XV

Lunedì 16 aprile 2001, casa di Falcón, calle Bailén, Siviglia


Un'altra sveglia a ventimila volt, come se avesse avuto un attacco di cuore e fosse stato riportato in vita dal defibrillatore. L'orologio gli comunicò che erano le sei, il che significava un sonno di un'ora e mezzo, o meglio, non un sonno, ma una specie di morte. Il cervello: strano organo che lo teneva sveglio con pensieri tormentosi su suo padre, sulla Guerra civile, sull'arte, sulla morte… e poi, proprio quando stava per rinunciare alla possibilità di riuscire mai più a dormire, buio totale. Nessun sogno. Nessun riposo, ma un attimo di respiro. Il cervello, incapace di sostenere più a lungo quel farfugliare incessante, aveva abbassato la saracinesca.

Con il cuore in tumulto, si trascinò alla cyclette e cominciò a pedalare finché non ebbe la sensazione di essere inseguito, tanto che si girò a guardarsi alle spalle. Si fermò e, smontando dal sellino, si domandò se non gli facesse male, psicologicamente, sprecare tanta energia per non andare da nessuna parte. Una stasi agitata. Ma ne aveva bisogno, per acquietare quei pensieri ciclici. Ciclici? Sì, stava semplicemente facendo al corpo ciò che faceva alla mente. Corse sino al fiume e proseguì fino alla Torre del Oro e ritorno. Non incontrò nessuno.

Arrivò per primo in ufficio dopo aver guidato attraverso le vie silenziose, e sedette alla scrivania, desolato in quell'arredamento spartano e nel silenzio massiccio di cemento della Jefatura. Ramírez si presentò alle otto e trenta e Falcón lo accolse con la notizia della scomparsa di Eloisa Gómez. Controllò se fossero stati segnalati incidenti, ma l'attività era stata scarsa; dopo una settimana di appassionata Mariolatria e di baccanali Siviglia era troppo sfinita per avere la forza di sollevare un ricevitore.

Ramírez tirò fuori la busta che aveva ritirato dalla sezione informatica. Tutte le otto immagini del cameraman del cimitero erano là e l'operatore aveva reso più nitidi i due fotogrammi migliori. Ma non potevano comunque servire; gli occhi non si vedevano, il naso era in ombra sotto la visiera del berretto da baseball e la linea del mento era nascosta dal collo della giacca. Il colore e la grana dalla ristretta porzione di pelle visibile non erano distinguibili. L'operatore del computer aveva mostrato le foto a un esperto di televisione a circuito chiuso, il quale aveva azzardato l'ipotesi che l'assassino fosse maschio, tra i venti e i quarant'anni.

«Non ci aiuterà», disse Ramírez, «ma almeno avremo qualcosa da servire sul piatto del Juez Calderón. Il nostro primo avvistamento dell'assassino… sempre meglio che nessun avvistamento.»

«Ma chi è?» domandò Falcón, sorprendendo Ramírez con un'improvvisa esplosione di collera. «Agisce da solo? Lo paga qualcuno? Qual è il suo movente?»

«Siamo poi sicuri che per la vittima fosse uno sconosciuto?» domandò a sua volta Ramírez, assumendo il tono di Falcón.

«Io sì. Non vorrei doverlo provare in tribunale, ma sono certo che abbia avuto le informazioni dalle Mudanzas Triana, che abbia usato Eloisa Gómez per entrare nell'appartamento e che per uscire abbia atteso che arrivasse la domestica. E che sia stato fatto tutto per confonderci.»

«Allora credo che dovremmo far venire qui Consuelo Jiménez e metterla sotto torchio a proposito dell'avvistamento… stare a vedere se crolla», suggerì Ramírez. «È la sola persona che fosse vicina alla vittima, in possesso di tutte le informazioni e in possesso di un movente solido.»

«A questo punto preferisco lavorare con Consuelo Jiménez invece che contro di lei. Devo vederla a mezzogiorno per stabilire chi fossero le persone che avevano rapporti di affari con Jiménez e dividerle tra quelle che avevano un motivo per ucciderlo e quelle che non l'avevano.»

