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Edgar Allan Pogue chiude gli occhi, seduto sulla sua Buick bianca in un parcheggio vicino alla AIA, e ascolta quello che chiamano “adult rock”. Tiene gli occhi chiusi e si sforza di non tossire, perché quando tossisce gli bruciano i polmoni e gli gira la testa. Il weekend è volato e lui non sa nemmeno più che cosa ha fatto, ma va bene così. Il DJ dice che è lunedì mattina, che è l’ora di punta. Pogue tossisce e gli si riempiono gli occhi di lacrime. Cerca di respirare profondamente.

Si è buscato un raffreddore. Deve averlo preso dalla cameriera con i capelli rossi all’Other Way. Quando lui se ne stava andando, venerdì sera, gli è andata vicino e si è soffiata il naso. Gli è andata vicino solo ed esclusivamente perché aveva paura che lui uscisse senza pagare. Prima, però, si era disinteressata di lui, che avrebbe voluto prendere un altro Bleeding Sunset, ma non è riuscito a ordinarlo perché lei non lo considerava. Così ha preparato una bella “arancia” anche alla rossa dell’Other Way e tanti saluti. Era quello che si meritava.

Il sole scalda il parabrezza e Pogue se lo sente sulla faccia, seduto al volante con il sedile reclinato e gli occhi chiusi. Il sole dovrebbe fargli passare il raffreddore. Sua madre lo diceva sempre, che il sole manda un sacco di vitamine e fa bene, motivo per cui le persone anziane si trasferiscono in Florida. Così diceva sua madre. Un giorno, Edgar Allan, ci andrai anche tu. Adesso sei giovane, ma prima o poi anche tu diventerai vecchio e stanco come me e vorrai andare a stare in Florida. Se solo avessi un lavoro rispettabile, Edgar Allan. Con quello che guadagni, dubito che ti potrai mai permettere di trasferirti in Florida.

Sua madre gli rompeva sempre le scatole con la storia che guadagnava poco. Gli metteva ansia. Quando è morta, lui ha ereditato abbastanza soldi per trasferirsi in Florida. Poi ha smesso di lavorare e ha cominciato a ritirare la pensione ogni due settimane. L’ultima rata deve essere ancora alla posta, a Richmond, perché non è potuto andarla a ritirare. Ma un po’ di soldi ce li ha, pensione o non pensione. Per ora, gli bastano. Può continuare a permettersi i suoi sigari costosi, e quindi non si lamenta. Se ci fosse sua madre, adesso gli romperebbe le scatole anche con la storia della tosse, gli direbbe che se ha la tosse non deve fumare. Intanto lui fuma lo stesso. Pensa al vaccino antinfluenzale che non ha fatto: aveva appena saputo che il palazzo dove aveva lavorato tanti anni stava per essere demolito e che il Pesce Grosso aveva aperto un ufficio a Hollywood, Florida.

All’Istituto di medicina legale della Virginia c’era un nuovo direttore, ormai, e la vecchia sede stava per essere demolita perché era in programma la riapertura della vecchia stazione ferroviaria. Lucy Farinelli era in Florida. Se Kay Scarpetta non lo avesse abbandonato a Richmond, non ci sarebbe stato bisogno di nominare un altro direttore, sarebbe rimasto tutto come prima e non avrebbero buttato giù la vecchia sede dell’istituto, così lui avrebbe richiesto per tempo il vaccino antinfluenzale e sarebbe riuscito a procurarselo. Demolire la vecchia sede dell’Istituto di medicina legale della Virginia senza chiedergli un parere era un’azione ignobile e ingiusta: lui aveva lavorato in quel palazzo! Riceveva ancora la pensione ogni due settimane, aveva ancora la chiave della porta di servizio e continuava a frequentare la divisione di Anatomia, specie nottetempo.

Ci andava tutte le volte che voleva, prima di venire a sapere che stavano per buttare giù il palazzo. Era l’unico ad andarci, ormai. Si erano dimenticati tutti di quello che c’era là dentro. Saputo della demolizione, Edgar Allan Pogue aveva dovuto portare via tutto. Tutte quelle persone, tutte quelle urne ammaccate da spostare in piena notte, quando nessuno poteva vederlo… Che lavoro! Su e giù per le scale, dentro e fuori il parcheggio, cenere dappertutto, i polmoni in fiamme. Ricorda di quando un’urna gli è caduta dalla pila che reggeva in mano e si è rovesciata nel parcheggio: raccogliere la cenere impalpabile era stata una faticaccia, perché volava via da tutte le parti. Che lavoro! Non era giusto… Con tutto quel traffico, Edgar Allan Pogue si è dimenticato il vaccino e quando gli è venuto in mente ha scoperto che le scorte erano esaurite. Così adesso tossisce, ha i polmoni che gli bruciano e gli occhi che gli lacrimano e deve cercare di assorbire le vitamine dal sole.

