Il traffico in centro è caotico come sempre. Guida Kay Scarpetta, perché Pete Marino fa fatica a muoversi. A fargli male sono soprattutto le cosiddette “parti basse”, e il dolore lo costringe a camminare a gambe leggermente divaricate, lentamente. Quando è salito in auto, pochi minuti fa, lo ha fatto con una certa goffaggine. Kay Scarpetta ha visto l’entità delle sue lesioni, ma non ha idea di quanto male possa comportare il rossore violaceo su quei tessuti delicati. Probabilmente Marino impiegherà qualche giorno a riprendersi.
«Come stai?» gli domanda. «Dimmi la verità, per favore.» Il significato di quelle parole è chiaro: non gli chiederà di farle vedere se c’è stato un peggioramento. Controllerà solo se glielo chiederà lui. Spera non sia necessario, ed è abbastanza certa che lui preferisca evitare.
«Meglio, mi pare» risponde Marino, guardando dal finestrino la vecchia sede della polizia in Ninth Street. Era un palazzo fatiscente già prima che trasferissero tutti gli uffici, ma adesso che è deserto e abbandonato è ancora peggio. «Se penso a quanti anni ho sprecato lì dentro, mi sento male» dice.
«Smettila, per favore!» Kay Scarpetta mette la freccia, che ticchetta come un orologio rumoroso. «Non dire così. E soprattutto non cominciare la giornata lamentandoti. Dimmi se il gonfiore è aumentato, piuttosto. È importante che tu mi dica la verità.»
«Va meglio.»
«Bene.»
«Mi sono disinfettato da solo, stamattina.»
«Bene» ripete Kay Scarpetta. «Metti lo iodio ogni volta che fai la doccia.»
«Non brucia più tanto. Anzi, non brucia quasi più. Senti, capo, e se quella avesse l’AIDS o qualche altra brutta malattia? Sai, mi è venuto in mente che potrebbe avermi contagiato. Come faccio a sapere se è malata o sana?»
«Non hai modo di accertarlo, purtroppo» risponde lei, percorrendo lentamente Cary Street e superando il Coliseum sulla loro sinistra. «Se ti può consolare, quando sono stata a casa sua, ieri, non ho visto farmaci che mi abbiano fatto pensare all’AIDS o ad altre malattie a trasmissione sessuale. Questo naturalmente non significa che non sia sieropositiva. Magari lo è ma non lo sa. Questo non vale solo per lei, Marino, ma per tutte le donne con cui sei stato. Sei certo che nessuna di loro fosse malata? Ci metteresti la mano sul fuoco? Voglio dire, se ti vuoi preoccupare, ne hai sicuramente motivo.»
«Non voglio preoccuparmi, ma…» replica. «Cioè, non ti puoi mettere il preservativo con una che te lo morde. Non ha senso. Proteggersi dalle malattie a trasmissione sessuale è un’utopia, quando una te lo morde.»
«Già» replica Kay Scarpetta, svoltando in Fourth Street. Le squilla il cellulare. Nel vedere il numero di Rudy, si preoccupa. Rudy non la chiama mai, se non per farle gli auguri di compleanno o per darle brutte notizie.
«Ciao, Rudy» lo saluta, immettendosi nel parcheggio. «Che cosa è successo?»
«Non riesco a trovare Lucy» la informa lui con voce preoccupata. «Ha il cellulare spento, oppure non prende. È partita per Charleston in elicottero stamattina.»
Kay Scarpetta lancia un’occhiata a Marino, il quale deve aver chiamato Lucy appena lei è andata via dalla sua camera, ieri.
«E per fortuna che è partita!» continua Rudy.
«Rudy, per favore, spiegami che cosa è successo» chiede Kay Scarpetta, sempre più innervosita.
«Le hanno messo un ordigno esplosivo nella cassetta delle lettere» dice lui, parlando veloce. «Non ho il tempo di entrare nei dettagli. E certe cose è meglio che te le spieghi lei.»
Kay Scarpetta va a passo d’uomo verso l’entrata dei visitatori. «Quando? Che tipo di esplosivo?» domanda.
«Io l’ho scoperto meno di un’ora fa. Sono passato a controllare casa sua e mi ha colpito il fatto che la bandierina della cassetta della posta fosse alzata. Mi sono avvicinato e ho visto un bicchiere di plastica, grande, colorato di arancione con un pennarello, con un coperchio colorato di verde fissato al bicchiere con il nastro isolante. Ho guardato dal beccuccio per vedere che cosa c’era dentro e, siccome non si vedeva un accidente, ho preso uno di quei cosi che servono per cambiare le lampadine in alto senza prendere la scala, hai presente? Non so come si chiamano. Comunque, ho preso uno di quei cosi lì e ho risolto il problema.»
