Giovedì 12 aprile 2001, Edificio Presidente,
Los Remedios, Siviglia
Falcón incaricò Ramírez di interrogare i manovali della ditta di traslochi, in modo particolare di chiedere loro quando fossero arrivati e ripartiti e se la loro attrezzatura fosse mai rimasta incustodita.
«Crede che sia entrato così?» domandò Ramírez, un uomo che, per sua natura, era incapace di limitarsi a eseguire.
«Non è facile entrare e uscire da questo palazzo senza essere notati», rispose Falcón. «Se la domestica conferma di aver trovato la porta chiusa a chiave stamani quando è arrivata, è possibile che l'assassino abbia usato l'autoscala per entrare. Se non era chiusa, allora dovremo controllare le registrazioni delle telecamere di sicurezza.»
«Una bella resistenza nervosa, aspettare qui più di dodici ore, Inspector Jefe», osservò Ramírez.
«E poi scivolare via quando la domestica è fuggita dopo aver trovato il cadavere.»
Ramírez si morse il labbro inferiore, poco convinto della possibile esistenza di un essere umano dotato di simili nervi d'acciaio, e lasciò la stanza come se temesse di poter essere trattenuto da altre domande.
Falcón sedette alla scrivania di Raúl Jiménez. Tutti i cassetti erano chiusi a chiave. Ne scelse a caso una dal mazzo posato sul piano e aprì i cassetti laterali, poi scoprì che con un'altra delle chiavi poteva aprire quello centrale. Trovò qualcosa soltanto nei due cassetti superiori ai lati. Falcón frugò in un mucchietto di conti, tutti recenti. Una fattura attirò la sua attenzione, non tanto perché fosse di un ambulatorio veterinario per la vaccinazione di un cane quando non c'era traccia di cani nell'appartamento, quanto perché era stata emessa dall'ambulatorio di sua sorella e la firma era la sua. La cosa lo disturbò, il che era illogico. Cercò di cancellare quel particolare dalla mente, considerandolo un'altra apparente coincidenza.
Esaminò il contenuto del cassetto centrale, parecchie scatole vuote di Viagra e quattro videocassette dai titoli eloquenti quali Cara o Culo II, seguito del film di cui era stata lasciata la custodia vuota sul mobile del televisore. Si rese conto che non era stata trovata la cassetta porno proiettata mentre Raúl era con la prostituta. Richiuse il cassetto e cominciò un'ispezione accurata delle fotografie sulla parete alle sue spalle. Forse Raúl Jiménez aveva conosciuto suo padre: dopotutto Francisco Falcón era un pittore famoso, un personaggio noto a Siviglia e Raúl Jiménez, a quanto pareva, era stato un collezionista di celebrità. Man mano che osservava le immagini però, passando dal centro alla periferia dell'esposizione, si accorse che quelle erano celebrità di un genere diverso. C'erano Carlos Lozano, il presentatore di El Precio Justo; Juan Antonio Ruiz, conosciuto nell'arena come «Espartaco»; Paula Vásquez, presentatrice di Euromillón: tutte facce televisive. Mancavano gli scrittori, i pittori, i poeti, i registi teatrali. Nessun anonimo intellettuale. Quello era il volto superficiale della Spagna, era la gente di Hola! oppure la borghesia: la polizia, gli uomini di legge, i funzionari che avevano reso più facile la vita di Raúl Jiménez. I brillanti e gli avidi.
«Ha trovato la persona che cercava?» domandò la voce della signora Jiménez alle sue spalle.
Si era tolta il soprabito e, gli occhi cerchiati di rosso nonostante il trucco restaurato, si appoggiava alla spalliera di una sedia.
«Mi dispiace che abbia visto», disse Falcón, accennando al televisore.
«Ero stata avvertita», ribatté lei, estraendo un pacchetto di Marlboro Light dalla tasca del cardigan nero e accendendone una con il Bic posato sulla scrivania. Gli offrì una sigaretta prima di gettare il pacchetto sul tavolo. Falcón scosse la testa: era ormai abituato a quell'esame rituale e non se ne curava. Serviva a dare tempo anche a lui.
L'uomo vide davanti a sé una donna più o meno della sua stessa età, dall'aspetto molto curato, forse sin troppo curato. Le dita, con le unghie troppo lunghe e troppo rosse, erano cariche di anelli e gli orecchini che ammiccavano dal caschetto biondo le appesantivano i lobi. Il trucco, nonostante si trattasse di un ritocco, era stato applicato pesantemente. Il cardigan era l'unica cosa semplice nel suo aspetto. L'abito nero sarebbe andato bene, se non fosse stato per una bordura di pizzo che, in luogo di far pensare al lutto, richiamava maldestramente qualcosa di sessuale. Le spalle erano ampie, il busto eretto, le forme piene, ma senza traccia di grasso in eccesso. I muscoli del collo che le incorniciavano la laringe e i polpacci ben delineati dalle calze nere suggerivano la frequentazione di centri di benessere e di palestre. Si poteva definirla una bella donna.
