20 marzo 1932, Dar Riffen, Marocco
Oscar (non so se sia il suo vero nome, ma si fa chiamare così) non solo è il mio superiore, ma anche il mio maestro. Nella «vita reale», come dice lui, era un insegnante. È tutto ciò che so di Oscar. Los brutos (i miei camerati) mi dicono che si trova qui perché è un molestatore di bambini. Non lo sanno per certo dato che, secondo le regole della Legione, non si è tenuti a rivelare il proprio passato. Los brutos naturalmente godono moltissimo nel rivelare il loro passato a me, per la maggior parte sono assassini, qualcuno è colpevole di stupro e di omicidio insieme. Oscar dice che sono soltanto carne, sangue e ossa tenuti su da qualche cordone interno che permette loro di camminare eretti, di comunicare, di defecare e di ammazzare la gente. Los brutos diffidano di Oscar solo perché provano paura e sfiducia nei confronti sia pure di un barlume di intelligenza. (Io per scrivere mi nascondo, oppure Oscar mi lascia usare la sua stanza.) Ma los brutos lo rispettano, ognuno di loro le ha buscate da lui una volta o l'altra.
Oscar mi ha preso come suo discepolo dopo che mi ha scoperto a disegnare nella caserma. Mi ha fatto immobilizzare da un paio di brutos e mi ha strappato il foglio dalle mani, per ritrovarsi davanti la sua immagine in tutta la sua brutale intelligenza. Ero paralizzato dalla paura. Mi ha afferrato per il colletto e mi ha trasportato di peso nella sua stanza, inseguito dalle grida dei brutos che lo incitavano. Una volta lì mi ha scaraventato contro il muro e io sono finito per terra. Ha osservato di nuovo il disegno, si è seduto sui talloni e mi ha guardato dritto in faccia con i suoi occhi celesti d'acciaio. «Chi sei?» mi ha domandato, il che era strano. Ma io ho avuto abbastanza buonsenso per non rispondergli dando il mio nome e sono rimasto zitto. Mi ha detto che il disegno era buono e che lui sarebbe stato il mio maestro, ma che aveva una reputazione da difendere. Perciò le ho buscate lo stesso.
17 ottobre 1932, Dar Riffen
Ho confessato a Oscar di aver scritto solo due volte in questo diario da quando me lo ha regalato. Si è infuriato. Io gli ho detto che non ho niente da scrivere, non facciamo altro che esercitazioni interminabili seguite da bevute e da risse. Lui mi ha ricordato che un diario non deve essere solo un resoconto di fatti esterni, ma anche un esame di quello che abbiamo dentro. Non ho la minima idea di come abbordare queste cose interne di cui parla. «Devi scrivere su chi sei», dice lui. Gli mostro la mia prima pagina. Dice: «Non è detto che tu abbia smesso di esistere solo perché non hai una famiglia, loro sono solo un riferimento, ora devi trovare il tuo proprio contesto». Annoto le sue parole, ma non capisco affatto il loro significato. Mi parla di un filosofo francese che avrebbe detto: «Penso dunque sono». Domando: «Che cosa vuol dire pensare?» Nella lunga pausa dopo la mia domanda, non so perché immagino un treno che corre attraverso un paesaggio vasto. Glielo dico e lui commenta: «Be', è un inizio».
23 marzo 1933, Dar Riffen
Ho appena completato il mio primo lavoro importante e cioè le caricature dell'intera compagnia in sella a cammelli che assomigliano a chi li monta. Le ho fissate su tavole e le ho appese nelle camerate in modo che diano l'impressione di una truppa diretta verso un finto arco di Dar Riffen, che invece del motto dei legionari, porta scritto: «Legionarios a beber, legionarios a joder». Tutti gli ufficiali chiedono di vederle. Oscar ha strappato il mio arco di cartone dicendo: «Non vorrai rischiare la corte marziale e la fucilazione per uno stupido disegno». Ora non mi mancano mai le sigarette.
