesso. La prima volta che lo aveva fatto per soldi. La prima volta che si era lasciata fare certe cose. La prima volta che era rimasta incinta. Il primo aborto. Le prime botte che aveva preso. La prima volta che un uomo l'aveva minacciata con un coltello. La prima volta con una pistola… la prima volta che un uomo l'aveva ferita. Queste frontiere.»
«E parlavano soltanto?»
«La pagava come se facessero sesso, ma parlavano soltanto.»
«Ha mai detto che aspetto avesse?» domandò Falcón. «Di dove era? In che modo parlava? Aveva un nome?»
«Lei lo chiamava Sergio.»
«Era andata da lui venerdì sera?»
La ragazza si strinse nelle spalle.
«Lo hai mai visto?»
Cenno di diniego.
«La tua amica deve avertelo descritto.»
«Stiamo sempre attente a quello che ci diciamo… potrebbe ritorcersi contro di noi. Mi ha detto soltanto che era guapo. Forse ha detto di più a sua sorella.»
«Tu credi che provasse qualcosa per quell'uomo, visto che aveva pensato di andarsene con lui?»
«Diceva che nessuno le aveva mai parlato così.»
«E lui le aveva rivelato qualcosa di sé?»
«Se l'ha fatto, lei non me lo ha detto.»
«Che cosa sai di Sergio… a parte questo nome?»
«So che ha fatto qualcosa di molto pericoloso», affermò la ragazza. «Ha dato a Eloisa una speranza.»
«Speranza?» ripeté Ramírez, come se la cosa contasse ben poco per lui.
«Si guardi in giro», lo invitò la ragazza grassa. «Provi a immaginare che cosa può fare la speranza a chi vive come noi.»
Alle otto di sera, dopo aver perquisito e sigillato la stanza di Eloisa, Falcón e Ramírez erano di ritorno alla Jefatura. Non avevano trovato nulla, nessun riferiménto a nessun Sergio sulla rubrica della ragazza. Lasciato Ramírez alle scartoffie, Falcón andò a Tabladilla per l'appuntamento con lo psicologo. Parcheggiò sull'altro lato della strada e per un po' passeggiò avanti e indietro per la lunghezza della vettura, dando un'occhiata alle targhe a fianco dei portoni, riluttante a fare il primo passo.
Gli venne alla mente un ricordo del padre che costringeva i meccanici ad armeggiare con il motore della Jaguar anche quando l'automobile funzionava alla perfezione; era solito dire: «Giusto in caso qualcosa stia per guastarsi». Maniaco. Il punto era che lui, al contrario, aveva davvero bisogno di essere «aggiustato». Ma che cosa gli sarebbe successo? Quale terribile filo nero sarebbe stato dipanato da quel gomitolo aggrovigliato che era il suo cervello? Si sarebbe disfatta tutta la trama? Vide se stesso, la mente annebbiata e la mandibola rilasciata, fissare i due infermieri dal camice bianco che lo preparavano per l'intervento chirurgico: vedrà, solo un taglietto e si libererà per sempre dal passato. Evidentemente era già fuori di sé, se ne rendeva conto, visto che stava pensando a un'operazione di neurochirurgia, quando tutto ciò che stava per affrontare era una chiacchierata. Si asciugò il palmo sudato stringendo il fazzoletto tra le mani e attraversò la strada.
Le scale erano interminabili, o così sembrò a lui, e fu costretto a compiere uno sforzo per passare la porta in cima alla rampa. Dietro la scrivania era seduta una giovane donna.
«Salve, signor Falcón», lo salutò cordiale, abituata a trattare con le menti a pezzi. «È la prima volta, vero?»
Aveva i capelli biondi e le labbra tumide. Gli porse un formulario da riempire, ma Falcón non lo prese. Sulla parete alle spalle della ragazza era appeso uno dei quadri di suo padre, il portale della chiesa Omnium Sanctorum. Guardandosi intorno ne scoprì un altro, uno dei paesaggi astratti di minor successo.
«Signor Falcón…» disse la ragazza, in piedi ora, l'orlo della gonna allo stesso livello del piano della scrivania.
Falcón capì che non sarebbe riuscito a resistere, non sarebbe stato capace di restare seduto di fronte a qualcuno a parlare della vita e delle opere di suo padre e a farsi frugare nella testa allo scopo di cercare e di stirare le pieghe e le grinze del tessuto dei suoi pensieri. Uscì senza dire una parola, la cosa più facile che avesse fatto da anni: prendere e uscire.
Non appena fu in macchina, avvertì in petto un'agitazione agghiacciante, che tuttavia scomparve mentre guidava verso casa, con i finestrini abbassati. Si recò a piedi al British Institute e, seduto in fondo all'aula, ascoltò a metà una lezione sul condizionale. Se fossi andato dallo strizzacervelli, disse a se stesso, se non mi fossero crollati i nervi, a quest'ora starei cinguettando sulla mia follia disteso sul divano dell'analista. Mi aiuterebbe parlare con qualcuno.
Si guardò intorno, osservò gli altri studenti: Pedro. Juan. Sergio. Lola. Sergio? I pensieri cominciarono a farsi bizzarri, troppo grandi per la sua testa. Sergio. Tanto valeva chiamarlo Sergio quel pazzo, un uomo che sapeva parlare, che vedeva le cose con chiarezza, che riusciva a entrarti dentro e a rivoltarti come un guanto. Ha parlato con Eloisa, si disse, le ha dato speranza e poi si è preso la sua vita senza speranza. Perché non parlare con lui? Vuole raccontare la sua storia, perché non raccontargli la mia? Perché non lasciare che sia lui a strapparmi quelle orribili creature dal cervello?
«Javier?» disse l'insegnante.
«Scusate, pensavo ad alta voce.»
Falcón rise interiormente, divertito per il modo in cui il vasto mondo esterno era scomparso davanti alle torreggianti architetture gotiche della sua mente; avrebbe potuto vivere là dentro per anni… ma non appena avuto questo pensiero, si precipitò a uscirne, come un eretico da una cattedrale. Si immerse nel macchinario del linguaggio: era così facile mettere insieme le parole, così rilassante. Si era turbati solo dal significato che sanguinava nello spazio intorno a esse.
Si aggregò a qualche altro studente per andare a bere qualcosa al bar Barbiana, nella calle Albareda. Birra, tapas: atún encebollado, tortillitas de camarones. Gli studenti si sentivano estranei all'ambiente del locale, frequentato da gente muy pija, altolocata, probabilmente con fincas in campagna, commentarono tra loro finché Lola non parve imbarazzata e tutti cambiarono argomento: certamente avevano pensato che, in giacca e cravatta, anche Falcón era muy pijo.
Si separarono prima che Javier fosse pronto per tornare a casa. Ma lo era mai in quel periodo? La casa era una prigione, la sua camera una cella, il letto un letto di tortura dove doveva stendersi ogni notte. Vagò per la città, si avvicinò a gruppi di avventori in bar dalle luci sfavillanti, posando il boccale di birra accanto al loro, finché gli altri non se ne accorgevano e non lo isolavano.
Terminò la serata sotto le alte palme e nel buio profondo tra i grandi alberi della gomma di plaza del Museo de Bellas Artes. Il botellón era in piena attività, nell'aria odore di hashish, tintinnio di vetro e brusio di voci umane soddisfatte.