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Vedendo entrare Kay Scarpetta con Pete Marino, che si sforza di camminare normalmente, Bruce si alza dalla sua postazione alla reception con la faccia sconsolata.

«Il capo mi ha ordinato di non far entrare nessuno» dice, senza guardarli negli occhi. «Ma forse non si riferiva a voi. Avete appuntamento?»

«No, non abbiamo nessun appuntamento» risponde Kay Scarpetta disinvolta. Ormai niente la sorprende più. «Probabilmente si riferiva proprio a me, invece.»

«Mi dispiace, dottoressa.» Bruce è in imbarazzo. È arrossito. «Come va, Pete?»

Marino si appoggia al tavolo della reception con le gambe larghe e i pantaloni con il cavallo più basso del solito. «Diciamo che sono stato meglio» risponde. «Dunque il grande capo non ci vuol far entrare. È così, Bruce?»

«È un bordello…» comincia lui, ma non finisce la frase, per paura di perdere il posto di lavoro. Ha una bella divisa blu di prussia, una pistola, lavora in un ufficio prestigioso… Gli conviene mordersi la lingua, far finta di niente e non dire quanto gli sta antipatico il dottor Marcus.

«Be’, non vorrei dargli un dispiacere, ma in realtà non siamo venuti qui per lui» continua Marino. «Dobbiamo lasciare dei campioni in laboratorio, a Eise. Senti, Bruce, che cosa ti ha detto precisamente? Mi ripeti le parole esatte?»

«È un bordello…» ripete Bruce. Scuote la testa, ma poi si morde di nuovo la lingua: quel lavoro gli piace.

«Non importa» interviene Kay Scarpetta. «Ho ricevuto il messaggio forte e chiaro. Grazie di avermelo detto. Dovevo pur saperlo.»

«Avrebbe dovuto dirglielo lui.» Bruce si rende conto di aver parlato troppo e si zittisce, guardandosi intorno. «Comunque sappia che siamo stati tutti contenti di vederla, dottoressa.»

«Proprio tutti no, mi pare.» Sorride. «Non c’è problema. Vogliamo dire a Eise che siamo qui? Ci aspettava» aggiunge.

«Sì, certo» risponde Bruce, lievemente sollevato. Prende il telefono, chiama l’interno di Eise e riferisce il messaggio.

Kay Scarpetta e Marino aspettano davanti all’ascensore, che si attiva solo con il tesserino magnetico del personale autorizzato a utilizzarlo. Eise lo manda al pianoterra, Kay Scarpetta e Marino vi salgono e premono il pulsante numero 3.

«Quel bastardo vuole fare a meno di te, dunque» dice Marino appena si chiudono le porte.

«Già» replica Kay, con la borsa di nylon nera a tracolla.

«Che cosa intendi fare? Non può mica chiederti una consulenza, farti venire a Richmond e poi trattarti come una merda! Non capisco perché non l’abbiano già mandato via a calci nel culo.»

«Vedrai che, se continua così, prima o poi succederà. E comunque io ho altro da fare» risponde. Junius Eise li aspetta davanti all’ascensore, in un corridoio bianco.

«Grazie, Junius» dice Kay Scarpetta, stringendogli la mano. «È un piacere rivederla.»

«Si figuri, dottoressa. Piacere mio» replica, un po’ in imbarazzo.

È un uomo strano, con gli occhi chiarissimi e la tipica cicatrice sortile fra il labbro superiore e il naso di chi è nato con il labbro leporino quando la chirurgia plastica non era ancora ai livelli di adesso. Ma Eise ha qualcosa di strano indipendentemente dall’aspetto, Kay Scarpetta l’ha sempre pensato. Quando dirigeva lei l’istituto a volte lo incontrava per i corridoi e ogni tanto discutevano qualche caso. Era infatti gentile e rispettosa con i dipendenti, benché fosse sempre un po’ sulle sue e non desse confidenza a nessuno.