«Questo non conferisce a quella donna il controllo dell'indagine, Inspector Jefe?»

«Non proprio… perché noi svolgeremo altre indagini indipendenti. Lei ha trovato quel Joaquín López del Cinco Bellotas. Merita di essere interrogato. E Pérez può andare in Comune a cercare i nominativi delle aziende che hanno avuto contatti con la commissione per gli appalti dell'Expo '92. Fernández andrà all'ufficio Licenze e tirerà fuori dei nomi, e dopo potrà dare un'occhiata al dipartimento d'Igiene e ai vigili del fuoco e solo quando avremo controllato tutto, fino a quelli che frequentano i ristoranti per vendere fiori ai clienti che dimenticano di essere romantici, solo allora lasceremo in pace la signora Jiménez. Perciò lavoreremo con lei, ma dovrà sentire la nostra pressione sul collo.»

«E il racket locale?»

«Se si fosse trattato di questo, sarebbe stato incendiato uno dei ristoranti, non avrebbero torturato e ucciso il proprietario. Ma terremo gli occhi aperti.»

«La droga?» suggerì Ramírez. «Visto che abbiamo a che fare con un comportamento estremo, con una violenza da psicopatico…»

«Parli con la squadra narcotici, veda se Raúl Jiménez o qualcuno collegato con lui sia mai stato fermato o arrestato per spaccio.»

Gli altri uomini della squadra arrivarono nel quarto d'ora successivo e Falcón li mise al corrente, mostrò le immagini riprese dalla videocamera e li spedì a portare a termine una giornata di lavoro pesante e noioso. Si informò da Serrano sul cloroformio e sugli strumenti chirurgici; nessuna notizia dagli ospedali, che stavano ancora controllando le loro scorte. E stava proseguendo la ricerca nei laboratori. Poi mandò Baena alle Mudanzas Triana per interrogare i dipendenti e accertare che cosa avessero fatto il sabato mattina durante il funerale di Raúl Jiménez. Uscirono tutti. Falcón parlò lungamente al telefono con Calderón, che lo aveva chiamato, nonché con il Comisario Lobo. Normalmente quelle interminabili ripetizioni lo avrebbero irritato, ma quel giorno furono i suoi interlocutori a concludere per primi la telefonata. Subito dopo si dedicò alle sue scartoffie, cosa che non faceva mai il lunedì mattina, specialmente durante un'indagine. Uscì presto per andare all'appuntamento con la signora Jiménez, al ristorante.

Cominciarono col guardare il video dei partecipanti al funerale. La signora Jiménez diede un nome a tutti e spiegò il loro rapporto con suo marito. Non c'era niente di insolito tra la folla. Ricostruirono le ultime ventiquattr'ore di Raúl Jiménez e poi la sua ultima settimana, gli incontri, le colazioni di lavoro, i ricevimenti, le discussioni con l'impresa di costruzioni, con il vivaista che aveva progettato il giardino, con il tecnico dell'aria condizionata. Fornì un elenco di società con le quali il marito aveva trattato negli ultimi sei anni, persone che avevano avuto successo negli affari, altre che avevano fallito, altre ancora con le quali aveva interrotto i rapporti. Era difficile credere, dopo quanto aveva detto Ramón Salgado, che gli unici possibili nemici di Raúl Jiménez fossero i macellai, i pescivendoli e i fioristi che avevano perso le forniture ai ristoranti. Gli sguardi di Consuelo Jiménez al suo costoso orologio si fecero più frequenti e Falcón si decise a porre la domanda importante.

«Abbiamo controllato tutto tranne la commissione dell'Expo '92», disse. «Posso vedere i documenti sull'Expo?»

«Quali documenti?»

«I dati in possesso di suo marito.»

«Non sono qui», replicò la signora Jiménez, «e nemmeno a casa.» Chiamò la segretaria.

