26

Marino mette lo zucchero nel caffè. Deve stare veramente male per prendere zucchero bianco raffinato, che è proibito dalla sua dieta e gli fa malissimo.

«Sicuro di volercene mettere così tanto?» gli chiede Kay. «Non è che poi te ne penti?»

«Vorrei sapere cosa è venuta a fare qui.» Mette un altro cucchiaino di zucchero nel caffè. «Entro nell’istituto e me la trovo davanti: possibile? Non mi dire che è venuta a vedere Gilly perché non ci credo. Cos’è venuta a fare, mi domando.»

Marino indossa gli stessi vestiti di ieri: pantaloni neri, giacca a vento nera e berretto del Dipartimento di polizia di Los Angeles. Non si è fatto la barba e ha gli occhi pesti. Forse, dopo aver bevuto con i suoi amici è andato a trovare una delle sue amichette, donne in genere volgari e appariscenti che rimorchia al bowling.

«Se sei di questo umore, forse è meglio che alla riunione vada io sola» gli dice Kay. «In fondo tu non sei invitato. Non voglio fare brutte figure. So benissimo che effetto ti fa lo zucchero, da quando sei a dieta.»

«Se sono di questo umore ho le mie buone ragioni» borbotta Marino guardando la porta chiusa.

«Che cosa è successo?»

«Circolano delle voci» risponde truce. «Sul tuo conto.»

«Quali voci?» Kay Scarpetta odia i pettegolezzi e in genere non ci bada.

«Dicono che stai per tornare a lavorare qui, che sei a Richmond per questo.» La guarda con fare accusatorio e beve un sorso di caffè dolcissimo. «Mi stai nascondendo qualcosa?»

«Pensi che stia veramente per tornare a Richmond?» dice Kay Scarpetta. «Mi stupisce che tu creda a questi pettegolezzi.»

«Io a Richmond non torno, ti avverto» dice Marino, come se si stesse parlando di lui. «Non pensarci nemmeno.»

«Infatti non ci penso. Non pensarci neanche tu e facciamola finita.» Apre la porta della sala riunioni.

Marino può seguirla dentro, se vuole, oppure restare fuori a bere caffè zuccherato tutto il giorno: Kay non ha intenzione di pregarlo e supplicarlo. Cercherà più tardi di capire che cosa lo preoccupa tanto: adesso ha una riunione con il dottor Marcus, l’FBI e Jack Fielding, che ieri sera l’ha invitata a cena e poi non si è fatto trovare. Va a sedersi nel più perfetto silenzio. Marino la segue e le si siede vicino.

«Bene, possiamo cominciare» esordisce Marcus. «Lei ha già conosciuto l’agente speciale Weber dell’unità Profili psicologici dell’FBI» dice a Kay Scarpetta. Marcus ha sbagliato il nome dell’unità: Karen Weber poco fa ha detto di essere dell’unità Scienze comportamentali. «Abbiamo un problema serio. Come se non ne avessimo già abbastanza.» Ha la faccia cupa e lo sguardo gelido. «Dottoressa Scarpetta, lei ieri ha condotto una nuova autopsia sul corpo di Gilly Paulsson, dico bene? Ha anche esaminato Whitby, l’infortunio sul lavoro?»

Fielding guarda una pratica e non dice nulla. Ha la faccia rossa.

«Non userei la parola “esaminato”» risponde Kay Scarpetta, lanciando un’occhiata a Fielding. «A che cosa vuole arrivare, comunque?»

«L’ha toccato?» domanda l’agente speciale dell’FBI.

«Scusate, l’FBI è coinvolta anche nella morte del signor Whitby?» chiede Kay.

«Non è da escludere. Speriamo di no, ma è possibile» risponde l’agente speciale Karen Weber, che sembra divertirsi a interrogare l’ex direttrice dell’istituto.

«L’ha toccato?» Questa volta è Marcus a chiederlo.

«Sì» risponde Kay Scarpetta. «L’ho toccato.»

«Anche lei, deduco» dice Marcus a Fielding. «Ha condotto l’esame esterno e iniziato l’autopsia. Poi, a un certo punto, ha aiutato la dottoressa Scarpetta a riesaminare la Paulsson in un’altra sala.»

«Sì» risponde Fielding, alzando la testa dalla pratica senza guardare nessuno in particolare. «È una stronzata.»

«Come ha detto, scusi?» domanda Marcus.

«Mi ha sentito benissimo. Ho detto che è una stronzata» ribadisce Fielding. «Gliel’ho detto ieri, quando è saltata fuori questa storia, e adesso glielo ripeto: è una stronzata solenne. Esigo di non essere trattato a questo modo davanti all’FBI o a chiunque altro.»

