XXIV

Venerdì 20 aprile 2001, casa di Ramón Salgado,

El Porvenir, Siviglia


Calderón prese appunti mentre l'Inspector Jefe parlava e, alla fine, accese una sigaretta. Falcón guardava il giardino rigoglioso di Salgado fuori dalla finestra.

«È di questo che era venuto a parlarmi ieri?» domandò il magistrato.

«Credo converrà con me che in questa teoria vi sono alcuni punti molto delicati», disse Falcón. «E quando ho visto il dottor Spinola uscire…»

«Il dottor Spinola non c'entra con quella società», lo interruppe Calderón bruscamente.

«Era nelle fotografie di celebrità di Raúl Jiménez. È un sia pur tenue contatto, occorreva rifletterci sopra», si giustificò Falcón, avvertendo la resistenza di Calderón e un patetico bisogno di averlo dalla sua parte. «Noterà anche come la prova di un coinvolgimento di Raúl Jiménez in episodi di violenza sui bambini sia circostanziale e debole. Ne ho fatto menzione solo per via del giro di pedofili nel quale era stato implicato Carvajal e di quanto abbiamo scoperto oggi qui.»

«Così lei crede che si debba cercare un ex bambino violentato e crede che Consuelo Jiménez sia coinvolta?» domandò Calderón.

«Sergio è un uomo, è riuscito in qualche modo ad avvicinare intimamente Eloisa Gómez, possibilmente suscitando un sentimento di empatia… forastero come lei. Non ho letto le note delle indagini su Carvajal, perciò non so quali fossero i suoi gusti, ma sembra che Salgado fosse interessato ai maschi e Jiménez alle femmine.»

«In questo caso, o Sergio agisce da solo quale vendicatore dei fanciulli violentati oppure — questa è una possibilità — qualcuno gli indica i bersagli da colpire», ipotizzò Calderón.

«Consuelo Jiménez ama i suoi figli. È vero che sono tutti maschi, ma se avesse trovato nella raccolta pornografica di suo marito qualcosa riguardante in qualche modo la violenza sessuale sui fanciulli, sono sicuro che non l'avrebbe tollerato. D'altro canto la signora conosceva Ramón Salgado…»

«Ma com'è possibile che sappia questo di lui?» domandò Calderón, battendo la mano sul computer.

«Non lo so. Sto solo ragionando sulla sua eventuale capacità di agire così, non sto provando il suo coinvolgimento», precisò Falcón. «È stata evasiva su tutto ciò che riguardava gli affari del marito; quando ho accennato alla MCA Consultores come se avessi in mano qualche carta, ha detto che non avrebbe parlato se non in presenza del suo avvocato. È una donna decisa e, anche se afferma di aborrire la violenza, ha colpito Basilio Lucena con tanta forza da far uscire il sangue. È intelligente e calcolatrice. Ma è possibile che non sappia niente della MCA Consultores e che il suo atteggiamento sia stato solo di cautela. Ha anche accettato di fare qualche ricerca sui rapporti tra suo marito e Carvajal.»

«Gli elementi sono poco consistenti, Inspector Jefe. Come ha appena detto, forse stava solo difendendo la sua vita privata nonché la sua eredità e quella dei figli. Ha colpito Lucena, ma l'ha fatto in un momento di estrema provocazione, dato il pericolo rappresentato dalla promiscuità di quell'uomo. Dopotutto, per avere successo negli affari bisogna essere intelligenti e calcolatori.»

«Ha ragione, certo», convenne Falcón, disgustato dal tono ossequioso che avvertiva nella propria voce. «Siamo d'accordo che questi omicidi sono collegati, Juez? Intendo dire che non stiamo indagando su una serie di azioni casuali. Siamo in presenza di un pluriomicida, non di un serial killer.»

Calderón si pizzicò la cartilagine dell'orecchio contemplando il piano di vetro della scrivania.

«La punizione che Sergio ha riservato alle sue due vittime principali è coerente con quanto ci si aspetterebbe da chi avesse sofferto violenza sessuale», disse dopo un po'. «Le vittime sono chiaramente scelte e il fatto che si conoscessero costituisce un legame tra loro. Sono d'accordo con lei. Sergio le ha costrette ad affrontare l'orrore degli orrori, la rimozione delle palpebre e le conseguenti mutilazioni che entrambe le vittime si sono inflitte lo indicherebbe. La domanda è: come fa Sergio a sapere queste cose? Non si tratta di informazioni di pubblico dominio, sono cose assolutamente private, sono storie segrete. Come fa Sergio a entrare nella testa della gente?»