12 novembre 1934, Dar Riffen
Abbiamo appena salutato il colonnello Yagüe e la Legione di ritorno dalle Asturie dove hanno soffocato una rivolta dei minatori… Oscar è di malumore. Non c'è stata resistenza e dopo aver liberato Oviedo e Gijón, los brutos hanno «dimostrato mancanza di disciplina e non sono stati controllati dagli ufficiali». Vuol dire che hanno ammazzato, violentato e mutilato senza timore di essere puniti. Non so come, nella conversazione Oscar rivela di essere tedesco e mi fa infuriare quando sostiene che i soldati tedeschi non si sarebbero mai comportati così. I suoi stivali abbandonati in un angolo sembra che gridino, le bocche spalancate. «Questo è l'inizio di una catastrofe», dice. A me non sembra e riesco soltanto a emozionarmi ai fatti di sangue raccontati un'infinità di volte. A quanto pare non ho ancora imparato a pensare. In quello che ho letto di storia, ho notato, perché Oscar me lo ha fatto osservare, quanta gente che pensava sia stata fucilata, impiccata o decapitata.
17 aprile 1935, Dar Riffen
Il mio secondo lavoro importante: il colonnello Yagüe vuole che gli faccia il ritratto. Oscar mi dà qualche consiglio: «A nessuno piace la verità a meno che non coincida con la sua versione». Soltanto quando ho il colonnello seduto davanti a me mi rendo conto della vera natura dell'impresa. Quell'uomo è una specie di toro, con le lenti spesse e rotonde, stempiato, capelli grigi, guance appesantite e un mezzo sorriso che può sembrare cordiale finché non si nota la crudeltà che nasconde. Lo faccio sedere in modo che non si veda nulla del profilo che lo imbruttisce. Chiedo se vuole togliersi gli occhiali e lui mi dice che senza sembra un cucciolo appena nato. Vedo un giubbotto con il collo di pelo su una sedia. Gli chiedo di indossarlo, gli incornicerà la faccia e gli darà un'aria avventurosa, eroica. Lo indossa. Simpatizzeremo, credo.
1o maggio 1935, Dar Riffen
Il ritratto è un trionfo. Si scopre il dipinto in una piccola cerimonia privata davanti a uno scelto gruppo di ufficiali. Il colonnello Yagüe è contentissimo della reazione. Il colletto di pelo è stata un'ispirazione. Gli ho fatto la faccia più scarna e il mento in fuori in modo che il colonnello abbia un'aria di sfida, da uomo energico, affidabile ma audace e intraprendente. Sullo sfondo ho dipinto i ranghi ammassati dei legionari in marcia sotto l'arco dove si legge correttamente: «Legionarios a luchar, legionarios a morir». Oscar mi dice: «Vedo che abbiamo qui una convergenza di illusioni». Il colonnello non ha appeso il quadro, non vuole essere giudicato più pomposo o ambizioso dei suoi superiori.
14 luglio 1936, Dar Rifen
Le manovre estive finiscono con una parata al comando del generale Romerales e del generale Gómez Morato, i due comandanti di grado più alto del nostro esercito in Africa. Oscar, che ha molto fiuto, dice che sta per succedere qualcosa. Lo proverebbe il fatto che durante il banchetto, dopo la parata, prima ancora che fosse servito il dessert, vi sono state grida di «Café!» che chiaramente non erano richieste di caffè, ma stavano per: «Camaradas! Arriba! Falange Española!» È la prova che il colonnello Yagüe è al lavoro. È un falangista e Oscar crede che detesti il generale Gómez Morato. Non so come lo abbia saputo e lui dice che mi sarebbe bastato osservare gli ufficiali invitati alla cerimonia per il ritratto del colonnello Yagüe.
Siamo chiusi nella nostra caserma senza sapere che cosa stia succedendo al di là dello stretto. Oscar ha trovato un giornale, «El Sol», con un articolo sull'uccisione di un ufficiale di nome José Castillo davanti alla sua casa di Madrid. Era sposato solo da un mese. «Opera della Falange», sostiene Oscar. Io sono perplesso. Non so che fare. Chiedo a Oscar chi dobbiamo appoggiare e lui mi risponde: «Il nostro comandante, a meno di volere essere fucilati». Perlomeno non ci sono decisioni difficili da prendere, anche se Oscar mi mette in allarme soggiungendo: «Chiunque possa essere».
Più tardi quella sera mi chiama in camera sua. È molto emozionato. Ha sentito alla radio che la Spagna è sconvolta. Calvo Sotelo è stato ammazzato. Non potrebbe importarmene di meno, dato che non so nemmeno chi sia. Oscar mi dà una botta in testa. Sotelo è il capo dei monarchici e una figura importante della destra, il suo assassinio avrà conseguenze terribili. Gli chiedo chi lo abbia ucciso e Oscar si palleggia una sfera immaginaria tra le mani: «Tic tac, tic tac».
