XXV

Sabato 21 aprile 2001, casa di Falcón, calle Bailén, Siviglia


Nelle pillole per dormire, qual era l'ingrediente che sopprimeva i sogni? Era lo stesso che seccava le fauci e imbottiva il cervello con asciugamani di spugna? Falcón, sdraiato al buio, si premeva i polpastrelli sul viso irrigidito come un pugile che valuta i danni dell'incontro appena disputato. E che cosa dire di quei buchi neri nella memoria? Il pensiero gli ricordò le parole di Alicia.

«Una nevrosi è simile a un buco nero nello spazio. È bizzarra e inesplicabile. Com'è possibile che accada qualcosa di così catastrofico come il collasso di una stella? Come è possibile che qualcosa accaduto a un essere umano sia così doloroso da indurci a rifiutare il suo ricordo, da farci negare parte del cervello? E c'è di più in questa analogia, perché la stella collassata esercita una tale forza gravitazionale che la sua attrazione continua a risucchiare materia nel suo universo negativo. Allo stesso modo la nevrosi attira tutte le cose positive della nostra esistenza, consumandole e rendendole anti-positive. Lei mi ha descritto alcune relazioni significative della sua vita, con la sua prima ragazza importante, Isabel Alamo, e con la sua ex moglie, Inés. Entrambe relazioni molto intense, con molta passione da parte di entrambi, ma che non hanno potuto resistere alla forza gravitazionale del buco nero dentro di lei.»

«Con Inés era solo sesso, adesso me ne rendo conto», aveva detto.

«Davvero?» aveva domandato Alicia. «Non crede possibile che sia stato a lei a voler mantenere la relazione a quel livello? Il sesso è affrontabile, l'amore è più complesso.»

«So che era sesso. Perciò questa gelosia illogica mi fa soffrire.»

«In genere il sesso si spegne da solo.»

«È esattamente quello che è accaduto. Il sesso si è spento e non è rimasto nulla.»

«Però è ancora affascinato da lei. La vuole ancora. Una parte di lei non ha chiuso del tutto con Inés… e questa è una delle ragioni per cui non riesce a parlarne con quel magistrato.»

Il pensiero ciclico lo sfibrava, si sentiva sfinito. Scese dal letto e il tonfo del diario di suo padre caduto sul pavimento lo riportò a quanto aveva letto la sera prima, alla pietà e al disgusto che aveva provato per lui. Era sbalordito davanti a quella debolezza di carattere, a quella patetica sfaccettatura della sua personalità, un aspetto completamente sconosciuto a Javier. Come era stata forte sua madre, come era stata appassionata nella sua fiducia in lui e come era stata mal ricompensata dall'ambiguità e dalla sessualità irrequieta del marito! Era fragile, quel genio, ed era solo un altro individuo con un istinto per l'indegnità.

Indossò la tuta e scese al pianterreno. La spia sul telefono lampeggiava. Ascoltò l'unico messaggio che gli era stato lasciato, pensando: nessuno mi chiama, in ufficio ho un centinaio di messaggi e a casa niente. La voce di Paco interferì con i suoi pensieri, e lo informò che una distorsione al ginocchio durante un allenamento aveva eliminato Pedrito de Portugal dalla scena, offrendo una possibilità a Pepe per il pomeriggio del lunedì seguente, lo stesso giorno in cui lui avrebbe consegnato i tori.

Falcón corse fino al fiume e lungo la riva oscura verso la Torre del Oro. Un altro corridore gli rivolse un cenno col capo e un altro ancora gli indirizzò un mezzo saluto: da quando aveva smesso la folle abitudine di pedalare da fermo, Falcón era diventato un corridore abituale. In lui si stavano aprendo strani canali: non aveva parlato ad Alicia delle lacrime assurde nel guardare il film di Ramón e di Carmen. Da dove gli veniva quel sentimentalismo assolutamente incompatibile con il suo lavoro? Quel pensiero lo costrinse a fermarsi di botto. Era senza fiato. Inconsciamente aveva accelerato la corsa per sfuggire ai pensieri disturbanti. Per questo era entrato nella polizia? Era stato per soddisfare il suo bisogno di un'osservazione spassionata delle tremende crisi della vita? Quello era forse un momento di verità? Corse fino a casa, prese una copia di ABC e trovò l'avviso del funerale di Salgado.

