ESTRATTI DAI DIARI DI FRANCISCO FALCÓN

2 luglio 1948, Tangeri

Spremo i colori a olio sulla tavolozza. Li pugnalo col pennello. Li induco a mescolarsi. P. è distesa sul divano. È nuda, le braccia appoggiate al cuscino, le caviglie incrociate, il corpo pieno per la gravidanza. Le ho messo una collana, stringendogliela intorno al collo (questo non le piace), e lasciandola ricadere sulla schiena morbida. Premo il colore sulla tela. Scivola via dolcemente, muove il pennello, sono vicino, sono molto vicino. C'è forma.


17 novembre 1948, Tangeri

P. è enorme, il ventre tesissimo, i seni, con i loro grossi capezzoli scuri, sono divaricati e poggiano sui fianchi come due fagotti. Ha un odore diverso. Di latte. Mi dà la nausea. Non ho mai più assaggiato latte da quando ero piccolo, basta il ricordo di quel liquido grasso sulla lingua e sul palato e dei suoi vapori bovini che riempiono le cavità della mia testa a darmi un senso di soffocamento. P. beve un bicchiere di latte caldo prima di andare a letto, la calma e l'aiuta a prendere sonno. Io non riesco nemmeno a dormire se c'è il bicchiere vuoto nella stanza. Non dipingo nulla dal mese di agosto.


12 gennaio 1949, Tangeri

Ho un figlio di tre chili e ottocentocinquanta grammi. Guardo la faccia rossa e schiacciata, il ciuffo di capelli neri e sono sicuro che ci hanno dato per sbaglio un bambino cinese. I vagiti del piccolo mi sfondano i timpani e trasalisco al pensiero di questa presenza massiccia nella casa. P. vuole chiamarlo Francisco, io penso che possa creare confusione. Lei dice che lo chiameremo Paco da subito.


17 marzo 1949, Tangeri

… ora mi occupo dei progetti edili di R., lavoro con l'architetto, un galiziano malinconico di Santiago di cui cerco di rallegrare le idee cupe. Verso luce nelle sue strutture solide e lui si ritrae come un vampiro. L'americano per il quale stiamo costruendo l'albergo ha l'aria di volermi baciare.


20 giugno 1949, Tangeri

R. ha sposato oggi la sua moglie bambina. Gumersinda (il nome di una nonna) ha il viso e la natura dolce di un cherubino… R. è una persona diversa quando è con lei, tranquillo, rispettoso, premuroso e, così penso io, totalmente innamorato dell'idea di lei. Io non riesco a tirarle fuori nemmeno uno squittio, mi spremo le meningi per trovare un argomento di conversazione — bambole, balletto, nastri — e mi sento «giovesco» in sua presenza.


1o gennaio 1950, Tangeri

L'albergo è stato inaugurato prima di Natale e abbiamo festeggiato il nuovo anno con una mostra di miei paesaggi astratti alla quale è intervenuto «le tout Tangeri». Il primo giorno avevo già venduto tutto. C.B. ha comprato due lavori e mi ha preso da parte per dirmi: «È grande pittura, Francisco, davvero grande. Ma, sa, stiamo ancora aspettando». Insisto perché mi spieghi e lui dice: «La vera opera. Ritorni al corpo, Francisco, alla forma femminile, solo lei può farlo».

Quel pomeriggio tiro fuori uno dei disegni di P. e le riferisco quello che ha detto C.B. Lei accetta di posare per me. Si spoglia e io mi sento come un cliente con una prostituta. Torno al disegno, la cui semplicità è ancora magnifica. P. dice: «Pronta». Proprio come lo direbbe una prostituta. Mi giro. Le spalle e le braccia sono appesantite, i seni guardano uno di qua e uno di là, la pancia pende sopra il triangolo del pube, le cosce sono grosse, le ginocchia infossate, ha un callo sul piede sinistro. Il verde dei suoi occhi viene verso di me liquido, come un'onda di olio di oliva. Guarda il vecchio disegno alle mie spalle. «Non sono più quella», dice. La faccio rivestire, lei se ne va e io osservo il disegno come un uomo che abbia scoperto di non poter avere un rapporto sessuale normale con una prostituta. Lo metto via insieme con gli altri.