Falcón gli parlò dell'indagine della polizia locale sull'effrazione.

«Be', se ha passato qui il fine settimana, questo farebbe pensare che avesse già preso di mira Salgado, forse conosceva addirittura il particolare orrore di cui era colpevole quest'uomo e stava soltanto cercando i mezzi per poterglielo mettere sotto gli occhi.»

«Ha l'ossessione dei filmati», disse Falcón, «li vede come memoria.»

«Sa com'è… i film, i sogni. Ci si confonde», osservò Calderón, «è comprensibile. Chiusi in un cinema buio, le immagini… non è poi tanto diverso da ciò che si vede nel sonno.»

«Abbiamo già parlato di questa sua creatività», riprese Falcón. «Sta facendo quello che ogni artista cerca di fare. Entrare nella testa delle persone e far loro vedere le cose in modo diverso; o meglio, far vedere cose che già sanno, ma in un'altra luce. E deve avere inventiva, perché la gente non conserva le tracce dei propri orrori, non è vero?»

«Le seppellisce», disse Calderón.

«Forse questa è la natura del male», suggerì Falcón, «il genio del male.»

«Perché dice così?»

«Perché è al di là della nostra immaginazione.»

Calderón si girò sulla sedia verso i quattro nudi Falcón sulla parete.

«Fortunatamente ci sono altri tipi di genio», disse. «Per riequilibrare le cose.»

«Nel caso di mio padre, credo che desiderasse di non averlo mai posseduto.»

«Perché?»

«Perché l'aveva perduto», rispose Falcón. «Se non lo avesse mai posseduto… non avrebbe mai passato il resto della vita con quel senso di perdita.»

Falcón si riavvicinò alla finestra, ora che gli argomenti personali si erano affacciati di nuovo nella conversazione. Si domandò se si potesse ancora salvare qualcosa dal naufragio: se riusciva a parlare così di suo padre, non poteva farlo anche di Inés? Perché non porgere il collo nudo a quell'uomo? Si sentì bussare alla porta, Fernández si affacciò.

«L'Inspector Ramírez ha trovato un baule in mansarda», disse. «Il lucchetto è stato segato e la polvere sulla superficie è stata smossa. Felipe sta cercando le impronte.»

Fecero trasportare il baule sul pianerottolo dopo che Felipe ebbe dichiarato che era pulito. Un baule pesante. Lo aprirono e sollevarono la carta marrone che copriva il contenuto: libri e vecchi cataloghi, copie di una rivista che si chiamava Tangier-Riviera, buste piene zeppe di foto, infilate ai lati del baule quattro bobine di nastro magnetico del tipo usato nei vecchi registratori. C'era anche la pizza di un film, ma non una cinepresa, né un proiettore. Un diario iniziava con la data del 2 aprile 1966 e finiva dopo una ventina di pagine, il 3 luglio 1968.

Quando ebbe constatato che il baule non offriva soluzioni immediate, Calderón li lasciò per andare a una riunione. Si accordarono per vedersi il lunedì seguente a mezzogiorno. Uscendo dalla casa, il magistrato si trovò davanti quattro giornalisti troppo ben informati per poter essere ignorati. Tenne una conferenza stampa improvvisata durante la quale un giornalista sostenne che i media avevano soprannominato l'assassino El Ciego de Sevilla; al che egli rispose automaticamente che non era logico chiamare l'assassino «il cieco» quando, in effetti, era vero il contrario.

«Allora lei conferma che asporta le palpebre alle vittime?» domandò il giornalista, e la conferenza stampa finì prematuramente.

Falcón e Ramírez si divisero il carico di lavoro, Ramírez ben contento di occuparsi della galleria in calle Zaragoza quando ebbe saputo che Salgado aveva una segretaria, una certa Greta, bionda e con gli occhi azzurri. Baena e Serrano continuarono la perquisizione della casa con Felipe e Jorge mentre il baule veniva trasportato nello studio e il contenuto deposto sulla scrivania. Un'ulteriore ricerca in mansarda non servì a trovare una cinepresa o l'attrezzatura per la proiezione di film, ma un vecchio registratore a bobine che Felipe riuscì a far funzionare.

