È da ieri sera che Marino non fa che pensare a Suz. Gli piacciono i suoi capelli, lunghi fino alle spalle, biondi. Marino preferisce le bionde, da sempre.
La prima volta che l’ha vista, a casa sua, ha notato il bel viso tondo e le labbra carnose. Ma ad attrarlo è stato soprattutto il modo in cui lo guardava, in cui lo faceva sentire importante: le leggeva negli occhi che lo riteneva un uomo capace di risolvere qualsiasi problema. Povera donna, invece i suoi problemi sono irrisolvibili e solo Dio potrebbe fare qualcosa per lei, ma non lo farà mai perché è molto meno sensibile di Marino ai problemi delle donne.
È stato il modo in cui lo guardava ad affascinarlo e, quando si sono ritrovati vicini, mentre lui perquisiva la stanza di Gilly, fra loro c’è stato un brivido di intesa. Marino sapeva che, se Kay Scarpetta se ne fosse accorta, gli avrebbe fatto la predica.
Cammina al suo fianco nel fango con sicurezza, benché non abbia le scarpe adatte. Non si lamenta mai di nulla. Lui rimane impantanato con gli anfibi e lei invece, nonostante i mocassini neri con il tacco basso, giusti per il tailleur, va avanti con la massima disinvoltura. È tutta infangata, ormai: scarpe, pantaloni del tailleur e persino il cappotto. Gli operai del cantiere li vedono e interrompono il lavoro. Un uomo con il casco e una cartellina in mano li guarda, dice qualcosa a un collega e va loro incontro gesticolando, facendo segno che devono andare via. Marino per tutta risposta lo invita ad avvicinarsi. Quando l’uomo con la cartellina in mano nota che Marino ha il berretto della polizia di Los Angeles, cambia espressione. E Marino pensa che quel berretto si sta rivelando sempre più utile, visto che gli consente di non mentire quando si presenta e non solo.
«Sono l’ispettore Marino» esordisce. «E la signora è la dottoressa Scarpetta, anatomopatologa.»
«Ah» fa l’uomo con la cartellina. «Siete qui per Ted Whitby.» Scrolla la testa. «Non ci posso credere. Avete saputo della moglie, immagino.»
«Ci dica» replica Marino.
«È incinta. Il loro primo figlio, pensate. Ted era divorziato. Che roba! Comunque, vedete quel signore laggiù?» Si volta verso la costruzione semidistrutta e indica un uomo in grigio che sta scendendo da una scavatrice. «È Sam Stiles. Aveva dei problemi con Ted, diciamo così. Adesso la moglie dice che è colpa sua, che ha fatto passare la palla da demolizione troppo vicino al trattore ed è per questo che Ted è caduto e ci è rimasto sotto.»
«Pensate che sia caduto dal trattore?» domanda Kay Scarpetta.
Marino sa che sta cercando di ricordare la scena: è convinta di aver visto Ted Whitby poco prima che morisse, pensa che l’uomo che ha notato quando sono passati davanti al cantiere, in piedi davanti al trattore a trafficare con il motore fosse lui. Forse ha ragione, Kay Scarpetta non sbaglia quasi mai.
«Non ne siamo sicuri» ribatte l’uomo con la cartellina, che ha più o meno l’età di Marino ma molti più capelli e anche più rughe. Ha la pelle abbronzata e coriacea come quella di un cowboy e gli occhi azzurrissimi. «È quello che dice la moglie. Vuole dei soldi, probabilmente. È sempre così. Poverina, è in difficoltà, non lo metto in dubbio. Però non mi sembra giusto dare la colpa agli altri, se le è morto il marito.»
«Lei era qui, quando è successo?» chiede Kay Scarpetta.
«Sì. Sarò stato a cinquanta metri di distanza.» Indica un angolo dell’edificio.
«Ha assistito all’incidente, dunque?»
«No. Nessuno ha visto niente, per la verità. Ted era nel parcheggio sul retro e controllava il motore perché il trattore si era fermato. Secondo me, l’ha fatto partire e ci è rimasto sotto. Io e gli altri abbiamo visto solo il trattore che si muoveva senza nessuno sopra e andava a sbattere contro il paletto giallo vicino all’entrata. È andata bene che c’era quel paletto, almeno l’ha fermato. Dopo abbiamo visto Ted per terra, ferito. Perdeva molto sangue. Ci siamo accorti subito che era gravissimo.»
