Con l’indice della mano sinistra Lucy Farinelli sfiora il pulsante del cambio al volante e, mentre l’auto rallenta, il motore raggiunge i mille giri al minuto.
Sul cruscotto si accende una luce rossa e scatta un allarme sonoro a indicare che nei dintorni c’è un radar della polizia.
«Non sto mica andando troppo forte» dice a Rudy Musil, che osserva il tachimetro. È seduto accanto a lei, vicino all’estintore. «Solo dieci chilometri oltre il limite.»
«Non ho aperto bocca» replica lui, guardando nello specchietto laterale dalla sua parte.
«Vediamo se ho ragione.» Lucy resta in terza e si assesta sui settanta chilometri all’ora. «Scommetto che al prossimo incrocio troviamo una macchina della polizia.»
«Cosa voleva Marino?» chiede Rudy. «Non dirmi che ci tocca fare di nuovo le valigie.»
Sono tutti e due molto attenti, controllano gli specchietti, osservano le altre auto, le palme, i pedoni e i palazzi. In questo momento non c’è molto traffico in Atlantic Boulevard, a Pampano Beach, a nord di Fort Lauderdale.
«Che cosa ti avevo detto?» esclama Lucy, gli occhiali scuri fissi sulla strada, mentre una Ford LTD blu sbuca sulla destra da Powerline Road e le si piazza dietro, sulla corsia di sinistra.
«Li hai incuriositi» dice Rudy.
«Non sono pagati per essere curiosi» risponde lei aggressiva, mentre la Ford continua a seguirla. È convinta che sia un’auto della polizia e che l’uomo al volante stia aspettando che lei faccia qualcosa che gli permetta di azionare luci e sirena, fermarla e multarla. «Guarda: quello sorpassa a destra e quell’altro ha il bollo scaduto» dice indicando fuori dal finestrino. «Ma lui ha occhi solo per noi.»
Smette di osservare l’uomo alla guida della Ford blu dallo specchietto retrovisore e sospira, pensando che Rudy è sempre di cattivo umore, da quando lei ha aperto la sede di Los Angeles. Non sa bene perché, ma è convinta di aver frainteso le sue ambizioni: dava per scontato che a lui facesse piacere andare a lavorare in un grattacielo con vista mozzafiato in Wilshire Boulevard, invece si è sbagliata. Non ha capito niente.
Il tempo sta migliorando, il cielo da plumbeo sta diventando grigio perla e il vento freddo sta allontanando la pioggia, che fino a poco prima è caduta torrenziale. La strada è bagnata e piena di pozzanghere. Uno stormo di gabbiani vola basso sopra di loro, disperdendosi in diverse direzioni. La Ford blu continua a seguirli.
«Marino mi ha detto poco o niente» risponde a Rudy. «Pare che ci siano problemi a Richmond. Come al solito, mia zia sta per ficcarsi in un casino.»
«Ho sentito che ti sei offerta di raggiungerli. Credevo tua zia fosse andata là per una semplice consulenza. Cos’è successo?»
«Non so se sarà il caso di raggiungerli. Vedremo. È successo che il direttore dell’Istituto di medicina legale della Virginia, che non mi ricordo più come si chiama, le ha chiesto una mano su un caso difficile, una ragazzina morta improvvisamente, non si capisce bene perché. O, perlomeno, lui non riesce a capirlo. Non mi sorprende. Dirige l’istituto solo da quattro mesi, e al primo problema chiama mia zia. “Sa, è scoppiata una grana: le dispiacerebbe occuparsene lei?” Io le ho consigliato di mandarlo a quel paese, ma lei è voluta partire lo stesso, e adesso ha dei problemi. Com’era prevedibile. Non capisco, io le avevo detto chiaro e tondo che non ci doveva andare, ma lei non mi sta a sentire…»
«Ti sta a sentire quanto tu stai a sentire lei, mi pare» la interrompe Rudy.
«Sai una cosa? Questo tizio non mi piace» dice Lucy guardando nello specchietto retrovisore.