Lei, dal canto suo, vide davanti a sé un uomo in buona forma fisica, con un abito dal taglio perfetto e i capelli folti prematuramente ingrigiti, un uomo che tuttavia, come tanti del suo genere, non avrebbe mai pensato di restituire loro il nero originario. Portava scarpe con i lacci e dal modo in cui erano stati stretti si capiva che Falcón non era il tipo da sbottonarsi con facilità. Il fazzoletto spuntava dal taschino della giacca, un fazzoletto immancabile secondo lei, ma che certamente non veniva mai usato. Probabilmente possedeva una gran quantità di cravatte e le portava sempre, anche nei weekend, forse perfino a letto. Vide un uomo chiuso, impacchettato e legato, un uomo che non si apriva mai, il che, anche se lei ne dubitava, era forse una deformazione professionale. Consuelo Jiménez non vedeva davanti a sé un sivigliano, non un sivigliano normale, comunque.
«Doña Consuelo, poco fa ha affermato che tra lei e suo marito non esistevano segreti, o quasi.»
«Dovremmo metterci a sedere», replicò la donna indicando con le dita che stringevano la sigaretta la poltrona del marito dietro la scrivania. Fece ruotare con una certa destrezza quella dei visitatori, per poi sedersi con una mossa rapida appoggiandosi a un bracciolo, le gambe accavallate così da far salire l'orlo di pizzo sul polpaccio.
«È sposato, Inspector Jefe?»
«Questa è un'indagine sull'omicidio di suo marito», affermò asciutto Falcón.
«È pertinente.»
«Ero sposato.»
La donna aspirò il fumo, toccandosi la punta delle dita con il pollice, come se contasse.
«Non c'era bisogno che specificasse questo particolare, sarebbe bastato rispondere 'sì'.»
«Non possiamo perdere tempo con questi giochetti», ribatté Falcón. «Ogni ora che passa ci allontana dal momento della morte di suo marito e queste sono ore importanti; contano più di quelle, diciamo, dei prossimi tre o quattro giorni.»
«È separato da sua moglie?»
«Doña Consuelo…»
«Sarò breve», lo interruppe lei, scacciando con la mano il fumo tra loro.
«Ci siamo separati.»
«Dopo quanto tempo?»
«Diciotto mesi.»
«Come l'aveva conosciuta?»
«È un pubblico ministero, ci siamo incontrati al palazzo di giustizia.»
«Un'unione tra cercatori della verità, allora», commentò lei e Falcón cercò dell'ironia nella sua osservazione.
«Non stiamo facendo progressi, Doña Consuelo.»
«Io credo di sì.»
«Può darsi che io stia soddisfacendo la sua curiosità, ma…»
«È più che curiosità.»
«Lei sta ribaltando la procedura. Sono io che devo informarmi su di lei.»
«Per scoprire se ho ucciso mio marito. O se l'ho fatto uccidere.»
Silenzio.
«Vede, Inspector Jefe, lei verrà a sapere tutto di noi, scaverà nella nostra esistenza, scoprirà ogni cosa sugli affari di mio marito, frugherà nella sua vita privata, tirerà fuori le sue piccole miserie, i suoi filmetti a luci rosse, le sue puttane da quattro soldi, le sue sigarette da poco prezzo.»
Si sporse in avanti, prese il pacchetto di Celtas e lo fece scivolare sulla superficie della scrivania mandandolo a cadere in grembo a Falcón.
«E non mi lascerà in pace, sarò io la sua principale sospettata. Lei ha visto quella cosa orribile», soggiunse la signora Jiménez accennando al televisore alle sue spalle.
«Calle Río de la Plata 17?»
«Esattamente. Il mio amante, Inspector Jefe. Senza dubbio parlerà anche con lui.»
«Come si chiama?» domandò Falcón, tirando fuori la penna e il taccuino, per la prima volta finalmente convinto di essere al lavoro.
«È il terzo figlio del Marqués de Palmera. Si chiama Basilio Tomás Lucena.»
Aveva avvertito una punto di orgoglio nella risposta? Falcón prese nota.
«Quanti anni ha?»
«Trentasei, Inspector Jefe. Ma io non avevo ancora finito di spiegarle…»
«Però stiamo facendo progressi.»
«Aveva conosciuto un altro?»
«Chi?»
«Il suo pubblico ministero.»
«Questo non è…»
«L'aveva conosciuto?»
«No.»
«Dev'essere dura», affermò la donna, «credo che sia molto più dura.»
«Che cosa?» domandò Falcón, pentendosi subito di essere caduto nella trappola.
«Essere lasciato perché lei preferiva stare da sola.»
La risposta lo trapassò come un ago incandescente. Lentamente Falcón rialzò la testa.
La signora Jiménez si guardava intorno come se non fosse mai stata lì.
«Sapeva che suo marito faceva uso di Viagra?»
«Sì.»
«Il suo medico lo sapeva?»
«Immagino di sì.»
«Lei deve essere stata consapevole dei rischi, per un uomo di più di settant'anni.»
«Era forte come un toro.»
«Aveva perso peso.»
«Ordini del dottore. Colesterolo.»
«Doveva essere una persona molto attenta alla sua salute.»
«Lo ero io per lui, Inspector Jefe.»