Al momento di spogliarsi per la doccia, il miglioramento prodotto dallo sforzo fisico era evaporato, nella schiena aveva una miriade di nervi vibranti e nello stomaco si era aperta una voragine che presentava una terrificante rassomiglianza con il buco nero descritto da Alicia. Gli parve che ogni pensiero positivo venisse risucchiato da quel precipizio e fu preso dal panico all'idea che tutto, compresa la sua salute mentale, potesse sparirvi dentro. Ingoiò un Orfidal.

Telefonò al fratello, voleva parlargli prima che se ne andasse nei pascoli per radunare i tori da trasportare a Siviglia per la corrida del lunedì seguente.

«Come va la gamba?» domandò Falcón.

«La gamba va bene», rispose Paco. «Ci sono notizie?»

«Per ora no.»

«Senti, un'altra cosa», gli annunciò Paco, «domenica saremo in otto.»

Silenzio.

«Ti eri dimenticato, vero?»

«Ho avuto troppo da fare», si giustificò Falcón. «Ricordi Ramón Salgado, il gallerista di papà? È stato assassinato ieri mattina. Devo occuparmi di quello e di altri due omicidi, perciò non ho potuto…»

«Hanno ammazzato Ramón Salgado?»

«Proprio così. Il funerale è oggi pomeriggio.»

«Non riesco a immaginare perché mai si siano presi il disturbo.»

«Qualcuno l'ha fatto.»

«Be', in ogni caso… domenica saremo in otto.»

«Rinfrescami la memoria.»

«Verremo a casa tua a pranzo, ci fermeremo a dormire, il giorno dopo andremo a mangiare fuori, sul lungofiume, e poi la corrida, seguita da una cena al ristorante. Martedì mattina torneremo alla finca.»

«Avevo dimenticato.»

«Farai bene a chiamare Encarnación.»

Falcón riagganciò e telefonò subito a Encarnación, la quale gli assicurò che avrebbe preparato le camere, ma che non le sarebbe stato possibile cucinare quella domenica. Però avrebbe mandato sua nipote. Lo pregò di lasciarle i soldi per la spesa, avrebbe comprato tutto lei più tardi. Falcón andò al bancomat in calle Alfonso XII e ritirò trentamila pesetas. Al suo ritorno, alle nove, il telefono stava squillando. Era Pepe Leal: aveva ottenuto lo spazio di Pedrito de Portugal. Falcón gli offrì un letto, ma Pepe preferiva restare con la sua squadra all'hotel Colón.

«Ci vedremo domenica sera», disse Pepe. «Parleremo un po', potrai prepararmi per lunedì, tranquillizzarmi.»

Falcón gli disse del famoso toro retinto, avvertendo l'emozione del ragazzo all'idea che le cose si mettessero finalmente bene per lui.

Alle nove e trenta Falcón chiamava Felipe, della scientifica, per vedere se fosse stato trovato qualcosa. Nella casa di Salgado non erano state rinvenute impronte. Si stavano occupando dei campioni di sangue ora, ma, fino a quel momento, erano tutti di Salgado. Falcón telefonò al Médico Forense per sapere a che punto fosse il rapporto sull'autopsia. Il medico legale non aveva ancora redatto il referto, perché aspettava alcuni risultati delle analisi del sangue dal laboratorio.

«Quando ho avuto la vittima qui ho notato che aveva tre contusioni intorno all'occhio destro», dichiarò. «Tutte le altre contusioni erano sulla parte posteriore e sul lato della testa, solo queste tre erano sulla parte frontale. E sono anche diverse dalle altre, non sono state prodotte da un oggetto duro e aguzzo, ma da qualcosa di smussato e relativamente morbido, forse un pugno. L'assassino lo ha colpito tre volte sulla faccia e mi domando perché. Dal livido si capisce che ha usato il pugno sinistro, ma so che l'assassino è destrimano.»

«Come fa a saperlo?»

«Volendo tagliare le palpebre di una persona già legata a una sedia, bisognerebbe mettersi alle sue spalle e tenerle la testa piegata all'indietro. L'incisione iniziale con il bisturi sull'occhio sinistro della vittima è stata fatta da sinistra a destra e lo stesso è stato per l'occhio destro.»

«Allora perché pensa che lo abbia colpito con il pugno sinistro?»

«Perché aveva la destra occupata.»

«Con che cosa?»

«Era infilata nella bocca della vittima che la stava mordendo.»

«Può provarlo?»

«Dopo averlo cloroformizzato per eseguire l'operazione, ha tolto i calzini dalla bocca in modo che la vittima non soffocasse mentre era priva di sensi. Quando si è ripresa, le ha infilato di nuovo i calzini in bocca, ma non è stato abbastanza rapido oppure la vittima ha avuto una reazione imprevista.»

