Il presidente Zachary Herney, che pure aveva conquistato la più alta carica politica del mondo, era di modesta statura e di esile costituzione. Portava lenti bifocali e aveva spalle strette, un viso lentigginoso e radi capelli neri. Tuttavia, nonostante l'aspetto poco imponente, suscitava in chi lo conosceva un'adorazione reverenziale. Si diceva che chiunque, dopo averlo incontrato, era pronto ad andare in capo al mondo per lui.
«Sono molto contento che sia riuscita a venire» disse a Rachel, stringendole la mano con sincera cordialità.
Rachel avvertì un nodo di emozione in gola. «È… un onore incontrarla, signor presidente.»
Lui le rivolse un sorriso rassicurante e Rachel sperimentò di persona la leggendaria affabilità di quell'uomo. Herney aveva un'espressione bonaria molto apprezzata dai vignettisti politici perché, da qualsiasi angolazione lo ritraessero, era impossibile non coglierne il naturale calore umano e il sorriso amabile. Dai suoi occhi trasparivano sempre sincerità e dignità.
«Se vuole venire con me» la invitò in tono allegro «ho pronta una tazza di caffè con su scritto il suo nome.»
«La ringrazio.»
Il presidente premette un tasto sull'interfono e chiese di servire il caffè nel suo ufficio. Mentre lo seguiva, Rachel non poté fare a meno di notare che Herney appariva molto soddisfatto e riposato per essere uno che i sondaggi davano in posizione di svantaggio. Vestiva casual: jeans, polo, scarpe sportive L.L. Bean. Lei cercò un argomento per sciogliere il ghiaccio. «Si dà… alle escursioni, presidente?»
«Niente affatto. I miei consiglieri hanno deciso che questo dovrà essere il mio nuovo look. Lei che ne dice?»
Rachel si augurò per amor suo che non parlasse sul serio. «Fa molto… ehm… uomo di tempra, signore.»
Herney rimase imperturbabile. «Ottimo. Forse potrà aiutarmi a sottrarre qualche voto femminile a suo padre.» Dopo una breve pausa, si lasciò andare a un grande sorriso. «Scherzavo, signora Sexton. Sappiamo entrambi che ci vogliono ben più di una polo e un paio di jeans per vincere queste elezioni.»
La franchezza e il buonumore del presidente stavano sciogliendo la soggezione che il posto le incuteva. Quell'uomo compensava con la diplomazia ciò che gli difettava in prestanza fisica. E la diplomazia era una dote umana che Zach Herney sicuramente possedeva.
Rachel seguì il presidente nella parte posteriore dell'Air Force One. Più ci s'inoltrava, meno si aveva la sensazione di trovarsi a bordo di un aereo: corridoi curvi, tappezzeria alle pareti, perfino una palestra completa di Isostep e vogatore. Stranamente, il Boeing appariva quasi completamente deserto.
«Viaggia solo, presidente?»
Lui scosse la testa. «Sono appena atterrato, in realtà.»
Rachel ne fu sorpresa. "Atterrato da dove?" Nei rapporti dell'intelligence non aveva letto di viaggi presidenziali. Evidentemente usava Wallops Island per spostarsi senza dare nell'occhio.
«Il mio staff è sbarcato poco prima che lei arrivasse» affermò. «Lo incontrerò alla Casa Bianca, tra poco. Ma ho preferito farla venire qui piuttosto che nel mio ufficio.»
«Per intimidirmi?»
«Al contrario; in segno di rispetto, signora Sexton. La Casa Bianca è costantemente sotto i riflettori, e la notizia di un incontro tra noi l'avrebbe messa in una posizione imbarazzante con suo padre.»
«Apprezzo molto il suo riguardo, signore.»
«A quanto pare, lei riesce a destreggiarsi con garbo in una situazione assai delicata e io non voglio nuocerle in alcun modo.»
Rachel rivide una breve immagine dell'incontro con il padre a colazione e pensò che difficilmente il suo comportamento poteva essere definito garbato. Ma Zach Herney stava facendo di tutto per essere gentile, anche se non ne aveva certo il dovere.
«Posso chiamarla Rachel?» le chiese.
«Certo.» "E io posso chiamarla Zach?"
«Il mio ufficio» annunciò il presidente, aprendo una porta di acero intagliato.
L'ufficio a bordo dell'Air Force One era certamente più intimo dell'omologo alla Casa Bianca, malgrado l'austerità dell'arredamento. Dietro la scrivania, ingombra di carte, un grande dipinto a olio raffigurava una classica goletta a tre alberi, completamente invelata, che avanzava faticosamente in una furibonda tempesta. Una perfetta metafora della presidenza di Zach Herney in quel momento.
Il presidente le offrì una delle tre poltroncine davanti alla scrivania. Rachel si sedette, sicura che lui avrebbe preso posto dietro il tavolo e non al suo fianco, come invece fece.
"Una posizione di parità. Il principio fondamentale per stabilire un rapporto."
«Bene, Rachel.» Herney trasse un sospiro carico di stanchezza. «Immagino che lei sia un po' frastornata per il fatto di trovarsi qui. Ho ragione?»
Quel che restava della diffidenza di Rachel si sgretolò davanti al candore di quella voce. «Per la verità, signore, sono assolutamente sconcertata.»
Herney scoppiò in una fragorosa risata. «Fantastico. Non capita tutti i giorni di sconcertare un esponente dell'NRO.»
«Come non capita tutti i giorni agli esponenti dell'NRO di essere invitati a bordo dell'Air Force One da un presidente che indossa scarpe sportive.»
Il presidente rise di nuovo.
Qualche colpetto leggero alla porta annunciò l'arrivo del caffè. Una hostess entrò con un bricco fumante e due tazze di peltro. A un cenno del presidente, posò il vassoio sulla scrivania e sparì.
«Latte e zucchero?» Il presidente si alzò per servirla.
«Solo latte, grazie.» Rachel annusò il ricco aroma. "Il presidente degli Stati Uniti in persona che mi versa il caffè?"
Zach Herney le porse la pesante tazza. «Autentiche Paul Revere. Uno dei piccoli lussi che mi sono concessi.»
Rachel sorseggiò la bevanda. Non aveva mai assaggiato un caffè così buono.
«Bene» disse il presidente, riempiendosi a sua volta la tazza prima di rimettersi a sedere «ho poco tempo, quindi è meglio arrivare subito al dunque.» Lasciò cadere una zolletta di zucchero nel caffè e la guardò. «Immagino che Bill Pickering l'avrà messa in guardia sostenendo che se desideravo incontrarla era soltanto per sfruttarla ai miei fini politici.»
«È esattamente quello che ha detto.»
Il presidente si mise a ridere. «Sempre cinico.»
«Dunque sbagliava?»
«Sta scherzando? Bill Pickering non sbaglia mai. Ha fatto centro come al solito.»