20 marzo 1950, Tangeri

R. mi fa andare a casa sua per dirmi che G. ha dato alla luce un maschio. Il bambino è grosso e il parto è stato lungo e laborioso. R. è molto scosso.


17 giugno 1950, Tangeri

P. è incinta. Sposto lo studio fuori di casa, per lasciare più spazio. Ho trovato un posto sulla baia con la luce da nord e che guarda verso la Spagna. Vi ho messo un letto singolo e una zanzariera. Ho appeso una tela alla parete, ma non so pensare a nessun colore.


20 luglio 1950, Tangeri

C. arriva furioso con un ragazzo marocchino a rimorchio. Non lo vedo (non è un caso) dalla mia vergognosa notte di nozze. Vuole sapere perché non gli abbia parlato del mio nuovo studio. Il ragazzo prepara il tè. Fumiamo. C. è intontito e si addormenta. Il ragazzo e io ci scambiamo occhiate e finiamo sotto la zanzariera. Più tardi, quando mi sveglio, trovo C. ancora più furioso, mentre il ragazzo si palpa la guancia dove C. lo ha colpito. Sembra che C. sia invaghito sul serio di quel giovanetto e si sia inferocito nel vedere che si comportava come una puttana da quattro soldi. Non si lascia ammansire e se ne va con il ragazzo che si preme il naso con tutte e due le mani e ha spruzzi di sangue sulla veste bianca. La porta si chiude. Io guardo la tela e decido che il colore è il rosso.


15 febbraio 1951, Tangeri

Ho una bambina rosea e placida che è un sollievo gradito dopo Paco, i cui primi vagiti erano stati solo l'inizio di una lunga campagna di richieste incessanti. Manuela (nome della mamma di P.) dorme sempre e si sveglia soltanto per fare bollicine con le labbra e succhiare un pochino di latte.


8 giugno 1951, Tangeri

Mi imbatto in C. al bar Mar La Chica che è diventato un ritrovo di nottambuli del bel mondo e di bellezze varie. Danno un sacco di soldi a Carmella che impregna l'aria con gli orrori delle sue ascelle e non prestano attenzione a Luis, un ballerino molto più bravo. Non vedo C. dal giorno dell'episodio con il ragazzo nel mio studio. Le cose non gli stanno andando bene, ha bevuto, ha una brutta faccia, sembra prosciugato, svuotato. L'anarchia della depravazione gli si è rivoltata contro e lo ha fatto a brani. Si lancia in una tirata in inglese contro di me a beneficio dei presenti. «Ecco a voi Francisco Falcón, artista, architetto, contrabandista e legionario, il maestro della forma femminile! Lo sapevate che una volta ha venduto un suo dipinto a Barbara Hutton per mille dollari? No, non un dipinto, un disegno. Un piccolo sgorbio a carboncino su un foglio di carta ed ecco mille banconote che gli svolazzano intorno alla testa.» Mi protendo sulla sedia. È innocuo, ma ora ha un pubblico e decide di essere all'altezza. Sa che questo pubblico preferisce Carmella a Luis e lo accontenta. «Ma lasciate che vi parli di Francisco Falcón e della sua grande comprensione della forma femminile. È un impostore. Francisco Falcón non sa niente della forma femminile, ma è un esperto di maschietti… oh, sì, lasciate che vi dica dei culi e degli uccelli che ha gustato, sono queste le sue specialità e io lo so bene, perché mi ha usato come ruffiano…» A quel punto Luis gli si avvicina e gli dice di piantarla. Io sono pallido di collera, ma freddo in apparenza. C. non tace e si lancia in una sparata finale piena di rabbia che termina con la mia notte di nozze. Luis lo afferra e lo trascina fuori. Non ritornano. Esco, seguito dal pubblico che si aspetta, dopo aver visto il sudiciume, di vedere anche il sangue. Luis ha portato via C. e io, pur sentendomi capace di sradicare una palma, m'incammino tranquillamente verso casa.