Il diario sembrava la cosa giusta con cui cominciare, ma era scarsamente aggiornato. L'inizio lasciava intendere come mai Salgado avesse deciso di scriverlo: era felice, stava per sposarsi con una certa Carmen Blásquez. Falcón non aveva mai saputo che Salgado avesse avuto una moglie. Sbuffò mentre leggeva: a trentatré anni Salgado era già pieno di sé, pomposo e untuoso. «Francisco Falcón mi ha fatto il grande onore di accettare di essere mio testigo alle nozze. Il suo genio renderà l'occasione un evento di cui parlerà tutto il bel mondo di Siviglia.» Non faceva meraviglia che avesse smesso di scrivere il diario, quell'uomo non aveva niente da dire. Dava qualche emozione solo quando parlava di sua moglie. In quelle righe ogni artificio spariva e Salgado scriveva in una prosa semplice: «Amo Carmen ogni giorno di più. È una persona buona. Questo potrebbe farla sembrare noiosa, ma è proprio la sua bontà che colpisce tutti non appena la conoscono. Come dice Francisco: 'Mi fa dimenticare la bruttezza della mia vita. Quando sono in sua compagnia mi sento come se fossi stato sempre un uomo buono'».

Falcón cercò di immaginare suo padre che diceva quelle parole e decise che se le era inventate Salgado. Aprì la busta delle fotografie e ne trovò una di Carmen, datata giugno 1965, quando la donna sembrava avere poco meno di trent'anni. Niente nel suo viso colpiva l'attenzione, tranne le sopracciglia che erano corte, scure e assolutamente orizzontali, niente affatto arcuate. Le conferivano uno sguardo intenso, premuroso, facevano pensare che avrebbe saputo prendersi cura del marito.

Alla data del 25 dicembre 1967 si leggeva: «Ieri sera prima di cena sono stato riportato all'infanzia. I miei genitori ci concedevano sempre un regalo alla vigilia di Natale e Carmen mi ha fatto il più bel dono della mia vita. È incinta. Siamo felici alla follia e io mi ubriaco di champagne».

Il diario registrava poi i progressi regolari della gravidanza di Carmen intervallati da stupefacenti dettagli dei successi delle mostre e dei prezzi di vendita delle opere. Salgado faceva anche menzione dell'acquisto del registratore, sul quale avrebbe voluto incidere la voce di Carmen che cantava, cosa che non era riuscito a fare perché Carmen non sapeva essere naturale davanti al microfono. Salgado era anche affascinato dal ventre della moglie, un ventre enorme. Le aveva perfino chiesto se sarebbe stata disposta a farsi ritrarre da Falcón, ma Carmen era rimasta allibita all'idea. Il diario terminava così: «Il dottore ha acconsentito a lasciarmi registrare il primo vagito del mio bambino al suo ingresso nel mondo. La mia richiesta ha sconcertato tutti, sembra che gli uomini non assistano mai al parto. Domando a Francisco dove fosse lui quando erano nati i suoi figli e mi ha detto che non lo ricorda. Gli chiedo se fosse stato al capezzale di Pilar e lui rimane stupefatto all'idea. Sono dunque l'unico uomo di tutta la Spagna a essere affascinato da un'occasione così straordinaria? E avrei creduto che Francisco, un artista di tale genio, avrebbe trovato la nascita di un bambino irresistibile, come l'ispirazione».

Una strana osservazione con cui finire. Falcón contò i mesi e calcolò che il bambino sarebbe dovuto nascere in luglio, visto che Carmen aveva annunciato a dicembre di essere incinta. Esaminò gli altri oggetti contenuti nel baule per vedere se vi fosse una prova della nascita del bambino. In una cartellina blu tutta macchiata trovò la risposta: il certificato di morte di Carmen Blásquez datato 5 luglio 1968. Il referto medico registrava un parto catastrofico determinato da alta pressione, ritenzione di liquidi, setticemia e infine decesso della madre e del bambino.

Il pensiero del baule chiuso con il lucchetto nella soffitta di Salgado causò una terribile amarezza in Falcón. La solitudine di quell'uomo, l'uomo dalle cene solitarie, il derelitto frequentatore di negozi, il desolato perditempo che aveva dedicato tutta la vita al genio di Francisco Falcón, l'uomo che vagava per le strade, con la sua unica occasione di felicità chiusa in una cassa in un luogo asciutto e polveroso.

Rivolse l'attenzione a un'altra fotografia: sotto le sopracciglia orizzontali della mite Carmen Blásquez c'era una foto di nozze in cui Ramón e Carmen si tenevano per mano. Tutta la loro felicità era lì. Era incredibile per Falcón vedere un Salgado così giovane: i successivi trentacinque anni lo avevano imbruttito terribilmente, l'infelicità era stata un peso che portava sul volto. Le registrazioni sui nastri reclamavano l'attenzione di Falcón, che, tuttavia, continuò a frugare tra le fotografie finché non ne ebbe trovata una di suo padre seduto in un giardino con Carmen; ridevano entrambi. Era vero che suo padre aveva sempre provato attrazione per le donne buone. Sua madre, Mercedes… perfino la stravagante Encarnación veniva tollerata perché era «una donna buona». Continuando l'esame delle foto, si rese conto che lì erano state riunite tutte quelle di Carmen, foto di diversi formati, scattate con macchine fotografiche diverse e che Salgado doveva aver staccato dalle cornici e dagli album dove erano raccolte le immagini della sua vita.