Falcón le rivolse la stessa domanda e ricevette una risposta ben preparata dalla donna, che guardava la signora Jiménez con l'aria di aspettarsi un aumento di stipendio. Quest'ultima cominciò a fargli fretta, a invocare la scusa dei figli. Falcón rimase seduto a guardarla mentre, in piedi accanto alla porta, tamburellava nervosamente sulla borsetta.

«Mi è stata molto utile», disse e lo pensava veramente, perché la visita calcolata di lei a casa sua la sera prima e la sua collaborazione selettiva di quella mattina gli avevano rivelato per la prima volta la possibilità che la volitiva Consuelo Jiménez si fosse trasformata, per ambizione, in una donna senza scrupoli.

Andò a casa per colazione. Encarnación gli aveva lasciato una grossa scodella di fabada asturiana: fagioli, chorizo, morcilla. Non aveva appetito, ma sperava che il piatto pesante e i due bicchieri di vino lo inducessero al sonno. Si sdraiò, la mente piena di dubbi a proposito del suo modo di condurre le indagini. Lo stomaco brontolava come una vecchia conduttura intasata, i muscoli delle gambe si contraevano: stasi agitata, ancora una volta. Invocò il sonno, ma inutilmente. Allora decise di telefonare a Ramón Salgado, ricordando subito dopo che quel giorno Salgado era andato a prendere sua sorella a San Sebastián per portarla a Madrid.

Le mani erano sudate sul volante mentre tornava in ufficio, le viscere irritate per l'unto della fabada, la lingua che pareva foderata di camoscio. Non riusciva a fissarsi su un solo pensiero e a portarlo alla sua conclusione. Un senso di disperazione scivolò come grasso rancido in quel miscuglio e permeò tutto. Si fermò in República Argentina e telefonò al dottore, il quale non poteva riceverlo fino all'indomani mattina. Aveva davanti a sé la notte da superare e l'idea lo agghiacciò, pur comprendendo quanto fosse ridicola. Ripensò a com'era stato solo cinque giorni prima, a quanto fosse stato bello quel senso di equilibrio. Sentì le lacrime a fior di pelle e dovette premere la fronte sul volante. Ma che gli stava succedendo?

Sceso dall'auto, si asciugò gli occhi e si riscosse, entrò nel bar più vicino e ordinò qualcosa che non beveva mai: brandy. Questo bevevano sempre nei film. Il grande riequilibratore del sistema nervoso. Il barman recitò dei nomi, Soberano, Fundador. «Uno qualsiasi», disse Falcón, e ordinò anche un café solo, per nascondere l'odore nell'alito.

Il liquore gli spaccò in due i polmoni e per un attimo rimase senza fiato. Giocherellò con la tazzina del caffè, spaventato al pensiero che la mano sul bancone d'acciaio non fosse la sua. La scosse, piegò le dita, si tastò il viso. Il barman lo osservava, asciugando una fila di bicchieri.

«Un altro?» domandò.

Falcón annuì, incapace di credere a ciò che stava facendo. Il liquido ambrato fu versato nel bicchiere e Falcón invidiò la mano ferma del barman… ah, poter reggere una bottiglia sull'orlo di un bicchiere senza perderne totalmente il controllo. Trangugiò il secondo brandy, si scottò il palato con il caffè, sbatté una banconota sul banco e uscì.

Nel parcheggio della Jefatura si calmò, riuscì a rallentare il ritmo dei pensieri, strizzandosi la testa tra le mani. Nel suo ufficio era accesa la luce. Ramírez, le spalle alla finestra, stava leggendo un rapporto e lo commentava con qualcuno seduto davanti alla scrivania. Si accorse che la gente lo guardava in maniera strana mentre saliva le scale e deviò verso la toilette per controllarsi allo specchio. Aveva i capelli ritti e arruffati come un mare in tempesta, le guance colorite e gli occhi rossi, il colletto della camicia fuori dal bavero della giacca e il nodo della cravatta allentato. Il guscio si stava spezzando. Si inumidì il viso con l'acqua fredda, ma le viscere in subbuglio lo costrinsero a chiudersi in un gabinetto. Cibo avariato. Forse si trattava soltanto di questo, pensò disperatamente, la fabada di Encarnación andata a male.

