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Combatti o fuggi.

Come biologo, Tolland conosceva le trasformazioni fisiologiche che intervengono quando un organismo percepisce il pericolo. L'adrenalina invade la corteccia cerebrale, aumentando il ritmo cardiaco e ordinando al cervello di fare la scelta più antica e intuitiva: combattere o fuggire.

L'istinto gli suggeriva di fuggire, ma la ragione gli diceva che era ancora legato a Norah Mangor, e che, comunque, non c'era nessun posto in cui rifugiarsi. L'unico riparo era costituito dall'habisfera, ma gli aggressori, chi diavolo mai fossero, si erano posizionati in alto sul ghiacciaio, escludendo quella possibilità. Alle sue spalle, la landa di ghiaccio si apriva in un pianoro lungo tre chilometri per terminare con una scarpata a picco sul mare gelido. Fuggire in quella direzione significava soccombere alla furia degli elementi. A parte le barriere concrete, sapeva di non poter abbandonare gli altri. Norah e Corky erano ancora allo scoperto, anche se legati a loro.

Tolland rimase vicino a Rachel mentre i proiettili di ghiaccio continuavano a colpire il fianco della slitta capovolta. Frugò tra l'attrezzatura sparsa, in cerca di un'arma, una pistola lanciarazzi, una radio… qualsiasi cosa.

«Corri!» gli gridò Rachel, ancora ansimante.

Poi, inaspettatamente, la gragnola di proiettili cessò. Malgrado il vento impetuoso, la serata parve tornare tranquilla… come se la tempesta si fosse allontanata.

Fu allora che, guardando con cautela intorno alla slitta, Tolland scorse una delle immagini più raggelanti che avesse mai visto.

Scivolando senza sforzo fuori dal perimetro scuro verso la luce, emersero tre figure spettrali che si avvicinavano sugli sci. Indossavano tute bianche per climi estremi. Non avevano racchette, ma fucili piuttosto grandi, che Tolland non aveva mai visto. Anche gli sci erano strani, futuristici e corti, più simili a Rollerblade.

Con calma, quasi sapessero di avere già vinto la battaglia, le figure si fermarono a fianco della vittima più vicina a loro, Norah Mangor, che giaceva in stato di incoscienza. Tolland, terrorizzato, si mise in ginocchio e sbirciò oltre la slitta, verso gli aggressori, che gli restituirono lo sguardo attraverso strani occhialini elettronici. Non si dimostravano interessati a lui.

Almeno per il momento.


Delta-Uno non provò alcun rimorso nel guardare la donna che giaceva priva di conoscenza davanti a lui. Era stato addestrato a eseguire gli ordini, senza chiederne ragione.

La donna indossava una spessa tuta termica nera. Aveva una ferita su un lato del viso e il respiro corto e stentato. Uno dei fucili da ghiaccio IM aveva colpito il bersaglio, facendole perdere i sensi.

A quel punto, occorreva terminare il lavoro.

Mentre Delta-Uno si inginocchiava accanto alla donna, i compagni puntavano i fucili sugli altri bersagli: uno sul piccoletto svenuto, disteso lì accanto, e l'altro sulla slitta rovesciata, dietro cui stavano nascoste le altre due vittime. I suoi uomini avrebbero potuto tranquillamente proseguire per concludere l'operazione, ma le altre tre persone non erano armate e non potevano scappare. Era imprudente affrettarsi a farle fuori subito. "Non distogliere mai l'attenzione a meno che non sia strettamente necessario. Concentrarsi su un avversario alla volta." Gli uomini della Delta Force si sarebbero attenuti alle istruzioni, uccidendo quelle persone una alla volta. Le avrebbero fatte fuori senza lasciare alcuna traccia, come per magia.

Accovacciandosi vicino alla donna svenuta, Delta-Uno sfilò i guanti termici e raccolse una manciata di neve. La premette bene, poi, spalancata la bocca alla sua vittima, gliela spinse in gola. Le riempì la bocca, calcandogliela fin nella trachea. Sarebbe morta nel giro di tre minuti.