«Ma come fa a sapere tutto questo?»

«Ho trovato sangue che non apparteneva alla vittima all'interno della sua bocca e nei calzini. Il sangue della vittima è del tipo 0 positivo, mentre questo sangue è AB positivo. Ho appena dato istruzioni di fare il test del DNA.»

Falcón riappese e subito udì il suono del cellulare. Era Felipe, con la conferma che uno degli spruzzi di sangue era di tipo AB positivo. La posizione della chiazza era a un metro e venti dalla gamba anteriore della sedia in direzione della porta. Mentre parlava il telefono fisso cominciò a squillare. Questa volta era Consuelo Jiménez.

«Come ha avuto questo numero?»

«Ho chiamato la Jefatura e mi hanno detto che lei non era ancora arrivato.»

«Alla Jefatura non danno questo numero e lei ha già quello del mio cellulare.»

«Ho il suo numero di casa da anni, me lo aveva fornito Ramón come favore», disse la signora Jiménez. «Suo padre e io ogni tanto ci sentivamo.»

«Ha qualcosa per me sul signor Carvajal?»

«Ho letto sul giornale che Ramón Salgado è stato assassinato dalla stessa persona che ha ucciso mio marito. Non mi aveva detto che gli avevano asportato le palpebre.»

«I giornali cercano il sensazionale», disse Falcón senza aggiungere altro.

«Eravamo buoni amici, Ramón e io», disse.

«Ma non tanto da farle ricordare il suo nome all'inizio delle indagini.»

«Ero sconvolta dall'intrusione dell'assassino nella nostra vita. Stavo solo cercando di esercitare un certo controllo sulle intrusioni dell'investigatore… tutto qui.»

«Si rende conto che il ritardo nello stabilire il collegamento può essere costato la vita a Ramón?» disse Falcón, esagerando volutamente per ottenere una reazione emozionale.

«Mi ha detto che vi sareste parlati.»

«Quando?»

«Ci siamo sentiti quasi tutti i giorni da quando Raúl è stato assassinato», spiegò la signora Jiménez. «Non ha controllato le telefonate?»

«Non ho ancora letto il rapporto.»

«Ramón era un uomo molto sensibile e coscienzioso.»

«Quando le ha detto che ci saremmo visti?»

«Avrebbe dovuto incontrarla ieri a colazione.»

«Le ha riferito di che cosa voleva parlare con me?»

«No.»

«Non sembra fosse per qualcosa che avrebbe potuto implicarla, no?»

«Perché avrebbe dovuto?»

«Le aveva raccontato del nostro patto?»

«No.»

«Mi avrebbe fornito un'informazione utile per sapere chi fossero i nemici di Raúl e in cambio io lo avrei lasciato per un giorno nello studio di mio padre», spiegò Falcón. «Lei sa perché volesse farlo? Passare un giorno nello studio di mio padre, voglio dire. Aveva detto che non si trattava di ragioni commerciali.»

«Era devoto a suo padre, Ramón doveva tutta la sua vita e il suo successo al genio di suo padre.»

«Allora di che si trattava? Voleva mettersi in comunicazione con lo spirito di Francisco Falcón?»

«Il cinismo non le si addice, Don Javier.»

«Quanto a fondo conosceva Ramón? Da quanto tempo lo conosceva?»

«Da quasi vent'anni.»

«Sapeva che era stato sposato?»

Silenzio.

«Sapeva che la moglie era morta dando alla luce un figlio?»

Silenzio.

«Sapeva che nel suo…» Falcón si interruppe, di colpo sopraffatto dalla futilità di tutto, la giacca greve sulle spalle.

«Pronto?» disse la donna.

«Mi dica che cosa sa di Ramón Salgado», riprese Falcón. «È stato sempre presente nella mia vita in qualche modo, compaio perfino nell'ultimo film dell'assassino, La Familia Salgado. Ma ora mi rendo conto di non conoscere nulla di lui, a parte la poco interessante superficie della sua esistenza.»

«Non posso credere che non mi abbia detto di essere stato sposato», disse lei. «Mi raccontava tutto.»

«Forse non proprio tutto.»

«Be', per esempio mi aveva confessato di aver ucciso un uomo.»

«Ramón Salgado ha assassinato qualcuno?»

«Ha detto che era stato un incidente… un incidente terribile, ma aveva ucciso qualcuno e questo gli pesava enormemente sulla coscienza.»

«Perché le avrebbe detto una cosa simile?»

