V

Giovedì 12 aprile 2001, Edificio Presidente,

Los Remedios, Siviglia


Come suonare quella musica? Falcón resistette alla tentazione di far scorrere le dita sul bordo della scrivania come un pianista in un finale travolgente. Appoggiò il mento sul pollice, contrasse i muscoli della mandibola, sfiorandosi lo zigomo con un polpastrello mentre l'adrenalina gli scorreva nelle arterie. Questo è quanto, pensò. Ma in che modo farli cantare? Separati o insieme? Si sentiva ispirato e decise per l'approccio stile «galli da combattimento». Mettiamoli insieme, lasciamo che si aggrediscano e si feriscano, che si becchino e si trafiggano.

«La signora Jiménez viene con me a El Porvenir», disse a Fernández. «Si metta in contatto con il Subinspector Pérez e lo aiuti a trovare la prostituta. Gli dica che abbiamo identificato gli sconosciuti ripresi dalle telecamere.»

La signora Jiménez accavallò le gambe e si accese una sigaretta. Il piede non riusciva a stare fermo. Falcón uscì nel corridoio per contattare Ramírez con il cellulare. Avrebbe voluto che quell'uomo gli fosse più simpatico.

Ramírez era seccato. Si era assunto l'inutile compito di interrogare personalmente gli impiegati licenziati e fino a quel momento aveva saputo soltanto che due di loro erano contenti di essersi liberati della signora Jiménez. Mentre Ramírez dava sfogo al suo malumore, Falcón teneva d'occhio la donna: Consuelo Jiménez stava battendo l'unghia dell'indice contro quella del pollice, a ritmo con i suoi pensieri. Falcón impartì istruzioni a Ramírez e gli comunicò l'indirizzo di Basilio Lucena, ordinandogli di recarsi là e di prepararsi a fare pressione sui due sospetti.

Condusse Consuelo Jiménez di nuovo al di là del fiume, in calle Río de la Plata. Il traffico era aumentato, come sempre all'ora di pranzo. Nel parco c'era gente che correva, ragazze con i capelli raccolti a coda di cavallo sobbalzavano dietro la staccionata, allegre sotto i raggi del sole. Quei momenti del suo lavoro di poliziotto lo affascinavano: guidare mentre l'indagato sosteneva una straziante battaglia interiore tra la negazione e la verità, tra insistere nella menzogna o accogliere il sollievo della confessione e del perdono. Da dove proveniva l'impulso che catalizzava i meccanismi interiori per una decisione di tale portata?

Svoltò in avenida de Portugal, dietro le alte torri della plaza de España. L'edificio, che era stato l'attrazione principale dell'Expo del '29, era per lui così usuale che in genere non lo notava, ma quel giorno, con i suoi mattoni rossi sullo sfondo del cielo azzurro e con l'esplosione di verde tutto intorno, lo lasciò stupefatto: gli riportò alla memoria l'immagine di suo padre che si rizzava sulla sedia mentre guardavano Lawrence d'Arabia alla televisione, per far notare come David Lean avesse usato quel palazzo per simulare l'ambasciata inglese al Cairo.

«Può parlare, se vuole», soggiunse.

La donna sembrò sul punto di rispondere in tono aggressivo ma dopo la prima sillaba si ricompose, trattenendosi. Trovò il rossetto nella borsa e si ridisegnò la bocca con un tocco molto gradevole.

«Sono curiosa quanto lei.» Una risposta scoraggiante.

Parcheggiarono a una certa distanza dalla casa. Nessuna traccia di Ramírez. Falcón prese il rapporto dell'autopsia e lo lesse per intero, allibito dai particolari. Gli strumenti usati, l'abilità tecnica evidente dell'omicida, gli agenti chimici e le soluzioni presenti sugli indumenti della vittima, tutto confermava i suoi sospetti.

