VI

Giovedì 12 aprile 2001, calle Boteros, Siviglia


Il paso virò, gli occhi alti e compassionevoli della Vergine Maria passarono oltre, caddero su altri, la pressione si allentò, gli squilli finali delle trombe rimbalzarono dai balconi. I tamburi tacquero. I costaleros abbassarono il baldacchino a terra tra gli applausi della folla ammirata per la loro bravura, la processione dei nazarenos con i loro cappucci a punta posò le croci e le candele. Falcón si sosteneva aggrappandosi al bracciolo di una carrozzina per invalidi, l'altra mano sul ginocchio. La vecchia signora sulla carrozzina chiamò con la mano uno dei nazarenos, che sollevò il lembo del cappuccio e sorrise, rivelando il normale essere umano che vi si celava sotto, niente di più sinistro di un occhialuto contabile.

Falcón allentò la cravatta, si asciugò il sudore sulla fronte e, facendosi largo verso il limitare della folla, barcollò sgusciando tra le fila dei nazarenos. La gente ammassata dall'altra parte gli fece strada e, trovato un certo spazio in disparte, Falcón si piegò in due, abbassando la testa sulle ginocchia finché sentì il sangue affluire alla corteccia cerebrale, restituendo lucidità al cervello.

Non aveva mangiato nulla in tutto il giorno, pensò, ma sapeva che non era quella la causa del suo malessere. Si voltò verso il paso, in direzione della Madonna, che ora guardava avanti, senza curarsi di lui. Se non che… poco prima lo aveva fatto. Per quell'attimo, per quella frazione di secondo, essa gli era entrata dentro, lo aveva riempito di sé. Era stata un'esperienza che quasi gli sembrava di avere già vissuto, ma di cui non serbava veramente il ricordo. Troppo lontana nel tempo.

Trovò l'ufficio sopra il ristorante di Jiménez, si fece dare la stampata degli indirizzi e un bicchiere d'acqua. Lasciato il centro storico evitando ogni processione, scese in macchina verso il fiume e lo attraversò in direzione di plaza de Cuba. Si sentiva svuotato, affamato e si fermò in un bar sull'avenida República Argentina per un bocadillo de chorizo che mangiò troppo in fretta, tanto che gli rimase piantato sullo stomaco, duro come il dolore di un lutto, il che era strano, poiché non aveva perduto nessuno dopo la morte di suo padre, avvenuta due anni prima.

La Jefatura si trovava all'incrocio tra l'avenida Blas Infante e calle López de Gomara. Parcheggiò sul retro dell'edificio e salì le due brevi rampe di scale fino al suo ufficio, affacciato sulle file ordinate di automobili, un luogo spartano dove non teneva niente di personale. Due sedie, una scrivania di metallo, qualche armadietto grigio. La luce proveniva dalla lampada al neon sul soffitto. Falcón non voleva distrazioni sul lavoro.

Lo aspettavano trentotto messaggi, cinque dei quali del suo immediato superiore, Jefe de Brigada de Policía Judicial, Comisario Andrés Lobo, senza dubbio sotto pressione da parte del suo capo, il Comisario Firmín León, il cui rapporto di conoscenza con Raúl Jiménez Falcón aveva desunto dalle fotografie. Andò dritto nella stanza degli interrogatori dove Ramírez, in piedi, mostrava il pugno a Lucena, come se volesse colpirlo. Chiamò l'ispettore fuori dalla stanza, gli diede istruzioni sulla strategia da seguire nell'interrogatorio della ragazza e lo pregò di far scendere Pérez. Entrò nella stanza degli interrogatori a vedere Lucena, che alzò la testa per poi riprendere subito dopo la stesura della sua deposizione.

«Quello che ha detto all'Inspector Ramírez prima, a casa sua…» cominciò: la cattiveria di quella frase lo infastidiva ancora.

«Qualsiasi studente potrebbe dirle che i docenti reagiscono molto male con i cretini.»

«Non c'era altro?»

«Sono sorpreso che le importi, Inspector Jefe.»

Gliene importava invece, e Falcón si domandò se si stesse rendendo ridicolo.

«Dubito che mia madre sia mai stata brava a letto come Consuelo, se è questo che si sta chiedendo», disse Lucena.

«Lei è un uomo complicato, signor Lucena.»

«In un mondo complicato», ribatté il giovane, agitando la penna in direzione di Falcón.

«Da quanto tempo frequenta la signora Jiménez?»