Pensa al Pesce Grosso e si deprime, si arrabbia. Quella donna non sa nulla di lui, non lo conosce, non lo ha mai neppure salutato, ma è per colpa sua se lui sta così male. È per colpa di quella donna se lui non possiede niente. Lei è piena di case e di automobili che costano più di qualsiasi casa in cui lui abbia mai abitato e non gli ha nemmeno chiesto scusa. Mai, neppure quando successe il fattaccio. Tutt’altro: si mise a ridere. Invece non c’era niente da ridere. Lui fece un salto, uscendo dalla sala di imbalsamazione, sorpreso di trovarsela lì davanti che giocava con una lettiga. Quella mocciosa ci correva sopra ridendo, come fosse un monopattino, mentre sua zia parlava con Dave di un’assemblea generale, oppure di qualche altro problema.

La dottoressa Scarpetta non scendeva mai nella divisione di Anatomia, a meno che non ci fosse qualche problema. Era dicembre, il periodo intorno a Natale, e aveva con sé quella mocciosa di sua nipote. Pogue la conosceva, ne aveva sentito parlare. Dicevano che abitava in Florida, a Miami, con la madre, che era la sorella della direttrice.

Pogue non sapeva tutti i particolari, ma sapeva che Lucy Farinelli poteva assorbire dal sole tutte le vitamine che voleva e non aveva nessuno intorno che le rompeva le scatole e le diceva che non guadagnava abbastanza. Anche perché, vivendo già in Florida, non aveva nessun bisogno di guadagnare un sacco di soldi per potercisi trasferire da vecchia.

Rise di Pogue, quel giorno. Correva sulla lettiga come fosse stata un monopattino. Rischiò di urtarlo, di farlo cadere. Edgar Allan Pogue portava una latta di formaldeide vuota su un carrellino e, a causa di quella mocciosa, dovette fermarsi di colpo e la latta vuota cadde. Ma Lucy Farinelli se ne fregò altamente e continuò a correre e schiamazzare. E non era più una bambina, aveva diciassette anni. Edgar Allan Pogue se lo ricorda benissimo, quanti anni aveva. Sa in che giorno è nata. Per anni le ha mandato biglietti anonimi a ogni compleanno, all’attenzione di sua zia Kay Scarpetta, 9 North Fourteenth Street, anche dopo che l’istituto ha cambiato sede. Dubita che Lucy ne abbia mai ricevuto uno, tuttavia.

Quel giorno, quel fatale giorno, Kay Scarpetta era vicino alla vasca e parlava insieme a Dave, con il camice sopra un tailleur elegante. Aveva appuntamento con un deputato, gli disse, a cui avrebbe parlato del problema che stavano discutendo. Il deputato stava preparando un disegno di legge sull’argomento. Quale? Pogue non lo ricorda. Prende fiato e si sente bruciare i polmoni. Kay Scarpetta era una bella donna e stava bene, vestita elegantemente come quella mattina. Pogue la guardava senza farsi vedere e si sentiva a disagio, in subbuglio. Anche Lucy gli ispirava dei sentimenti, ma diversi. Provava qualcosa per lei solo perché Kay Scarpetta le voleva bene, altrimenti gli sarebbe rimasta del tutto indifferente.

La latta vuota fece un rumore terribile, quando rotolò per terra verso Lucy e la sua lettiga, e Pogue dovette correre a riprenderla. È impossibile svuotare la formaldeide da una latta fino all’ultima goccia e così, quando la latta cadde, il liquido rimasto sul fondo schizzò sulle piastrelle del pavimento e uno spruzzo colpì sul viso Edgar Allan Pogue mentre si chinava a raccogliere la latta e gli entrò in bocca. Edgar Allan Pogue fu scosso da un accesso di tosse e corse nel bagno a vomitare, ma nessuno si accorse di niente. La dottoressa no di certo, e Lucy meno che mai. La sentiva ridere nel corridoio, mentre lui era in bagno, scosso dai conati di vomito. Nessuno si accorse che la sua vita era rovinata per sempre.

“Tutto bene, Edgar Allan? Sicuro?” gli domandò Kay Scarpetta dalla porta chiusa del bagno. Non entrò.

Edgar Allan Pogue ha rivissuto quel momento infinite volte, al punto che non è più sicuro del tono di voce che usò la dottoressa. Forse, a furia di ricordare, l’ha distorto.

“Sicuro di star bene, Edgar Allan?”

“Sì, dottoressa. Mi do una sciacquata e passa tutto.”

