Sono le dieci del mattino e Lucy gironzola con aria annoiata per la sala d’attesa, poi prende in mano una rivista e assume un’espressione spazientita. Spera che il pilota di elicotteri seduto vicino al televisore si sbrighi, oppure che riceva una chiamata urgente e rinunci a farsi visitare. Si avvicina alla finestra, il cui vetro è vecchio e sembra ondulato, guarda Barre Street e i suoi antichi palazzi. I turisti a Charleston cominciano ad arrivare in primavera e in giro non c’è quasi nessuno.
Ha suonato il campanello quindici minuti fa. Le ha aperto una signora cicciottella, la quale l’ha fatta accomodare nella sala d’aspetto davanti alla porta di ingresso, le ha dato un modulo da riempire e se ne è andata. Lucy conosce bene quel modulo, perché lo compila ogni due anni da un decennio a questa parte. Ha cominciato a compilarlo, ma poi ha smesso e l’ha posato su un tavolino. Prende un’altra rivista, la sfoglia, la rimette a posto. Nel frattempo, l’altro pilota finisce di riempire il suo modulo e la guarda.
«Scusi se mi intrometto, ma il dottor Paulsson si scoccia, se entra a fare la visita senza aver compilato il modulo.»
«Lo conosce bene, vedo» osserva Lucy, sedendosi. «Maledetti moduli, li sbaglio sempre.»
«Anch’io li detesto» dice il pilota. È un giovane atletico, con i capelli scuri tagliati cortissimi e gli occhi scuri distanziati fra loro. Quando si è presentato, pochi minuti fa, ha detto di pilotare Black Hawks per la Guardia Nazionale e Jet Rangers per una compagnia privata. «L’ultima volta che sono venuto, mi sono dimenticato di fare la crocetta sul quadratino delle allergie. Mia moglie ha un gatto e quindi devo per forza fare il vaccino. Mi sono scordato di marcarlo e il computer è andato in tilt: non accettava la mia richiesta di idoneità al volo e non c’era verso di fargli cambiare idea.»
«Guardi, questi computer sono una vera disdetta» replica Lucy. «Bisogna fare come vogliono, altrimenti si inchiodano.»
«Oggi mi sono portato quello dell’ultima volta, così non rischio di scriverci cose diverse» dice mostrandole un foglio ingiallito. «Fossi in lei, comunque, lo riempirei prima di entrare. Gliel’ho detto, Paulsson si arrabbia da morire.»
«L’ho sbagliato» dice Lucy prendendo il modulo che ha iniziato a compilare. «Ho scritto la città nel posto sbagliato. Devo prenderne uno nuovo e ricominciare daccapo.»
«Ah.»
«Appena la signora torna, gliene chiedo un altro.»
«Lavora qui da tantissimi anni» dice il pilota.
«E lei come fa a saperlo?» chiede Lucy. «È troppo giovane per venire qui “da tantissimi anni”.»
Il pilota sorride e comincia a fare il galletto. «Grazie, ma non sono poi tanto giovane, sa? Lei, piuttosto: non l’ho mai vista. Dove vola? Dalla tuta direi che non è nell’aeronautica militare.»
Lucy ha una tuta nera con una bandiera americana cucita su una spalla e un distintivo azzurro e oro sull’altra, un’aquila circondata da alcune stellette che ha disegnato lei stessa. Il nome che ci ha attaccato sotto oggi è “P.W. Winston”. Lo cambia spesso, a seconda di quello che deve fare e dove. Siccome suo padre era cubano, Lucy può passare per sudamericana, italiana o portoghese senza bisogno di truccarsi pesantemente. Oggi è a Charleston, nel South Carolina, ed è semplicemente una bella ragazza bianca con un accento assolutamente americano e una lieve cadenza del Sud.
«Aviazione generale» risponde. «Per uno che ha un Bell quattro e trenta.»
«Beato lui» dice il pilota, impressionato. «Un riccone, eh? Il quattro e trenta è un vero gioiellino. Come si trova con i display? Si è abituata subito o ci ha messo un po’?»
«Guardi, mi trovo benissimo!» replica Lucy, sperando che il pilota si stufi presto di fare conversazione. Non che le dispiaccia parlare di elicotteri, ma deve installare dei trasmettitori nascosti in casa del dottor Frank Paulsson e se quello continua a chiacchierare le rende il compito più difficile.
La donna cicciottella che l’ha fatta accomodare in sala d’aspetto ricompare e dice al pilota di seguirla, il dottor Paulsson lo aspetta. «Ha finito di compilare il modulo? È sicuro di aver scritto le risposte giuste?»
«Se passa dal Mercury Air, il nostro ufficio è nell’hangar. Se nel parcheggio c’è una Harley softail, vuol dire che io ci sono» dice il pilota a Lucy.
«Ha i miei stessi gusti, allora» replica lei. «Mi scusi, potrebbe darmi un altro modulo?» chiede poi alla donna. «Il primo l’ho sbagliato.»
La donna le lancia un’occhiataccia. «Be’, vediamo cosa posso fare. Non lo butti via, mi raccomando, se no mi sballa la numerazione.»
«No, certo: è qui sul tavolo.» Poi dice al pilota: «Ho appena dato via la Sporster per una V-Rod».
«Però. Pilota un quattro e trenta e va in giro su una V-Rod. Che invidia!» fa lui, ammirato.
«Be’, chissà che non si vada da qualche parte insieme, una volta. Auguri per il gatto.»
Il pilota ride e segue la signora cicciottella su per le scale. Lucy lo sente raccontare di sua moglie che non vuole dare via il gatto, il quale dorme sempre sul letto facendogli venire delle crisi allergiche nei momenti meno opportuni. Lucy rimane da sola almeno un minuto, il tempo che la donna vada a prendere un altro modulo e lo porti giù nella sala d’aspetto. Si infila un paio di guanti di cotone e si aggira rapida per la stanza, pulendo tutte le riviste che ha toccato.
Il primo trasmettitore che nasconde è delle dimensioni di un mozzicone di sigaretta, senza fili, inserito in un tubicino di plastica verde idrorepellente. In genere si preferisce nascondere i trasmettitori in oggetti riconoscibili, ma talvolta anche quelli assolutamente insignificanti vanno bene. Mette il tubo in un vaso di ceramica che contiene una pianta di seta dall’aria rigogliosissima sul tavolino vicino alle sedie, poi si precipita in fondo alla casa e ne sistema un altro, anch’esso verde, in un’altra pianta finta vicino alla cucina. Sente i passi della signora sulle scale e corre nella sala d’aspetto.