Quella tecnica, inventata dalla mafia russa, si chiamava "byelaya smert", la morte bianca. La vittima sarebbe soffocata prima che la neve si sciogliesse, ma il suo corpo sarebbe rimasto caldo abbastanza a lungo per far fondere il blocco gelato. Anche se qualcuno avesse avuto dei sospetti, non avrebbe trovato alcuna arma del delitto, né segni di violenza. Le pallottole di ghiaccio si sarebbero confuse con l'ambiente, sepolte nella neve, e la ferita sulla testa di quella donna sarebbe stata attribuita a una brutta caduta sul ghiaccio, più che naturale con quel vento impetuoso. Prima o poi, forse, il gioco sarebbe stato scoperto, ma intanto loro avrebbero guadagnato tempo.

Gli altri tre sarebbero stati resi inoffensivi e uccisi nello stesso modo. Poi Delta-Uno li avrebbe caricati sulla slitta e trascinati tutti qualche centinaio di metri fuori rotta, avrebbe riallacciato le corde che li legavano e sistemato i corpi, destinati a essere ritrovati congelati nella neve, vittime apparenti dell'ipotermia, nel giro di qualche ora. I soccorritori si sarebbero chiesti come mai si trovassero lontani dalla loro destinazione, ma nessuno sarebbe stato più di tanto sorpreso della loro morte, viste le torce ormai esaurite e il tempo inclemente. Perdersi sulla banchisa di Milne poteva rappresentare una trappola micidiale.

Delta-Uno aveva finito di riempire di neve la gola della donna. Prima di volgere l'attenzione agli altri, sganciò la corda della vittima. L'avrebbe riallacciata agli altri in un secondo momento. Non voleva che i due dietro la slitta la tirassero verso di loro per prestarle soccorso.


Michael Tolland aveva appena assistito al più efferato atto criminale che il lato oscuro della sua mente avesse mai potuto concepire. Dopo avere sciolto Norah Mangor dalla cordata, i tre aggressori stavano per dirigersi verso Corky.

"Devo fare qualcosa!"

Corky era rinvenuto e si lamentava, cercando di mettersi a sedere, quando uno dei soldati lo spinse giù di schiena, si mise a cavalcioni su di lui e gli inchiodò le braccia sul ghiaccio poggiandovi sopra le ginocchia. Corky emise un grido di dolore, immediatamente inghiottito dalla furia del vento.

Preso da un folle terrore, Tolland frugò tra il contenuto sparso della slitta rovesciata. "Deve pur esserci qualcosa! Un'arma! Qualsiasi cosa!" Non vide altro che l'attrezzatura scientifica, quasi tutta spaccata dai proiettili di ghiaccio. Al suo fianco, Rachel, stordita, cercava di mettersi seduta usando la piccozza come appoggio. «Scappa… Mike…»

Tolland vide la piccozza legata al polso di Rachel. Poteva essere un'arma. Si chiese con quali possibilità di successo poteva attaccare tre uomini armati con una minuscola piccozza.

Un suicidio.

Dopo che Rachel si fu messa a sedere, Tolland scorse qualcosa dietro di lei. Una voluminosa sacca di vinile. Pregando disperatamente che contenesse una pistola lanciarazzi o una radio, strisciò fino ad afferrarla. Dentro trovò un grande telo ben ripiegato di tessuto Mylar. Inservibile. Aveva qualcosa di simile sulla sua nave oceanografica. Era un piccolo pallone meteorologico, progettato per trasportare strumenti di osservazione non più pesanti di un personal computer. Non sarebbe servito a nulla in quel posto, tanto più senza una bombola di elio.

