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La Casa Bianca è una delle più piccole residenze presidenziali del mondo, con i suoi cinquanta metri di lunghezza e venticinque di profondità, situata in soli sette ettari di terreno. Il progetto dell'architetto James Hoban, una struttura in pietra a pianta rettangolare con tetto a quattro spioventi e fronte colonnata, per quanto chiaramente poco originale, fu scelto attraverso un concorso aperto dai giudici che ne apprezzarono "l'eleganza, la maestosità e l'adattabilità".

Il presidente Zach Herney, anche dopo tre anni e mezzo di permanenza, di rado si sentiva a casa fra tutti quei lampadari a gocce, mobili d'antiquariato e marine armati fino ai denti. Ma in quel momento marciava a passo deciso verso l'ala Ovest, rinvigorito e stranamente a suo agio, i piedi leggeri sulla folta moquette.

Parecchi membri dello staff alzarono lo sguardo nel vederlo. Herney li salutò con un cenno della mano chiamandoli per nome a uno a uno. Le risposte, ancorché educate, furono sommesse e accompagnate da sorrisi forzati.

«Buongiorno, signor presidente.»

«È un piacere rivederla, signor presidente.»

«Buona giornata, signore.»

Si avviò verso il suo ufficio accompagnato da mormorii alle spalle. Era in corso un'insurrezione all'interno della Casa Bianca. Nelle ultime due settimane, il malcontento al 1600 di Pennsylvania Avenue era cresciuto a tal punto che Herney cominciava a sentirsi il capitano Bligh, alla testa di una nave in difficoltà con un equipaggio pronto all'ammutinamento.

Non biasimava i suoi collaboratori, che avevano lavorato fino a ore impossibili per la campagna elettorale e in quel momento, all'improvviso, avevano l'impressione che lui stesse mancando la palla.

"Capiranno presto" si disse. "Presto tornerò a essere il loro eroe."

Gli dispiaceva tenere all'oscuro il suo staff tanto a lungo, ma la riservatezza era troppo importante. E quando si trattava di mantenere un segreto la Casa Bianca era nota come la nave più piena di falle di tutta Washington.

Nella sala d'attesa davanti allo Studio Ovale, Herney salutò calorosamente la segretaria. «Ha un ottimo aspetto stamattina, Dolores.»

«Anche lei, signore» rispose, osservando l'abbigliamento sportivo con malcelata disapprovazione.

Herney abbassò la voce. «Vorrei che mi organizzasse un incontro.»

«Con chi, signore?»

«Con tutto lo staff della Casa Bianca.»

La segretaria alzò lo sguardo. «Tutto lo staff? Centoquarantacinque persone?»

«Esatto.»

Dolores parve sconcertata. «D'accordo. Nella… sala riunioni?»

Herney scosse la testa. «No. Facciamo nel mio ufficio.»

Lei lo fissò stralunata. «Desidera vedere l'intero staff dentro lo Studio Ovale?»

«Esatto.»

«Subito, signore?»

«Perché no? Diciamo questo pomeriggio alle quattro.»

La segretaria annuì come se tranquillizzasse un malato di mente. «Molto bene, signore. E il tema della riunione…?»

«Un importante annuncio che farò stasera al popolo americano. Voglio informarne prima il mio staff.»

Un'espressione desolata attraversò il viso della segretaria, come se paventasse da tempo quel momento. Abbassò la voce. «Signore, ha deciso di abbandonare la corsa?»

Herney scoppiò in una risata. «Santo cielo, Dolores, no! Anzi, sto accelerando per la volata finale!»

La donna parve dubbiosa. I media non facevano che sottolineare che Herney stava gettando al vento l'elezione.

Lui ammiccò per rassicurarla. «Dolores, in questi anni lei ha fatto un lavoro splendido per me, e spero che continuerà a farlo per altri quattro anni. La Casa Bianca resterà a noi. Glielo prometto.»

La segretaria sembrò decisa a credergli. «Molto bene, signore. Avverto lo staff. Ore sedici.»


Quando entrò nello Studio Ovale, Zach Herney non poté fare a meno di sorridere all'idea che il suo intero staff si sarebbe accalcato in quella sala che pareva più piccola di quanto in realtà non fosse.

Anche se quel grande ufficio aveva avuto molti soprannomi nel corso degli anni — Cesso, Nido dell'Uccello, Camera da letto di Clinton — quello che Herney preferiva era Nassa da aragoste. Gli sembrava decisamente azzeccato. Ogni volta che qualcuno vi metteva piede per la prima volta, il disorientamento era evidente. La simmetria del locale, la curva dolce delle pareti, le porte nascoste con discrezione contribuivano a dare ai visitatori la sensazione di essere stati bendati e fatti girare in tondo. Spesso, dopo un incontro nello Studio Ovale, un capo di Stato si alzava, stringeva la mano al presidente e poi marciava dritto verso il ripostiglio. A seconda dell'esito della riunione, Herney fermava in tempo l'ospite oppure lo guardava divertito affrontare quella situazione imbarazzante.

Herney aveva sempre pensato che la caratteristica principale dello Studio Ovale fosse la colorata aquila americana raffigurata sul tappeto ovale. L'artiglio sinistro stringeva un ramo d'ulivo e il destro un fascio di frecce. Pochi sapevano che, in tempo di pace, l'aquila guardava a sinistra, verso il ramo d'ulivo, mentre in tempo di guerra era misteriosamente rivolta a destra, verso le frecce. Il segreto di quel piccolo trucco da salotto era fonte di molte illazioni tra il personale, perché per tradizione era noto soltanto al presidente e al capo maggiordomo. Herney aveva appreso con delusione che la verità dietro quell'enigmatica aquila era molto banale: in un deposito in cantina era riposto il secondo tappeto ovale e il maggiordomo si limitava a sostituirlo nel cuore della notte.

Mentre Herney abbassava lo sguardo sulla pacifica aquila rivolta a sinistra, sorrise nel pensare che forse avrebbe fatto cambiare il tappeto in onore della piccola guerra che stava per sferrare contro il senatore Sedgewick Sexton.

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