Rachel Sexton era in volo verso nord da oltre un'ora. A parte una fugace immagine di Terranova, non aveva visto che acqua sotto l'F-14.
"Perché proprio acqua?" pensò, disgustata. All'età di sette anni, mentre pattinava sul ghiaccio, Rachel era sprofondata in una pozza gelata. Intrappolata sotto la superficie, si era convinta di essere in punto di morte. Soltanto la potente presa della madre era riuscita a portare in salvo il corpicino appesantito dall'acqua. Dopo quell'orribile esperienza, Rachel aveva sempre lottato contro una persistente idrofobia, un acuto terrore delle distese d'acqua, tanto più se fredde. A quel punto, con la distesa del Nord Atlantico sotto gli occhi, si sentì riassalire dalle antiche paure.
Solo quando il pilota controllò la posizione con la base aerea di Thule, nella Groenlandia settentrionale, Rachel si rese conto di quanto avessero viaggiato. "Sono oltre il Circolo artico?" Quella rivelazione accentuò il suo disagio. "Dove mi stanno portando? Che cosa ha scoperto la NASA?" Ben presto la grande estensione grigio blu sotto di lei apparve costellata di migliaia di puntini bianchi.
"Iceberg."
Rachel li aveva visti soltanto una volta in vita sua, sei anni prima, quando sua madre l'aveva persuasa a fare con lei una crociera in Alaska, solo madre e figlia. Rachel aveva suggerito numerose alternative a terra, ma la madre aveva insistito. «Rachel, tesoro, due terzi di questo pianeta sono coperti dall'acqua, prima o poi devi superare il problema.» La signora Sexton, originaria del New England, era una donna energica, determinata a crescere una figlia forte.
Quella crociera era stato l'ultimo viaggio compiuto con la madre.
"Katherine Wentworth Sexton." Rachel avvertì una fitta di nostalgia. Come il vento che ululava fuori dall'aereo, i ricordi arrivarono impetuosi, strazianti come sempre. La loro ultima conversazione al telefono. La mattina del giorno del Ringraziamento.
«Mi dispiace tanto, mamma» aveva detto Rachel, dall'aeroporto O'Hare di Chicago paralizzato dalla neve. «So che la nostra famiglia ha sempre passato insieme questo giorno. Oggi sarà la prima volta che saremo lontani.»
La madre aveva un tono molto rattristato. «Ero così ansiosa di vederti.»
«Anch'io non vedevo l'ora. Pensami qui, a mangiare schifezze da aeroporto mentre tu e papà vi gustate il tacchino.»
C'era stata una pausa sulla linea. «Rachel, aspettavo a dirtelo al tuo arrivo, ma papà ha troppi impegni e non ce la fa a tornare a casa, quest'anno. Rimane a Washington.»
«Cosa?» L'iniziale sorpresa si era tramutata ben presto in rabbia. «Ma è il giorno del Ringraziamento. Il Senato non si riunisce! È a meno di due ore di viaggio. Dovrebbe venire da te!»
«Lo so, ma sostiene di essere esausto, troppo stanco per mettersi in macchina, così ha deciso di passare il weekend chino sul lavoro.»
"Lavoro?" Rachel era scettica. Molto più probabile che il senatore Sexton fosse chino su un'altra donna. Le sue infedeltà, per quanto discrete, andavano avanti da anni. La moglie non era una sciocca, ma le relazioni del marito erano sempre accompagnate da alibi persuasivi e da reazioni scandalizzate alla minima insinuazione in proposito. Alla fine, la signora Sexton non aveva visto altra alternativa che seppellire il dolore ignorando la realtà. Anche se Rachel l'aveva sollecitata a prendere in considerazione il divorzio, Katherine Wentworth Sexton era una donna di parola. «Finché morte non ci separi» le aveva ricordato. «Tuo padre mi ha dato te, un dono meraviglioso, una figlia splendida, e di questo gli sono grata. Un giorno dovrà rispondere delle sue azioni a un potere più alto.»