«Da un anno circa», rispose Lucena. «Quella era la prima volta che tornavo all'Edificio Presidente da quando ci siamo conosciuti… La mia solita fortuna.»

«E Marciano Ruiz?»

«È curioso come l'Inspector, vero? Io mi annoio facilmente, Don Javier. Marciano e io ci vediamo quando la mia noia diventa insopportabile.»

Entrò Pérez, informò Falcón sulla stanza in cui si trovava la prostituta e gli diede il cambio nell'interrogatorio di Lucena.

La ragazza, seduta al tavolo, fumava impilando due pacchetti di Fortunas l'uno sull'altro, a ritmo continuo come in uno strano gioco. Aveva i capelli corti, sembrava che se li fosse tagliati da sola e senza uno specchio. Fissava lo schermo spento della TV, ombretto azzurro, labbra rosse. Una parrucca bionda era appesa alla spalliera di una sedia non occupata. Indossava una minigonna scozzese, una camicetta bianca e stivali neri. Era minuta, aveva l'aria di una scolaretta, ma gli occhi scuri rivelavano tutta la depravazione che avevano visto in quella specie di prolungata assenza dai banchi di scuola.

Ramírez accese il registratore, identificò la ragazza come Eloisa Gómez e presentò se stesso e Falcón.

«Sai perché sei qui?» domandò l'ispettore capo.

«Non ancora. Hanno detto che era per qualche domanda, ma io vi conosco voialtri, ci sono già stata qui, conosco i vostri giochetti.»

«Noi siamo diversi», disse Ramírez.

«D'accordo. Siete diversi. Chi siete?»

Falcón scosse la testa in modo quasi impercettibile in direzione di Ramírez.

«Eri con un cliente la notte scorsa…» riprese.

«Sono stata con un sacco di clienti la notte scorsa. È la Semana Santa», ribatté la ragazza. «Per noi è il momento di maggior lavoro dell'anno.»

«Più ancora della Feria?» domandò Ramírez, vagamente sorpreso.

«Certamente. Specie gli ultimi giorni, quando arriva la gente da fuori.»

«Uno dei tuoi clienti si chiamava Raúl Jiménez. Sei stata da lui ieri sera nel suo appartamento all'Edificio Presidente.»

«Lo conoscevo come Rafael. Don Rafael.»

«Lo avevi incontrato altre volte?»

«È un cliente fisso.»

«A casa sua?»

«Ieri sera è stata forse la terza o la quarta volta nel suo appartamento. In genere lo facciamo in macchina.»

«E questa volta com'è andata?» domandò Ramírez.

«Mi ha chiamato sul cellulare. Il mio gruppo di ragazze ha comprato tre telefonini l'anno scorso.»

«A che ora?»

«Non ho preso io la telefonata, ero con un altro… ma dev'essere stato verso mezzanotte. La prima volta.»

«La prima volta?»

«Voleva parlare solo con me, perciò ha richiamato verso mezzanotte e un quarto. Mi ha chiesto di andare a casa sua. Io gli ho detto che stavo facendo un sacco di soldi sulla plaza e lui mi ha chiesto quanto volevo. Gli ho detto centomila.»

Ramírez scoppiò in una gran risata.

«Semana Santa davvero!» esclamò. «È un prezzo assurdo.»

Rise anche la ragazza, rilassandosi un poco.

«Non dirmi che l'ha pagato», disse Ramírez.

«Ci siamo accordati per cinquanta.»

«Joder!»

«Come sei arrivata fin là?» domandò Falcón, cercando di tornare al punto.

«In taxi», rispose lei, accendendosi una Fortuna.

«A che ora ti ha lasciato davanti all'edificio?»

«Mezzanotte e mezzo, o poco dopo.»

«Non c'era nessuno in giro?»

«Io non ho visto nessuno.»

«E nel palazzo?»

«Non ho visto nemmeno il portinaio e mi ha fatto piacere. Non c'era nessuno neanche in ascensore o sul pianerottolo e lui mi ha fatto entrare prima ancora che suonassi il campanello, come se stesse guardando dallo spioncino.»

«Non lo hai sentito girare la chiave?»

«Ha aperto e basta.»

«Ha chiuso a chiave la porta dopo averti fatto entrare?»

«Sì. Non mi è piaciuto, ma lui ha lasciato la chiave nella serratura, perciò non ho protestato.»

«Che cos'hai notato nell'appartamento?»

«Che era praticamente vuoto. Mi ha detto che stava traslocando. Gli ho chiesto dove, ma non mi ha risposto. Aveva altro per la mente.»