La Ford blu continua a tallonarla. Alla guida c’è un uomo con la pelle olivastra. Potrebbe anche essere una donna, Lucy non riesce a capirlo e non vuole farsi vedere troppo interessata. Tutto a un tratto le viene in mente una cosa.
«Cristo, quanto sono stupida!» esclama incredula. «Non è scattato nessun allarme. Ma cosa ho nella testa? Abbiamo questa macchina dietro, ma l’allarme non è partito: vuol dire che non è una macchina della polizia con radar. Non può esserlo. Eppure ci segue.»
«Sta’ tranquilla» le dice Rudy. «Ignoralo e va per la tua strada. Vediamo che cosa fa. Probabilmente è solo incuriosito dalla tua macchina. Se vai in giro su una Ferrari, devi metterlo in conto. Ma non vorrei ripetermi…»
Rudy un tempo non le faceva paternali. Si sono conosciuti all’accademia dell’FBI alcuni anni fa, e da allora sono stati colleghi, compagni di squadra e amici. Quando Lucy si licenziò per mettersi in proprio, lui andò a lavorare per lei in quella che, in mancanza di un termine più appropriato, si può definire un’agenzia di investigazioni internazionale, l’Ultimo Distretto. Molti di quelli che ci lavorano non sanno bene di che cosa si occupa e non conoscono né Lucy, che l’ha fondata, né Rudy, o comunque non sanno chi sono e che ruolo svolgono all’interno dell’Ultimo Distretto.
«Controlla la targa» dice Lucy.
Rudy prende il palmare e si collega al database ma, guardando meglio, vede che l’auto non ha la targa anteriore. Lucy si sente una cretina, per aver ordinato a Rudy di controllare un numero che non c’è.
«Lasciati superare» suggerisce lui. «Così gli prendiamo la targa.»
Lucy sfiora la leva del cambio e scala in seconda. È sotto il limite di velocità, ma la Ford non accenna a sorpassarla.
«E va bene» sussurra in tono minaccioso. «Hai scelto la persona sbagliata, te lo dico io.» Svolta bruscamente a destra, in un piccolo posteggio.
«Oh, merda! Ma cosa cazzo…? Così adesso è chiaro che ce l’hai con lui!» dice Rudy arrabbiato.
«Pigliagli la targa. Dovresti esser in grado di vederla, adesso.»
Rudy si gira sul sedile, ma non riesce a leggerla perché anche la Ford svolta, seguendoli nel parcheggio.
«Fermati» le dice arrabbiatissimo. «Fermati immediatamente.»
Lucy frena e mette in folle. La Ford si ferma dietro di lei. Rudy scende dalla macchina e va verso la persona alla guida, che abbassa il finestrino. Lucy, con il finestrino aperto e la pistola in grembo, osserva la scena dallo specchietto laterale e cerca di reprimere le proprie emozioni. Si sente stupida, imbarazzata, arrabbiata e lievemente impaurita.
«Qualche problema?» domanda Rudy all’uomo alla guida della Ford, un giovane sudamericano.
«Io? E perché? Stavo solo guardando la vostra macchina.»
«Non ci piace, che lei guardi la nostra macchina.»
«Questo è un paese libero. Se mi va di guardare, guardo finché voglio. Se non vi va, è un problema vostro.»
«Senta, vada a guardare qualche altra macchina e si tolga di qui, per favore» gli intima Rudy, senza alzare la voce. «Smetta di seguirci, se non vuole avere dei guai!»
Nel sentire Rudy che sbatte in faccia al ragazzo sudamericano le sue false credenziali, a Lucy scappa da ridere. È sudata, ha il batticuore e una gran voglia di ridere, ma anche di scendere dalla macchina e ammazzare il sudamericano. E ha voglia anche di piangere, perché è confusa riguardo ai propri sentimenti. Resta dov’è, al volante della sua Ferrari. Il ragazzo alla guida della Ford dice qualcos’altro che lei non sente e se ne va rabbioso, sgommando. Rudy torna al suo posto.