«Come ristoratore, con tutto quel cibo in giro, avrei creduto che…»
«Assumo e dirigo io tutto il personale dei ristoranti», lo interruppe la donna. «Erano minacciati di licenziamento in tronco, nel caso gli avessero dato anche soltanto una briciola.»
«È stata costretta a licenziarne molti?»
«Sono sivigliani, Inspector Jefe, e, come probabilmente sa, i sivigliani raramente prendono qualcosa sul serio. Ne abbiamo persi tre prima che capissero.»
«Io sono sivigliano.»
«Allora deve aver vissuto altrove a lungo per acquistare la sua… severità.»
«Sono stato dodici anni a Barcellona, quattro a Saragozza e quattro a Madrid prima di tornare qui.»
«Non sembra una promozione.»
«Mio padre si era ammalato. Ho chiesto il trasferimento per stargli vicino.»
«Si è ripreso?»
«No. Non è riuscito ad arrivare al nuovo millennio.»
«Ma noi ci siamo già conosciuti, Inspector Jefe», disse la donna, spegnendo il mozzicone di sigaretta.
«Allora non lo ricordo.»
«È stato al funerale di suo padre. Stiamo parlando di Francisco Falcón, non è così?»
«Non riusciva a crederci, vero?» ribatté Falcón, pensando: vediamo se questo ti fa cambiare tono.
«Era lui che cercava nelle foto?» domandò la donna e l'uomo annuì. «Non lo troverà. Non era il genere di celebrità di Raúl. Non frequentava mai i nostri ristoranti, dubito che si conoscessero. Sono stata al funerale perché io lo conoscevo. Possiedo tre dei suoi dipinti.»
Falcón cercò di immaginare suo padre con Consuelo Jiménez. Gli erano sempre piaciute le donne attraenti, specialmente se compravano i suoi stupidi quadri… ma questa? Forse, però, si sarebbe interessato a quella creatura che vestiva in modo vagamente eccessivo, con un rasoio al posto della lingua e una buona capacità di intuizione. La gente che comprava i suoi quadri in genere cercava di dire qualcosa di «intelligente». Come se ci fosse stato qualcosa di intelligente nella sua pittura. Consuelo Jiménez no. Lei avrebbe trovato parole diverse da dire a suo padre, avrebbe forse fatto un'osservazione personale, perfino tentato di scoprire il suo gioco, cosa che gli altri, sotto il riflesso abbagliante della sua fama colossale, non avrebbero mai osato fare. Sì. Suo padre sarebbe stato attratto da lei. Senza alcun dubbio.
«Così era completamente coinvolta nell'attività di suo marito?» domandò.
«Che cosa ne è stato della casa in calle Bailén?»
«Ci vivo io. E lei lo saprebbe certamente se suo marito avesse qualche nemico, non è vero?»
«Ci vive da solo?»
«Proprio come mio padre», rispose Falcón. «Suo marito… deve aver calpestato parecchie persone prima di raggiungere la vetta. Probabilmente molti là fuori sarebbero…»
«Sì, molti sarebbero contenti di vederlo morto, specialmente quelli che lui aveva corrotto e che ora sono liberi dal peso dei loro obblighi.»
Un'unghia indicò con derisione l'estremità della galleria fotografica, quella dei funzionari.
«Se è al corrente di qualcosa… potrebbe essere d'aiuto.»
«Non mi dia retta, sto scherzando», disse Consuelo Jiménez. «Se ci fosse stata corruzione io non lo avrei saputo direttamente. Io dirigevo i ristoranti, curavo l'arredamento, mi occupavo delle decorazioni floreali, controllavo che i prodotti della cucina fossero di prima qualità. Ma, come può immaginare anche senza aver conosciuto mio marito, non sono entrata mai in contatto nemmeno con una peseta di denaro vero e nemmeno ho mai trattato con la gente di potere, legale o no, che ha permesso a Raúl di costruire, che gli assicurava le licenze e che faceva in modo che non vi fossero… imprevisti.»
«Perciò è possibile che…»
«Molto improbabile, Inspector Jefe. Se c'è qualcosa di marcio in quel settore, nei ristoranti lo si avverte subito e nessun cattivo odore ha mai raggiunto il mio naso.»
Falcón decise di aver dato mano libera a quella donna troppo a lungo. Era venuto il momento che si rendesse veramente conto di ciò che era accaduto in quella stanza, che smettesse di considerarla una notizia che non la toccava personalmente. Era tempo di farle cambiare idea.
«In questo istante stanno eseguendo l'autopsia sul corpo di suo marito. Dovremo poi recarci all'Instituto Anatómico Forense in modo che lei possa identificare il cadavere. Potrà rendersi conto che l'assassinio di suo marito è stato del tutto insolito, il più insolito che io abbia mai visto nella mia carriera.»
«Ho visto con i miei occhi il genere di produzione messa in scena dall'assassino, Inspector Jefe. Per spiare in quel modo una famiglia bisogna essere profondamente disturbati.»
«Lei ha visto le ultime immagini della cassetta e forse non ha compreso ciò che stava vedendo. Suo marito si stava intrattenendo con una prostituta, qui, ieri sera. L'assassino ha filmato tutto. Crediamo che sia entrato nell'appartamento molto tempo prima, verso mezzogiorno, approfittando dell'autoscala della ditta di traslochi, e che si sia nascosto qui, aspettando il suo momento.»