12 giugno 1951, Tangeri

C. è stato trovato morto nella sua abitazione nella medina, la testa sfracellata e ridotta a una massa irriconoscibile. Il ragazzo al quale aveva rotto il naso nel mio studio era vicino al cadavere con il sangue sugli indumenti. È accusato dell'omicidio. Questa è la fine del cultore della sensualità: il bacio non soddisfa più, la carezza è troppo delicata e così col tempo occorre lo schiaffo, poi il pugno e infine si abbatte il randello.


18 giugno 1951, Tangeri

Ho deciso di passare i mesi estivi qui nello studio. La casa è in un gran trambusto e puzza di cacca e di latte. L'aria è piena di chiacchiere idiote, meglio starmene qui a sonnecchiare sotto la zanzariera, il mondo vago al di là, la cantilena del muezzin che invita i fedeli alla preghiera unico modo di scandire il tempo. Il suo richiamo sembra provenirgli dal ventre e risuonargli nel torace prima di uscire dalla bocca, più straziante del flamenco di Luis. Il suono giunge sempre dal silenzio e la sua spiritualità magica non ha bisogno di traduzione. Cinque richiami al giorno e ogni volta mi commuovo.


2 luglio 1951, Tangeri

In uno dei rari pasti ai quali presenzio in questi giorni, P. mi chiede che cosa io stia facendo in questo periodo. Mi lascio andare a una lunga dissertazione sul tentativo di dipingere la preghiera del muezzin come un paesaggio astratto e lei mi interrompe. Le sono giunti pettegolezzi maligni di comportamenti depravati. A quanto pare quello che si sta svolgendo nei tribunali è riuscito a penetrare nel suo mondo di bambina. Insiste e io mi sento come un'ostrica viva il cui mondo freddo e gommoso si ritragga davanti alle intrusioni di una lama. Le chiedo di venire allo studio e di vedere il mio lavoro, la convinco che sto vivendo come un asceta. È soddisfatta, crede nella mia serietà. Sono un tale mostro… o perlomeno così pensa Paco che ride e stringe la mia testa enorme mentre io fingo di divorargli la minuscola pancia. Non sa che cosa sia la paura, questo piccino.


5 luglio 1951, Tangeri

Mi sveglio con un Mohammed qualsiasi sdraiato al mio fianco mentre P. bussa alla porta al piano di sotto. Lo mando sul tetto e la faccio entrare. Preparo il tè. Lei chiede di vedere i miei lavori. Sono evasivo, perché non ho niente da mostrare. Mi tocca in un modo che mi fa capire come non sia venuta qui con questo in mente. Sono spento dopo un intero pomeriggio di giochi e sono anche sporco. P. comincia a irritarsi a causa del mio procrastinare e mi rovescia del tè bollente sul piede nudo, così che io mi metto a saltellare di qua e di là e il ragazzo sul tetto scoppia in una risata che spero lei non abbia sentito. P. se ne va poco dopo.


26 agosto 1951, Tangeri

Scorrendo questi diari, rivedo passare gli anni e sono allibito dalle rivelazioni che contengono. Ammesso che io raggiunga la notorietà con il mio lavoro, se questi scritti dovessero venire alla luce, che effetto avrebbero sulla considerazione del mio genio? Sono confessioni, non diari, non le nobili annotazioni di un artista provato dalla vita, ma solo appunti di pessimo gusto di un mascalzone depravato. Credo di stare eccedendo nel fumo e di non passare abbastanza tempo in una compagnia stimolante, anche se non so proprio dove potrei trovarla. Quell'americano, Paul Bowles, al quale ho accennato, ha avuto un certo successo con un libro che non ho avuto voglia di leggere. Lo cerco, ma è sempre via. Vado al bar di Dean, ma è pieno di beoni e di reprobi che non hanno una sola idea in testa. Non sono riuscito a mantenere i contatti con il mondo di B.H. e C.B. non è a Tangeri. Rinuncio alla società.