Sentì aprire la porta della toilette e la voce di Ramírez.

«… per quel che ne so, se la starà pure scopando.»

«L'Inspector Jefe?» esclamò Pérez incredulo.

«Probabilmente è a terra per via del divorzio.»

Tacquero rendendosi conto che un gabinetto era occupato.

I due uscirono e Falcón si lavò le mani, restituì dignità al suo abbigliamento, si ravviò i capelli.

Gli altri erano nel suo ufficio, sulla scrivania il rapporto della scientifica.

«Niente di importante?» domandò.

«Niente che possa aiutarci», rispose Ramírez.

«Che cosa aveva da dire Joaquín López?»

«È stato molto interessante, specialmente a proposito della moglie», disse Ramírez, incapace di nascondere la sua antipatia per la signora Jiménez. «Sembra che le trattative fra Raúl Jiménez e il signor López fossero molto avanti, avevano discusso di tutto e si erano accordati sulla somma. Gli avvocati stavano già preparando il contratto.»

«E poi López ha visto Consuelo Jiménez e…» disse Falcón.

«Proprio così… ha visto la moglie. E lei non sapeva nulla della trattativa.»

«Probabilmente Raúl Jiménez pensava di essere padrone di vendere.»

«Sì. Era così infatti. Ma sia lui sia Joaquín López avevano sottovalutato il potere della signora. Sono andati a pranzo insieme per conoscersi, il signor López era rimasto impressionato dal modo in cui erano gestiti i ristoranti. L'arredamento, tutte le cose che faceva Consuelo Jiménez.»

«Non mi dica che le ha offerto un lavoro.»

«Ci stava pensando, l'incontro al ristorante era appunto per vedere se a lei sarebbe andata l'idea di continuare a occuparsi dei ristoranti o se il fatto di non essere più la moglie del proprietario avrebbe fatto una differenza.»

«E l'incontro è andato male?»

«Lei lo ha gelato immediatamente. Joaquín López ha capito che era stato già tutto deciso in precedenza, Raúl Jiménez era come un cane bastonato accanto alla moglie. Il signor López non si è nemmeno preso la briga di richiamare, aveva capito benissimo che l'affare era saltato.»

«E che interpretazione dà di questo fatto?» gli domandò Falcón.

«Credo che l'abbia ammazzato lei», rispose Ramírez. «Può pensare che abbia scelto un modo molto elaborato per farlo, ma è proprio questo il punto. Quella donna ha tanto successo nel lavoro perché sta attenta ai particolari, studia ogni dettaglio dal principio alla fine, non lascia niente al caso, si tratti di controllare che le cucine ricevano i prodotti giusti o di pianificare l'omicidio del marito.»

«Sa una cosa?» disse Falcón. «Sono d'accordo con lei. Credo che ne sia capace.»

Ramírez si sentì allargare il cuore. Andò alla finestra e guardò dall'alto il parcheggio come se avesse contemplato il suo regno.

«Ma potrebbe esserci qualcos'altro», riprese Falcón. «Apparentemente ha collaborato di sua spontanea volontà e lei e io abbiamo avuto un incontro proficuo questo pomeriggio, anche se mi ha detto molto poco. E quando le ho chiesto di farmi vedere i documenti relativi all'Expo '92, ne ha negato l'esistenza e ha indotto la segretaria a fare altrettanto.»

«Ma è follia», intervenne Pérez, «deve esserci una traccia!»

«Un'altra cosa: Raúl Jiménez era un uomo d'affari di grande successo. Proveniva da una famiglia di contadini dell'Andalusia e a detta del figlio era privo di scrupoli nelle sue azioni. Al punto che trentasei anni fa gli rapirono il figlio minore, probabilmente per vendetta, e lui praticamente non collaborò con la polizia e lasciò la città con la famiglia. In seguito ha cancellato sistematicamente qualsiasi ricordo del bambino. Lo ha fatto perché si è trovato davanti a una scelta: perdere tutto o perdere tutto tranne la ricchezza e la posizione sociale.»

