Gabrielle Ashe trovò interminabile il viaggio di ritorno dagli studi della CNN all'ufficio di Sexton. Il senatore, di fronte a lei, guardava fuori dal finestrino della limousine, visibilmente felice per l'esito del dibattito.
«Se hanno mandato la Tench, questo pomeriggio, significa che sono in agitazione alla Casa Bianca» le disse con un sorriso smagliante.
Gabrielle fece un vago cenno di assenso. Aveva colto un'espressione di maligna soddisfazione sul viso di Marjorie Tench mentre si allontanava in macchina. E ciò l'aveva innervosita.
Il cellulare privato di Sexton squillò, e il senatore affondò la mano in tasca per pescarlo. Come la maggior parte dei politici, aveva una gerarchia di numeri telefonici destinati a persone specifiche, a seconda del Kvello di importanza. Chi lo stava chiamando in quel momento era in cima alla lista, perché la telefonata era sulla sua linea privata, che perfino Gabrielle era tenuta a usare solo in casi estremi.
«Senatore Sedgewick Sexton» rispose in tono squillante, accentuando la musicalità del suo nome.
Gabrielle non riusciva a percepire la voce all'altro capo del telefono, sovrastata dal rumore del motore, ma Sexton ascoltò attentamente prima di rispondere con entusiasmo: «Fantastico. Sono molto felice che mi abbia chiamato. Che ne dice delle sei? Ottimo. Ho un appartamento privato qui a Washington, molto confortevole. Ha l'indirizzo esatto? Bene. Ci vediamo nel tardo pomeriggio, allora». Chiuse la comunicazione con aria compiaciuta.
«Un nuovo fan di Sexton?» chiese Gabrielle.
«Si stanno moltiplicando. Questo è un pezzo grosso.»
«Evidente, visto che lo incontra a casa sua.» Di solito, Sexton difendeva come un leone la sacra privacy del suo appartamento, l'ultimo nascondiglio che gli restava.
Sexton si strinse nelle spalle. «Infatti. Ho pensato di dare un tocco personale all'incontro. Questo tizio potrebbe avere un grosso peso nella volata finale, e quindi è necessario stabilire dei rapporti personali; sai, come sempre si tratta di una questione di fiducia.»
Gabrielle annuì mentre tirava fuori l'agenda di Sexton. «Vuole che glielo metta in agenda?»
«Non c'è bisogno. Avevo comunque in mente di passare la serata a casa.»
Gabrielle trovò la pagina di quel giorno e notò che sullo spazio dedicato alla serata era già stata tracciata una riga e Sexton vi aveva scritto di suo pugno le lettere IP, la sigla per Incontro Personale o Impegno Privato. Di tanto in tanto, il senatore annotava una serata IP per rintanarsi in casa, staccare il telefono e fare quello che più gli piaceva: sorseggiare brandy con vecchi amici e fingere di dimenticare la politica per qualche ora.
Gabrielle parve sorpresa. «Sul serio permette che gli affari le mandino a monte una serata IP? Sono davvero esterrefatta.»
«Avevo del tempo libero. Gli parlerò per sentire che cos'ha da dire.»
Gabrielle avrebbe voluto chiedergli chi fosse l'interlocutore misterioso, ma Sexton appariva intenzionato a lasciare la cosa nel vago, e lei sapeva quando non era il caso di fare domande.
Mentre imboccavano l'uscita della tangenziale per tornare verso l'ufficio di Sexton, l'occhio di Gabrielle cadde di nuovo sulla riga e la sigla IP tracciate sull'agenda. In quell'attimo ebbe la strana sensazione che il senatore fosse stato in attesa di quella telefonata.