La donna spalancò gli occhi. Afferrato il pacchetto di sigarette, ne accese una e si passò una mano sulla fronte.
«Sono stata qui ieri pomeriggio con i miei figli prima di andare all'hotel Colón», disse, in piedi ora, camminando su e giù davanti alla scrivania.
«Abbiamo trovato suo marito seduto su quella sedia», spiegò Falcón, senza staccarle gli occhi di dosso. «Gli avambracci, le caviglie e la testa erano stati legati alla sedia con un filo elettrico. Era scalzo, perché i calzini erano stati usati per imbavagliarlo. Lo avevano costretto a guardare qualcosa sullo schermo, qualcosa di così orribile che lui ha lottato con tutte le sue forze per cercare di sottrarsi.»
Mentre parlava Falcón si rese conto che ciò era vero soltanto in parte: l'orrore sullo schermo probabilmente era stato l'inizio, ma Raúl Jiménez era stato indotto a dibattersi convulsamente perché, risvegliandosi dalla sua agonia, aveva scoperto che un pazzo gli aveva asportato le palpebre. In quel momento doveva aver compreso di non aver più niente da perdere e aveva cominciato a lottare disperatamente finché il cuore aveva ceduto.
«Che cosa era stato obbligato a guardare?» domandò la signora Jiménez confusa. «Io non ho visto…»
«Ciò che ha visto conteneva una certa dose di orrore che la toccava personalmente, sapere di essere spiati dà i brividi, ma non è certamente così orrendo da spingere all'automutilazione pur di non dover guardare.»
La donna, che era tornata a sedersi dritta sulla poltrona, le ginocchia strette come una bambina beneducata, si sporse in avanti e si afferrò le caviglie, ripiegandosi su se stessa.
«Non riesco a immaginare», disse dopo un po', «non riesco a immaginare niente di così terribile.»
«Nemmeno io», ammise Falcón.
La signora Jiménez aspirò una boccata di fumo, poi lo sputò quasi ne fosse disgustata. Falcón la osservava, cercando un indizio di finzione nel suo atteggiamento.
«Non ci riesco», ripeté la donna.
«Deve sforzarsi, Doña Consuelo, perché dovrà ripensare a ogni minuto trascorso con Raúl Jiménez e dovrà dirmi anche tutto ciò che sa della sua vita prima che vi incontraste, dovrà dire tutto… a me e allora, forse, noi due insieme potremo trovare la piccola crepa, la…»
«La piccola crepa?»
La mente di Falcón si vuotò. Di quale crepa stava parlando? Di una fessura. Di un'apertura. Ma su che cosa?
«Potremo scoprire qualcosa che ci permetta di dare uno sguardo all'interno. Sì, uno sguardo all'interno.»
«Su che cosa?»
«Su ciò di cui suo marito aveva paura.» Falcón perse il filo dei suoi pensieri.
«Mio marito non aveva niente da temere. Non c'era niente di spaventoso nella sua vita.»
Falcón riprese il controllo. Paura? A che cosa aveva pensato? Che cosa stava per rivelargli la paura di quell'uomo?
«Suo marito aveva gusti particolari», riprese Falcón, tastando il pacchetto di Celtas. «Eccoci qui, in uno dei condomini più prestigiosi di Siviglia, o perlomeno lo era quindici anni fa…»
«Cioè quando abbiamo comprato l'appartamento», lo interruppe lei. «A me non è mai piaciuto, qui.»
«E dove stavate per trasferirvi?»
«A Heliópolis.»
«Un luogo altrettanto lussuoso», osservò Falcón. «Suo marito possedeva quattro tra i migliori ristoranti di Siviglia, frequentati da gente danarosa, potente, celebre, eppure… Celtas. E le fumava togliendo il filtro. Eppure… una prostituta da poco prezzo raccolta sull'Alameda.»
«Si tratta di cosa recente. Risale a non più di due anni fa, quando è stato scoperto il Viagra. Per tre anni prima di allora è stato impotente.»
«I suoi gusti in fatto di tabacco probabilmente derivano dal tempo in cui era povero. Quando?»
«Non lo so, non ne parlava mai.»
«Da dove veniva?»
«Non parlava mai nemmeno di questo; quelli della sua generazione non amano rivangare il passato, un passato che per noi spagnoli non è poi tanto glorioso.»
«Che cosa sa dei genitori di suo marito?»
«Sono morti entrambi.»
Consuelo Jiménez non lo guardava più, i suoi occhi di ghiaccio azzurro vagavano irrequieti per la stanza.
«Quando vi siete conosciuti?»
«Alla Feria de Abril nel 1989. Ero stata invitata nella sua caseta da un comune amico. Raúl ballava magnificamente la sevillana, non si limitava a strascicare i piedi come fanno in genere gli uomini, lui l'aveva nel sangue. Eravamo una bella coppia di ballerini.»
«Lei aveva passato da poco i trent'anni, non è vero? E lui ne aveva sessanta.»