«Raccontaci tutto perbene.»

La ragazza sorrise divertita, scuotendo la testa, come a dire che gli uomini erano uguali in tutto il mondo.

«L'ho seguito nel corridoio fino al suo studio. C'era la TV in un angolo, davano un vecchio film. Lui ha preso una cassetta dalla scrivania e l'ha messa su, poi mi ha chiesto di indossare una gonna blu che mi arrivava al ginocchio e un maglione blu sopra la camicia. Mi ha detto di farmi i codini. Portavo una parrucca nera, lunga», spiegò. «Preferisce le brune.»

«Lo hai visto prendere una pillola?»

«No.»

«Non hai osservato niente di strano a parte la mancanza di mobili?»

«Strano come?»

«Niente che ti abbia innervosito?»

La ragazza rifletté, desiderosa di collaborare, alzò un dito e i due si sporsero in avanti.

«Non aveva le scarpe», disse, «ma non è che questo mi abbia terrorizzato.»

I due si accasciarono sulla sedia.

«Ehi! È colpa vostra! Mi fate vedere cose che non ci sono!»

«Vai avanti», disse Ramírez.

«Gli ho chiesto i soldi e lui mi ha dato un po' di biglietti da cinquemila che io ho contato, poi ha preso il telecomando e ha avviato un film porno. Si è tolto i calzoni. Voglio dire che li ha lasciati cadere a terra e li ha scavalcati. E abbiamo cominciato.»

«Che cosa mi dici delle finestre?» domandò Ramírez.

«Che cosa c'entrano le finestre?»

«Eri girata verso le finestre.»

«Come fa a saperlo?»

«Presume che tu fossi girata verso le finestre», disse Falcón.

«Le tende erano tirate», rispose la ragazza, ormai insospettita.

«E così avete fatto sesso», riprese Ramírez. «Quanto è durato?»

«Più del previsto.»

«Per questo ti giravi a guardare?» domandò Ramírez.

Gli occhi bruni si fecero duri. Quelli non erano i soliti giochetti.

«Chi siete?» domandò sospettosa.

«Inspector Ramírez», disse l'uomo, secco come uno sherry.

«Siamo del Grupo de Homicidios», spiegò Falcón.

«L'hanno ammazzato?» esclamò lei, guardando ora l'uno ora l'altro dei due uomini, che annuirono.

«La persona che l'ha ucciso si trovava nell'appartamento mentre eri là.»

La ragazza si strappò la sigaretta di bocca e soffiò via il fumo con forza.

«Come lo sa?»

Ramírez, che in precedenza aveva inserito la cassetta nel videoregistratore, premette il tasto del telecomando, così che lo schermo fu istantaneamente riempito dal corridoio vuoto, dal gancio sul muro, dalla luce proveniente dalla porta dello studio mentre l'audio emetteva i suoni delle due finte estasi di piacere mescolati assieme. Falcón si sentì rizzare i capelli sulla nuca. La telecamera voltò l'angolo e la ragazza, che fissava lo schermo ipnotizzata, vide se stessa inginocchiata davanti a Raúl Jiménez, il viso rivolto verso le tende, mentre l'uomo guardava lo schermo. Vide se stessa girare la testa, poi la telecamera sobbalzò all'indietro nell'oscurità.

Mandata la sedia a sbattere sul pavimento, la ragazza si mise a passeggiare avanti e indietro. Ramírez spense il televisore.

«È allucinante!» esclamò lei, indicando lo schermo con le dita che stringevano la sigaretta.

«Non hai notato nulla?» domandò Falcón.

«Non so se siete stati voi a mettermi certe cose in testa, ma ora mi sembra di ricordare qualcosa», rispose lei, chiudendo gli occhi. «È stato solo un cambiamento della luce, un'ombra che si muoveva. Nel mio lavoro questo mi spaventa… quando le ombre si muovono.»

«Quando le tenebre hanno una vita propria.» Le parole sfuggirono di bocca a Falcón e gli altri due lo guardarono perplessi. «Ma non hai reagito… a queste ombre che si muovevano?»

«Ho creduto di averle immaginate e comunque lui ha raggiunto il culmine proprio allora e mi sono distratta.»

«E dopo?»

«Mi sono lavata in bagno e me ne sono andata.»

«Ha richiuso la porta a chiave quando sei uscita?»

«Sì. Come aveva fatto prima. Cinque o sei mandate. L'ho sentito anche sfilare la chiave. Poi è arrivato l'ascensore.»

«Che ora era?»