«Se non che questa volta la sinistra ha esagerato», dice. «Questo omicidio non sarà visto come un fatto privato, per via della posizione di Calvo Sotelo. Questo è un assassinio politico e ora, te lo posso garantire, scoppierà la guerra civile.» Io gli chiedo da che parte stia lui in tutto questo: Oscar alza le mani, il palmo attraversato da un migliaio di rughe e io penso che devo disegnarle. «Sto davanti a te», dice e io lo lascio senza saperne di più.
19 luglio 1936, Ceuta
Il colonnello Yagüe ci ha fatto muovere alle nove di sera e a mezzanotte avevamo il controllo di Ceuta. Non è stato sparato un solo colpo né da noi, né contro di noi. Siamo rimasti male per non aver incontrato resistenza, durante la marcia non vedevamo l'ora di combattere. La mattina dopo apprendiamo che Melilla, Tetuán, Ceuta e Larache erano tutte sotto il controllo dei militari e che il generale Franco stava arrivando per prendere il comando delle truppe.
Marcia di ritorno a Dar Riffen la mattina presto. Il generale Franco arriva in caserma nel pomeriggio e sfiliamo in parata per riceverlo. Ci sorprendiamo a gridare come matti senza sapere perché. Il colonnello Yagüe fa un discorso che comincia con le parole: «Eccoli, sono come lei li ha lasciati…» e noi capiamo che il generale è molto commosso. Urliamo: «Franco! Franco!» e lui annuncia un aumento di una peseta al giorno. Nuova esplosione di giubilo.
6 agosto 1936, Siviglia
La mia prima volta sul suolo spagnolo. Il nostro è stato uno dei primi distaccamenti ad attraversare lo stretto. Lo attraversiamo via mare e siamo delusi per non essere stati trasportati in aereo. Ci fanno salire sugli autocarri e ci dirigiamo verso Siviglia. Le strade sono completamente deserte. I nostri ordini sono di puntare a nord al comando del colonnello Yagüe, verso Mérida. Ci hanno detto che chiunque opponga resistenza è un comunista e, in quanto tale, nemico della Spagna, e che deve essere trattato con il massimo rigore, senza nessuna pietà. Si dice che l'opposizione se la stia facendo addosso al pensiero dell'Armata d'Africa. Dopo la rivolta dei minatori delle Asturie la nostra fama ci precede. L'effetto di questi ordini, con la loro carica di sete di sangue, è come una corrente elettrica tra i ranghi. Eravamo già infiammati e ora siamo invincibili e nel giusto, per soprammercato.
10 agosto 1936, vicino a Mérida
L'avanzata è stata implacabile (300 km in quattro giorni) e abbiamo saputo presto che le notizie del terrore che ispiriamo viaggiano alla velocità del suono. Noi lo chiamiamo «castigo». Dopo aver soffocato ogni resistenza, percorriamo paesi e città armati di coltelli e di machete. È l'acciaio freddo a terrorizzare, non è impersonale come le pallottole.
A El Real de la Jara la popolazione è scappata sui monti solo per poi essere circondata dai Mori dei Regulares, i quali hanno fatto cose così terribili che non abbiamo più incontrato nemmeno una minima resistenza fino a Almendralejo. Arrivati là siamo come impazziti e abbiamo ammazzato tutta la gente rimasta in città, centinaia di cadaveri, uomini e donne, ammassati nelle strade; con il caldo il fetore era tale che ben presto è diventato insopportabile e abbiamo abbandonato le case stordite, senza vita, sotto la coltre di fumo dei tetti incendiati. Oscar insiste perché io «scriva tutto» ma sono troppo esausto, per qualcosa di più delle incombenze del giorno.
11 agosto 1936, Mérida
Gli ufficiali dicono scherzando che stiamo dando ai contadini «la riforma agraria».
Uno dei Mori dei Regulares ci mostra la sua raccolta di puzzolenti testicoli umani ricoperti di uova di mosche. Castrano le vittime in un rito di guerra. Questo è troppo per Oscar, che fa rapporto al nostro capitano, e la pratica viene proibita.