Quando finalmente uscì dal bagno, la lettiga era in mezzo al corridoio e Lucy Farinelli e Kay Scarpetta non c’erano più. Persino Dave era andato via. Era rimasto solo lui, Pogue, con il destino segnato da quella goccia di formaldeide che gli bruciava nei polmoni come una scintilla incandescente. Solo.

“Io lo so” ha spiegato poi alla signora Arnette, allineando sei bottiglie di liquido da imbalsamazione rosa confetto sul carrello, vicino al tavolo di acciaio sul quale era distesa. “A volte bisogna soffrire, per poter sentire la sofferenza degli altri” le ha detto tagliando il filo da un gomitolo sul carrello. “Ricorda quanto tempo ho trascorso con lei, signora Arnette, a parlare di carte e testamenti e di che cosa le sarebbe successo se il suo corpo fosse finito al Medical College of Virginia o alla University of Virginia? Lei diceva di amare Charlottesville e io le ho promesso che avrei fatto di tutto perché lei finisse alla UVA, visto che amava tanto quella città. L’ho ascoltata per ore, si ricorda? Sono venuto tutte le volte che mi ha chiamato, prima per farle firmare le carte, poi perché aveva bisogno di una persona che la stesse a sentire, visto che aveva paura che i suoi parenti non esaudissero i suoi desideri.

Non possono fare niente, se firma queste carte, glielo assicuro. Questi documenti sono legalmente validi, sono le sue ultime volontà. Se vuole donare il proprio corpo alla ricerca scientifica e quindi essere cremata da me, firmi qui e la sua famiglia non potrà fare nulla.”

Pogue giocherella con i sei proiettili calibro .38 che tiene nella tasca, seduto sulla sua Buick bianca al sole, e ricorda quanto si è sentito potente con la signora Arnette. Si sentiva un Dio, con la signora Arnette, la Legge.

“Sono una povera vecchia malata, Edgar Allan” gli ha detto l’ultima volta che si sono parlati. “Il mio medico abita nella casa qui di fronte e non mi viene mai a visitare. Non diventi così vecchio, Edgar Allan.”

“No” le ha promesso lui.

“Sono gente strana, sa, quelli che stanno nella casa di fronte. Il medico e sua moglie.” Ha fatto una risata amara, alludendo a qualcosa di losco. “La moglie del dottore è una donna volgare. L’ha mai vista, Edgar Allan?”

“No, signora Arnette, non mi pare.”

“Stia alla larga da quella casa” gli ha raccomandato la signora Arnette, scuotendo la testa. “Stia alla larga da quella donna.”

“Certamente, signora Arnette. Il suo medico fa male a non venire mai a vedere come sta. Le visite a domicilio rientrano fra i suoi doveri.”

“Chi la fa l’aspetti” ha replicato la signora Arnette con la testa sul cuscino, nel letto della sua camera sul retro della casa. “Mi creda, Edgar Allan, chi male semina, male raccoglie. Sono sua paziente da tanti anni, eppure non viene mai a visitarmi. Non sarà certo lui a firmare le mie carte.”

“Che cosa vuole dire, signora Arnette?” ha chiesto Pogue.

“Be’, quando uno se ne va, il medico deve firmare un certificato. Giusto?” ha detto la vecchia, ormai così debole che aveva sempre freddo nonostante le coperte.

“Giusto. Il suo medico firma il certificato di morte.” Pogue di morte se ne intende.

“Be’, vedrà che lui non troverà il tempo di venire. Che cosa succederà, allora, Edgar Allan? Se non mi firmano il certificato di morte, non posso morire?” Ed è scoppiata in una risata aspra, per niente divertita. “Vedrà che non firmerà un accidente. Io e il dottore non andiamo d’accordo.”

“Questo l’ho capito” ha replicato Pogue. “Ma non si preoccupi” ha aggiunto, sentendosi Dio in terra. “Se il dottore non troverà il tempo di attraversare la strada e venire a firmare il suo certificato di morte, penserò a tutto io, signora Arnette.”

“E come?”

“Un modo c’è.”

“Lei è proprio un caro ragazzo, Edgar Allan” gli ha detto, distesa sotto tutte quelle coperte. “Sua madre era una donna fortunata!”

“Lei non si riteneva per niente fortunata.”

“Allora era ingiusta, Edgar Allan.”

“Se non firmerà il suo medico, firmerò io” le ha promesso Pogue. “Vedo certificati di morte tutti i giorni, e sono tanti quelli firmati da medici che se ne fregano.”

“Se ne fregano tutti, Edgar Allan.”

“Falsificherò la firma, se necessario. Non si preoccupi.”