«Era ancora cosciente, quando vi siete avvicinati?» domanda Kay Scarpetta. Come al solito, prende appunti sul suo blocco. A tracolla ha la borsa di nylon nera in cui tiene tutto l’occorrente per raccogliere tracce e reperti.
«Io non l’ho sentito parlare» risponde l’uomo con la cartellina. Fa una smorfia di dolore e si volta dall’altra parte. Deglutisce, poi si schiarisce la voce e riprende: «Però aveva gli occhi aperti e respirava con fatica. Non me lo scorderò mai, come cercava di respirare. A un certo punto è diventato blu in faccia e un attimo dopo era morto. Sono arrivati i soccorsi e la polizia, naturalmente, ma non c’era più niente da fare».
Marino ascolta e decide di fare un paio di domande perché gli dà fastidio stare lì con i piedi nel fango, fermo e zitto. Si sente stupido. Kay Scarpetta lo fa sentire stupido. Non lo fa apposta, naturalmente, il che è ancora peggio.
«Dov’era questo Sam Stiles al momento dell’incidente?» chiede, indicando con il berretto del Dipartimento di polizia di Los Angeles lo scavatore fermo e la palla da demolizione che ondeggia dal cavo. «Vicino a Whitby?»
«No, lontanissimo. È assurdo. L’idea che Ted sia caduto dal trattore per colpa della palla da demolizione è assolutamente ridicola. Solo che non c’è niente da ridere, purtroppo. Avete presente come ti riduce una palla da demolizione, se ti piglia sulla testa?»
«Piuttosto male, suppongo» dice Marino.
«Ti distrugge. Se dopo ti passa sopra un trattore, manco te ne accorgi.»
Kay Scarpetta prende appunti, alzando la testa ogni tanto per guardarsi intorno. Una volta Marino ha trovato il suo blocco sulla scrivania, in piena vista, mentre lei era fuori ufficio. Incuriosito, ha cercato di leggere che cosa c’era scritto, ma è riuscito a decifrare una parola soltanto: il suo nome, Marino. Non soltanto Kay ha una grafia illeggibile, ma usa un linguaggio tutto suo, una specie di stenografia segreta, che solo lei e Rose conoscono.
Sta chiedendo all’uomo con la cartellina come si chiama e lui risponde “Bud Light”. “Facile da ricordare” pensa Marino, che pure non beve birra Bud Light. Kay Scarpetta vuole sapere dov’era Ted Whitby dopo l’incidente, perché vuole raccogliere alcuni campioni di terra nel punto esatto in cui è stato investito. Bud Light non fa domande, dando per scontato che sia normalissimo raccogliere campioni di terra dai cantieri in cui muore un operaio. Si incamminano nel fango verso l’edificio in demolizione. Marino non riesce a togliersi di testa Suz.
Ieri sera era al bar a bersi il bicchiere della staffa con Junius Eise, dopo che Browning era andato a casa, e nel bel mezzo di un discorso molto interessante gli è squillato il cellulare. Aveva già bevuto parecchio e forse non avrebbe dovuto rispondere. In condizioni normali lo avrebbe tenuto spento, ma aveva detto a Kay di chiamarlo, se aveva bisogno, visto che Fielding non si era fatto trovare in casa, nonostante l’avesse invitata a cena. È stato per questo che ha risposto, anche se è vero che quando è un po’ sbronzo risponde più facilmente sia alla porta che al telefono.
“Pronto?” Doveva gridare, perché nel bar c’era molto rumore.
“Ispettore Marino? Sono Suzanna Paulsson. Scusi se la disturbo.” Ed è scoppiata a piangere. Quel che gli ha detto dopo non ha importanza, nemmeno se lo ricorda. Ci ripensa, mentre cammina nel fango con Bud Light e Kay Scarpetta, che sta prendendo dalla borsa di nylon nera una confezione di abbassalingua di legno e un certo numero di bustine di plastica. Quello che ha veramente importanza è successo dopo la telefonata. Marino non se lo ricorda, e probabilmente non gli tornerà mai in mente, perché Suz, quando è arrivato a casa sua, gli ha offerto un bicchierino di bourbon, poi un altro, e poi un altro ancora. Dopo avergli aperto la porta, ha tirato le tende del salotto, si è seduta sul divano vicino a lui e ha cominciato a raccontargli quanto è cattivo il suo ex marito, che fa l’informatore per la Sicurezza Nazionale, molesta le donne pilota e ha gusti sessuali un po’ particolari. Gli ha spiegato che invitava altre coppie a casa loro, come se fosse una cosa importante, e lui le ha chiesto se era a queste persone che si riferiva quel pomeriggio, quando ha detto che le avevano portato via la sua bambina. Suz non gli ha risposto. Continuava a dire: “Chiedilo a Frank”.