15 agosto 1936, Badajoz
La 4a Bandera ha preso d'assalto la Puerta de la Trinidad. Sono entrati cantando e si sono presi in faccia un fuoco accanito di mitragliatrici, che li ha costretti a ritirarsi per un momento. Hanno sfondato al secondo tentativo e noi siamo entrati dietro di loro, calpestando i cadaveri. Una volta dentro è stato un combattimento strada per strada fino al centro. Nel pomeriggio chiunque fosse sospettato di resistenza è stato radunato nell'arena vicino alla cattedrale. C'è stato un gran piangere e lamentarsi, ma noi eravamo infuriati dopo le perdite subite nell'attacco iniziale. I colpi di pistola sono risuonati fino a notte. I Regulares hanno perlustrato la città, frugando in ogni casa, cercando chiunque avesse un'arma o perfino il segno del rinculo sulla spalla. Dopo l'indisciplina delle Asturie, Oscar è deciso a non permettere che perdiamo il controllo e ci lasciamo andare a un'orgia di saccheggi e stupri come le altre compagnie nella Bandera o nei Regulares. Gli uomini brontolano finché Oscar porta qualche cassa di bottiglie rubate in un bar. Versiamo aguardiente, anisetta e vino rosso nello stesso bicchiere e questo miscuglio diventa famoso, lo chiamiamo Terremoto.
22 settembre 1936, Maqueda
Ora so che cosa vuol dire essere induriti dalle battaglie. Prima erano solo parole che riguardavano i veterani. Adesso mi rendo conto che si tratta di una condizione mentale che perdura. Viene dal dover prendere una quantità di decisioni sotto una pressione estrema, dalla completa soppressione della paura, dal vedere gli uomini morire intorno a te quotidianamente, dal resistere allo sfinimento, dall'accettazione dell'inevitabilità della battaglia.
29 settembre 1936, Toledo
L'attacco è stato sferrato a mezzogiorno del 27 settembre. Prima dell'assalto abbiamo marciato davanti ai cadaveri mutilati di due nazionalisti giustiziati, un paio di chilometri fuori dalla città. I colonnelli hanno dato l'ordine: «Sapete quello che dovete fare». Il combattimento è stato durissimo e all'inizio dell'attacco i Regulares hanno preso una batosta, tanto che ci aspettavamo di doverci ritirare per raggrupparci, ma a un certo punto i comunisti hanno ceduto e sono scappati. C'è stato qualche scontro per le strade. I Mori sono stati particolarmente selvaggi quel pomeriggio, hanno fatto a pezzi i prigionieri con il machete finché sull'acciottolato delle strade ripide scorreva letteralmente il sangue. Sono state lanciate granate nell'ospedale di San Juan e, mentre i Regulares si avvicinavano a un seminario dove si era nascosto un gruppo di anarchici, l'edificio è saltato in aria.
30 settembre 1936, Toledo
Oscar ha scoperto che i repubblicani hanno lasciato gli El Greco in città e grazie al nostro capitano ha ottenuto il permesso di vederli. Abbiamo visto sette dei suoi quadri degli Apostoli, ma non il famoso «Entierro del conde de Orgaz». Sono ipnotizzato e non riesco assolutamente a scoprire la sua tecnica, come faccia a ottenere una luce interiore che brilla attraverso la carne e il sangue, perfino attraverso le vesti degli apostoli. Dopo il fragore della battaglia, le mutilazioni, le strade imbrattate di sangue, ritroviamo la pace davanti a questi dipinti e ora so che voglio fare il pittore.
20 novembre 1936, Ciudad Universitaria de Madrid
La guerra ha raggiunto un nuovo stadio. Abbiamo bombardato la nostra stessa capitale con esplosivi e bombe incendiarie per più di una settimana. Eravamo accampati lungo i binari della ferrovia sul lato occidentale del Manzanarre e ogni nostro tentativo di attraversarlo era prontamente respinto. Poi, all'improvviso ci siamo trovati sull'altra sponda a correre verso l'università, senza trovare resistenza e stupefatti. Non riuscivamo a capire che cosa fosse successo, forse un altro cedimento dei nervi nel momento cruciale oppure il solito fiasco repubblicano di un'unità che si ritira prima che sia arrivata quella che deve sostituirla, come ha indicato la battaglia successiva. Abbiamo preso la scuola di Architettura, ma siamo stati scacciati dalla facoltà di Lettere e Filosofia. Stiamo combattendo contro le Brigate internazionali di tedeschi, francesi, italiani e belgi. Gli edifici risuonano dei canti comunisti tedeschi e dell'Internazionale. Oscar dice che queste brigate sono formate tutte da scrittori, poeti, compositori e artisti. Danno perfino alle loro brigate il nome di eroi della letteratura. Gli chiedo perché gli artisti stiano solo dalla parte della sinistra e lui mi dà una delle sue risposte enigmatiche: «È nella loro natura». E io, come sempre, devo domandargli che cosa vuol dire. Il nostro rapporto allievo-maestro non è mai cambiato.