“Lei è un tesoro, Edgar Allan. Che cosa posso fare per lei, in cambio di questo favore? Ho fatto in modo che non possano vendere la casa. Li ho fregati, tutti quanti. Può viverci lei, se desidera. Solo, non glielo faccia sapere. E prenda pure anche la mia macchina. Non la guido da un sacco di tempo, purtroppo, avrà la batteria scarica. Sta per arrivare la mia ora, lo so. Mi dica che cosa desidera, Edgar Allan. Vorrei tanto avere un figlio come lei.”

“Le sue riviste, signora Arnette. Quelle su Hollywood.”

“Oh Signore! Quella robaccia di là in salotto? Le ho raccontato di quando sono stata al Beverly Hills Hotel e ho incontrato un sacco di personaggi famosi?”

“Me lo racconti di nuovo, signora Arnette. Mi piace tutto quello che riguarda Hollywood.”

“Dopo tanto insistere, quello sciagurato di mio marito mi portò a Beverly Hills, questo glielo devo riconoscere. Ci divertimmo moltissimo. Io adoro il cinema. Lei va al cinema, Edgar Allan? Non c’è niente di meglio di un buon film.”

“Sì, signora Arnette, piace molto anche a me. Un giorno andrò a Hollywood anch’io.”

“Bravo, Edgar Allan. Se non fossi così vecchia e malata, ce la accompagnerei io. Oh, ci divertiremmo un mondo!”

“Non si butti giù, signora Arnette. Vuole che le presenti mia madre? Vuole che la porti qui, un giorno di questi?”

“Sì, bravo. Le offro un gin tonic e i salatini con la salsiccia che so fare così bene.”

“La porto nell’urna, signora Arnette.”

“Come sarebbe, Edgar Allan?”

“La mia mamma è morta, ma conservo le sue ceneri in un’urna.”

“Le sue ceneri?”

“Sì, signora Arnette. Non mi separerei da esse per tutto l’oro del mondo.”

“Che bravo figlio! I miei parenti non le vorranno nemmeno, le mie ceneri. Sa cosa vorrei, Edgar Allan?”

“Mi dica, signora Arnette.”

“Che le gettasse di là da quella maledetta staccionata, nel giardino del dottor Paulsson.” È scoppiata in una delle sue risate aspre. “Vorrei che il dottore mi mettesse nella sua pipa e mi fumasse! Vorrei concimargli il giardino.”

“Signora Arnette, non potrei mai fare una cosa simile con le sue ceneri.”

“Sì, invece. Voglio che lo faccia, Edgar Allan. La ricompenserò adeguatamente. Vada in salotto a prendermi la borsa.”

Gli ha fatto un assegno di cinquecento dollari, perché lui esaudisse i suoi desideri. Dopo averlo incassato, Edgar Allan Pogue le ha portato una rosa e si è pulito le mani nel fazzoletto. L’ha trattata bene, con dolcezza.

“Perché si pulisce sempre le mani nel fazzoletto, Edgar Allan?” gli ha chiesto la signora Arnette, distesa nel suo letto. “Tolga il cellophane alla rosa e la metta in un vaso, sia gentile. Perché la infila in quel cassetto?” gli ha domandato.

“Così la può conservare in eterno” le ha risposto lui. “Adesso, per favore, si volti un attimo a faccia in giù.”

“Perché?”

“Perché glielo chiedo io, signora Arnette.”

L’ha aiutata a mettersi prona. Era leggera come una piuma. Poi si è seduto sulla sua schiena e le ha premuto il fazzoletto bianco sulla bocca perché non gridasse.

“Lei parla troppo, signora Arnette. Questo non è il momento di parlare” le ha detto.

“Non avrebbe dovuto parlare tanto” le ha ripetuto, tenendole le braccia sopra la testa. Gli pare di sentire ancora come cercava di scuotere la testa e di dibattersi sotto il suo peso. Poi, ha smesso di agitarsi e lui le ha lasciato andare le mani, le ha tolto delicatamente il fazzoletto dalla bocca ed è rimasto seduto su di lei, per essere certo che non si rimettesse a muoversi o a respirare. Intanto, le parlava, come ha fatto poi con la ragazzina, la figlia del dottore, la bella figlia del dottore sporcaccione che faceva quelle cose disgustose in casa propria. Che porcherie! Pogue non avrebbe dovuto vedere.

Sobbalza nel sentire che qualcuno gli bussa sul finestrino. Sbarra gli occhi e tossisce, ansioso. Un nero gli sta battendo sul finestrino con un anello, mostrandogli una scatola di M M’s.

«Cinque dollari per la mia Chiesa, signore» gli domanda attraverso il vetro.

Pogue mette in moto ed esce in retromarcia dal parcheggio.

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