C.B. mi informa di aver venduto due miei lavori a due ricche signore del Texas. Una somma sostanziosa, mi dice, ma io avevo sperato in uno spazio al MOMA. Cerca di rabbonirmi riferendomi le parole di Picasso, che una volta gli avrebbe detto: «I musei sono solo un mucchio di bugie», cosa facile da dirsi quando si è appesi nelle migliori pinacoteche di ogni nazione del mondo occidentale.


17 ottobre 1951, Tangeri

R. mi dice che G. è di nuovo incinta. Era felice e terrorizzato insieme dopo l'ultima volta. Sono stupefatto nel constatare come possa ridursi questo monumento alla durezza e alla mancanza di scrupoli: molle come un impasto di pane. Trema al pensiero della sofferenza della moglie. Quando parlo a P. della gravidanza, lei mi guarda con desiderio nostalgico e io capisco perché fosse venuta nel mio studio in luglio.


8 febbraio 1952, Tangeri

R. ha venduto tutta la nostra flottiglia a vari concorrenti che hanno pagato il prezzo massimo di mercato. Ha anche svuotato i magazzini e li ha affittati alle stesse persone che hanno comprato le barche. Sono sbalordito, ma R. mi assicura che il contrabbando ha raggiunto il limite, sono in corso negoziati tra gli Stati Uniti e la Spagna. Gli americani vogliono costruire basi per controbattere la supposta minaccia sovietica. Franco li lascerà entrare perché vuole restare al potere. Si stabilirà un legame commerciale.


20 aprile 1952, Tangeri

Questa volta il travaglio di G. è stato molto peggiore, con tali complicazioni che i medici hanno perfino chiesto a R. chi salvare, la madre o il bambino. R. ha scelto G., perché non può vivere senza di lei. Dopo questa decisione G. si è ripresa ed è nata una bambina, in apparenza sana. Aver sfiorato la tragedia ci ha avvicinati, P. e me: riviviamo i primi tempi della nostra unione e riscopriamo in parte la passione. Il pomeriggio lei viene nello studio e io giaccio con lei. La mia pittura è migliorata, ma non ha ancora ritrovato quel momento perduto.


18 novembre 1952, Tangeri

A un ricevimento all'hotel Til Minzah ho conosciuto Mercedes, moglie spagnola di un banchiere americano. Suo marito aveva comprato un mio lavoro alla galleria di C.B. a New York, perciò lei mi considera un vecchio amico. Dopo gli anni trascorsi in America, dà l'impressione di una donna molto moderna, non è la tipica cittadina della Spagna al di là dello stretto. La invito nel mio studio e lei si presenta il giorno dopo in una Cadillac con autista, che manda subito via. Preparo il tè, lei contempla il mare appoggiata alla ringhiera della veranda. Ha una figura da ragazzo, fianchi stretti, seni piccoli e gambe snelle e muscolose. Le mostro alcuni paesaggi astratti di Tangeri ai quali sto lavorando e lei vi scopre elementi cubisti di Braque galleggianti su bande di colore smagliante, come aveva visto nelle opere di Rothko a New York. Sono conquistato dalla sua intelligenza L'attrazione è reciproca e non passa molto tempo prima che io scopra di che cosa sia capace quel suo corpicino nervoso, o meglio la sua mente. Si avverte una certa perversione nei suoi comportamenti. Quando è vicina al momento, viene presa da una frenesia assoluta, non esiste più niente altro per lei (certo non io, martellato dal suo bacino) e ulula come una lupa. Crolliamo sul pavimento dove rimane a giacere, gli occhi vitrei, le guance infiammate, le labbra pallide e una vena nel collo, spessa come una fune, dove scorre rombando sangue scuro, carnale. Rinvigorisce scoprire in quella raffinatezza fondamentali istinti animaleschi. Ne avverto anche il pericolo. M. sembra capace di trascinarmi in regioni dove i limiti non esistono. Non mi sfugge l'ironia dell'essere noi a Tangeri, rinchiusi nella Zona Internazionale del Marocco sulla costa africana dove si sta creando una nuova specie di società, una società priva di regole. Il comitato di governo delle nazioni europee, sospettose per natura, ha creato un caos ammissibile dal quale sta emergendo una nuova specie di umanità, che non aderisce alle consuete leggi della convivenza sociale, ma cerca soltanto di soddisfare se stessa. Lo sviluppo degli affari senza limitazioni e senza tasse della Zona Internazionale si rispecchia nel rifiuto di ogni forma di morale da parte di questa società. Noi siamo il microcosmo del mondo del futuro, brodo di cultura del laboratorio dell'umanità di domani. Nessuno potrà dire: «Ah, Tangeri! Quella era vita!», perché saremo tutti in una nostra Tangeri personale. Proprio per arrivare a questo negli ultimi quattro decenni ci siamo azzannati come cani in tutto il mondo.