Un'ultima, lunga boccata, poi Consuelo Jiménez spense con forza la sigaretta, si avvicinò alla finestra divenendo una sagoma scura contro il cielo di un azzurro brillante e incrociò le braccia sul petto.
«Sapevo che sarebbe successo», disse alla fine, le labbra quasi a contatto con il vetro freddo. «Questo scavare, questo rivoltare tutto. Perciò ho preteso qualcosa da lei prima che cominciasse. Non volevo vomitare la mia vita dentro gli ingranaggi della polizia, i meccanismi che incapsulano la vita della gente e la riducono in formato A4, che non hanno spazio per le sfumature e le ambiguità, che non vedono il grigio, ma solo il bianco e il nero e in realtà soltanto il nero.»
La donna si voltò e Falcón si spostò sulla sedia, cercando di vedere meglio il suo viso; accese la lampada sulla scrivania e ricominciò lo studio di Consuelo Jiménez in quella luce più calda. Forse la durezza che la donna aveva mostrato all'inizio l'aveva imparata vivendo con Raúl Jiménez e lavorando per lui. L'abito, i gioielli, le unghie, i capelli… forse era stato Raúl a volerla così e lei li indossava come un'armatura.
«Il mio lavoro è arrivare alla verità», le disse. «Lo faccio da più di vent'anni. In questo periodo io… e la scienza dell'investigazione abbiamo elaborato centinaia di tecniche che ci aiutano ad arrivare a una verità dimostrabile. Vorrei poterle dire che è ormai una scienza esatta, che è effettivamente una scienza, ma non posso, perché, come l'economia, altra cosiddetta scienza, ha a che fare con gli uomini e dove sono coinvolti gli esseri umani c'è variabilità, ambivalenza, imprevedibilità… Questo risponde ai suoi interrogativi, Doña Consuelo?»
«Dopotutto forse il suo lavoro non è tanto diverso da quello di suo padre.»
«Non capisco.»
«Lasci perdere», tagliò corto la donna. «Mi chiedeva come ci siamo conosciuti mio marito e io. La differenza di età.»
«Ho soltanto trovato insolito che una donna attraente di poco più di trent'anni…»
«Potesse stare con un vecchio rospo come Raúl», terminò lei. «Sono certa di poter trovare una spiegazione soddisfacente, qualcosa sulla stabilità economica e affettiva dell'uomo maturo, ma credo che noi due ci comprendiamo, non è così? Perciò le dirò le cose come stanno. Raúl Jiménez non mi ha dato tregua, mi ha fatto pressione, mi ha messo alle corde, mi ha supplicato. Mi ha stremato al punto che non ho resistito e gli ho detto di sì. E dopo aver passato mesi a evitare quella parola, in effetti a dire no, no, no, una volta pronunciato, quel 'sì' mi ha… mi ha liberato.»
«Liberato da che?»
«Immagino che abbia conosciuto delle delusioni», disse la signora Jiménez. «Quando sua moglie l'ha lasciata, per esempio. Quanti anni aveva sua moglie, a proposito?»
«Trentadue», rispose Falcón, senza più opporsi alle sue digressioni.
«E lei?»
«Quarantaquattro a quel tempo.»
Doña Consuelo sedette nella poltrona di pelle con le gambe accavallate e fece girare il sedile da una parte all'altra.
«Come avrà già capito, io non sono di Siviglia», disse. «Vivo qui da più di quindici anni ma non sono una di loro, sono madrileña. In realtà vengo da un pueblo dell'Estremadura, appena a sud di Plasencia. I miei genitori lasciarono il paese quando io avevo due anni. Sono cresciuta a Madrid.
«Nel 1984, quando lavoravo in una galleria d'arte, mi innamorai di un cliente, il figlio di un duca. Non l'annoierò con i particolari… le dirò solo che rimasi incinta. Lui mi disse che non potevamo sposarci e mi pagò il viaggio in aereo fino a Londra per abortire. Ci salutammo all'aeroporto di Barajas e da quella volta l'ho rivisto soltanto sulle pagine di Hola! Mi trasferii a Siviglia nel 1985. C'ero stata in vacanza e mi era piaciuta l'alegría della città. Quattro anni dopo — quattro anni senza molta alegría, devo dire — conobbi Raúl. Ero pronta per Raúl. La delusione mi aveva preparato.»
«Da come parla si direbbe che fosse pazzo di lei. Avete avuto tre figli. Sembra che lavorare per lui le sia piaciuto. La decisione di accettare la sua proposta, come ha detto lei stessa, deve averle semplificato la vita.»
La signora Jiménez frugò nei cassetti della scrivania finché non ebbe trovato un mucchietto di vecchie foto in bianco e nero fra le quali cercò rapidamente, scegliendone una che si premette sul petto.
«Sì, me l'ha semplificata», disse, «fino a quando non ho visto questa…»
Gli porse la fotografia e Falcón fece passare lo sguardo dall'immagine a lei e viceversa.
«Se non fosse per il neo sul labbro, non riuscirebbe a distinguerci, non è vero, Inspector Jefe? Sembra anche che fosse un po' più bassa di me.»
«Chi è?»