Un'auto si affiancò e, passando, Ramírez fece un cenno col capo prima di parcheggiare in fondo alla strada. Tornò indietro a piedi, superò il cancello d'ingresso e suonò il campanello del numero 17. Lucena venne ad aprire, seguì una discussione, poi Ramírez esibì il tesserino e, finalmente, gli fu consentito di entrare. Trascorsi alcuni minuti, Falcón e la signora Jiménez scesero dalla macchina e suonarono il campanello. Lucena si presentò alla porta, evidentemente preoccupato, e si trovò a guardare dritto negli occhi di Falcón, cogliendo di lato il lampo azzurro di quelli della sua amante. La paura era inequivocabile, ma di che cosa Falcón non avrebbe saputo dire. Entrarono, il giovane decisamente sotto pressione a causa di tutti quegli sguardi inquisitori fissi su di lui. Falcón si sistemò accanto al televisore, che era collegato a una telecamera, mentre Ramírez tornava a prendere posizione vicino alla porta; Lucena sedette a disagio sul bordo di una poltrona e la signora Jiménez si accomodò sul divano di fronte a lui, scrutandolo con la coda dell'occhio, le gambe accavallate, il piede mollemente sospeso nel vuoto.

«Abbiamo già saputo dalla signora Jiménez che è stato in sua compagnia la notte scorsa», cominciò Falcón. «Ricorda a che ora l'ha lasciata?»

«Verso le due», rispose l'uomo, passandosi le dita tra i capelli fini e scuri.

«Dov'è andato dopo aver lasciato l'hotel Colón?»

Il piede di Consuelo smise di dondolare.

«Sono venuto qui.»

«È uscito di nuovo durante la notte?»

«No, sono uscito stamani per andare al lavoro.»

«Come ci è andato?»

Lucena esitò, già in difficoltà a quella domanda preliminare da principianti.

«Con l'autobus.»

Subentrò Ramírez che lo tartassò a proposito di percorsi dei mezzi pubblici, ma Lucena insistette nella sua bugia, finché Falcón, calmo, gli mise in mano l'immagine ripresa dalle telecamere.

«È lei, signor Lucena?»

Il giovane assentì, un gesto carico di apprensione.

«Di quale materia si occupa all'università?»

«Biochimica.»

«Perciò, probabilmente, lei lavora in uno di quegli edifici dell'avenida de la Reina Mercedes?»

Cenno affermativo.

«Molto vicino a Heliópolis, dove la signora Jiménez sta traslocando?»

Il giovane si strinse nelle spalle.

«Nel suo ambiente di lavoro sarebbe facile appropriarsi di una sostanza come il cloroformio?»

«Facilissimo.»

«E di soluzioni saline, di bisturi e di forbici chirurgiche?»

«Certamente, abbiamo un laboratorio.»

«Vede quei numeri in basso a destra sull'immagine? Che cosa legge?»

«02.36, 12.04.01.»

«Chi doveva vedere nell'Edificio Presidente a quell'ora?»

Stringendosi il setto nasale tra il pollice e l'indice, Lucena serrò le palpebre.

«Possiamo parlare in privato?» domandò poi.

«Qui siamo tutti parti interessate», obiettò Ramírez.

«Venticinque minuti dopo il suo ingresso nel palazzo, Raúl Jiménez è stato assassinato», dichiarò Falcón; si rese conto che Lucena, invece di considerarlo un persecutore, lo voleva avere come amico; era della donna che aveva paura.

«Sono salito all'ottavo piano», rispose alla fine Lucena, alzando le mani.

Una risposta inattesa e Ramírez tirò fuori il suo taccuino.

«All'ottavo piano?» esclamò la signora Jiménez.

«Orfilia Trinidad Muñoz Delgado», disse Ramírez.

«Avrà novant'anni», osservò Consuelo Jiménez.

«Settantaquattro», corresse Ramírez. «All'ottavo piano c'è anche Marciano Joaquín Ruiz Pizarro.»

«Marciano Ruiz, il regista teatrale», precisò Falcón.

Lucena annuì.

«Lo conosco», disse Falcón. «Era venuto a trovare mio padre. Ma è…»

«Un maricón», terminò per lui la signora Jiménez con brutalità, la voce cupa.