«Sono creativi», dice. «Vogliono cambiare le cose. Non amano il vecchio ordine della monarchia, la chiesa, l'esercito e i proprietari terrieri. Credono nel potere dell'uomo comune e nel suo diritto all'uguaglianza. Per arrivare a questo devono distruggere tutte le vecchie istituzioni.»
«E sostituirle con che cosa?» domando.
«Appunto», dice Oscar. «Le sostituiranno con un ordine diverso… uno che a loro piace, senza re, né preti, senza uomini d'affari o proprietari terrieri. Dovresti riflettere su questo, Francisco, se vuoi fare il pittore. La grande arte cambia il nostro modo di vedere le cose. Pensa all'impressionismo. Ridevano della visione confusa di Monet. Pensa al cubismo. Pensavano che Braque fosse impazzito dopo essere stato ferito alla testa e aver subito una trapanazione al cranio. Pensa a 'Les Demoiselles d'Avignon' di Picasso: sono donne quelle? E che cosa credi che appenda nel suo salotto il generale Yagüe? O il generale Varela?»
«Ora mi sta prendendo in giro», dico io.
Comincia un altro attacco e noi strisciamo fino alla finestra e spariamo sugli uomini che escono correndo dalla facoltà di Lettere e Filosofia (siamo in quella di Agraria). Si ode una forte esplosione nella clinica universitaria (scopriamo dopo che era stata spedita una bomba nell'ascensore ai Regulares). Decidiamo di ritirarci da Agraria e di tornare all'istituto francese Casa de Velásquez, che troviamo pieno di cadaveri di una compagnia di polacchi. Mentre arretriamo a zig-zag, Oscar mi grida che il generale Yagüe probabilmente vorrà essere sepolto avvolto nella mia eroica tela. I proiettili forano le porte di legno dell'edificio e noi cambiamo rotta e ci tuffiamo in una finestra atterrando sul morbido tappeto dei polacchi morti. Spariamo dalle finestre finché l'attacco non si esaurisce.
«Pensaci», mi dice Oscar. «Eccoci qui in prima linea, non semplicemente di una guerra civile, ma di una guerra che coinvolge tutta la cultura della Spagna, forse di tutta l'Europa civile. Che cosa vuoi dipingere in futuro? Yagüe a cavallo? L'arcivescovo di Siviglia alla toilette? O vuoi ridefinire la forma femminile? Vedere la perfezione nella linea di un paesaggio? Trovare la verità in un vaso da notte?»
Ci siamo portati sul retro dell'edificio e abbiamo attraversato di corsa il terreno dietro l'ospedale Santa Cristina fino alla clinica universitaria in soccorso dei Regulares. Troviamo i rottami dell'ascensore distrutto e ci precipitiamo su per le scale. In uno dei laboratori vediamo sei Regulares morti senza evidenti ferite di pallottole o di schegge. Sul pavimento i resti di un fuoco e odore di carne arrostita. Nelle gabbie tutto intorno è rinchiuso qualche animale e ci rendiamo conto che i Mori ne hanno cucinati e mangiati alcuni. Oscar scuote la testa a quella scena bizzarra. Saliamo sul tetto per sorvegliare il terreno. Chiedo a Oscar che cosa voglia da tutto questo e lui mi dice soltanto che non appartiene a niente e a nessuno, è un fuori casta.
«Sei tu importante», dice, «tu sei giovane, devi decidere. Senti… se vuoi attraversare le linee, non preoccuparti per me, non ti sparerò nella schiena. E scriverò sul mio rapporto che sei passato dall'altra parte per motivi artistici.»
È questo che non sopporto in Oscar, cerca sempre di farmi pensare, di farmi decidere.