15 marzo 1953, Tangeri

R., dopo aver venduto tutte le nostre barche, si è comprato uno yacht, un bel giocattolo su cui farsi vedere e fare la figura dell'uomo ricco e di successo. Probabilmente potrei permettermene uno anch'io grazie ai proventi della società e delle vendite dei miei lavori per mezzo dei contatti di M. a New York, ma non ne trarrei nessuna soddisfazione. Ho quasi quarant'anni e apparentemente ho raggiunto il successo, ma sono consapevole del mio problema, anche se i miei pensieri fuggono lontano da questa consapevolezza alla prima occasione. Nulla di ciò che ho ottenuto è opera mia. R. ha organizzato tutta la mia vita come aveva fatto la Legione prima di lui. P. è stata la mia musa, senza di lei i disegni a carboncino non sarebbero mai nati. M. mi ha costruito una reputazione tra gli americani, permettendomi di vendere bene a New York. Ma io sono un guscio. Provate a bussarvi sopra e sentirete come rimbomba il vuoto dentro di me.


2 aprile 1953, Tangeri

Il successo di Paul Bowles ha attirato una folla di scrittori e di artisti americani nella nostra piccola Utopia. Ho conosciuto un certo William Burroughs, il quale, così pare a me, non ha fatto niente di notevole se non farsi precedere da una reputazione imponente. Ha sparato alla moglie in Messico, in una specie di prova alla Guglielmo Tell, nella quale, invece di centrare il bicchiere che le aveva posato sulla testa, le ha infilato il proiettile nel cervello. L'americano che me lo racconta ha un tono divertito e spaventato insieme, come se si trattasse di un film appena visto. Io guardo al di là del pavimento sudicio del bar Mar La Chica il tavolino al quale è seduto W.B., pronto a farmi affascinare dall'uxoricida, ma vedo soltanto un impiegato di banca, proprio come quelli che lavorano qui, tranne che questo ha il cranio della figura dell'«Urlo» di Edvard Munch. Ci conosciamo e io gli dico questo, e lui: «Come abbia fatto quel bastardo a sapere quello che sarebbe successo, non lo sapremo mai. Merda. E io ti dico che qualche volta vedo così il cielo… esattamente così. Come sangue, capisci… come fottuto sangue…» Il suo magnetismo consiste nell'immediatezza delle reazioni selvagge che scatena su chi trova antipatico tra quanti gli stanno intorno, anche se credo che la ferocia vera la riservi a se stesso. È come un animale ululante e mi fa pensare a quel ragazzo folle che R. aveva visto in quel villaggio della sierra anni fa, incatenato al muro di una casa con un collare di ferro. Sono più vicino a capire perché io faccia correre la penna sulla carta.