«Non sono sicuro di capire dove vuole arrivare, Inspector Jefe», disse Ramírez.

«Che cosa ha impedito a Raúl Jiménez di vendere i ristoranti?» domandò Falcón.

«La moglie.»

«Ma per questo la signora non aveva bisogno di eliminarlo fisicamente, non è vero? Anche se, con quello che sappiamo del marito, si potrebbe dedurre che non le restasse altra scelta.»

«Lo ha minacciato di rivelare tutto!» esclamò Pérez.

«Su un figlio rapito trentasei anni fa?» obiettò Ramírez. «Joder!»

«Lei non ne sapeva nulla. L'ho informata io solo dopo aver parlato con José Manuel Jiménez», spiegò Falcón.

«E allora che cosa aveva in mano per ricattarlo?»

«Qualcosa che riguarda l'Expo '92», affermò Falcón. «Credo che nelle carte del marito abbia scoperto un livello di corruzione quale non si è mai visto nella storia economica della Spagna.»

«Ma perché nasconderlo, ormai?»

«Perché ha ottenuto ciò che voleva. I ristoranti», rispose Falcón. «Quelle carte potrebbero compromettere la sua posizione. Se saltasse fuori che era un corrotto, la cosa avrebbe un effetto negativo sull'attività e lei rischierebbe di perdere tutto.»

«Perciò la morte del marito le ha fatto molto comodo», osservò Ramírez.

«Ma non sarebbe stato più logico che fosse il marito a uccidere la moglie, dato il tipo che era?» domandò Pérez. «In quel modo avrebbe potuto evitare lo scandalo e vendere i ristoranti.»

«Si ammazza quando la logica va a quel paese», disse Ramírez, guardando Pérez come se fosse un traditore della causa.

«Facciamo un controllo completo del passato di Consuelo Jiménez… ufficiale e non», disse Falcón. «Ha parlato di una galleria d'arte di Madrid dove avrebbe lavorato e di una storia con il figlio di un duca finita con un aborto nel 1984.»

«È pulita, secondo i dati della polizia», ammise Ramírez. «Ho qualche contatto a Madrid che sta controllando in altro modo per vedere se ha avuto a che fare con la narcotici o con la buoncostume.»

«E la commissione per gli appalti?» si informò Falcón, e Pérez, posata una scatola sulla scrivania, cominciò a estrarre fasci di carte.

«Qui troverà i nominativi e gli indirizzi di tutte le società coinvolte in progetti edili di una certa importanza per l'Expo '92. Questo è un elenco delle aziende che hanno realizzato progetti di costruzioni al di fuori dell'area dell'Expo, progetti finanziati in tutto o in parte dallo stato. In genere si tratta di condomini di abitazione in aree residenziali dei dintorni, come Santiponce e Camas. Questa è una lista di tutte le ditte che hanno lavorato all'interno dei padiglioni: progettisti, elettricisti, tecnici del suono, dell'aria condizionata, piastrellatori… pavimentisti.»

«Che cosa vuole dirmi, Subinspector?» domandò Falcón.

«In questo librettino sono elencati tutti quelli che hanno lavorato nei padiglioni o che hanno rifornito i padiglioni, ristoranti, bar, negozi…»

A questo punto Ramírez si avvicinò alla scrivania, incombente, afferrandone il bordo.

«Senta, Inspector Jefe, non ignoriamo certo che cosa è successo. Si sono ingrassati tutti con l'Expo. Ma è una cosa di dieci anni fa e sappiamo bene come bastino pochi giorni, ore perfino, perché si cominci a confondere tutto. E noi che cosa cerchiamo? Cerchiamo il tizio che non ha fatto fortuna? E dove può essere? Vogliamo trovare quello che è stato fregato? Dove lo cerchiamo? E sarà poi in questi elenchi di aziende e di persone? E se fosse così, da dove cominciamo? Dalle industrie vetrarie? Dalle cave di marmo? Dalle fabbriche di piastrelle? Sarebbe un'impresa colossale anche per una squadra speciale anticorruzione, figuriamoci poi per noi sei del Grupo de Homicidios. Dovremmo avere una pista calda per poterci muovere a questo livello.»

