DAENERYS

Sull’acqua immobile e blu risuonavano il ritmo lento dei tamburi e il lieve fruscio dei remi delle galee. La grande nave arrancava sulla loro scia, pesanti gomene tese tra l’una e le altre. Le vele della Balerium pendevano inerti, tristi teli inutili impiccati all’alberatura. Ma perfino in quell’infida bonaccia, immobile sul castello di prua a osservare i suoi draghi inseguirsi nel cielo azzurro privo di nubi, Daenerys Targaryen si sentiva felice come mai ricordava di essere stata.

I suoi fedeli dothraki, diffidando di qualsiasi liquido un cavallo non potesse bere, definivano il mare “l’acqua velenosa”. Il giorno in cui le tre navi avevano salpato le ancore da Qarth, si sarebbe detto che non stessero facendo rotta per la città libera di Pentos ma per l’inferno. I tre giovani, coraggiosi cavalieri di sangue di Daenerys avevano continuato a osservare la costa che svaniva con occhi enormi, dilatati, ognuno dei tre deciso a non mostrarsi pauroso per primo. Irri e Jhiqui, le sue ancelle, erano rimaste disperatamente aggrappate alle murate, vomitando fuori bordo a ogni più piccola onda. Il resto del piccolo khalasar della regina dei draghi era rimasto sotto coperta, preferendo la compagnia dei loro nervosi cavalli allo spaventoso mondo totalmente privo di terra che circondava gli scafi. Quando, al sesto giorno di navigazione, un’improvvisa mareggiata si era abbattuta su di loro, Daenerys aveva udito le urla della sua gente dai boccaporti: i cavalli scalciavano e nitrivano; i cavalieri pregavano con strilli sempre più acuti ogni volta che la Balenon rollava o beccheggiava.

Ma nessuna mareggiata sarebbe riuscita a spaventare lei: Daenerys Nata dalla tempesta. Quando, urlando, aveva fatto il suo ingresso nel mondo sulla remota isola della Roccia del Drago, la più furibonda tempesta nella memoria del continente occidentale infuriava sul cielo e sulla terra. Una tempesta talmente devastante da sradicare le colossali statue di pietra dalle mura della fortezza e da spazzare via l’intera flotta di suo padre.

Il mare Stretto era spesso tempestoso. Da piccola, Daenerys lo aveva attraversato decine di volte, fuggendo da una città libera all’altra per far perdere le proprie tracce alle lame assassine assoldate dall’Usurpatore. Amava il mare. Le piacevano il pungente odore di salmastro che pervadeva l’aria, la vastità degli orizzonti delimitati solamente dalla cupola del cielo azzurro. La faceva sentire minuscola, il mare, ma la faceva anche sentire libera. Le piacevano i delfini che a volte nuotavano attorno alla Balerion, fendendo le onde simili a lance argentate, e sorrideva ai pesci volanti che si vedevano ogni tanto. Le piacevano perfino i marinai, con tutte le loro canzoni e le loro storie. Una volta, nel corso di un viaggio verso Braavos, osservando l’equipaggio che lottava per ammainare una grande vela verde prima dello scatenarsi di una tempesta, era addirittura arrivata a pensare che le sarebbe piaciuto diventare anche lei un marinaio. Ma quando lo aveva confessato a Viserys, suo fratello maggiore, lui le aveva tirato i capelli fino a farla gridare di dolore. «Tu sei il sangue del drago» le aveva urlato in faccia «del drago, non di un qualche pesce puzzolente.»

“È stato stupido. Quella volta e anche molte altre” pensò Dany. “Se fosse stato più saggio, più paziente, adesso ci sarebbe lui qui, a veleggiare verso ovest, per andare a riprendersi il trono che era suo di diritto.” Invece Viserys era stato stupido e cattivo, di questo Daenerys si rendeva conto, ma continuava comunque a sentirne la mancanza, a volte. Non dell’uomo crudele che lui era diventato alla fine, ma del fratello che nelle notti oscure le permetteva d’infilarsi nel suo letto, il ragazzo che le raccontava storie dei Sette Regni, che le prometteva una vita più felice nel momento in cui lui avesse finalmente riconquistato la corona che gli apparteneva.

«Maestà.» Il capitano apparve al fianco di Dany. «Quanto vorrei che questa Balerion potesse volare come suggerisce il suo nome.» Le parlò nel valyriano imbastardito delle città libere, reso ancora più ostico da un pesante accento di Pentos. «In quel caso, non avremmo bisogno di remare, né di trainare, né di pregare perché si alzi il vento.»