28 giugno 1953, Tangeri

Ho tre vite. Con P. e i bambini sono decoroso, i parametri di comportamento sono regolati per anime infantili. Con loro sono mite e più o meno allegro mentre il torace mi si spalanca in sbadigli frementi. Guardo P., la madre perfetta, e mi domando come abbia potuto essere la mia musa. Un'altra vita è nello studio. Il lavoro procede, i paesaggi di Tangeri si sono trasformati in qualcosa di diverso, vasti cieli rossi sanguinanti su un massiccio continente nero e tra i due la macchia di una temporanea civiltà. Il lavoro è interrotto da una processione di ragazzi che passano di lì per guadagnare qualche peseta. La mia terza vita è con M., la mia compagna in società e compagna sulla via della perversione.


23 ottobre 1953, Tangeri

C.B. invita me e P. a una serata con B.H. Non mi piace l'idea che una vita confluisca nell'altra. Andiamo al palazzo di Sidi Hosni e come sempre aspettiamo la nostra ospite tra le sue favolose ricchezze. P. si annoia e C.B. si occupa di lei; essendo l'uomo che è, riesce ad affascinarla perfino con il suo spagnolo difficoltoso. B.H. fa il suo ingresso quando io sto per proporre di andare via. Viene verso di noi e, vedendo P., ha un'idea. Ci conduce alla sala sorvegliata dal nubiano imponente e soltanto quando stiamo per entrare mi rendo conto di non aver mai detto a P. della vendita del disegno. B.H. la porta subito davanti a quello, al suo posto d'onore accanto a Picasso. P. batte le palpebre, fissandolo come se avesse visto picchiare uno dei suoi figli. So dagli occhi verdi che arrivano fino a me che lo considera una specie di tradimento della sua fiducia. B.H., che ha bevuto un po', non si accorge della sua pena ed è C.B. a portarci via di lì. Sulla via del ritorno a casa P. è silenziosa mentre percorre le vie della casbah, i tacchi sonori sui ciottoli, e io mi trascino dietro di lei, mentendo alla sua schiena come un mendicante al quale siano stati negati pochi spiccioli.


19 febbraio 1954, Tangeri

R. è andato a Rabat e a Fez per parlare agli amministratori francesi e marocchini. Mi ha chiesto di accompagnarlo, ma io sto lavorando a un enorme quadro astratto che spero mi farà uscire da quella che M. definisce la «lista B» degli artisti rispettati. Vuole che il mio nome raggiunga quelli di oltre Atlantico come Jackson Pollock, Mark Rothko e Willem de Kooning. Pensa che i miei paesaggi abbiano la forza dei lavori di Rothko. A me sembra che Rothko si avvicini ai suoi soggetti da un angolo diverso. Mira in alto, cerca un elemento spirituale, io punto verso l'oscurità e la decadenza.


3 marzo 1954, Tangeri

R. è tornato dai suoi viaggi, molto rincuorato dai burocrati. Mi mette in allarme dicendomi di essersi imbarcato in un affare con i marocchini. Gli dico che lui non capisce la natura impenetrabile dell'animo marocchino: riescono a irretire perfino gli operatori più brillanti. Lui esclude una simile possibilità e mi dice di non preoccuparmi. Io non sarò coinvolto.


18 giugno 1954, Tangeri

Un pomeriggio passo da casa mia nella medina e sono sorpreso nel constatare che P. non c'è. I bambini giocano nel patio, Paco fa il torero, la sorellina il toro. Paco fa prodezze con la sua camicia e lei trotterella contro il drappo sventolante, felice quando sbuca dall'altra parte. Come abbiano escogitato questo gioco non so, perché Paco non ha mai visto una corrida. Vivo staccato dalla loro vita. Ma dov'è P.? Nessuno lo sa. Gioco con i bambini, offrendo a Paco un toro un po' più pericoloso. Sono sorpreso della destrezza di mio figlio con quella camicia e in un certo senso capisco la soddisfazione di Manuela. Mi stufo presto, però, e torno allo studio.