«La prima moglie di Raúl», rispose la donna. «Ora capisce, Inspector Jefe, Consuelo una volta, Consuelo per sempre.»
«E che ne è stato di lei?»
«Si è suicidata. Nel 1967. Aveva trentacinque anni.»
«Per qualche ragione?»
«Raúl diceva che era cronicamente depressa. Quello era il suo terzo tentativo. Si è gettata nel Guadalquivir, non da un ponte, però, dalla riva, una cosa che mi è sempre parsa strana. Non spegnersi con le pillole per dormire, non punirsi selvaggiamente tagliandosi i polsi, non tuffarsi nell'oblio in modo che tutti vedano, ma buttarsi via.»
«Come immondizia.»
«Sì. Suppongo di sì», convenne la donna. «Raúl non mi ha mai parlato di questo, tra parentesi. L'ho saputo da un suo vecchio amico del tempo di Tangeri.»
«Io sono cresciuto a Tangeri», osservò Falcón, il suo cervello incapace di resistere a un'ennesima coincidenza apparente. «Come si chiamava l'amico di suo marito?»
«Non ricordo. È stato dieci anni fa e davvero troppi nomi mi sono passati davanti dopo di allora. Lavorando nei ristoranti, capisce…»
«Suo marito ha avuto figli da quel matrimonio?»
«Sì. Due. Un maschio e una femmina. Avranno cinquant'anni ora, o quasi. La figlia… sì, questo è interessante. Circa un anno dopo il nostro matrimonio arrivò qui una lettera da un posto che si chiamava San Juan de Dios.»
«È un centro per malattie mentali nei dintorni di Madrid, a Ciempozuelos.»
«Come sa ogni madrileño. Ma quando gliene parlai, Raúl inventò una storia ridicola, finché non gli misi davanti un conto di quell'istituto. Allora fu costretto a rivelarmi che sua figlia era ricoverata là da più di trent'anni.»
«E il figlio?»
«Non l'ho mai conosciuto. Raúl non si lasciava convincere ad affrontare quell'argomento. Per lui era un capitolo chiuso, finito. Non si parlavano e io non so nemmeno dove viva, anche se ora dovrò cercare di scoprirlo, immagino.»
«Conosce il nome?»
«José Manuel Jiménez.»
«E il cognome della madre?»
«Bautista, sì, e aveva un nome strano: Gumersinda.»
«I figli erano nati a Tangeri?»
«Sì, penso di sì.»
«Farò una ricerca via computer.»
«Non ne dubito.»
«Non parlava mai di Tangeri, suo marito?»
«Si tratta di molto tempo fa. Parliamo dei primi anni '40 e '50. Credo che sia venuto via di lì poco dopo l'indipendenza, nel 1956, e non penso che si sia stabilito subito a Siviglia, ma non posso esserne sicura. So soltanto che nel 1967, quando sua moglie si è uccisa, vivevano in una mansarda in uno dei condomini in plaza de Cuba. Erano nuovi allora.»
«E vicino al fiume.»
«Sì, lei deve aver guardato molto il fiume. Può esercitare una forza ipnotica, un fiume di notte. Acque nere, lente, che non sembrano così pericolose.»
«Che cosa sa di suo marito e…»
«Lo chiami Raúl, Inspector Jefe.»
«… e delle sue relazioni personali e di affari tra, diciamo, la morte della prima moglie e il vostro incontro alla Feria nel 1989?»
«È storia vecchia, Inspector Jefe. Crede che sia importante?»
«No, ma è per capire lo sfondo. In una sola mattina devo sapere tutto su una vita intera. Devo inserire la vittima nel giusto contesto, se voglio avere una possibilità di scoprire il movente. Nella maggior parte dei casi, le vittime sono uccise da gente che conoscono…»
«O che credono di conoscere.»
«Precisamente.»
«L'assassino ci conosceva, non è vero? La felice famiglia Jiménez.»
«Sapeva di voi.»
Del tutto inaspettatamente il viso di lei si contrasse e la donna si mise a piangere, scoppiando in singhiozzi strazianti e lasciandosi cadere in ginocchio. Falcón avanzò verso di lei, incerto sul da farsi in una situazione del genere. Consuelo Jiménez avvertì la sua presenza e gli tese una mano. Falcón le porse una scatola di fazzoletti di carta, indugiando accanto a lei come un goffo cameriere. La signora Jiménez tornò ad accasciarsi nella poltrona, ansante, gli occhi neri e scintillanti.
«Mi stava chiedendo delle relazioni personali e di affari», disse alla fine, lo sguardo fisso nel vuoto fuori dalla finestra.
«Aveva quarantaquattro anni quando morì la prima moglie. Non posso credere che sia vissuto per vent'anni senza…»
«Naturalmente ci sono state altre donne», lo interruppe lei brusca, in collera ora, probabilmente furiosa con lui a causa della sua curiosità e dell'inutilità di tali domande. «Quante non so, immagino che fossero molte, ma nessuna per lungo tempo. Più d'una ha cercato di vedermi… di vedere la conquistatrice della devozione di Raúl. La maggior parte di loro aveva affilato le unghie, pronta a graffiare. Sa come sono riuscita a liberarmene, Inspector Jefe? Ho dato loro la soddisfazione di credermi una sciocca puttanella. Sa, un pochino cursi, grossolana. Le ho rese felici. Si sono sentite superiori e da quel momento mi hanno lasciato in pace. Qualcuna è diventata un'amica… nel senso sivigliano del termine.»