Ramírez, come un attore in un film comico, compì un passo indietro sbarrando gli occhi di fronte a Lucena. Falcón usò il cellulare per chiamare Fernández, il quale gli comunicò che, nel pomeriggio, all'appartamento di Ruiz non aveva risposto nessuno.

«Oggi è fuori città», spiegò Lucena. «Mi ha accompagnato all'università e poi è andato a Huelva. Sta provando Bodas de sangre di Lorca.»

Nella stanza la corrente aveva cambiato direzione. La signora Jiménez scattò in piedi e, prima che qualcuno potesse intervenire, la sua mano venne a contatto duramente con un lato della testa di Lucena: non un ceffone, piuttosto un colpo secco.

«Hijo de puta!» gridò furiosa dalla porta.

Il sangue colò lungo la guancia di Lucena. La porta di casa sbatté. Tacchi a spillo colpirono il selciato.

«Non ci arrivo», disse Ramírez, più a suo agio ora che la donna aveva lasciato la stanza. «Perché la scopava se è un…»

Lucena recuperò un pacchetto di fazzoletti di carta, si asciugò la fronte.

«Può spiegarmelo?» insistette Ramírez. «Voglio dire, o si è una cosa o l'altra, no?»

«Devo proprio sopportare questo imbecille?» domandò Lucena a Falcón.

«Sì, a meno che non voglia passare molto tempo alla Jefatura.»

Lucena si alzò, infilò le mani in tasca, compì qualche passo nella stanza e si girò verso Ramírez, la debolezza dimostrata fino a quel momento sostituita da una disinvoltura aristocratica, vendicativa, della specie usata dai damerini quando venivano sfidati a duello.

«L'ho scopata perché mi ricordava mia madre», disse, Un'offesa calcolata che ottenne l'effetto desiderato di scioccare Ramírez, giudicato da Lucena chiaramente un individuo appartenente a una classe diversa dalla sua. L'Inspector veniva da una famiglia di lavoratori sivigliani conservatori e abitava con la moglie e due figlie in casa dei genitori. Sua madre era ancora in vita, stava con loro e alla morte, ormai imminente, del suocero avrebbero ospitato anche la sua vedova. Ramírez strinse i pugni. A lui nessuno poteva parlare così di una madre.

«Ora ce ne andiamo», annunciò Falcón, dando una strizzatina di avvertimento al bicipite gonfio di Ramírez.

«Voglio prendere… voglio prendere il numero di telefono dell'altro maricón», disse rauco Ramírez, e le parole gli si imbottigliarono in gola. Liberò il braccio dalla stretta di Falcón.

Lucena andò alla scrivania, scarabocchiò qualcosa di traverso su un foglio e lo porse a Falcón, che pilotò Ramírez fuori dalla stanza. All'esterno la calle Río de la Plata si muoveva lentamente come le acque su cui si affaccia Buenos Aires. La signora Jiménez aspettava in fondo alla via, la sua rabbia evidente sul viso illuminato dal sole. Ramírez era non meno furioso di lei. Falcón, tra i due, non era più l'investigatore, piuttosto una specie di assistente sociale.

«Chiami Fernández sul cellulare, senta se hanno trovato la ragazza», ordinò a Ramírez.

La porta di Lucena sbatté alle loro spalle. Falcón si diresse verso Consuelo Jiménez riflettendo: era quella la raffinata educazione di cui blateravi e che ti incantava tanto? Che cosa siamo? Dove siamo? Questa società senza più regole.

La donna stava piangendo, ma di rabbia e di umiliazione questa volta, digrignando i denti e battendo i piedi per terra. Falcón le si affiancò, le mani in tasca, annuendo, come se volesse dirle che era d'accordo con lei, ma pensando: così è il lavoro nella polizia, un momento si è sul punto di chiudere il caso e prepararsi per celebrare con una bevuta la soluzione del mistero, e un momento dopo eccoci di nuovo in strada a domandarci come abbiamo potuto essere così sciocchi.

«La riaccompagno a casa di sua sorella», le disse.