In quell'aeroporto, Rachel si era sentita schiumare di rabbia. «Ma significa che sarai tutta sola per il Ringraziamento!» Aveva avvertito un'ondata di nausea. Il senatore che abbandonava la famiglia proprio in quella giornata commetteva un'azione indegna anche per lui.
«Be'…» La signora Sexton era parsa delusa, ma al tempo stesso determinata. «Chiaramente non posso sprecare tutto questo cibo. Lo porterò da zia Ann. Ci ha sempre invitato per il Ringraziamento. Adesso la chiamo.»
Rachel aveva sentito affievolirsi solo in parte il senso di colpa. «D'accordo. Io arrivo appena posso. Ti voglio bene, mamma.»
«Buon viaggio, tesoro.»
Erano le dieci e mezzo di sera quando il taxi di Rachel aveva imboccato il tortuoso viale d'accesso che conduceva alla lussuosa proprietà dei Sexton. Rachel aveva capito subito che qualcosa non andava. Tre auto della polizia, parecchi pulmini di giornalisti, luci accese ovunque. Si era precipitata verso la casa con il cuore in gola.
Un agente dello Stato della Virginia l'aveva accolta sulla soglia con un'espressione desolata. Non aveva dovuto dire neppure una parola. Rachel aveva capito subito che c'era stato un incidente.
«La statale venticinque era sdrucciolevole per via della pioggia ghiacciata» le aveva spiegato. «Sua madre è uscita di strada ed è precipitata in un burrone. Mi dispiace. È morta sul colpo.»
Rachel si era sentita intorpidire le membra. Suo padre, arrivato appena appresa la notizia, era in salotto. Stava tenendo una piccola conferenza stampa per annunciare stoicamente al mondo che sua moglie era deceduta in un incidente mentre tornava dalla cena del Ringraziamento con i familiari.
Rachel era rimasta in disparte, singhiozzando per tutta la durata del discorso.
«Rimpiango soltanto» aveva detto il padre ai cronisti, con gli occhi pieni di lacrime «di non essere stato a casa con lei il fine settimana. Questa tragedia non sarebbe avvenuta.»
"Avresti dovuto pensarci anni fa" si era detta Rachel, mentre il disprezzo per il padre aumentava ogni istante di più.
Da allora, Rachel si era allontanata dal padre come la signora Sexton non aveva mai fatto. Il senatore era parso non farci caso, tutto preso a usare le fortune della defunta moglie per sollecitare la nomination del partito per la campagna presidenziale. Il voto sull'onda dell'emozione non guastava.
Purtroppo, a distanza di tre anni, il senatore continuava a essere responsabile della vita solitaria della figlia: la corsa alla Casa Bianca aveva arrestato a tempo indefinito il sogno di Rachel di incontrare un uomo e costruirsi una famiglia. Per lei era stato molto più facile chiamarsi fuori dal gioco sociale piuttosto che affrontare l'infinito codazzo di corteggiatori assetati di potere che speravano di impalmare l'addolorata figlia del candidato alla presidenza finché era ancora disponibile.
Fuori dall'F-14, la luce cominciava a diminuire. Era tardo inverno nell'Artico, un periodo di oscurità quasi perpetua. Rachel comprese di viaggiare verso un mondo di notte perenne.
Con il passare dei minuti, il sole scomparve completamente dietro l'orizzonte. Procedevano sempre verso nord. Sorse la luna a tre quarti, molto luminosa, sospesa nella glaciale aria cristallina. In basso, le onde dell'oceano rilucevano, mentre gli iceberg apparivano come diamanti cuciti su una scura rete di lustrini.
Infine, Rachel individuò il profilo indistinto della terraferma. Ma non era ciò che si aspettava: un'enorme catena montuosa incappucciata di neve si ergeva dal mare.
«Montagne?» chiese confusa. «Ci sono montagne a nord della Groenlandia?»
«Evidentemente» commentò il pilota, in tono altrettanto sorpreso.
Quando il muso dell'F-14 puntò verso il basso, Rachel si sentì stranamente priva di peso. Malgrado il ronzio nelle orecchie, udiva un ripetuto ping elettronico in cabina. Il pilota doveva essersi allineato su qualche raggio direzionale.