I nastri. Al pensiero dei nastri, sentì le mani sudate. Non voleva ascoltare ciò che vi era inciso. Inserì le bobine nel registratore, premette il pulsante e fu sollevato nel constatare che il primo nastro non conteneva nulla.

Il secondo iniziava subito con una conversazione tra Salgado e Carmen. Salgado la implorava di cantare, lei rifiutava. Si udiva il rumore dei tacchetti della donna sul pavimento di legno mentre il marito la supplicava, arrivando perfino a dirle che così avrebbe almeno avuto qualcosa per ricordarla, se fosse morta prima di lui. La conversazione si trasformava in musica classica seguita da qualche flamenco e Falcón fece scorrere il nastro velocemente fino alla fine.

Il terzo cominciava con l'Adagio di Albinoni, poi seguivano altri pezzi emozionanti di Mahler e di Cajkovskij. Il quarto nastro quasi non riuscì a infilarlo tra le testine magnetiche, tanto le sue mani erano umide. Premette play e per qualche istante udì soltanto un sibilo etereo, poi si scatenò tutto ciò che aveva temuto. Urla, esortazioni, panico. Scalpiccio frettoloso su pavimenti duri, tintinnio di vassoi di metallo che urtavano piastrelle di ceramica, tavoli e paraventi che traballavano, tessuti che si strappavano. Un ultimo grido, come di qualcuno spazzato via dal mare senza cima di salvataggio che vedesse il suo amante sulla spiaggia, impotente e sempre più lontano. «Ramón! Ramón! Ramón!» E poi un brusco scatto e il silenzio.

La superficie di vetro della scrivania offrì un sostegno. Le urla finali di Carmen erano stati per lui tre colpi cruenti, lo avevano spezzato a metà, lasciandolo con gli organi a pezzi.

Fissò l'attenzione sul respiro… l'effetto calmante della concentrazione su un riflesso motorio. Spense il registratore, si asciugò il sudore che gli imperlava il labbro superiore, quasi sopraffatto dal rimorso al pensiero di essere stato tanto brutale con il vecchio amico di suo padre, ricordando tutte le volte che lo aveva visto davanti a casa in calle Bailén e si era detto: no, quel rompiscatole no. Ma c'era anche l'agghiacciante contenuto del computer. Che cosa era accaduto a quell'uomo dopo che aveva perduto la moglie? Era stata la sua infelicità a spingerlo, a pungolarlo lungo quella strada di indegnità fino alla definitiva, solitaria depravazione dell'autostrangolamento mentre le immagini calamitose dei bambini rovinati passavano davanti ai suoi occhi? Forse quello era nella sua natura ed egli era stato consapevole delle cose terribili che avrebbe potuto fare; ma era arrivata Carmen e lo aveva coinvolto con la sua bontà. E per le sue colpe gli era stata strappata brutalmente.

Sì, delusione era una parola irrisoria per descrivere lo stato di Salgado mentre si allontanava da quell'ospedale nel caldo spaventoso di un luglio sivigliano e muoveva i primi passi febbrili verso l'inferno.

Entrò Baena con un sacco di plastica.

«Abbiamo finito con la casa, Inspector Jefe», disse, porgendogli il sacco. «Serrano ha fatto il giardino con Jorge. L'unica cosa interessante è questa. Una frusta. Di quelle che i bigotti fanatici usano per flagellarsi. Mea culpa. Mea culpa.»

«Dov'era?»

«In fondo all'armadio a muro nella camera da letto», disse Baena. «Niente corone di spine o maglie di crine, però.»

Falcón grugnì una risata e disse a Baena di inventariare il contenuto del baule prima di farlo trasportare alla Jefatura. Lasciò a Serrano il compito di mettere i sigilli alla casa e si diresse verso il centro della città. Parcheggiò in Reyes Católicos e fece un rapido spuntino con una tapa di solomillo al whisky, per avviarsi subito dopo verso la galleria di Salgado in calle Zaragoza. Il locale delle esposizioni era buio.

Greta, la segretaria di Salgado, svizzera di nascita, sedeva alla scrivania in fondo al locale con le mani strette fra le ginocchia, fissando il vuoto, gli occhi gonfi e sciupati dal pianto.