20 dicembre 1954, Tangeri

Siamo stati fortunati a sfuggire al peggio della débâcle. Il valore delle proprietà immobiliari è crollato. La speranza generale di vedere Tangeri trasformata nella Monaco dell'Africa sono svanite. R. ha deciso di portare fuori tutto il nostro capitale e voliamo in Svizzera dove lui apre un conto a mio nome e vi deposita la fantastica somma di 85.000 dollari e cioè la maggior parte dei miei guadagni, frutto della nostra unione commerciale durata dieci anni. Non ho modo di aprire bocca e celebriamo con una cena. È la fine di un'era. R. continuerà da solo negli affari. Alla fine del pasto ci abbracciamo.


17 maggio 1955, Tangeri

P. mi ha cercato allo studio per la prima volta da secoli. È stata qui tre giorni di fila e abbiamo fatto l'amore ogni pomeriggio. M. è a Parigi con il marito e da me viene soltanto qualche ragazzo che devo pagare perché se ne vada. Sono incuriosito dall'improvviso ardore di mia moglie, poi mi rendo conto che in assenza di M. sono stato più presente a casa e mi sono riabilitato con la mia famiglia.

Quando P. se ne va, io rimango sotto la zanzariera annodata in alto e la garza oscillante mi fa pensare al parto, alla rottura delle acque; mi domando se io non sia stato indotto a diventare padre un'altra volta.


11 luglio 1955, Tangeri

Come tutto converge! Oggi compio quarant'anni e P. mi dice che aspetta un bambino. R. ha depositato altri 25.000 dollari sul mio conto e la società è stata ufficialmente sciolta. Il marito di M. ha chiesto il divorzio e si dice disposto a sborsare una grossa somma per averlo (il motivo è una ragazza texana di ventidue anni). Ho lasciato l'astratto e sono tornato al figurativo, forse sono stato ispirato da De Kooning, che dagli schemi caotici e affollati di «Esecuzione» ha virato in direzione di «Donna», più o meno. O no? Forse sto soltanto inseguendo il sogno di C.B. e mio. Ho lavorato finché c'è stata luce. Sto andando a casa per cenare con la mia famiglia. Tutto ciò che sento è totale disperazione.


1o novembre 1955, Tangeri

Il mese scorso il sultano Mohammed V è stato richiamato dall'esilio in Madagascar dove i francesi lo avevano mandato tre anni fa. Il suo arrivo è previsto entro questo mese. È il principio della fine, anche se nessuno se ne accorgerebbe, vedendo gli espatriati qui a Tangeri che si trastullano mentre Roma brucia; ma che cosa importa a loro? Io ardo per M. che è via da mesi per sistemare la faccenda del divorzio. Saremo tutti consumati dalle fiamme.


12 gennaio 1936, Tangeri

Un altro figlio, che ho deciso di chiamare Javier, un nome che mi è sempre piaciuto e che non ha niente a che vedere con la famiglia. Per la prima volta guardo uno dei miei bambini e provo non tanto uno slancio di amore paterno, quanto un folle sentimento di speranza.


28 giugno 1956, Tangeri

Sono sdraiato sotto la mia zanzariera con Javier sul petto; ha le gambe piegate come quelle di un ranocchio, gli alluci premuti sulla mia pancia. Con una mano gli copro tutta la schiena. Dorme e ogni tanto, senza accorgersene, mi pigia il petto, casomai vi si trovasse un po' di latte. Quanto presto entra la delusione nella nostra vita!

Mentre lavoro è disteso su una coperta e io gli parlo della pittura, delle idee, delle influenze. Lentamente lui unisce mani e piedi come se volesse prendermi in giro con un applauso silenzioso e distratto. Lo guardo e in me si apre una piccola fessura. Il suo corpicino morbido, minuscolo, i suoi grandi occhi scuri, la testa lanuginosa, tutto si unisce e, come se mi fosse scivolato tra le costole, un bisturi si insinua nella fessura e mi spalanca.

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