Kay Scarpetta parcheggia con calma, molto lentamente, ascoltando Rudy. Poi gli chiede: «Come lo hai risolto, se posso chiedertelo?».
«Ho fatto esplodere la bomba. Niente di che: una molotov con palline di alluminio dentro.»
«Il metallo accelera la reazione» dice Kay Scarpetta, pensando ad alta voce. «È tipico degli ordigni confezionati con prodotti per la casa a base di acido cloridrico, tipo i detersivi per il wc. Adesso su Internet ti danno la ricetta per prepararli…»
«Infatti aveva un odore acido, tipo cloro. Siccome l’ho fatta esplodere vicino alla piscina, però, forse l’odore veniva da lì.»
«È possibile che contenesse cloro granulato da piscina sciolto in una bibita gassata. È una ricetta abbastanza comune. Per accertarlo, basta effettuare un’analisi chimica.»
«Non ti preoccupare, la effettueremo.»
«Del bicchiere è rimasto qualcosa?» chiede Kay.
«Sì. Controlleremo se ci sono impronte ed eventualmente le confronteremo con quelle dello IAFIS.»
«Teoricamente dalle impronte si può risalire anche al DNA, specie se sono recenti. Vale la pena di fare un tentativo.»
«Va bene. Effettuerò un tampone sul bicchiere e sul nastro isolante. Stai tranquilla.»
Più le raccomanda di non preoccuparsi e di stare tranquilla, più lei si agita.
«Non ho chiamato la polizia» aggiunge Rudy.
«Questa è una cosa che decidete voi.» Ha rinunciato a dare consigli a Lucy, Rudy e quelli che lavorano con loro. L’Ultimo Distretto segue regole molto diverse da quelle della gente normale, ben più rischiose e spesso in disaccordo con la legge. Kay Scarpetta ha smesso di chiedere informazioni, perché poi l’ansia la tiene sveglia di notte.
«L’ordigno potrebbe essere legato ad alcuni problemi che abbiamo avuto recentemente» spiega Rudy. «È meglio che te ne parli Lucy, in ogni caso. Se la senti prima che io riesca a raggiungerla, dille di chiamarmi subito, per favore.»
«Rudy, non vorrei che ci fossero altri ordigni esplosivi lì intorno. Fate come volete, naturalmente, ma tenete presente che chi ha piazzato lì quello potrebbe averne nascosti altri in giro» dice. «Se ti esplode in faccia e inali le sostanze chimiche che sprigiona, rischi di lasciarci le penne. Gli acidi sono talmente forti che non serve neppure che la reazione sia completa…»
«Lo so, lo so.»
«Per favore, se decidete di arrangiarvi da soli, almeno accertatevi che non siano coinvolte altre persone. La mia preoccupazione è questa.» È il suo modo per dire che, se Rudy non vuole chiamare la polizia, deve almeno assumersi la responsabilità di proteggere eventuali vittime innocenti.
«So che cosa devo fare. Non ti preoccupare» le dice.
«Gesù!» esclama lei, chiudendo la comunicazione e rivolgendosi a Marino. «Vorrei sapere cosa sta succedendo. Hai chiamato Lucy ieri sera, vero? Ti ha spiegato che cosa le è successo? Io non la vedo da settembre. Non so niente.»
«Una molotov? Ho capito bene?» È rigido e con la schiena dritta. Tutte le volte che Lucy è in pericolo, si agita.
«Sì. Dello stesso genere di quelle che ci avevano causato tanti problemi qualche anno fa vicino a Fairfax, ti ricordi? Quando quel gruppo di ragazzini con troppo tempo a disposizione ha avuto la brillante idea di fabbricare una serie di bombe per far saltare le cassette delle lettere e una donna è morta. Te lo ricordi?»
«Per la miseria!»
«Il problema è che sono facili da fare e terribilmente pericolose. Con un pH di 1 o meno, un’acidità spaventosa… Poteva esplodere in faccia a Lucy, te ne rendi conto? Forse se ne sarebbe accorta e non l’avrebbe tirata fuori, ma… Con lei non si sa mai.»
«Gliel’hanno messa in casa?» domanda Marino, sempre più arrabbiato. «Nella sua villa in Florida?»
«Che cosa le hai detto ieri sera?»
«Le ho parlato di Frank Paulsson, principalmente. E le ho accennato a quello che sta succedendo qui. Nient’altro. Ha detto che ci avrebbe pensato lei. Una bomba nella sua villa principesca, con telecamere e sistemi di sicurezza ovunque? In casa?»
«Ti racconto tutto mentre andiamo» gli dice, aprendo la portiera.