«E gli affari?»
«Raúl ha aperto i ristoranti dopo il boom del turismo degli anni '80, quando la gente ha scoperto che in Spagna non c'era soltanto la Costa del Sol. All'inizio è stato per divertimento. Era un uomo molto socievole e non vedeva perché mai non dovesse ricavare del denaro da ciò. Il primo locale è stato quello a El Porvenir, per i suoi amici ricchi, poi ne ha aperto uno a Santa Cruz per i turisti, così come l'altro, grande, vicino a plaza de la Alfalfa. Dopo il nostro matrimonio ne ha aggiunti due sulla costa e l'anno scorso abbiamo inaugurato quello a La Macarena.»
«Come ha cominciato a fare soldi?»
«Ne ha fatti molti a Tangeri, dopo la Seconda guerra mondiale, quando la città era un porto franco. In quei giorni c'erano migliaia di aziende là. Raúl aveva perfino una banca sua e un'impresa di costruzioni. Era un posto dove ci si arricchiva facilmente allora, come certamente saprà.»
«Ero molto piccolo, non ho nessun ricordo della città», disse Falcón.
«Negli anni '60 ha fondato una compagnia di trasporti qui a Siviglia e credo che per un certo tempo abbia avuto anche una fabbrica siderurgica. Poi si è dedicato alle proprietà immobiliari ed è diventato socio di un'impresa edile, la Hermanos Lorenzo, che ha lasciato nel 1992.»
«Sono rimasti in buoni rapporti?»
«I Lorenzo sono clienti abituali dei nostri ristoranti. Noi abbiamo portato i bambini nella loro casa di Marbella ogni estate fino a quando Raúl non si è stancato.»
«E così, a parte la morte della moglie e la pazzia della figlia, lei non crede che vi siano stati altri problemi importanti nella vita di Raúl?»
La signora Jiménez rimase per un po' in silenzio, guardando fuori dalla finestra, dondolando un piede, la scarpa quasi sfilata.
«Sto cominciando a pensare che Raúl fosse la quintessenza dello spagnolo, forse anche del sivigliano. La vita è una fiesta!» osservò, tendendo le mani in direzione dell'area della Feria. «Era come lo vede in quelle fotografie. Sorridente. Allegro. Affascinante. Ma è una maschera, Inspector Jefe. Una maschera che nasconde un'assoluta infelicità.»
«Forse anche un modo per tenere a bada la malinconia, un antidoto», ribatté Falcón, non trovandosi d'accordo con lei, pensando che anche lui era spagnolo e che non si considerava infelice.
«No, un antidoto no, perché la sua alegría non aveva nessun effetto contrastante. Non era in nessun modo un rimedio contro la sua condizione essenziale che, mi creda, era di infelicità abietta.»
«E lei non ne ha mai scoperto la ragione profonda?»
«Non voleva che la scoprissi e non lo desideravo nemmeno io. Aveva capito molto presto che, se visivamente io ero la sostituta di sua moglie, non ero, tuttavia, il suo clone. Dopo avermi corteggiato in modo folle, non è assolutamente riuscito ad amarmi. Credo, in realtà, di averlo reso ancora più infelice, ricordandogli continuamente la donna che aveva perso. Però ha tenuto fede ai patti, lo dico a suo credito.»
«Quali patti?»
«Era deciso a non volere altri figli, mentre io li desideravo molto. Gli avevo detto che non lo avrei sposato, se non mi avesse voluto dare dei bambini. Così… ci siamo accoppiati, credo che sia la parola giusta, nelle tre occasioni necessarie. Per il più piccolo ce l'ha fatta a stento. Il Viagra non era ancora stato scoperto.»
«E così lei si è trovata Basilio Lucena.»
«Non ho ancora finito di parlare dei miei figli», ribatté seccamente la donna. «Dopo aver detto di non volerli, è letteralmente impazzito per loro, era protettivo in modo incredibile, ossessivo. Era fissato con la sicurezza. Qualcuno doveva sempre andarli a prendere a scuola, non uscivano mai da soli, non potevano nemmeno giocare senza essere sorvegliati. E ha visto la porta d'ingresso dell'appartamento? È stata blindata dopo la nascita del nostro ultimo figlio. Sei sbarre d'acciaio sono incorporate nella struttura e con cinque giri di chiave vengono inserite nel muro. Neppure in ufficio abbiamo una porta così, sebbene là ci sia una cassaforte.»
«Di regola chi chiudeva a chiave la porta, la sera?»
«Lui. A meno che fosse lontano e in quel caso mi chiamava all'una o alle due di notte per assicurarsi che lo avessi fatto.»
«La chiudeva anche quando era solo in casa?»
«Sono sicura di sì. Ripeteva di continuo che doveva diventare un'abitudine, solo così non ce ne saremmo dimenticati.»