«Possiamo andare» dice. Lucy si immette di nuovo in Atlantic Boulevard. «Era solo un povero deficiente ammaliato dal tuo macchinone e tu ne hai fatto una questione di Stato: prima sei convinta che è un poliziotto, poi ti accorgi che non lo è ma ti fai prendere dal panico lo stesso. Cos’hai, si può sapere? Cosa credi, di avere alle calcagna la mafia? Un killer pronto ad ammazzarti in mezzo a una strada piena di gente?»
Lucy sa che Rudy ha ragione, ma le dà fastidio che sia arrabbiato con lei. «Non gridare, per favore» gli dice.
«Sai una cosa? Non ti sai controllare. Sei un pericolo pubblico.»
«Non è questo il problema» ribatte lei, cercando di apparire sicura di sé.
«Hai ragione» replica Rudy. «Il problema è lei. Te la sei messa in casa e guarda cos’è successo. Avete rischiato di morire tutte e due, lo sai? Peccato che lei non sia morta, però. Se non ti dai una regolata, prima o poi succederà di peggio.»
«L’ha seguita qualcuno, Rudy. Non dare la colpa a me. Io non c’entro niente.»
«L’ha seguita qualcuno, okay. Lo so. Ma so anche che è colpa tua. Se andassi in giro con una jeep o una Hummer… Non potresti prenderti una delle Hummer della ditta? Invece no, e perdipiù le lasci una delle tue Ferrari. E così lei va a farsi bella in giro. Miss Hollywood… Gesù! Sulla tua Ferrari.»
«Non farmi una scenata di gelosia, adesso. Esigo che…»
«Non è una scenata di gelosia!» urla Rudy.
«Ce l’hai con lei da quando l’abbiamo assunta.»
«Vorrei sapere perché l’abbiamo assunta. Cosa fa? Protegge i nostri clienti di Los Angeles? Ma vogliamo scherzare? Dimmi, Lucy: perché l’hai assunta? Per fare cosa?»
«Non mi parlare a questo modo» ribatte lei sottovoce. È calmissima. Non ha scelta: se si fa prendere dalla collera, rischiano di litigare furiosamente, e allora Rudy potrebbe anche decidere di andarsene.
«Non voglio lasciarmi condizionare più di tanto. Voglio essere libera di andare in giro con la macchina che voglio io e di stare nella casa che voglio io.» Guarda la strada, le macchine che entrano nei posteggi e svoltano nelle traverse. «Se mi va di fare un favore a un’amica, voglio poterlo fare. Non le ho mai dato il permesso di prendere la Ferrari nera, lo sai. L’ha presa lei di sua iniziativa. È cominciato tutto lì: qualcuno l’ha vista, l’ha seguita ed è successo quel che è successo. Non è colpa di nessuno. Nemmeno sua. Di certo non voleva che lui mi rovinasse la macchina, la seguisse fino a casa e cercasse di ammazzarla.»
«Va bene. Fai come ti pare» ribatte Rudy. «Continuiamo pure a litigare con tutti quelli che ti guardano la macchina. Magari la prossima volta gli spariamo pure. O, meglio ancora, ci facciamo sparare. Cosa dici: ci facciamo sparare addosso per una stupida macchina?»
«Calmati» dice Lucy, fermandosi a un semaforo rosso. «Ti prego, adesso calmati. Lo so, avrei potuto gestire meglio la situazione.»
«Meglio? Non l’hai gestita per niente. Hai reagito come un’idiota.»
«Per favore, Rudy, adesso basta.» Non vuole lasciare spazio alla collera, ha paura di commettere qualche irrimediabile passo falso. «Non parlarmi così, per favore. Non è giusto. Non ne hai il diritto.»
Svolta sulla A1A e percorre lentamente il lungomare. Alcuni ragazzini in bicicletta si girano a guardare la Ferrari rischiando di cadere. Rudy scuote la testa e alza le spalle, come a dire che parlare con lei non serve a niente. Ma ormai l’oggetto del contendere non è più la Ferrari. Per Lucy, cambiare modo di vivere vorrebbe dire darla vinta alla bestia, ammettere la sconfitta. Henri la chiama “la bestia”, ma Lucy è convinta che si tratti di un uomo. Non ha dubbi, su questo, indipendentemente da indizi, prove, analisi di laboratorio. Se lo sente, che è stato un uomo ad aggredire Henri.