«Concordo, capitano» gli rispose lei con un sorriso, compiaciuta di essersi conquistata la fiducia di quell’uomo. Il capitano Groleo era un vecchio pentoshi, proprio come il suo padrone, il magistro Illyrio Mopatis. All’idea di trasportare tre draghi a bordo della propria nave, Groleo si era sentito nervoso quanto una verginella la prima notte di nozze. Non meno di una cinquantina di secchi pieni d’acqua di mare erano stati appesi al trinchetto, nel caso fosse scoppiato un incendio. Sulle prime, Groleo aveva voluto che i draghi fossero messi in gabbia. Per placare le sue paure, Daenerys aveva acconsentito, ma poi, con il disagio dei draghi fin troppo palpabile, aveva cambiato idea, insistendo che venissero rimessi in libertà.

Adesso, perfino il capitano era lieto di quella decisione. C’era stato solamente un piccolo incendio, subito spento. Per contro, all’improvviso, a bordo della Balerion sembravano esserci molti meno topi da sentina rispetto all’epoca in cui la nave prendeva il mare sotto il nome di Saduleon. Quanto agli uomini dell’equipaggio, inizialmente incerti se ritenersi più spaventati o più curiosi, avevano cominciato a sviluppare uno strano orgoglio riguardo ai loro draghi. Tutti, dal capitano fino all’ultimo sguattero, amavano vederli volare… anche se nessuno poteva competere con il livello di adorazione che provava Dany.

“Sono i miei figli” ripeté a se stessa. “E se la maegi ha detto il vero, sono gli unici figli che mai avrò.”

Le scaglie di Viserion erano del colore della crema fresca, le corna, le ossa delle ali e la cresta dorsale avevano una sfumatura oro cupo che scintillava come metallo sotto i raggi del sole. In Rhaegal dominavano il verde dell’estate e il bronzo dell’autunno. I due draghi volteggiavano sulle navi in ampi cerchi, ad altitudini sempre maggiori, ognuno che cercava di salire più dell’altro.

I draghi preferivano sempre attaccare dall’alto, aveva scoperto Dany. Quando uno si frapponeva tra un altro e il sole, il primo richiudeva le ali e calava in picchiata urlando. Entrambi precipitavano dal più alto dei cieli in un’aggrovigliata sfera di scaglie, con uno schiocco di mandibole e un frustare di code. La prima volta che lo avevano fatto, Dany aveva temuto che stessero cercando di uccidersi a vicenda. Ma non era altro che un gioco. Nel momento in cui colpivano l’acqua, si staccavano e tornavano a sollevarsi, gridando e sibilando, l’acqua salmastra che evaporava dai loro corpi mentre le ali mordevano nuovamente l’aria. Anche Drogon, il drago nero, era in volo, ma più lontano degli altri. Era intere miglia più avanti o più indietro dei fratelli, e passava il suo tempo a cacciare.

Era sempre affamato, il suo Drogon. “Affamato, certo. E cresce in fretta. Un altro anno, forse due, e sarà diventato grosso abbastanza da poterlo cavalcare. In quel momento, non avrò più bisogno di navi per varcare il grande mare salato.”

Ma quel momento non era ancora arrivato. Rhaegal e Viserion avevano la taglia di un cane piccolo, Drogon era di poco più massiccio, ma praticamente qualsiasi cane pesava più di loro. I corpi dei draghi erano tutti ali, collo e coda, più leggeri di quanto apparivano. Così, per fare ritorno a casa, Daenerys Targaryen era ancora costretta a servirsi del legno, della tela e del vento.

Per un po’, il legno e la tela l’avevano servita bene, ma poi il volubile vento l’aveva tradita. Erano ormai sei giorni e sei notti, che durava la bonaccia. Questo era il settimo giorno, e ancora non c’era traccia di un soffio d’aria che potesse riempire le vele. Fortunatamente, le altre due navi che magistro Illyrio aveva inviato erano galee mercantili, dotate di duecento remi l’una e di equipaggi composti da uomini forti e muscolosi. Il grande scafo della Balerion invece era tutt’altra questione: una nave pesante con una prua ampia, stive immense e vele enormi, del tutto inerte in calma di vento. La Vhagar e la Meraxes, le due galee, avevano lanciato delle funi per farla avanzare al traino, ma i progressi erano dolorosamente ridotti. Tutte e tre le navi erano affollate, e cariche al massimo.

«Non riesco a vedere Drogon.» Ser Jorah Mormont arrivò al fianco di Daenerys sul castello di prora. «Che si sia perduto di nuovo?»

«Siamo noi a esserci perduti, cavaliere» rispose Daenerys. «A Drogon quest’umida immobilità non piace affatto, non più di quanto piaccia a me.»