Falcón si fece scrocchiare le dita a una a una. Era stato un bel discorso, ma non sembrava farina del sacco di Ramírez. Tanto per cominciare era stato un ragionamento serrato e la mente di Ramírez non funzionava in quel modo. Era un individuo impulsivo, reattivo, insistere per mettere Consuelo Jiménez sotto torchio sarebbe stato maggiormente nelle sue corde.

«Così voi due pensate che dovremmo costruire un caso contro Consuelo Jiménez?»

Ramírez annuì. Pérez si strinse nelle spalle.

«Quella donna è un osso duro», riprese Falcón, «e non credo che abbiamo un sufficiente numero di elementi contro di lei per farla sentire anche solo a disagio. Dobbiamo scavare più a fondo.»

«E farla sorvegliare?» domandò Ramírez.

«Al momento non posso giustificare la spesa. Ho bisogno di qualcosa di più contro di lei. La pista dell'amante si è rivelata un vicolo cieco e il movente di Joaquín López non è ancora abbastanza solido, anche se vale la pena di parlarne con il giudice Calderón.»

«Il signor López si è offerto di collaborare in ogni modo.»

«Ne sono certo.»

«E se a Madrid trovassero qualcosa su di lei… la farebbe sorvegliare?»

«Se fosse stata implicata in un altro caso di omicidio, sì. Se si trattasse di un furtarello in un negozio, no.»

«Per inchiodarla sul serio dovremmo trovare un collegamento tra la signora e il cameraman del cimitero», disse Pérez, osservazione che non fece progredire la discussione.

«Che cosa stava facendo quell'individuo al funerale?» domandò Falcón. «Dovete chiedervi questo come prima cosa. Aveva portato a termine il suo compito. Se ha agito su commissione, perché filmare la cerimonia?»

«Forse sta organizzando un piccolo ricatto», suggerì Pérez.

«Non è molto credibile, Subinspector.»

«Anche la scomparsa di Eloisa Gómez è poco credibile?» osservò Ramírez. «La moglie l'ha vista sul video che stavamo guardando dopo che avevano portato via il cadavere.»

«Io credo si tratti di una cosa tra l'assassino ed Eloisa…»

«Alla moglie potrebbe non essere piaciuta l'idea di un complice in libertà», suggerì Pérez.

«Provate a pensare perché l'assassino stia facendo questi giochetti con il cellulare di Eloisa Gómez», disse ancora Falcón. «Perché quella frase sulla storia da raccontare?»

«Quale frase?» domandò Ramírez.

«Ve l'ho riferita.»

«Ci ha riferito di 'Siamo vicini?' e 'Più vicini di quello che pensa'», disse Ramírez, «ma 'Una storia da raccontare' no, non ce l'ha mai detto.»

Falcón, stupito e imbarazzato, si preoccupò all'idea dei vuoti della sua memoria. Il brandy. Raccontò tutto ciò che era successo sul ponte.

«È una diversione», affermò Ramírez.

«È follia», disse Pérez.

«È difficile da comprendere comunque, ma, considerata insieme con la comparsa della videocamera al funerale, potrebbe significare che l'assassino agirà di nuovo», disse Falcón. «Dobbiamo avere la mente aperta, non possiamo escludere altre possibilità per concentrarci unicamente su Consuelo Jiménez.»

Ramírez cominciò a passeggiare nervosamente avanti e indietro. Falcón congedò i due uomini, ma richiamò Pérez.

«Voglio che faccia un paio di controlli in base a questi elenchi», disse Falcón. «Prenda i primi due e scopra quali di queste aziende esistono ancora. Poi trovi i nomi degli amministratori di quelle società tra il 1990 e il 1992. Solo questo, poi lasciamo cadere la cosa.»

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