Un uomo troppo sicuro di sé, oppure un uomo molto stupido, perché ha lasciato due impronte digitali parziali sul piano di cristallo del comodino. O non ci ha pensato, o se ne è fregato. Non corrispondono a nessuna delle impronte contenute nell’Automated Fingerprint Identification System e quindi forse nessuno gliele ha mai prese, perché non è mai stato arrestato. E forse se ne è fregato anche dei capelli che ha lasciato sul letto. Tre, neri. Perché avrebbe dovuto preoccuparsene, comunque? Nei casi più urgenti, per la prova del DNA mitocondriale ci vogliono comunque dai trenta ai novanta giorni. E non è detto che serva a qualcosa, dato che non esiste una banca dati significativa per il DNA mitocondriale (ossa e capelli) che, a differenza di quello nucleare (sangue e tessuti), non rivela il sesso. Le tracce lasciate dalla bestia sul luogo dell’aggressione non sono risolutive. Potrebbero non esserlo neppure nel caso venisse arrestata una persona ed effettuato un confronto.
«È vero, sono stressata. Non sono più io. Mi sono lasciata prendere troppo da questa cosa» ammette Lucy concentrandosi sulla guida. La spaventa pensare che forse Rudy ha ragione e lei sta perdendo il controllo. «Non avrei dovuto comportarmi così, con quello della Ford. Non esiste. Non bisogna cacciarsi in certi pasticci.»
«Infatti. Da te non me lo aspettavo. Da quella là, sì.» Rudy tiene il muso, con gli occhi nascosti dietro lenti scure lievemente specchiate. Evita il suo sguardo, e questo la turba.
«Credevo stessimo parlando del sudamericano sulla Ford» dice.
«Io te l’avevo detto subito che metterti qualcuno in casa è pericoloso» continua Rudy. «Specie se usa la tua macchina, fruga fra le tue cose, ha la possibilità di restare solo nei tuoi spazi e non rispetta le tue regole. Non ti scordare che quella non ha l’addestramento che abbiamo noi. E ha ben altre priorità.»
«Nella vita non conta solo l’addestramento» ribatte Lucy. Preferisce parlare dell’addestramento che delle priorità di Henri. E preferirebbe parlare del sudamericano della Ford che di lei. «Sono stata scema, prima, a lasciarmi prendere dal panico. Mi dispiace.»
«Ho l’impressione che tu sia un po’ confusa riguardo ai tuoi obiettivi nella vita» replica Rudy.
«Ti prego, adesso non fare il boy scout» sbotta Lucy accelerando in direzione nord, verso il quartiere di Hillsboro e la sua villa color salmone in stile mediterraneo, affacciata sulla Intracoastal Waterway e sull’oceano. «Non riesci a essere obiettivo. Non riesci nemmeno a chiamarla per nome. “Quella”, la chiami.»
«Non riesco a essere obiettivo, dici? E tu, allora?» ribatte lui spietato. «Quella stupida ha rovinato tutto. Ma veramente tutto. E tu non avevi il diritto di mettere in mezzo anche me. Nessun diritto.»
«Rudy, smettiamola di litigare, ti prego» implora Lucy. «Perché ci accapigliamo così?» Lo guarda. «Non tutto è perduto.»
Lui non risponde.
«Perché litighiamo sempre? Mi fa stare male» dice Lucy.
Un tempo lei e Rudy non litigavano. Qualche volta lui si immusoniva, ma non avevano mai bisticciato tanto, prima che lei aprisse la sede di Los Angeles e assumesse Henri. Un segnale acustico avverte che il ponte sta per alzarsi, Lucy scala la marcia e si ferma. Un signore su una Corvette le mostra il pollice; in segno di apprezzamento per la Ferrari.
Lei sorride tristemente e scuote la testa. «Hai ragione, faccio delle scemenze» dice. «Sono fatta così, sono fatta sbagliata. Devo aver preso da mio padre, che era sudamericano. Spero non da mia madre, perché non vorrei proprio finire come lei. Sarebbe molto peggio.»