Segue Eise lungo una serie di corridoi bianchi e vede dalle porte a vetro i tecnici al lavoro. Sa di incutere soggezione al prossimo. Sa che, quando dirigeva l’istituto, era più rispettata che amata. Questo le dispiaceva, ma lo accettava perché era meglio così. Adesso però non dirige più l’istituto, e severità e durezza non sono più necessarie.

«Come va la vita, Junius?» domanda al tecnico. «Ho saputo che l’altra sera avete fatto baldoria, lei e Marino. Spero che questa storia delle tracce identiche su due cadaveri diversi non la stressi eccessivamente. Sono certa che scoprirà che cosa è successo.»

Eise la guarda scettico. «Speriamo» dice, a disagio. «L’unica cosa di cui sono certo è che non ho fatto confusione fra i campioni. Su questo potrei mettere la mano sul fuoco.»

«So che è un uomo molto preciso» replica Kay Scarpetta.

«Grazie. Detto da lei, è un vero complimento.» Passa il tesserino magnetico su un sensore alla parete, facendo scattare la serratura della porta del laboratorio. «Comunque non sono io a dover far luce sulla vicenda» continua. «Posso dire solo che non ho scambiato etichette o fatto altre sviste di questo genere. In tanti anni che lavoro qui, non è mai successo. Quando ho rischiato di commettere un errore, me ne sono sempre accorto in tempo.»

«Certo.»

«Ricorda Kit?» domanda poi Eise. «Purtroppo è in malattia perché si è buscata l’influenza. Che roba! C’è mezzo mondo a casa con la febbre. Be’, è proprio un peccato che non ci sia, perché aveva voglia di vederla e di salutarla. Sentiamo tutti la sua mancanza.»

«Grazie. Dispiace anche a me non averla rivista» replica Kay Scarpetta. Sono davanti al lungo bancone nero dove lavora di solito Eise.

«C’è un posticino tranquillo con un telefono, da queste parti?» chiede Marino.

«Sì, certo. La stanza del capo sezione, qui dietro l’angolo. Oggi la dottoressa non c’è, è in tribunale. Vai pure, non credo che le darà fastidio se usi il suo telefono.»

«Vi lascio, allora» dice Marino, avviandosi a passi lenti, con l’andatura di un cowboy reduce da una lunga cavalcata.

Eise copre il bancone con carta bianca e Kay Scarpetta ci posa sopra i campioni che estrae dalla borsa nera. Prende una seggiola e si siede accanto al tecnico, davanti al microscopio. Eise le porge un paio di guanti di lattice e si mette all’opera. Prende una spatolina di acciaio, la infila in un sacchetto, raccoglie una quantità minuscola di terra rossa e sabbiosa e la spalma su un vetrino pulito, che poi sistema sul microscopio. Si avvicina all’oculare, regola la messa a fuoco e sposta leggermente il vetrino. Poi lo toglie dal microscopio, lo mette da una parte e ripete l’operazione con un altro campione di terra.

Trova qualcosa di interessante soltanto alla seconda bustina.

«Se non ce l’avessi sotto gli occhi, non ci crederei» dice, allontanandosi dall’oculare per farle posto. «Guardi.»

Kay Scarpetta si avvicina e guarda sul vetrino un campione della terra che ha raccolto nel cantiere in cui è morto Ted Whitby. Fra particelle di silice e altri minerali, frammenti di insetti, di piante e di tabacco, ci sono anche alcune scaglie metalliche, che sembrano di argento opaco. Kay Scarpetta si guarda intorno alla ricerca di un attrezzo a punta e ne trova diversi a portata di mano. Muove con grande delicatezza le scaglie metalliche, isolandole. Sul vetrino ce ne sono esattamente tre, tutte lievemente più grosse delle altre particelle. Due sono rosse e una è bianca. Spostandole con la punta di tungsteno, fa un’altra scoperta molto interessante. Intuisce subito di che cosa è la particella che ha appena visto ma, prima di dirlo ad alta voce, se ne vuole accertare.