«Non credo che fosse molto dopo l'una. All'una e mezzo ero con un altro cliente sull'Alameda.»

«Cinquantamila», disse Ramírez. «Non male come tariffa oraria.»

«Per guadagnare altrettanto a lei ci vorrebbe un bel po' di tempo», ribatté la ragazza, e risero tutti e due.

«Qual è il tuo numero di cellulare?» domandò Falcón e di nuovo gli altri due risero finché non si accorsero della sua serietà: Eloisa snocciolò subito il numero.

«Bene», osservò Ramírez, ancora di buonumore, «mi pare che sia tutto, tranne… sono sicuro che ha tralasciato qualcosa, non è così, Inspector Jefe?»

«Vi ho detto tutto quello che è successo», protestò lei.

«Eccettuata la cosa più importante», disse Ramírez. «Non ci hai detto quando lo hai fatto entrare nell'appartamento.»

Le occorsero alcuni secondi per afferrare le implicazioni delle parole pronunciate in tono blando, poi la sua espressione si indurì, il viso simile a una maschera funeraria.

«Mi sembrava che lei fosse troppo perfetto per essere vero», osservò.

«Non sono perfetto», affermò Ramírez, «e non lo sei nemmeno tu. Sai che cosa ha fatto quel tizio, quello che hai fatto entrare nell'appartamento? Ha torturato un vecchio fino alla morte, ha fatto soffrire il tuo Don Rafael nel modo più atroce, non abbiamo mai visto niente di simile in tutta la nostra carriera. No, non l'ha ucciso con un colpo di pistola alla testa e nemmeno con una pugnalata al cuore, è stata una tortura lenta… brutale.»

«Non ho fatto entrare nessuno nell'appartamento!»

«Hai detto che aveva lasciato la chiave nella serratura», intervenne Falcón.

«Non ho fatto entrare nessuno.»

«Hai detto di aver visto qualcosa», disse Ramírez.

«Siete stati voi a farmi pensare di aver visto qualcosa, ma non ho visto nulla.»

«La luce era cambiata», insistette Ramírez.

«Le ombre si erano mosse», disse Falcón.

«Non ho fatto entrare nessuno», affermò la ragazza parlando lentamente, «è andata come vi ho detto.»

Conclusero l'interrogatorio verso le 16.30 e Falcón mandò Ramírez con la ragazza da una donna poliziotto, perché la scientifica potesse poi identificare il pelo pubico trovato nello studio. Mentre uscivano udì Ramírez parlarle come se fossero vecchi amici e stessero andando a farsi una cervecita, anche se le parole erano diverse.

«No, lascia che te lo dica, Eloisa, se fossi in te lascerei perdere quel tipo, lo scaricherei come una patata bollente. Se può uccidere un uomo in quel modo, può far fuori anche te. Può ammazzarti senza il minimo scrupolo. Perciò, stai in guardia. Se ti viene un sospetto, un dubbio, chiamami subito.»

Tornato nel suo ufficio, Falcón telefonò a Baena e a Serrano per vedere se avessero trovato un testimone all'esterno dell'Edificio Presidente. Nessun testimone. Poca gente in giro, negozi chiusi, la maggior parte degli abitanti della zona in centro per le processioni.

Riagganciò e fece scrocchiare le dita l'una dopo l'altra, un'abitudine che Inés detestava ma che era un gesto inconsapevole utile a schiarirgli le idee. A sua moglie metteva i brividi.

Chiamò il Comisario Lobo, il quale gli disse di passare dal suo ufficio, e mentre si dirigeva all'ascensore Falcón vide Ramírez e gli disse di preparare le scartoffie per l'incontro con il Juez Calderón. Salì all'ultimo piano. La segretaria di Lobo, una sivigliana dai modi spicci che teneva da parte qualsiasi giovialità per il tempo libero, gli comunicò con un battito di ciglia che poteva entrare.

Lobo, rivolto verso la finestra, teneva le mani incrociate dietro la schiena e piegava ritmicamente le ginocchia contemplando al di là della strada la vegetazione lussureggiante del parque de los Príncipes. Basso e tarchiato, aveva mani grandi, agricole, collo taurino e capelli grigi. Aveva sempre portato occhiali pesanti dalla montatura nera, reperti di un'altra era, fino all'anno prima quando sua moglie lo aveva convinto a passare alle lenti a contatto: un tentativo di migliorare la sua immagine che si era rivelato un fallimento perché aveva gli occhi color del fango e la mancanza della cornice aveva reso il naso ancora più adunco, scoprendo anche troppo la faccia grossolana. Le labbra sottili erano poco più scure della carnagione color cumino. Una faccia poco raccomandabile, ancor meno di quelle rinchiuse in cella, ma l'uomo era un bravo capo, che parlava chiaro e sosteneva sempre i suoi sottoposti.