“Lo chiedo a te, invece” ha ribattuto lui a un certo punto.
“Chiedilo a Frank” è stata la sua risposta. “Invitava certi tipacci… Chiediglielo.”
“E perché li invitava?”
“Fattelo dire da lui.”
Marino guarda Kay Scarpetta che si infila un paio di guanti di lattice e apre una busta di carta bianca. Sul luogo dell’incidente non c’è nulla, a parte asfalto e fango. La osserva mentre si accuccia a controllare per terra. Ripensa a ieri mattina, a quando sono passati lì davanti sull’auto presa a noleggio parlando dei vecchi tempi. Quanto gli piacerebbe poter tornare indietro… Se solo fosse possibile… Ha lo stomaco in subbuglio, gli fa male la testa ed è agitato. Respira profondamente e si sente in bocca un sapore di polvere e cemento.
«Che cosa cercate esattamente, se posso chiedere?» domanda Bud Light.
Kay Scarpetta passa un abbassalingua nella terra, su una macchia che forse è di sangue. «Niente di particolare. Un normale controllo» risponde.
«Sa, ogni tanto guardo quegli sceneggiati in televisione… Mia moglie non se ne perde uno.»
«Non rispecchiano la realtà» replica lei, mettendo in una bustina un po’ di terra e l’abbassalingua che ha usato per raccoglierla. Chiude la bustina, ci scrive sopra qualcosa che Marino non riesce a leggere, poi la infila nella borsa di nylon nera.
«Non avete macchinari magici in cui mettere la roba che raccogliete in giro, che vi dicono tutto quello che c’è dentro?» scherza Bud.
«Non c’è niente di magico» spiega lei, prendendo un’altra bustina di plastica. In quel parcheggio, qualche anno prima, lasciava la macchina tutte le mattine per andare a lavorare.
Marino ogni tanto prova delle fitte violente, quasi elettriche, come un televisore che sta per rompersi definitivamente e lampeggia. È inquieto, tormentato. Non ricorda quasi più niente di ieri sera. Labbra, lingua, mani, occhi chiusi, la sua bocca su di lei. L’unica cosa che sa per certo è che si è svegliato nudo nel letto di Suz alle cinque e sette minuti di stamattina.
Kay Scarpetta sembra un’archeologa. Per quel che ne sa lui di archeologia, naturalmente. Passa l’abbassalingua su una zona in cui Marino crede di vedere alcune macchie di sangue. Ha il cappotto che tocca per terra e non ci fa neppure caso. Se le donne fossero tutte così… Se dessero poca importanza alle cose che non contano e si concentrassero su quelle che contano veramente, come Kay… Probabilmente lei avrebbe capito. Si sarebbe alzata, avrebbe fatto il caffè, gli avrebbe parlato. Non si sarebbe chiusa nel bagno a piangere e gridare. Non gli avrebbe urlato di andarsene immediatamente.
Marino si allontana a grandi passi nel fango, scivola, ritrova l’equilibrio, va in un angolo e comincia a vomitare, piegato in due, schizzandosi le scarpe.
Trema tutto, suda freddo e gli sembra di morire. Poi sente la mano di Kay sul braccio. La riconoscerebbe ovunque, forte, salda, sicura.
«Vieni» gli dice. «Torniamo in macchina. Stai meglio? Su, appoggiati a me e stai attento a non scivolare, se no finiamo per terra tutti e due.»
Marino si pulisce la bocca nella manica del cappotto e comincia a camminare, reggendosi a lei, con le lacrime agli occhi: è lì che si sono conosciuti, tanti anni fa.
«Non vorrei averla violentata» le confida, sentendosi a pezzi. «Cosa mi succederà, se l’ho violentata?»