È l’ora di pranzo e gli operai del cantiere hanno interrotto il lavoro e si sono seduti su blocchi di cemento o sui sedili dei loro mezzi. Con il casco in testa e la pelle bruciata dal sole, si voltano verso Kay Scarpetta che avanza nel fango, tenendo alzati i lembi del cappotto, come fosse la sottana di una dama dell’Ottocento.
Kay non vede Bud Light, né nessun altro con l’aria del caposquadra, ma solo operai fermi a mangiare un panino. Nessuno le va incontro. Intorno a uno scavatore ci sono alcuni uomini con la tuta scura impolverata, che la guardano arrivare continuando a mangiare e a bere dalle loro lattine. Si avvicina e dice: «Sto cercando il caposquadra. Devo entrare nell’edificio».
Guarda quello che un tempo era il suo regno. La parte anteriore del palazzo è già stata demolita, ma quella posteriore è ancora in piedi.
«Impossibile» risponde uno degli operai, con la bocca piena. «È vietato.» Ricomincia a masticare e la guarda come se le avesse dato di volta il cervello.
«La parte posteriore è ancora in piedi» osserva lei. «Un tempo dirigevo l’istituto. Sono già stata qui l’altro giorno, dopo l’incidente a Ted Whitby.»
«Non si può entrare là dentro» ribadisce l’operaio. Lancia un’occhiata ai suoi compagni, che ascoltano senza dire niente, come a dire di dargli una mano a sbarazzarsi di quella pazza.
«Dov’è il caposquadra?» insiste Kay Scarpetta. «Voglio parlare con lui.»
L’uomo prende il cellulare dalla cintura e lo chiama. «Joe?» dice. «Ciao, sono Bobby. Ti ricordi la dottoressa che è venuta qui l’altro giorno? Sì, con il poliziotto di Los Angeles. Infatti. Sì, lei. Okay, è di nuovo qui e vorrebbe parlare con te. D’accordo.» Chiude la comunicazione e la guarda. «È andato un attimo a comprare le sigarette. Torna subito» le comunica. «Perché vuole entrare là dentro, comunque? Non credo che ci sia più niente.»
«A parte i fantasmi» dice uno degli operai. Tutti scoppiano a ridere.
«Quando avete cominciato la demolizione?» domanda Kay Scarpetta.
«Circa un mese fa. Appena prima del giorno del Ringraziamento. Poi abbiamo interrotto i lavori per il cattivo tempo.»
Mentre gli operai discutono bonariamente fra loro sul giorno esatto in cui la palla da demolizione ha colpito per la prima volta il palazzo, Kay Scarpetta vede avvicinarsi un uomo in calzoni beige, giacca verde scuro e scarponi da lavoro. Ha il casco sottobraccio e una sigaretta in bocca.
«Ecco Joe» annuncia l’operaio che lo ha chiamato al telefono, Bobby. «Le dirà quello che le ho detto io, la avverto. Non si può entrare là dentro. È pericoloso.»
«Avete staccato la corrente quando avete cominciato a demolire, o era già stata staccata?» domanda Kay Scarpetta.
«Non avremmo mai cominciato, se la corrente non fosse già stata staccata.»
«Però l’avevano staccata subito prima» ricorda un altro. «Quando abbiamo fatto il sopralluogo le luci si accendevano ancora.»
«Io non mi ricordo.»
«Buongiorno» dice Joe a Kay Scarpetta. «Mi cercava?»
«Ho bisogno di entrare nel palazzo. Dall’ingresso posteriore» spiega lei.
«Mi dispiace, ma è impossibile» risponde l’uomo, scuotendo la testa e guardando l’edificio.
«Posso parlarle un momento in privato?» chiede Kay Scarpetta. Si allontanano dal gruppetto di operai.
«È impossibile, veramente. Che cosa ci andrebbe a fare, comunque?» chiede Joe, appena sono a qualche metro di distanza dagli altri. «È pericoloso.»
«Senta» comincia Kay Scarpetta, con i piedi nel fango. «Abbiamo effettuato l’autopsia su Ted Whitby e sono emersi alcuni elementi un po’ strani. Non posso dirle altro.»
«Sta scherzando?»
Kay Scarpetta sapeva che, esprimendosi in quel modo, avrebbe ricevuto maggiore ascolto. «Devo controllare una cosa all’interno dell’edificio. È davvero pericoloso o lei è solo preoccupato di non violare le norme antinfortunistiche?»
Joe guarda l’edificio e si gratta una tempia, poi si passa le dita fra i capelli. «Be’, non credo che ci possa cadere niente sulla testa, se passiamo da dietro. Non mi avventurerei nella parte davanti.»
«Non voglio andare nella parte davanti» replica Kay Scarpetta. «Possiamo entrare dalla porta sul retro, vicino alla saracinesca, girare a destra e prendere le scale in fondo al corridoio. Voglio scendere nel sotterraneo.»
«Sì, so dove sono le scale. Le ho già prese. Vuole scendere nel sotterraneo? Dio Santissimo!»
«Quando è stata staccata la corrente?»
«Prima dell’inizio dei lavori.»
«Quando avete fatto il sopralluogo nel palazzo la luce c’era ancora?»
«L’estate scorsa? Sì, mi pare di sì. Adesso sarà buio pesto, laggiù. Mi scusi, ma che cosa è emerso di strano dall’autopsia di Ted? Credete che gli sia successo qualcosa prima di rimanere investito dal trattore? So che la moglie vuole fare causa, che ha accusato un collega, ma è assurdo. Io c’ero, dottoressa. Non è successo niente: Ted ha avuto la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ha avuto la sfortuna che gli si è fermato il motore.»
«Devo scendere a controllare i sotterranei» ribadisce Kay Scarpetta. «Mi farebbe piacere, se mi accompagnasse. Devo solo dare un’occhiata. Immagino che la porta sia chiusa a chiave. Come facciamo ad aprire?»
«Non sarà una porta chiusa a chiave a fermarci.» Lancia un’occhiata all’edificio, poi ai suoi uomini. «Bobby, puoi venire a togliere la serratura dalla porta sul retro, per favore? Subito, se puoi.» La guarda. «Va bene, la accompagno. Basta che non andiamo sul davanti e che facciamo presto.»