«Perché io gli avevo appena raccontato tutto di me. Avevo bevuto, ero depressa dopo il secondo aborto e la fine della mia relazione con il figlio del duca. Gli ho confessato l'aborto e il modo in cui avevo guadagnato i soldi e… lei capisce, è diventata una conversazione molto personale.»

«Sono segreti gravi da condividere.»

«Eravamo due persone sole e deluse e ci siamo confidati le nostre storie in un caffè sulla Gran Vía, davanti a un brandy.»

«Le ha detto quando avrebbe ucciso quell'uomo?»

«All'inizio degli anni '60 a Tangeri. Aveva dato uno spintone a uno durante una discussione tra ubriachi, il tipo era caduto, aveva battuto la testa in un brutto punto ed era morto. Era stata messa a tacere ogni cosa, Ramón aveva sborsato un po' di soldi e aveva lasciato il paese.»

«Non crede che stesse mentendo?»

«Perché avrebbe dovuto confessare una cosa tanto terribile?»

«Se non per far sentire meglio lei? Be', la cosa poteva dare a Ramón una certa aura… un fascino di cui era assolutamente privo.»

«Posso dirle soltanto che lei non lo ha sentito pronunciare quelle parole, non ha visto quanto gli sia costato rivelarmelo.»

«Va bene», disse Falcón, «è vero, ma è stato quarant'anni fa…»

«Non è risalito a quegli anni nelle indagini sull'assassinio di Raúl? Ha detto che voleva ricostruire il quadro generale del passato. Questo fa parte di un altro passato.»

«Il problema ora è che i miei superiori e io abbiamo bisogno di un quadro generale del presente», disse Falcón. «Non posso nemmeno dimostrare che suo marito e Ramón fossero insieme a Tangeri nello stesso periodo. Non esiste nemmeno questo tenue legame.»

«Raúl aveva fatto conoscere Ramón a suo padre. Gli aveva dato una lettera di presentazione da portare con sé a Tangeri.»

«Che cosa successe in seguito tra Raúl e mio padre?» domandò Falcón, per un attimo affascinato dalla digressione. «Per quanto ne so, una volta arrivati a Siviglia non si sono mai più visti.»

«Non so, non ne ha mai parlato. Glielo avevo chiesto, ma lui non aveva risposto.»

«Va bene», riprese Falcón, tornando in argomento, «mi parli del presente nei rapporti tra Ramón e suo marito.»

«Quali rapporti?»

«È stato Ramón a presentarle Raúl, non è così?»

«Se dodici anni fa per lei è il presente, quando comincia il passato?»

«Che cosa mi dice dell'Expo '92? I nomi che le ho fatto erano collegati da…»

«Siamo solo a nove anni fa, stiamo facendo progressi, Inspector Jefe.»

«Se uno subisce violenze sessuali da piccolo, per quanto tempo crede che questo fatto segni la persona?»

Un silenzio, così profondo e prolungato che Falcón cominciò a chiedersi se Consuelo Jiménez fosse ancora all'apparecchio.

«Di che nomi stiamo parlando e che cosa hanno a che fare con le violenze ai bambini?» domandò la donna. In quel momento nella sua voce era evidente una sfumatura di rabbia.

«Questo è coperto dal segreto istruttorio», rispose Falcón, «ma un nome lo conosce… Eduardo Carvajal.»

«Se mi sta dicendo che mio marito o Ramón avevano qualcosa a che fare con un giro di pedofili dovrà risponderne a me e ai miei avvocati.»

«Continui a leggere i giornali», le disse Falcón e la signora Jiménez interruppe la comunicazione.

Pochi secondi dopo il suo cellulare squillava. Falcón non si era ancora staccato dal telefono da quando era tornato dal bancomat: il mondo intero stava convergendo su di lui.

«Dov'è?» gli domandò il Comisario Lobo.

«Non ho ancora avuto la possibilità di uscire di casa», spiegò Falcón, «ho risposto a una telefonata dopo l'altra.»

«Meglio così», disse Lobo. «Sarò in uno dei caffè della Plaza de Armas, dalla parte di avenida del Cristo de la Expiración. Tra un quarto d'ora.»

Lobo non gli aveva mai dato un appuntamento fuori dall'ufficio; e che posto per incontrarsi, poi! Poteva significare soltanto che l'argomento di cui voleva parlargli era troppo delicato per le mura piene di orecchie della Jefatura.

Falcón era nel patio quando il telefono fisso ricominciò a squillare. Tornò indietro, afferrò la cornetta. Silenzio.