«Mi perdoni, ma non sono d’accordo con lei. Il problema è serio: alcune tracce trovate sul corpo di Gilly Paulsson risultano identiche a tracce prelevate dal corpo di Ted Whitby, l’uomo investito dal trattore. L’unica spiegazione è che sia avvenuta una contaminazione. Peraltro, non capisco perché abbiate raccolto e mandato in laboratorio tracce dal corpo di Whitby, visto che si tratta di una morte accidentale e non di un omicidio. Mi corregga, se sbaglio.»

«Io non ci metterei la mano sul fuoco» replica Fielding, che ha uno sfogo rossastro sulla faccia e sulle mani. «Whitby è stato investito da un trattore, su questo siamo tutti d’accordo, ma le circostanze dell’incidente sono ancora da chiarire. Io non c’ero, non l’ho visto. Ho effettuato un tampone sulla ferita al volto per sicurezza, perché un domani qualcuno non possa dire che, prima di essere investito, Whitby era stato aggredito e colpito alla testa con un oggetto contundente.»

«Di che cosa state parlando? Che tracce avete trovato?» interviene Marino, sorprendentemente calmo nonostante le dosi di zucchero che ha appena ingurgitato.

«Francamente, non credo che la cosa la riguardi» ribatte Marcus. «Dal momento che la dottoressa Scarpetta insiste per averla accanto qualsiasi cosa faccia, la lascio presenziare a questo colloquio. Mi deve assicurare, tuttavia, che tratterà gli argomenti di cui discuteremo con la massima riservatezza.»

«Glielo assicuro» replica Marino, sorridendo a Karen Weber. «Ci dica, agente, a che cosa dobbiamo la sua presenza?» le chiede. «Conoscevo la persona che un po’ di tempo fa dirigeva la sua unità. Benton Wesley. L’ha mai sentito nominare?»

«Certo.»

«Sa cosa pensa il dottor Wesley dei profili psicologici?»

«Ho letto quasi tutte le sue pubblicazioni» risponde la Weber, con le mani giunte sopra il blocco per appunti. Ha unghie perfettamente curate e laccate di rosso.

«Bene. Allora saprà certamente che li trova poco più affidabili dell’oroscopo del mese» dice Marino.

«Non sono venuta qui per farmi insultare» dice l’agente speciale Weber a Marcus.

«Chiedo scusa» fa Marino a Marcus. «Non volevo insultarla, glielo giuro. Sono certo che un esperto di profili psicologici è indispensabile, per capire questa storia delle tracce.»

«Basta così» sbotta Marcus. «Se non riesce a essere professionale, dovrò chiederle di andarsene.»

«Va bene, va bene, sto zitto» dice Marino. «Sto qui buono ad ascoltare e non dico niente. Prego, andate avanti.»

Jack Fielding scuote lentamente la testa, guardando la pratica che ha davanti.

«Se nessuno parla, vado avanti io» dice Kay Scarpetta, che ormai non cerca più di essere né gentile né diplomatica. «Dottor Marcus, è la prima volta che la sento parlare di tracce trovate sul corpo di Gilly Paulsson. Mi convoca qui a Richmond per aiutarla a risolvere il caso e mi tiene nascosta una simile informazione? Si tratta di tracce biologiche o materiali?» Guarda prima Marcus, poi Fielding.

«Non guardare me» ribatte Fielding. «Io ho semplicemente effettuato i tamponi. Dai laboratori, poi, non ho sentito più niente. Nemmeno una telefonata. È normale, peraltro. Ho saputo di questa storia soltanto ieri sera, quando stavo andando via e lui mi ha fermato mentre salivo in macchina per aggiornarmi.» Indica Marcus.

«L’avevo appena saputo» sbotta Marcus. «Mi ha scritto quel rompiscatole di Eise, o come diavolo si chiama quel tecnico di laboratorio che mi tormenta con le sue raccomandazioni e vorrebbe insegnarmi a fare il mio lavoro. Finora avevano trovato poco o niente: qualche capello e alcune tracce materiali, comprese scaglie di vernice di provenienza incerta, forse di un’automobile, di una bicicletta, di un giocattolo o di qualche oggetto di casa…»

«Si dovrebbe poter stabilire se è vernice di automobile» replica Kay Scarpetta. «E si può controllare se è di un oggetto di casa.»

«Il punto è che non ci sono tracce biologiche, e quindi non si può fare la prova del DNA. I tamponi sono negativi. Visto che sospettiamo l’omicidio, un tampone positivo, orale o vaginale, ci sarebbe stato molto utile. Insomma, la mia preoccupazione era il DNA e mi domandavo se fosse possibile ricavarlo da queste scaglie di vernice. Poi ieri pomeriggio mi arriva questa e-mail in cui Eise mi dice che sull’operaio investito dal trattore risultano presenti tracce dello stesso tipo.» Marcus fissa Fielding negli occhi.