«Non gli ha mai chiesto la ragione di tale comportamento un po' strano, ossessivo?»
«Mi commuoveva pensare che tenesse tanto ai nostri figli.»
Ramírez chiamò sul cellulare. Aveva finito con gli addetti ai traslochi: non era stato facile farli parlare, ma alla fine avevano ammesso di essersi allontanati durante l'intervallo di mezzogiorno, lasciando sul posto l'autoscala, perché bisognava portare giù un altro cassettone. L'autoscala non funzionava se il motore non era acceso, ma la piattaforma saliva su binari che di per sé erano praticamente una scala. Nessuno era tornato nell'appartamento dopo che il cassettone era stato calato. Falcón gli ordinò di controllare le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso insieme a Fernández e al portiere, e riattaccò.
«Vorrei parlare di Basilio Lucena», disse.
«Non c'è niente di cui parlare.»
«Avevate qualche progetto?»
«Progetto?»
«Suo marito era vecchio. Non le è mai venuto in mente…?»
«No… mai. Basilio e io stiamo bene insieme, andiamo anche a letto, naturalmente, ma non è una grande passione. Non siamo innamorati.»
«Stavo ripensando a quel figlio del duca di cui mi ha parlato.»
«Era una cosa diversa», affermò lei. «Non ho nessuna intenzione di approfondire la relazione con Basilio. In effetti credo che potrei anche mettere fine in questo istante alla mia storia con lui.»
«Davvero?»
«Sarò al centro dell'attenzione generale. Credevo, dato che ha un padre famoso, che lei avrebbe capito. Ci saranno chiacchiere e voci maligne, non dissimili dai sospetti che lei è pagato dallo stato per nutrire. Pettegolezzi, certo… ma cattivi, e io voglio proteggere i miei figli.»
«Era lei o suo marito ad avere nemici?»
«La gente mi giudica come una donna non all'altezza del suo sposo, dipendente da lui, una che, nella vita, sarebbe stata un fallimento, se non avesse incontrato Raúl Jiménez. Ma se ne accorgeranno», soggiunse, contraendo i muscoli del viso, «se ne accorgeranno.»
«Conosce i termini del testamento di suo marito?»
«Non l'ho mai visto firmare un testamento, ma sapevo quali fossero le sue intenzioni. Avrebbe lasciato tutto a me e ai nostri figli, con qualche lascito alla figlia, alla sua hermandad e alla sua istituzione benefica preferita.»
«Qual è?»
«Nuevo Futuro: in particolare gli interessavano i niños de la calle.»
«Ragazzi abbandonati, di strada?»
«Perché no?»
«In genere si aiutano le opere di carità per un motivo. Una moglie muore di cancro e il marito dona del denaro per la ricerca sui tumori.»
«Diceva di aver cominciato a dare il suo contributo dopo un viaggio in America centrale. Era stato molto colpito dalla piaga dei bambini rimasti orfani a causa delle guerre civili in quei paesi.»
«Forse era lui stesso un orfano della Guerra civile.»
Consuelo Jiménez si strinse nelle spalle. La penna di Falcón si spostò sul taccuino fino alla parola putas, sottolineata.
«E le prostitute?» domandò, scaraventando la parola nella stanza. «Lei non ha visto la parte della cassetta che riguarda suo marito sull'Alameda. Avrebbe potuto permettersi di meglio in ambienti meno pericolosi. Perché pensa che…?»
«Non chieda a me perché gli uomini vadano con le prostitute», rispose la donna; poi, quasi in un ripensamento: «La sua infelicità, forse».
«Sulla quale lei non sa gettare alcuna luce.»
«Si parla di certe cose solo se si vuole o se se ne è capaci. Una sofferenza tale da rendere mio marito così infelice con ogni probabilità era sepolta tanto profondamente che nemmeno lui sapeva più che cosa fosse. Era il suo stato normale. Come si comincia a parlare di una cosa del genere?»
Le parole di Consuelo Jiménez produssero un momentaneo stato di assenza in Falcón. La sua mente balzò indietro alle prime ore dell'indagine e di nuovo si scontrò con la paura, con quel panico incombente. Camminava nel corridoio, così come aveva fatto anche l'assassino, lo stesso percorso verso la parete nuda con il gancio illuminato dalla luce proveniente dalla stanza degli orrori. E poi la faccia e gli occhi di quell'uomo e la terrificante implacabilità di ciò che essi avevano visto.
«Don Javier», disse la donna, riportandolo di colpo alla realtà: non aveva usato il suo titolo questa volta.
«Mi dispiace», si scusò, «mi ero perso. Ero altrove, per meglio dire.»
«Non in un luogo dove avrei voluto essere anch'io», osservò lei.
«Stavo soltanto riesaminando mentalmente una cosa.»
«Allora deve aver visto qualcosa di terribile. Ha detto lei stesso che l'assassinio di Raúl è il più insolito della sua carriera.»
«Sì, l'ho detto, ma questa è una cosa del tutto diversa», ribatté Falcón. E si trovò sull'orlo di una confessione: una situazione, pensò, in cui l'Inspector Jefe del Grupo de Homicidios non avrebbe mai dovuto trovarsi.