È delle dimensioni della scaglia di vernice più piccola, di un grigio giallastro e di una forma particolare: assomiglia a un uccello preistorico, con la testa a forma di martello, un occhio solo, un collo sottilissimo e un corpo bulboso. Non è né minerale, né artificiale.

«Lamelle simili ai cerchi concentrici sul tronco di un albero.» Comincia a enumerarne le caratteristiche, muovendola. «E canalicoli, o canali vascolari di Havers. A un esame microscopico in luce polarizzata dovremmo vedere un’estensione a ventaglio lievemente ondulata. A una diffrazione ai raggi X risulterebbe fosfato di calcio. In altre parole, è polvere di osso. Non mi sorprende, dato il luogo in cui ho raccolto il campione. È normale che intorno alla ex sede dell’istituto ci sia polvere di osso.»

«Perbacco!» esclama Eise. «E io che mi ci sono rotto la testa! Sono le stesse particelle prelevate dal cadavere della ragazzina, Gilly Paulsson. Posso dare un’occhiata?»

Kay Scarpetta gli fa posto, un po’ sollevata ma tuttora perplessa. Che sul cadavere di Ted Whitby ci fossero scaglie di vernice e polvere di osso ha un senso, ma che le medesime, fossero anche sul corpo di Gilly Paulsson è assolutamente inspiegabile. Com’è possibile che la ragazzina avesse in bocca scaglie di vernice e polvere di osso?

«Uguale precisa identica» dichiara Eise, sicuro. «Prendo i campioni di Gilly Paulsson e le faccio vedere. È incredibile.» Prende una grossa busta da una pila sulla sua scrivania, la apre e tira fuori una serie di vetrini. «Li tengo a portata di mano perché ogni tanto li vado a guardare. Non riesco a farmene una ragione, mi creda.» Sistema un vetrino sul microscopio. «Particelle rosse, bianche e blu. Alcune aderiscono a parti metalliche, altre no.» Sposta il vetrino e aggiusta la messa a fuoco. «Sembra ci sia una base di smalto epossidico, forse riverniciata in seguito. Ovvero: di qualsiasi cosa si tratti, in origine potrebbe essere stata bianca e poi pitturata di bianco, rosso e blu. Vede?»

Eise ha rimosso faticosamente tutte le altre particelle, in maniera che sul vetrino rimanessero solo scaglie di vernice bianche, rosse e blu.

Paiono grandi e belle come mattoni di una costruzione per bambini, a parte che hanno forma irregolare. Alcune sono attaccate a frammenti di metallo opaco, altre no. Per colore e consistenza sembrano identiche a quelle ritrovate nei campioni di terra. Kay Scarpetta è talmente sbigottita che non riesce a pensare, come se il cervello fosse andato in tilt. Non riesce a trovare una logica in quella stranezza.

«E qui ci sono le particelle che secondo lei sono polvere di osso» dice Eise. Sostituisce il vetrino.

«Ritrovate sul cadavere di Gilly Paulsson?» Kay Scarpetta ha paura di non capire: è tutto troppo incredibile.

«Sì.»

«E la stessa polvere…»

«Pensi a quanta ce ne deve essere in quel cantiere. Se uno dovesse controllare, probabilmente troverebbe più particelle come queste che stelle in cielo» dice Eise.

«Alcune sembrano vecchie, il prodotto di un processo naturale di esfoliazione del periostio» spiega Kay Scarpetta. «Vede come sono arrotondate e più sottili in corrispondenza dei bordi? Potrebbero provenire da scheletri o ossa sepolte nel terreno o ritrovate in un bosco. Da ossa non traumatizzate, in ogni caso. Ce ne sono altre, invece, che hanno bordi dentellati e fratturati e spessore disuniforme» dice, isolandole.

Eise si avvicina all’oculare per vedere, poi lascia di nuovo il posto a Kay Scarpetta.