«Dovrebbe andare a casa», le disse Falcón, ma Greta non voleva restare sola. Gli confidò che erano dieci anni che lavorava per Salgado, avevano programmato una festa di anniversario per la prossima Feria. Si lasciò andare ai ricordi, alle frasi fatte su «quant'era buono» Ramón. Falcón le chiese se le venisse in mente qualche artista che avesse detestato Ramón, che fosse stato respinto da lui, forse.

«Entra sempre qualcuno in galleria, studenti, giovani. Mi occupo io di loro. Non capiscono come funziona il mercato dell'arte, Ramón non opera a quel livello. Alcuni di loro escono di qui infuriati, come se noi non fossimo degni del loro genio, mentre con altri si parla e, se li trovo simpatici, lascio che mi mostrino i loro lavori. Se sono buoni, dico loro a chi portarli. Ramón non li vedeva mai.»

«Quanti di loro le hanno mostrato opere che comprendono film, video o immagini computerizzate?»

«Più della metà. Oggigiorno non molti di questi ragazzi dipingono.»

«Non è lo stile che piaceva a Ramón, vero?»

«Non è lo stile dei suoi clienti. Sono piuttosto conservatori, non ne capirebbero il valore. A questo livello si tratta più che altro di denaro e di investimenti… e un CD con qualcosa di creativo dentro non dà la sensazione, non ha l'aspetto di un investimento da dieci milioni di pesetas.»

«Tra quelli rappresentati, c'era qualche artista affermato che fosse scontento di lui?»

«No, Ramón era molto vicino ai suoi artisti, non faceva quel genere di errori.»

«E negli ultimi sei mesi? Ricorda niente di strano, qualche episodio sgradevole o umiliante…»

«Non era molto concentrato sul lavoro, era preoccupato per sua sorella, e poi è stato molto all'estero, principalmente in Estremo Oriente… Thailandia, Filippine.»

Il pensiero di Salgado che cercava soddisfazione ai suoi bisogni con i fanciulli orientali si cristallizzò nella mente di Falcón. Si sentì sudicio di fronte alla bionda Greta, lui con la sua consapevolezza recente, lei con i suoi ricordi intatti. Si rese conto che la verità aveva degradato lui e l'ignoranza elevato lei.

«Ramón non parlava mai di sua moglie?» le domandò.

«Non sapevo che fosse stato sposato», si meravigliò Greta. «Era molto riservato. Ho sempre pensato che non fosse il tipico spagnolo, in lui c'era parecchio della riservatezza svizzera.»

Siamo a tal punto diversi a seconda delle persone con le quali siamo in rapporto, pensò Falcón. Salgado era tranquillo, autorevole, gentile e riservato con una donna sulla quale non aveva bisogno di fare colpo, eppure con Falcón era sempre stato ossequioso, seccante, smanioso di compiacere e pomposo. Avendo una buona memoria, disse a se stesso, potremmo essere chi vogliamo con chiunque, tutti noi attori e ogni giorno una nuova commedia.

Salì nell'ufficio di Salgado al piano superiore, in quel momento occupato da Ramírez e Fernández in maniche di camicia, intenti a sfogliare carte ai due lati della scrivania.

«Non stiamo facendo progressi qui», lo informò Ramírez. «Il meglio che abbiamo ricavato ce lo ha fornito Greta nella prima mezz'ora e cioè l'elenco dei clienti, quello degli artisti che rappresentava un tempo, quelli attuali e quelli che non ha voluto rappresentare. Il resto sono lettere, fatture, la solita roba. Nessuna corrispondenza tra lui e la signora Jiménez, nessun biglietto di Sergio con scritto: 'Sei fottuto'.»

Si era fatto tardi e Falcón disse loro di smettere. Tornò aña Jefatura. Il baule trovato nella mansarda di Salgado era già lì. Prese la pellicola e la inserì nel proiettore di Raúl Jiménez, già pronto. Il film era probabilmente un regalo, forse dello stesso Jiménez. Consisteva in sette sequenze di Ramón e di Carmen, felici in ogni ripresa. Evidentemente Salgado adorava sua moglie; lo sguardo che le rivolgeva quando la donna si girava verso la cinepresa e il modo in cui i suoi occhi indugiavano sulla guancia di lei non lasciavano dubbi in proposito.

Falcón rimase seduto al buio in compagnia della luce tremolante delle immagini. Non riusciva a controllarsi, ma non c'era nessuno per cui doversi controllare e perciò pianse, senza sapere perché e disprezzandosi per questo, come era solito disprezzare il pubblico che piagnucolava per il rozzo sentimentalismo degli spettacoli cinematografici.

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