25 novembre 1936, periferia di Madrid
Abbiamo rinunciato a un assalto diretto a Madrid. Il mese cruciale che abbiamo impiegato nella liberazione di Toledo ha dato il tempo ai repubblicani di organizzarsi. Potremmo continuare a martellarli, ma ci costerebbe troppo. La strategia è cambiata. Occuperemo le campagne intorno a Madrid e porremo l'assedio alla città. Siamo un esercito che passa dalle tecniche più moderne (i bombardamenti aerei) a quelle medievali (l'assedio)…
Nello spazio di sei settimane sembra che le forze tra i due eserciti si siano equilibrate. I rossi ora hanno i carri armati e gli aerei russi e uomini da tutto il mondo combattono nelle loro brigate internazionali. Hanno possibilità di rifornirsi attraverso i porti del Mediterraneo, Barcellona, Tarragona, Valencia. Oscar aveva sempre detto che sarebbe finito tutto per Natale, ma ora crede che ci vorranno anni.
18 febbraio 1937, nei pressi di Vaciamadrid
Siamo stati respinti dalla strada Madrid-Valencia, cosa che ci aspettavamo da quando l'avevamo occupata. I caccia russi ci mitragliano incessantemente. Siamo bloccati ora e possiamo soltanto stare a vedere come va nel Nord. Abbiamo tempo a disposizione e una buona scorta di sigarette e di caffè. Oscar ha fabbricato i pezzi degli scacchi usando cartucce vuote e noi due giochiamo, o per meglio dire lui mi insegna a perdere con grazia. Conversiamo per migliorare il mio tedesco rudimentale, la lingua che mi sta insegnando.
«Perché sei nazionalista?» mi domanda, muovendo un pedone.
«E tu perché lo sei?» ribatto, spostando uno dei miei di fronte al suo.
«Io non sono spagnolo», dice, minacciando il mio pedone con il cavallo. «Io non devo decidere.»
«Nemmeno io», replico, proteggendo il pedone con un altro. «Sono africano.»
«I tuoi genitori sono spagnoli.»
«Ma io sono nato a Tetuán.»
«E questo ti permette di essere apolitico?»
«Significa che non ho le basi per avere un'opinione politica.»
«Tuo padre era di destra?»
«Non ho un padre.»
«Ma lo era?»
Nessuna risposta da parte mia.
«Che lavoro faceva?»
«Aveva un albergo.»
«Allora era di destra», dice Oscar. «Andava a messa?»
«Solo per bere il vino.»
«Queste sono le tue basi, hai imparato la politica a tavola.»
«E tuo padre?»
«Era un medico.»
«Difficile», dico. «E andava a messa?»
«Noi non abbiamo la messa.»
«Ancora più difficile.»
«Era socialista», dice Oscar.
«Allora sei di sicuro dalla parte sbagliata.»
«Gli ho sparato il 27 ottobre del 1923.»
Alzo la testa per guardarlo, ma lui continua a studiare la scacchiera.
«Scacco matto in tre mosse», dice.
23 novembre 1937, Cogolludo, vicinanze di Guadalajara
La nostra Bandera è stata sciolta e gli uomini distribuiti tra gli altri reparti dell'esercito. Pensiamo di trovarci qui per sferrare un nuovo attacco alla capitale. Oscar non mi parla, perché sto registrando la mia prima vittoria sul più arduo dei fronti: la scacchiera.
15 dicembre 1937, Cogolludo
I rossi ci hanno sorpresi lanciando un'offensiva contro Teruel proprio quando ci stavamo preparando ad assaltare la capitale e a trascorrere il Natale sulla Gran Via. Sappiamo soltanto che Teruel è il posto più freddo della Spagna e che quattromila nazionalisti sono assediati all'interno della città.
31 dicembre 1937, vicinanze di Teruel
Freddo mortale: –18°. Tempesta di neve. Neve alta un metro. La odio. Faccio fatica a scrivere e scrivo solo per distrarre la mente da queste condizioni terribili. Il contrattacco è stato fermato, ma continuiamo a bombardare la città, che ormai è solo un cumulo di rovine coperte di neve. Ci fermiamo quando la visibilità è a zero.
8 febbraio 1938, Teruel
Ieri abbiamo sferrato l'attacco, cercando di forzare un accerchiamento. Il combattimento è furioso. Oscar è stato ferito allo stomaco e abbiamo dovuto trasportarlo nelle retrovie. Ho preso il suo posto come sottufficiale.
10 febbraio 1938, Teruel
Trovo Oscar nell'ospedale da campo, soffre moltissimo nonostante la morfina. Sa che non sopravvivrà alla ferita. Mi ha lasciato i suoi libri e gli scacchi e mi ha dato istruzioni severissime di bruciare i suoi diari senza leggerli. Piange dal dolore della ferita e mentre mi bacia sento le sue lacrime calde sulla faccia.