«Certe sembrano addirittura bruciate. Ha notato quanto sono fini? E hanno i margini nerastri, come fossero carbonizzate. Probabilmente, se le toccassi, resterebbero attaccate all’unto della mia pelle, mentre quelle che sono prodotto di normale esfoliazione no» dice. «Ho la sensazione che siano ceneri di cremazione.» Osserva una particella dentellata, di un bianco bluastro, con i margini carbonizzati. «Questa, per esempio, è gessosa e sembra spezzata, non necessariamente per effetto del calore. Non so, non ho mai studiato attentamente la polvere di osso né le ceneri di cremazione, ma penso che con qualche analisi si riuscirebbe ad accertare se la mia intuizione è corretta. Nell’osso bruciato dovrebbero esserci livelli di calcio e di fosforo diversi» spiega senza spostarsi dall’oculare. «Peraltro, non mi sorprende che ci siano resti di cremazione intorno all’ex sede dell’istituto, visto che comprendeva un crematorio e Dio solo sa quanti morti, ci abbiamo bruciato nel corso degli anni, ma non mi spiego perché siano mescolate a questi campioni di terra. Li ho raccolti sull’asfalto vicino all’entrata sul retro, dove i lavori di demolizione non sono ancora iniziati. Quindi la divisione di Anatomia dovrebbe essere ancora intatta. Ricorda l’entrata di servizio della vecchia sede?»

«Certamente.»

«Be’, è lì che ho raccolto questi campioni di terra. Perché dovrebbero esserci resti di cremazione in quel punto, al fondo del parcheggio? Se non ce l’ha portata qualcuno entrando e uscendo…»

«Potrebbero essere rimasti attaccati ai vestiti e alle scarpe di uno che è sceso nella divisione di Anatomia, se dice che è ancora in piedi.»

«Sì, certo. Whitby è caduto sull’asfalto sporco e queste particelle hanno aderito al sangue che gli usciva dalle ferite.»

«Mi può spiegare meglio quello che diceva prima a proposito dei frammenti di osso spezzati?» chiede Eise. «Se non si sono spezzati per effetto del calore, come si sono spezzati?»

«Non lo so con certezza ma, se questi resti di cremazione erano sull’asfalto fra la terra e la polvere, inevitabilmente sono stati calpestati dalle persone che sono passate di lì e schiacciati dai mezzi. È possibile che dopo un simile trattamento si possano confondere con frammenti di ossa traumatizzate.»

«Ma perché dovrebbero esserci resti di cremazione sul corpo di Gilly Paulsson?» domanda Eise.

«Bella domanda.» Kay Scarpetta cerca di schiarirsi le idee e di organizzare i propri pensieri. «Già. Queste non sono le particelle ritrovate sul cadavere di Whitby. I frammenti di osso che mi sembrano bruciati e spezzati non provengono dalla vecchia sede dell’istituto. Quelli che sto osservando sono i vetrini del caso Paulsson.»

«Come faceva quella ragazzina ad avere in bocca ceneri di cremazione? Io proprio non me lo spiego. Non riesco a capire il motivo di una simile stranezza. Lei?»

«Non ne ho la più pallida idea» risponde Kay Scarpetta. «Che cos’altro avete trovato? Mi pare di capire che sono stati analizzati diversi effetti personali della ragazzina.»

«La biancheria, nient’altro. Kit e io abbiamo raccolto tutto il materiale possibile da quelle lenzuola e poi ho impiegato un sacco di tempo a togliere fibre di cotone perché Marcus insiste nell’usare tamponi di ovatta. Deve averne uno stock» protesta. «Anche quelli del DNA hanno lavorato sulle lenzuola, naturalmente.»

«Lo so» dice Kay Scarpetta. «E so che hanno trovato epitelio respiratorio.»

«Noi invece abbiamo trovato dei capelli, neri, tinti. So che Kit li considerava molto strani.»

«Umani, presumo. È stata fatta la prova del DNA?»

«Sì, umani. Li abbiamo mandati al Bode Technology Group per l’analisi del DNA mitocondriale.»

«Avete trovato peli di animale? In particolare di cane?»

«No» risponde Eise.

«Né sul pigiama né sulle lenzuola, né su niente che provenisse da quella casa?»