Quando scesero sotto i mille metri, Rachel osservò il terreno aspro, illuminato dalla luna. Alla base delle montagne, un grande pianoro coperto di neve si estendeva verso il mare per una quindicina di chilometri prima di terminare bruscamente con una ripida scogliera di ghiaccio solido che precipitava verticalmente in mare.
Fu allora che le vide. Dapprima le attribuì a un effetto della luce lunare. Guardò con attenzione la distesa di neve senza comprendere. Più l'aereo scendeva, più l'immagine diventava nitida.
"Che cosa diavolo sono, in nome di Dio?"
Il pianoro sottostante era a strisce… come se qualcuno avesse dipinto sulla neve tre enormi fasce di colore argento, parallele alle scogliere della costa. Solo quando l'aereo scese sotto i centocinquanta metri, l'illusione ottica si chiarì. Le tre strisce d'argento erano profondi canali, ciascuno ampio almeno dieci metri. Essi si erano riempiti d'acqua che era poi ghiacciata formando nastri argentati che correvano paralleli sul pianoro. I bianchi argini che li separavano erano berme di neve.
Mentre puntava verso il pianoro, l'aereo incappò in una forte turbolenza. Rachel sentì il rumore secco del carrello che scendeva malgrado non si vedesse ancora la pista d'atterraggio. Il pilota era impegnato a mantenere il controllo del velivolo tra scossoni e sussulti. Quando Rachel individuò due linee di luci lampeggianti a cavallo del canale ghiacciato più esterno, comprese con terrore che cosa sarebbe successo.
«Atterriamo sul ghiaccio?» chiese.
Nessuna risposta. Il pilota era concentrato sulle raffiche impetuose. Rachel sentì lo stomaco in gola quando l'aereo decelerò inclinandosi verso il canale ghiacciato. Trattenne il respiro, sapendo che il minimo errore di calcolo avrebbe significato morte certa. L'aereo rullò mentre si infilava tra le alte pareti di neve, e in quel momento la turbolenza scomparve. Al riparo dal vento, il velivolo compì un atterraggio perfetto.
Gli invertitori di spinta rombarono, rallentando il Tomcat. Rachel lasciò andare il respiro. L'aereo procedette per un centinaio di metri prima di arrestarsi davanti a una linea di vernice rossa tracciata sul ghiaccio.
A destra, soltanto un muro di neve illuminato dalla luna, il lato di un argine di ghiaccio. A sinistra, stesso panorama. Solo attraverso il vetro anteriore si aveva qualche visibilità… un'interminabile distesa gelata. A parte la striscia dipinta, non c'era alcun segno di vita.
Poi lo sentì. Un motore in avvicinamento. Un suono acuto, sempre più forte, precedette l'arrivo di un veicolo. Un grande trattore cingolato arrancava verso di loro lungo il lastrone ghiacciato. Alto ed esile, aveva l'aspetto di un insetto futuristico su zampe rotanti. In alto, sul telaio, c'era una cabina chiusa di perspex con una fila di luci a largo fascio che illuminavano il cammino.
Si fermò con un tremito a fianco dell'F-14. La porta della cabina si aprì e una figura scese la scaletta, avvolta da capo a piedi in una voluminosa tuta bianca che dava l'impressione di essere stata gonfiata.
"Mad Max incontra l'omino della Michelin" si disse Rachel, sollevata nel constatare che quello strano pianeta era abitato.
L'uomo segnalò al pilota dell'F-14 di sollevare il tettuccio.
Questi ubbidì e una folata di vento investì Rachel raggelandola fin nelle ossa.
"Chiudi quel dannato coperchio!"
«La signora Sexton?» chiese il nuovo venuto, con accento americano. «Le do il benvenuto a nome della NASA.»
Rachel tremava. "Molte grazie."
«Prego, sganci la cintura, lasci il casco sull'aereo e sbarchi usando i gradini sulla fusoliera. Qualche domanda?»
«Sì» gridò Rachel di rimando. «Dove diavolo mi trovo?»