«E lei ritiene che ci sia stato un trasferimento di materiale da un corpo all’altro. Come sarebbe avvenuta questa ipotetica contaminazione, secondo lei?» interviene Kay Scarpetta.

Marcus allarga le braccia, come a dire che non ne ha la più pallida idea. «Ditemelo voi.»

«Non è avvenuta» replica Kay Scarpetta. «Ci siamo cambiati i guanti, tanto per cominciare. E comunque non abbiamo effettuato tamponi su Gilly Paulsson. Sarebbe stato inutile, visto che il corpo era stato lavato e rilavato, e che i tamponi erano già stati effettuati due settimane fa.»

«Questo lo so» la interrompe Marcus, in tono di spazientita superiorità. «Io penso che abbiate lasciato a metà l’autopsia di Whitby per occuparvi della Paulsson e l’abbiate finita dopo.»

«Sì, ma i tamponi li ho effettuati prima di esaminare la Paulsson» puntualizza Fielding. «E alla Paulsson non abbiamo fatto tamponi. Inoltre, essendo stato lavato e rilavato, è impossibile che sul cadavere ci fossero residui da trasferire inavvertitamente altrove.»

«Non tocca a me dare spiegazioni» decide Marcus. «Non so che cosa, ma è evidente che qualcosa è successo. Dobbiamo prendere in considerazione tutte le ipotesi possibili perché, se non lo facciamo noi, lo faranno gli avvocati. Io credo che a questo punto il caso Paulsson finirà in tribunale, prima o poi.»

«Anch’io penso che si farà un processo» interviene l’agente speciale Karen Weber, come se lo sapesse già o fosse una parente stretta della ragazzina. «È possibile che il pasticcio sia avvenuto in laboratorio?» domanda poi. «Che ci sia stato uno scambio di etichette o una contaminazione di due campioni? Le tracce materiali del caso Paulsson e del caso Whitby sono state analizzate dalla stessa persona?»

«Sì. Delle tracce materiali si è occupato Eise, o come diavolo si chiama. In tutti e due i casi» risponde Marcus. «I capelli invece li ha analizzati un altro tecnico.»

«È la seconda volta che parla di capelli. Non mi aveva detto che sono stati ritrovati dei capelli» protesta Kay Scarpetta.

«Sì, ne sono stati ritrovati diversi nella camera da letto» spiega Marcus. «Sulle lenzuola, credo.»

«Speriamo che non venga fuori che sono dell’operaio» interviene Marino. «Anzi, speriamo di sì: potrebbe avere ucciso lui la ragazzina e poi, dilaniato dai sensi di colpa, essersi suicidato buttandosi sotto il suo stesso trattore. Ecco lì, risolto il caso.»

Nessuno lo trova spiritoso.

«Ho chiesto di cercare eventuale epitelio respiratorio ciliato su lenzuola e federa» dice Kay Scarpetta a Fielding.

«Sulla federa c’era» risponde lui.

Kay Scarpetta dovrebbe essere sollevata, visto che la presenza di tracce biologiche conferma la morte per asfissia, invece è turbata. «Brutta morte, povera ragazza.»

«Scusate» si intromette Karen Weber. «Non vi seguo.»

«Gilly Paulsson è stata uccisa» risponde Marino. «A parte questo, non vedo che cosa ci sia da seguire.»

«Senta, dottore, è proprio necessario?» protesta la Weber con Marcus.

«Sì, è proprio necessario» insiste Marino. «Se le do fastidio, mi mandi via, mi trascini fuori. Finché sono qui dentro, parlo finché voglio.»

«A proposito» interviene Kay Scarpetta. «Vuole dirci come mai lei è qui, agente Weber? Perché l’FBI sta indagando sulla morte di Gilly Paulsson?»

«Siamo stati interpellati dalla polizia di Richmond» risponde l’agente Weber.

«E come mai?»

«Dovrebbe chiederlo a loro, non a me.»

«Invece lo chiedo a lei» insiste Kay Scarpetta. «Se non mi spiegate la situazione, io me ne vado e non torno mai più.»

«Non è così semplice» dice Marcus, lanciandole uno sguardo che le fa venire in mente una lucertola. «Lei ieri ha preso parte a due autopsie in cui forse è avvenuta una contaminazione: non credo che possa andarsene e non farsi più vedere. Ormai è parte in causa.»

«Stronzate» borbotta Fielding, guardandosi le mani coperte di sfoghi rossastri.

«Te lo dico io perché è stata coinvolta l’FBI, o perlomeno ti riferisco che cosa dice la polizia di Richmond. Non vorrei offenderla, però» dice Marino alla Weber. «A proposito, sa che il suo tailleur è davvero bello? Trovo elegantissime anche le sue scarpe rosse. Volevo chiederle, però: le sembra la tenuta adatta a un’agente speciale dell’FBI?»