«No. Senta, quella polvere di osso non potrebbe essere stata prodotta nel corso dell’autopsia? Magari dalla sega Stryker» chiede. Evidentemente quel mistero lo ossessiona. «Questo spiegherebbe la sua presenza…»

«A occhio, lo escluderei» lo interrompe Kay Scarpetta, allontanandosi dal microscopio per guardarlo in faccia. «Se fosse stata prodotta da una sega, sarebbe mischiata a particelle di metallo.»

«Okay. Senta, voglio dirle una cosa.»

«Prego» lo incoraggia Kay Scarpetta.

«Allora: lei di ossa ne sa certamente più di me, ma io sono abbastanza esperto di vernici» dice rimettendo a posto i vetrini del caso Paulsson. «Le tracce ritrovate sul corpo di Gilly Paulsson e di Ted Whitby non hanno rifinitura né primer, e da questo deduciamo che non provengono dalla carrozzeria di un autoveicolo. Il metallo sottostante non viene attratto da un magnete, per cui non è ferroso. Ho fatto la prova. Penso che sia alluminio.»

«Quindi queste scaglie provengono da un oggetto di alluminio verniciato di bianco, rosso e blu» conclude Kay Scarpetta, riflettendo a voce alta. «E sono mischiate a polvere di osso.»

«Mi arrendo» dice Eise.

«Anch’io, almeno per il momento» gli fa eco Kay Scarpetta.

«Sono ossa umane?»

«Sarà difficile accertarlo, a meno che non siano recenti.»

«Che cosa intende per “recenti”?»

«Di qualche anno, non decenni» risponde lei. «Possiamo controllare se ci sono impronte digitali ed effettuare un’analisi dei marcatori STR e del DNA mitocondriale, se il campione non è troppo vecchio o deteriorato. Per la prova del DNA, più che la quantità, è importante la qualità del reperto, ma sono pessimista. Sui resti di cremazione possiamo scordarcela. Quanto alle particelle non bruciate, non posso dirlo con certezza, ma mi sembra materiale vecchio ed eroso. Si può provare a mandarlo al Bode e vedere se riescono a ricavarci qualcosa, ma siccome la quantità è minima, rischiamo di usarla tutta. Potremmo non trovare niente e non avere più materiale su cui effettuare eventualmente altre prove.»

«Vorrei occuparmi di DNA. Avrei molti più finanziamenti.»

«Rifletteteci e valutate che cosa vi conviene fare» dichiara Kay Scarpetta alzandosi dalla sedia. «Personalmente, conserverei i campioni nel caso dovessero servire in un secondo tempo. La cosa più importante mi sembra che queste particelle di osso sono presenti su due cadaveri che non hanno nessun legame fra loro.»

«Sono d’accordo.»

«Lascio a lei l’onore di riferire la scoperta al dottor Marcus» dice ironica Kay Scarpetta.

«Sarà lieto di ricevere un’altra e-mail da parte mia» scherza Eise. «Vorrei poterle dare buone notizie, dottoressa, ma per controllare tutti i campioni che ha raccolto mi ci vorrà un po’ di tempo. Qualche giorno, direi. Devo preparare i vetrini, lasciarli asciugare, separare le particelle… È un lavoraccio, perché non ho un agitatore automatico. Ne ho richiesto l’acquisto, ma mi hanno detto che, siccome costa seimila dollari, me lo posso scordare. Solo asciugatura e setacciatura, quindi, richiederanno giorni. Poi devo controllare tutto io, con questo microscopio, quello elettronico a scansione e cos’altro ci vorrà. A proposito, le ho mai regalato uno dei miei attrezzi? Li fabbrico personalmente per i miei collaboratori. Li trovo utilissimi.»

Esamina alcuni filamenti di tungsteno e ne sceglie uno particolarmente appuntito e diritto. Lo mostra orgoglioso a Kay Scarpetta e si china per porgerglielo come se fosse una rosa rossa.

«Grazie, Junius» dice lei. «Molto gentile.»

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