Udendo i rumori crescenti della lotta di Corky, Tolland avvertì una sensazione di impotenza che non provava da anni. Cupa disperazione. Sconfitta finale. Come si dice accada poco prima della morte, nella sua mente sfilò una serie di immagini dell'infanzia, da lungo tempo dimenticate. Per un istante si ritrovò in barca a San Pedro, a imparare il vecchio passatempo dei marinai, volare attaccati allo spinnaker: appesi a una cima annodata, si volava sull'acqua e si cadeva dentro tra le risate, come bambini aggrappati alla corda di una campana, il destino determinato dallo spinnaker gonfio di vento e dai capricci della brezza.

I suoi occhi scattarono all'istante sul pallone di Mylar nella sua mano e comprese allora che la mente, lungi dall'essersi arresa, gli suggeriva la soluzione. "Volare attaccati a uno spinnaker."

Corky continuava a lottare contro il suo aggressore quando Tolland strappò la custodia del pallone. Non si faceva illusioni; il suo era un tentativo disperato, ma restare lì significava morte certa per tutti. Afferrò il telo di Mylar. Sulla fibbia, un avvertimento: ATTENZIONE, NON USARE CON VENTO SUPERIORE AI DIECI NODI.

"Al diavolo!" Stringendolo con forza perché non si aprisse, avanzò verso Rachel, appoggiata su un fianco. Lesse lo stupore nei suoi occhi quando le gridò: «Tieni!».

Le porse il tessuto piegato e finalmente, con le mani libere, assicurò la fibbia del pallone a uno dei moschettoni appesi alla sua imbracatura. Rotolò sul fianco e lo agganciò anche a un moschettone di Rachel.

A quel punto erano uniti.

"Legati per l'anca."

In mezzo a loro, la corda molle si estendeva sulla neve fino a Corky che si dibatteva… e poi, dieci metri oltre, al moschettone sganciato al fianco di Norah Mangor.

"Norah è già morta" si disse. "Per lei, non si può più fare nulla."

Gli aggressori erano accovacciati sul corpo di Corky che continuava a lottare, e stavano prendendo una manciata di neve, pronti a cacciargliela in gola. Tolland capì che non c'era più tempo da perdere.

Prese il pallone piegato dalle mani di Rachel. Il tessuto era leggero come carta e praticamente indistruttibile. "Non c'è altro da fare." «Reggiti forte!»

«Mike?» Rachel non capiva. «Cosa…?»

Tolland lanciò il telo di Mylar in aria, sopra le loro teste. Il vento ululante lo trascinò in alto e lo allargò come un paracadute catturato dall'uragano. L'involucro si riempì all'istante, spalancandosi con un rumore secco.

Tolland sentì strattonare l'imbracatura e capì all'istante di avere sottovalutato la violenza del vento catabatico. Nel giro di un secondo, lui e Rachel furono quasi sollevati da terra, trascinati giù per il ghiacciaio. Un momento dopo, un altro strattone: era entrata in tensione la corda che lo legava a Corky Marlinson. Venti metri dietro, il suo amico terrorizzato sgusciò via da sotto i suoi sbalorditi aggressori, mandandone uno a gambe all'aria. Corky lanciò un urlo di terrore quando cominciò ad accelerare sul ghiaccio, mancando di poco la slitta rovesciata e poi procedendo a zigzag. Una seconda corda pendeva molle al fianco di Corky… quella che lo aveva legato a Norah Mangor.

"Non potevi fare nulla per lei" ripeté Tolland fra sé.

Come una massa aggrovigliata di marionette umane, i tre corpi scivolarono giù per la banchisa, inseguiti da proiettili di ghiaccio. Ma Tolland comprese che gli aggressori avevano perduto la loro occasione. Dietro di lui, i soldati vestiti di bianco scomparvero alla vista, rimpicciolendo fino a diventare puntini luminati dal bagliore delle torce.

Tolland sentiva il ghiaccio lacerare l'imbottitura della tuta, e il sollievo della fuga durò poco. A tre chilometri davanti a loro, la banchisa di Milne terminava bruscamente in una ripida scogliera e, al di là di quella, un salto di trenta metri giù tra le onde furiose e letali del mare Artico.

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