«Diga.»

«Che ne pensi ora di Ramón Salgado, tío Javier?»

«Hola, Sergio», disse, la sola cosa che gli era uscita nel turbine dell'adrenalina.

«Non chiamarmi così!»

«Allora non chiamarmi zio», ribatté Javier.

«Non hai risposto alla mia domanda sulla collezione di Hieronymus Bosch del tuo vecchio amico… un luogo perfetto per custodirla, no?»

«Immagini oscene, ma, sai, in Spagna abbiamo leggi contro la violenza all'infanzia e punizioni adeguate e severe per i criminali. Non è necessario che tu…»

«Capisco dove vuoi arrivare, Inspector Jefe. A Raúl piacevano le bambine e a Ramón i ragazzini torturati… molto interessante.»

«Ed Eduardo Carvajal?»

Silenzio.

«Basta uccidere, Sergio. Non hai più bisogno di farlo.»

«Non ho ucciso nessuno. Non è stato necessario.»

«Come sta il pollice?» domandò Falcón e la comunicazione si interruppe.

Strinse furiosamente il ricevitore. Lo aveva perduto. Tutte le domande da fare e le strategie da applicare gli si erano presentate alla mente qualche secondo troppo tardi. Sbatté giù la cornetta e uscì per incontrare Lobo.

Mentre percorreva calle Pedro del Toro ripensò alla natura del silenzio che aveva seguito il nome di Eduardo Carvajal. Era stato il silenzio di chi non aveva mai sentito quel nome e Falcón comprese di aver imboccato un altro vicolo cieco.

La Plaza de Armas, un tempo la principale stazione ferroviaria di Siviglia, ospitava ora una galleria di negozi, caffè e fast-food frequentati da perdigiorno. Lobo, che indossava una giacca troppo pesante per quella giornata mite, era seduto da solo a un tavolino accanto all'antico ingresso della stazione, con davanti due tazze di caffè.

«Ha l'aria sfinita, Inspector Jefe», esordì Lobo.

«Ho appena parlato con il nostro assassino.»

«Si sta ancora divertendo?»

«Non ero pronto a una conversazione con lui dopo tutte le telefonate che ho ricevuto stamani», spiegò Falcón. «Mi ha confuso chiamandomi 'zio' e non ho avuto nemmeno la presenza di spirito di domandargli come abbia trovato il mio numero.»

«Quale numero?»

«Il vecchio numero di telefono di mio padre… non lo dava a nessuno.»

«Forse l'ha trovato in casa di Ramón Salgado.»

«Forse.»

Mentre Falcón lo metteva al corrente delle telefonate, Lobo tamburellava con le dita sul bordo del tavolo.

«Era sorpreso dal collegamento che lei ha fatto», osservò Lobo.

«Lo ammetto, mi ha scosso.»

«E dalla signora Jiménez nessuna notizia sui rapporti tra suo marito e Carvajal, se non la sua rabbia all'idea che potesse esistere un collegamento», disse Lobo. «Che cosa intende fare ora, Inspector Jefe?»

«Credo che manderò comunque il computer alla buoncostume; potremmo trovare un collegamento con Carvajal tramite quel materiale.»

«La ragione per cui siamo qui potrebbe avere a che fare con questo», dichiarò Lobo. «Il nome della MCA Consultores mi è arrivato da un'altra fonte. C'è stata una fuga di notizie. Lei ne ha parlato con qualcuno?»

«Ho nominato alcuni dei titolari alla signora Jiménez, ma non ho fatto il nome della società», rispose Falcón. «E dopo aver visto il materiale sul computer di Salgado ho deciso di informare il Juez Calderón sulla mia nuova ipotesi, il che ha comportato un riferimento alla MCA Consultores.»

«Allora la fuga è avvenuta qui», affermò Lobo. «Ecco come la notizia è arrivata al Comisario León. Molto interessante.»

«Pensa che il Juez Calderón ne abbia parlato con il dottor Spinola o con il Fiscal Jefe Bellido?»

«Come crede che abbia avuto quel posto prima ancora di compiere trentasei anni?» domandò Lobo.

«Sembra molto capace.»

«Lo è, ma suo padre è anche il marito della sorella minore del dottor Spinola. Sono parenti.»

«In che modo le è arrivato il nome della MCA?» domandò Falcón.

«Siamo tutti alla mercé delle nostre segretarie.»

«E questo come influenzerà le indagini?»

«Qualsiasi cosa succeda, ci darà un'indicazione sul grado di colpevolezza.»

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