Nella camera d’albergo fa troppo caldo, ma Kay Scarpetta ha rinunciato a cercare di regolare il termostato. E seduta in poltrona, vicino alla finestra, e osserva Marino steso sul letto. È vestito: si è tolto solo il berretto e le scarpe.
«Devi mangiare qualcosa» gli consiglia.
Ha posato la borsa di nylon nera sporca di fango per terra e il cappotto, anch’esso infangato, su una sedia. Marino guarda le impronte di terra che hanno lasciato sulla moquette e pensa a quante volte hanno controllato insieme le impronte sul luogo del delitto, poi gli viene in mente la camera da letto di Suzanna Paulsson e il delitto che forse vi è stato consumato. Possibile che lui, Marino, abbia commesso un reato?
«Non penso che riuscirei a mandare giù niente, adesso come adesso» risponde. «E se va alla polizia?»
Kay Scarpetta non vuole dargli false speranze. Può fare ben poco per lui, se non le dice niente. «Ti conviene metterti a sedere, Marino. Tirarti un po’ su. Dai, ordino qualcosa.»
Si alza e si avvicina al telefono sul comodino. Cerca gli occhiali da presbite nella tasca della giacca del tailleur, li inforca e osserva il telefono. Non riuscendo a capire che numero bisogna fare per avere il servizio in camera, preme “zero” per parlare con l’operatore e farsi passare il ristorante.
«Tre bottiglie di acqua minerale, due tè caldi, un bagel tostato e una porzione di porridge. No, grazie, va bene così.»
Marino si tira su a sedere e si aggiusta i cuscini dietro la schiena. Guarda Kay che torna a sedersi in poltrona, stanca e oppressa da mille pensieri. È preoccupata per le tracce di vernice sui due cadaveri nell’obitorio, per i campioni di terra che ha appena raccolto nel cantiere dove è morto Ted Whitby, per Gilly Paulsson, per Lucy, per Benton, e adesso anche per lui, che teme di aver violentato Suzanna Paulsson. Marino ha fatto un sacco di scemenze, in campo sentimentale, e ha confuso spesso vita professionale e vita privata, allacciando relazioni con testimoni e vittime, ma le conseguenze non sono mai state gravissime. Non è mai stato accusato di stupro. Una simile eventualità non lo ha mai neppure sfiorato.
«Dobbiamo affrontare il problema e vedere come risolverlo» comincia Kay. «Prima di tutto, non credo che tu abbia violentato Suzanna Paulsson. Evidentemente bisogna capire se lei è convinta che tu l’abbia fatto o se fa finta di crederlo e perché. Ma iniziamo da quello che ti ricordi, dall’ultima cosa di cui sei sicuro.» Lo guarda negli occhi. «E comunque, Marino, se l’hai violentata, qualcosa faremo. Okay?»
Lui si limita a guardarla. È rosso in viso, ha gli occhi lucidi e gli pulsa una vena azzurrognola sulla tempia, che ogni tanto si massaggia.
«So che non ti fa piacere raccontarmi la tua serata nei dettagli, ma penso che sia necessario. Altrimenti, non posso aiutarti. Stai tranquillo, non mi scandalizzo di niente» aggiunge. Dopo tutto quello che hanno passato insieme, potrebbe suonare come una battuta di spirito, ma nessuno dei due ha voglia di ridere.
«Non so se ci riuscirò» replica Marino, voltandosi dall’altra parte.
«La mia immaginazione probabilmente supera la realtà» gli dice Kay in tono piatto, obiettivo.
«Lo so, non sei nata ieri.»
«Infatti» risponde lei. «Ho anche una certa esperienza» aggiunge sorridendo. «Benché forse tu faccia fatica ad accettarlo.»