Rudy non dice niente e guarda il ponte che si alza per far passare uno yacht.
«Non litighiamo» continua lei. «Non è tutto perduto. Dai…»
Gli prende una mano e gliela stringe. «Facciamo pace? Ricominciamo? Vuoi che chiami Benton e mi faccia dare qualche consiglio su come si trattano gli ostaggi? Perché non sei solo mio amico e collaboratore: adesso sei anche mio ostaggio. E io sono ostaggio tuo, immagino. Tu sei qui perché hai bisogno di questo lavoro, o perlomeno lo vuoi fare, e io ho bisogno di te. Non è così?»
«Io non devo essere qui, né da nessun’altra parte» risponde lui. Non le stringe la mano e Lucy gliela lascia.
«Lo so benissimo» dice. È rimasta male che lui non abbia risposto alla sua stretta. Riprende il volante con tutte e due le mani. «Vivo quotidianamente con questa paura, con la paura che tu te ne vada. Tanti saluti e buona fortuna, io per la mia strada e tu per la tua.»
Rudy guarda passare lo yacht diretto verso il mare aperto. Sul ponte, alcune persone in bermuda e camicie larghe si muovono con l’agio di chi è molto ricco. Anche Lucy è molto ricca, sebbene non ci rifletta mai. Guarda lo yacht e si sente povera. Guarda Rudy e si sente ancora più povera.
«Prendiamo un caffè insieme?» gli propone. «Ci sediamo vicino alla mia piscina, che non uso mai, a guardare il mare, che non guardo mai. Vorrei liberarmi di quella casa. Hai ragione, faccio un sacco di scemenze» insiste. «Dai, prendiamo un caffè.»
«Okay.» Rudy guarda dal finestrino, immusonito. «Credevo che avessi deciso di toglierla» dice poi, indicando la cassetta della posta. «Nessuno ha il tuo indirizzo di casa. Ti arriva solo roba indesiderata. Adesso più che mai.»
«Me la faccio togliere» promette. «Sto pochissimo a casa. Fra l’apertura dell’ufficio a Los Angeles e tutto il resto… Mi sento un’altra, sai? Mi sento la Lucy di Lucy e io, la serie televisiva. Te la ricordi? Ti ricordi quando lavorava nella fabbrica di caramelle e non riusciva a tenere dietro alla catena di montaggio?»
«No.»
«Probabilmente non guardavi quel genere di telefilm» dice Lucy. «Io e mia zia eravamo appassionatissìme di Lucy e io e Bonanza. Lei li guardava da bambina.» Rallenta fino quasi a fermarsi vicino alla cassetta della posta in fondo al viale che porta a casa sua. Sua zia, che ha uno stile di vita molto più sobrio, le aveva espresso non poche perplessità rispetto a quella casa.
Le aveva detto: “Prima di tutto, è troppo lussuosa rispetto al resto del quartiere”. Comprare quella casa è stata una scemenza, ammette Lucy imboccando il viale. È una villa a tre piani di mille metri quadrati con giardino, che le è costata nove milioni di dollari. Più che un giardino, quello intorno alla casa è un patio, con poca erba e tanta pietra, una piscina, una fontana, qualche pianta e qualche palma. L’aveva avvertita, sua zia, che non era una buona scelta. Quella casa offre poca privacy, è pericolosa, accessibile dal mare. Ma Lucy non le ha dato retta, presa com’era dal lavoro e dal desiderio di far felice Henri. “Te ne pentirai” le aveva detto Kay Scarpetta. Aveva ragione: Lucy abita lì da tre mesi ed è già pentita.
Apre il cancello con un telecomando e la porta del garage con un altro.
«A che cosa serve questo affare?» domanda Rudy indicando il cancello. «Hai un viale di tre metri…»
«Lo so» ribatte Lucy arrabbiata. «Odio questo posto di merda.»
«Ti entrano in garage come vogliono» insiste Rudy.
«Se uno mi entra nel garage, io lo ammazzo.»
«Guarda che parlavo sul serio.»
«Anch’io» dice Lucy mentre la porta del garage si chiude lentamente dietro di loro.