«Che cosa gli ho fatto?» domandò Consuelo Jiménez. «Che cosa gli ho mai fatto?»

«Niente», rispose Falcón.

«Che giornata!» esclamò lei, alzando lo sguardo al cielo perfetto, tutto serenità fin oltre la stratosfera. «Che giornata del cazzo!»

Fissò il fazzoletto di carta appallottolato, come un aruspice che potesse trovarvi spiegazione, chiarezza o futuro. Lo gettò nella cunetta della strada. Falcón la prese per un braccio e la indirizzò verso la macchina. Mentre la stava aiutando a salire Ramírez disse che era stata trovata la ragazza dell'Alameda: la stavano portando alla Jefatura sulla Blas Infante.

«Dica a Fernández di interrogare l'ultimo degli impiegati licenziati dalla signora Jiménez. Pérez dovrebbe lasciare la ragazza sulle spine finché non arriviamo. Voglio tutti i rapporti pronti alle quattro e mezzo, prima di incontrare il Juez Calderón alle cinque.»

Chiamò Marciano Ruiz sul cellulare e gli disse di tornare a Siviglia quella sera per una deposizione. Protesta di Ruiz seguita dalla minaccia da parte di Falcón di arrestare Lucena.

«Si è calmato?» domandò a Ramírez, il quale annuì al di sopra del tettuccio dell'auto. «Allora porti il signor Lucena alla Jefatura e lo faccia deporre… e non sia rude.»

Falcón fece salire Lucena sul sedile posteriore della macchina di Ramírez. Partirono, Falcón curvo sul volante, borbottando dentro di sé mentre le gomme stridevano sull'avenida de la Borbolla. Tutti pazzi in quei giorni. Alcuni casi avevano questo effetto, logoravano troppo i nervi: i casi di bambini, in genere, il rapimento seguito dall'attesa e dall'inevitabile scoperta del corpo e della violenza che aveva subito. E ora stava accadendo la stessa cosa… come se un indefinibile ma orrendo elemento si fosse aggiunto a un'esperienza umana già eccessiva, portando via qualcosa di grande che non avrebbe mai più potuto essere sostituito. La luce del giorno sarebbe stata per sempre un poco più attenuata, l'aria mai più veramente pulita.

«Ne vede molte di cose del genere?» domandò la signora Jiménez. «Sì, suppongo di sì, suppongo che per lei sia la norma.»

«Che cosa?» domandò Falcón stringendosi nelle spalle, sapendo ciò che lei intendeva dire ma per nulla intenzionato a sviscerare l'argomento.

«Gente con una vita perfetta che se la vede distruggere in una manciata di…»

«Mai», ribatté lui, quasi con veemenza.

Quella parola, «perfetta», lo aveva reso più cattivo, gli aveva ricordato ciò che la donna gli aveva detto e che aveva scorticato viva la sua vita «perfetta»: «Dev'essere dura… Essere lasciato perché lei preferiva stare da sola». Si sentiva crudele e dovette fare uno sforzo per non restituire il colpo: dev'essere dura… essere scaricata per un amante dell'altro sesso. Ripose il pensiero con l'etichetta «indegno» sostituendolo con un altro: forse Inés aveva rovinato l'immagine delle donne nella sua mente.

«Ma, Inspector Jefe…» fece per replicare la signora Jiménez.

«No, mai», ribadì Falcón, «perché non ho mai conosciuto nessuno che avesse una vita perfetta. Un passato perfetto e un futuro radioso, sì, ma il passato perfetto è sempre riveduto e corretto brillantemente e il futuro radioso sempre un sogno irrealizzabile. L'unica vita perfetta è sulla carta e anche in questo caso ci sono spazi tra le parole e le righe e raramente si tratta di spazi vuoti.»

«Sì, siamo sempre cauti su ciò che mostriamo agli altri e ciò che riveliamo a noi stessi.»

«Non volevo essere così… veemente», si scusò Falcón. «Ma è stata una giornata lunga e non è ancora finita. Abbiamo incassato qualche duro colpo.»