«Basta così!» sibila Karen Weber.

«Basta lo dico io!» salta su Fielding, battendo un pugno sul tavolo. Si alza, fa un passo indietro e fulmina con lo sguardo i presenti. «Mi avete rotto le scatole, non ne posso più. Me ne vado. Mi ha sentito, dottor Marcus? Me ne vado.» Si rivolge poi all’agente speciale Weber. «E andate a cagare anche voi federali, che piombate qui come foste dio in terra e invece non capite un cazzo. Non sapreste risolvere un caso di omicidio nemmeno se foste presenti quando avviene. Andate tutti a quel paese.» Si dirige verso la porta. «Marino, gliela dica lei la verità, alla dottoressa» dice poi, guardandolo. «Qualcuno deve pur dirgliela.»

Esce sbattendo la porta.

Dopo un attimo di scioccato silenzio, Marcus dice: «Scusate». Si rivolge all’agente speciale Weber. «Mi dispiace molto.»

«Il dottor Fielding è forse un po’ stressato?» domanda lei.

«Che cosa mi devi dire?» Kay Scarpetta guarda Marino, seccata che lui le abbia tenuto nascoste delle informazioni. È andato a bere con i suoi amici e si è dimenticato di riferirle cose importanti?

«A quanto ho capito, l’FBI indaga sulla morte di Gilly perché suo padre è un informatore, che lavora per la Sicurezza Nazionale. Fa le visite mediche necessarie per il rinnovo dell’idoneità di volo e segnala tutti i piloti che potrebbero avere a che fare con il terrorismo. A Charleston quello del terrorismo è un problema sentito, visto che c’è la flotta di C-17 più grande del paese. Parliamo di aerei da centottantacinque milioni di dollari l’uno, non so se mi spiego. Se a un pilota venisse in mente di lanciarsi contro qualche obiettivo con uno di quelli sarebbe un bel casino, no?»

«La pregherei di fermarsi qui» lo interrompe l’agente speciale Weber, sempre con le mani giunte sul blocco per appunti. «Lei sta parlando di questioni della massima riservatezza.»

«Lo so benissimo» ribatte Marino togliendosi il berretto e passandosi una mano sul cranio rasato. «Scusate, ma ieri sera ho fatto tardi e stamattina non ho avuto il tempo di radermi.» Si accarezza una guancia, ruvida come carta vetrata. «Ho trascorso una serata davvero interessante con l’ispettore Browning e il dottor Eise, il tecnico del laboratorio. Abbiamo parlato di molte cose, ma evito di riferirvele, perché sono anch’esse della massima riservatezza.»

«La smetta!» L’agente Weber è irritata e usa un tono minaccioso, come se parlare fosse un reato federale e lei potesse arrestare Marino.

«Io invece vorrei che andassi avanti» dice Kay Scarpetta.

Marino prosegue, lanciando un’occhiata gelida alla Weber. «Ora, fra l’FBI e la Sicurezza Nazionale non corre buon sangue perché gran parte dei finanziamenti del ministero della Giustizia sono stati dirottati dall’FBI alla Sicurezza Nazionale e l’FBI c’è rimasta male. Ho saputo che i vostri lobbisti a Washington piangono miseria. Avete paura di non poter più dettare legge di qua e di là, come se foste gli unici che sanno lavorare?»

«Dobbiamo proprio starlo a sentire?» chiede l’agente speciale al dottor Marcus.

«Il fatto è che i federali tenevano d’occhio Frank Paulsson già da un pezzo» continua Marino, rivolto a Kay Scarpetta. «Come si diceva, circolano voci non proprio edificanti sul suo conto: pare che effettivamente si prenda un po’ troppe libertà con le sue pazienti. E questo è un tantino spaventoso, tenuto conto che fa l’informatore. Viene il dubbio che non sia granché obiettivo, insomma. Naturalmente ai federali piacerebbe un sacco smerdare quelli della Sicurezza Nazionale. Così, quando il governatore si è preoccupato e li ha chiamati, si sono buttati a pesce. Tutto chiaro, adesso?» Guarda Karen Weber. «Dubito che il governatore sia al corrente del fatto che il vostro vero obiettivo in realtà è smerdare la Sicurezza Nazionale. Insomma, anche questa è più che altro una questione di potere e di soldi. Come sempre, del resto.»

«Non sono d’accordo» ribatte Kay Scarpetta esasperata. «Stiamo parlando di una ragazzina di quattordici anni morta asfissiata.» Si alza in piedi, prende la borsa guardando prima Marcus e poi la Weber. «Invece che di potere e di soldi, dovremmo parlare dell’omicidio di Gilly Paulsson.»

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