«Sa di che cosa si tratta?» disse senza voltarsi.

«Di Raúl Jiménez.»

«No, Inspector Jefe, si tratta del Comisario León.»

«Era nelle fotografie appese nello studio di Jiménez.»

«Con chi era a letto?»

«Non era quel genere di…»

«Sto scherzando, Inspector Jefe», lo interruppe Lobo. «Probabilmente lei ha visto molti altri funcionarios in quelle foto.»

«Sì.»

«Ha visto anche me?»

«No, Comisario.»

«Perché io non ci sono, Inspector Jefe», disse Lobo avvicinandosi rapidamente alla scrivania.

Sedettero, e Lobo strinse le mani come se volesse schiacciare una piccola testa.

«Lei non era qui al tempo dell'Expo del 1992, non è vero?»

«Ero a Saragozza.»

«La situazione qui all'epoca dell'Expo del '92 era molto diversa da quella delle olimpiadi di Barcellona. Là, sono sicuro che lo ricorda, i catalani ne hanno tratto profitto, mentre qui per gli andalusi è stata una perdita paurosa.»

«Si era parlato di corruzione.»

«Parlato!» ruggì Lobo infuriato. «Non si trattava di chiacchiere, Inspector Jefe, la corruzione c'è stata, tanta che a non fare i milioni c'era da sentirsi imbarazzati. Così imbarazzati che quelli che non erano riusciti a gonfiarsi le tasche noleggiavano Mercedes o BMW per far sembrare vero il contrario.»

«Non lo sapevo.»

«E non soltanto la gente di qui. Arrivavano in forze anche da Madrid. Si era capito che a Siviglia prevaleva un certo comportamento, una certa negligenza, una mancanza di attenzione ai particolari che poteva essere sfruttata economicamente.»

«Che importanza può avere dopo dieci anni?»

«Ricorda quante persone sono state incriminate per questo?»

«Non ricordo, Comisario.»

«Nessuna!» sbottò Lobo, battendo sulla scrivania le mani intrecciate. «Nessuna.»

«Hermanos Lorenzo», disse Falcón. «Settore edile.»

«E allora?»

«Raúl Jiménez era in rapporti di affari con loro, rapporti finiti nel 1992.»

«Vedo che comincia a capire. Raúl Jiménez faceva parte della commissione dell'Expo de Sevilla, era tra i responsabili dello sviluppo edilizio dell'area. Hermanos Lorenzo non era la sola impresa edile con cui Jiménez fosse in contatto.»

«Non sono ancora sicuro di aver capito che cosa abbia a che vedere tutto questo con un omicidio avvenuto dieci anni dopo.»

«Forse nulla. Dubito anzi che esista qualche rapporto tra le due cose, ma se lei rimesterà nella merda, Inspector Jefe, verranno a galla cose sgradevoli.»

«E il Comisario León?»

«Non vuole brutte sorprese. Lei deve informare me su ogni punto 'delicato' e… nessuna fuga di notizie, Inspector Jefe, o ci faranno a pezzi.»

Lobo piaceva ai suoi uomini anche per l'eccezionale bravura nel far loro capire la gravità di una situazione. Falcón si alzò e si diresse alla porta, sapendo però che non era finita lì, perché Lobo amava dare una pacca finale ai suoi quando stavano per andarsene. Lasciava loro un'impressione più duratura.

«Probabilmente avrà pensato, con tutta la sua esperienza a Barcellona, Saragozza e Madrid, che il suo trasferimento in una città come Siviglia, una città di secondo piano in quanto a omicidi, sarebbe stato ben accolto.»

«Io non do niente per scontato, Comisario. La politica entra in tutte le nomine.»

«Ho dovuto battermi duramente per lei.»

«Perché lo ha fatto?» domandò Falcón, che non conosceva Lobo prima di arrivare a Siviglia.

«Per la ragione molto fuori moda che lei era il migliore per quel posto.»

«Allora la ringrazio.»

«Il Comisario León ammirava molto il talento e la tenacia dell'Inspector Ramírez.»

«Anch'io, Comisario.»

«Sono in contatto tra loro, Inspector Jefe… informalmente.»

«Capisco.»

«Molto bene», disse Lobo, di colpo allegro. «Ci contavo.»

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