«Non posso credere di essere stata talmente stupida», disse la donna. «Ho conosciuto Basilio nell'ascensore dell'Edificio Presidente. Probabilmente stava scendendo dall'ottavo piano. Di lui non lo avrei mai detto. Ma… ma perché si è preso la briga di sedurmi?»

«Lo dimentichi. Non è importante.»

«A meno che non mi abbia attaccato qualcosa.»

«Faccia gli esami», tagliò corto Falcón, più brutale di quanto avesse inteso essere, «ma, Doña Consuelo, cominci anche a pensare a chi avrebbe potuto avere un motivo per assassinare suo marito. Voglio i nomi e gli indirizzi dei suoi amici, voglio che lei ricordi, per esempio, chi è stato a dirle che somigliava tanto alla sua prima moglie. Voglio il diario di Raúl.»

«Aveva un'agenda in ufficio che io gli tenevo aggiornata. Ha buttato via la rubrica quando ha cominciato a usare il telefonino. E comunque comunicava solo per telefono. Non scriveva mai a nessuno, perdeva sempre le penne e si appropriava delle mie.»

Falcón non ricordava di aver visto un cellulare. Chiamò la scientifica e il Médico Forense. Nessun cellulare. Doveva averlo preso l'assassino.

«Qualcos'altro?»

«Un vecchio elenco di indirizzi nel computer dell'ufficio.»

«Dove?»

«Sopra il ristorante vicino a plaza de la Alfalfa.»

Le fornì il suo numero di cellulare e le chiese di procurargli una stampata dell'elenco entro mezz'ora.

La lasciò davanti alla casa della sorella a San Bernardo poco dopo le tre del pomeriggio e dieci minuti più tardi parcheggiava accanto al cancello orientale dei jardines de Murillo, continuando a piedi, quasi di corsa attraverso le vie affollate del barrio de Santa Cruz dove si adunavano i turisti per le processioni della Semana Santa. Il sole era sbucato dalle nuvole. Faceva caldo e ben presto Falcón cominciò a sudare. L'aria nelle viuzze sapeva di Ducados, di fiori d'arancio, di sterco di cavallo e di tracce d'incenso, vestigia delle processioni. I ciottoli della strada, cosparsi di cera delle candele, erano scivolosi.

Falcón si tolse l'impermeabile e tagliò per le stradine laterali, che conosceva grazie alle rare volte in cui riusciva a seguire le lezioni d'inglese (che comunque continuava a pagare) al British Institute in calle Federico Rubio. Sbucò nell'angolo sudorientale di plaza de la Alfalfa, gremito di tutte le tribù del mondo. Macchine fotografiche lo annusarono, ma Falcón si fece largo tra la gente, percorse in fretta la calle San Juan e, all'improvviso, fu spinto in avanti dalla folla che sopraggiungeva da calle Boteros. Si rese conto dell'errore troppo tardi, vide la processione muoversi verso di lui, non riuscì a liberarsi e l'orda lo sospinse verso la piattaforma cosparsa di fiori, che aveva appena superato un angolo difficile grazie agli sforzi dei venti costaleros che la sostenevano. La Madonna, piena di contegno sotto il baldacchino di trine bianche, tremolava nella luce intensa del sole, mentre l'incenso dei turiboli fluttuava verso di lui nella corrente della via, riempiendogli la testa e i polmoni, che faticavano a respirare. I tamburi della banda alle spalle della piattaforma continuavano a rullare, martellanti nel loro ritmo solenne.

La folla si spingeva in avanti, il paso avanzava verso i volti rapiti, la Vergine torreggiava su di loro, il corpo ondeggiante da destra a sinistra seguendo il passo dei costaleros. Squilli di tromba disordinati e assordanti davano voce alla passione. Il suono nei confini ristretti della via riverberò nel petto di Falcón e parve schiantarlo, la folla trattenne il fiato nel momento glorioso, ogni sguardo fisso sulla Madonna piangente, al culmine dell'estasi… e il sangue defluì rapidamente dal cervello di Falcón.

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