23 febbraio 1938, Teruel
Abbiamo seppellito Oscar stamani. Dopo ho bruciato i suoi diari, ho ubbidito alle sue istruzioni e ho lasciato cadere il primo quaderno nel fuoco senza aprirlo. Mentre bruciava non ho resistito alla tentazione di sfogliare le pagine del secondo, parlavano tutte di un amore che pareva non corrisposto. Non menzionava mai il nome della ragazza, ma la cosa non mi ha sorpreso perché non parlava mai di fatti personali, salvo quando mi ha detto di aver sparato a suo padre. Nel terzo aveva cominciato a usare dialoghi immaginari, più facili della sua prosa pesante. Ho avuto un soprassalto nel leggere parole dette da me e sono arrivato alla conclusione strabiliante che ero io l'amante crudele. Ne ho avuto la conferma quando, infuriato per qualche mia osservazione inconsapevole, mi ha chiamato «Die Künstlerin». Ho bruciato il resto senza leggerlo.
Ora sono seduto qui a scrivere, una candela stretta fra le ginocchia. Mi è venuto in mente che forse Oscar ha insistito tanto per farmi tenere un diario nella vana speranza che io mi rivelassi a lui. Deve essere rimasto deluso dalle mie interminabili annotazioni di carattere militare.
Non provo nessun disgusto sebbene Oscar fosse fisicamente repellente. Sono triste per aver perso il mio maestro e amico, l'uomo che è stato per me più del mio vero padre. Sono di nuovo solo senza quella sua figura brutale, senza la sua mente sferzante, senza la sua sicura guida militare. Ho pensieri incomprensibili. In me è stato disturbato qualcosa che posso riconoscere soltanto come un bisogno privo di forma. Non lo comprendo. Rifiuta di lasciarsi definire.
15 aprile 1938, Lérida
Sono rimasto privo di sensi per qualche ora e mi hanno trasportato all'ospedale. Devono ricordarmi che lo abbiamo ripreso noi quasi due settimane fa. Non ho più scritto nulla dal funerale di Oscar. Sono furioso con me stesso perché non ricordo se avessi fatto qualche progresso con i miei pensieri. Quel «bisogno» di cui ho scritto è un vuoto nella mia mente. Gli eventi si stanno al contrario ridisegnando. L'avanzata senza soste dopo che a Teruel abbiamo messo in fuga i repubblicani. La traversata del fiume Ebro e la presa di Fraga. Perfino l'assalto a Lérida comincia a prendere forma. Ma per quanto mi sprema le meningi non riesco a ritrovare ciò che stavo pensando, che cosa era scritto nei diari di Oscar che ho sfogliato. Mi sento privato di qualcosa senza sapere perché.
18 novembre 1938, Ribarroya
Questa è l'ultima testa di ponte dei repubblicani. Ormai sono tutti al di là dell'Ebro e la situazione è tornata quella di luglio tranne per il fatto che ora cade la neve e che ventimila uomini hanno perso la vita sulle montagne. Ricordo tutte quelle partite a scacchi con Oscar prima che imparassi a ragionare in modo più sottile. Partivo sempre all'attacco, mentre Oscar giocava in difesa, finché, avendo capito i miei piani poco segreti, passava a un contrattacco feroce e mi spazzava via dalla scacchiera. Accade la stessa cosa ai nostri eserciti. I repubblicani attaccano e nel farlo rivelano la concentrazione delle loro forze e la pochezza dei loro scopi. Noi ci difendiamo, regoliamo la nostra reazione e li respingiamo in una posizione dove sono più deboli di quanto non fossero stati prima. Come diceva Oscar: «È sempre più facile reagire che agire per primi. Scoprirai che questo vale nell'arte come nella vita».
26 gennaio 1939, Barcellona
Ieri siamo entrati nella città deserta dietro i carri armati che non hanno incontrato resistenza. Abbiamo attraversato il Llobregat l'altro ieri e già si avvertiva la disperazione sospesa sul crollo della volontà dei repubblicani. Non c'era nessun senso di trionfo. Eravamo esausti al punto di non capire nemmeno se eravamo contenti di essere vivi. La sera avevamo il controllo della città ed è stato allora che i nostri sostenitori si sono sentiti abbastanza sicuri e si sono avventurati nelle strade per esultare e, ovviamente, per vendicarsi sugli sconfitti. Non li abbiamo fermati.