Più temerario degli altri due, il drago nero era stato il primo a provare le ali sull’acqua, il primo a svolazzare da una nave all’altra, il primo a smarrirsi all’interno di una nube… E anche il primo a uccidere. Nel momento stesso in cui i pesci volanti apparivano al di sopra della superficie, si ritrovavano avvolti da un fiotto di fiamme, sollevati e quindi inghiottiti.

«Quanto crescerà?» chiese Dany curiosa. «Lo sai?»

«Nei Sette Regni esistono leggende che parlano di draghi talmente colossali da essere in grado di strappare le piovre giganti dal fondo degli oceani.»

Dany rise. «Questo proprio mi piacerebbe vederlo.»

«Si tratta solo di leggende, khaleesi» rispose il cavaliere esiliato. «Altre parlano di draghi vecchi e saggi che hanno vissuto fino a mille anni.»

«Per cui, quanto vive un drago?» Lo sguardo di Daenerys seguì Viserion che planava basso sulla nave, le ali che battevano lentamente, agitando le vele afflosciate.

«L’arco naturale di vita di un drago è di molte volte superiore a quello di un uomo.» Ser Jorah scrollò le spalle. «O almeno questo è quanto dicono le antiche canzoni… Ma i draghi che i Sette Regni hanno conosciuto meglio di tutti sono stati quelli della Casa Targaryen. Erano draghi generati e addestrati per andare in guerra, e in guerra morirono. Non è facile uccidere un drago, ma non è neppure impossibile.»

L’anziano scudiere detto Barbabianca, in piedi presso la polena, una mano asciutta chiusa attorno al suo lungo bastone da pellegrino, si girò verso di loro. «Balerion il Terrore Nero» disse. «Aveva duecento anni quando morì, durante il regno di Jaehaerys il Conciliatore. Era talmente grosso da poter inghiottire un uri tutto intero. I draghi non cessano mai di crescere, maestà, basta che abbiano cibo e libertà.»

Il suo nome era Arstan, ma Belwas il Forte lo aveva soprannominato Barbabianca per i peli candidi che gli coprivano buona parte del volto. E adesso tutti lo chiamavano così. Era più alto di ser Jorah, per quanto non altrettanto muscoloso. Aveva occhi azzurro pallido, e la sua lunga barba era bianca come la neve e soffice come la seta.

«La libertà?» ripeté Dany, incuriosita. «Che cosa vuoi dire?»

«Ad Approdo del Re, i tuoi antenati eressero un immenso castello a cupola per ospitare i loro draghi. La “Fossa del drago” è chiamata. È ancora là, sulla cima dell’alta collina di Aegon, per quanto adesso sia caduta in rovina. Era là che vivevano i draghi della dinastìa, durante l’epoca reale. Una struttura immensa, dotata di porte di ferro talmente larghe da consentire il passaggio di trenta cavalieri affiancati. Eppure, perfino con simili dimensioni, nessuno dei draghi di quell’era riuscì mai a raggiungere la grandezza dei suoi predecessori. I maestri dicono che fu a causa delle mura che li circondavano, e della grande cupola sopra le loro teste.»

«Se le mura potessero farci rimanere piccoli, tutti quelli del volgo sarebbero nani e tutti i re sarebbero giganti» disse ser Jorah. «Mentre io ho visto uomini giganteschi nati nelle stalle, ed esseri minuscoli che invece abitano nei castelli.»

«Gli uomini sono uomini» ribatté Arstan Barbabianca. «I draghi sono draghi.»

Ser Jorah emise un grugnito sarcastico. «Molto profondo.» Il cavaliere esiliato non nutriva il benché minimo affetto nei confronti del vecchio, e fin dall’inizio non aveva perduto occasione per manifestarlo. «E in ogni caso, tu che ne sai di draghi?»

«Poco, è vero. Ma ho servito ad Approdo del Re per un certo tempo, quando re Aerys sedeva sul Trono di Spade. E ho camminato al cospetto dei teschi di drago incastonati nelle pareti della sua sala del trono.»

«Viserys mi parlava di quei teschi» disse Daenerys. «L’Usurpatore li ha fatti rimuovere e li ha nascosti. Non riusciva a sopportare che loro lo guardassero dall’alto, seduto su quel trono che aveva rubato.» Fece cenno a Barbabianca di accostarsi. «Hai mai incontrato il mio reale genitore?» Re Aerys II Targaryen, detto il re Folle, era morto prima che lei nascesse.

«Ho avuto quell’onore, maestà.»

«Hai trovato che fosse buono e gentile?»

«Sua maestà Aerys era…» Barbabianca fece del suo meglio per celare i propri sentimenti ma, dalla sua espressione, questi furono evidenti. «…Spesso piacevole.»

«Spesso?» Dany sorrise. «Non sempre?»

«Poteva essere estremamente duro verso coloro che reputava suoi nemici.»

«L’uomo saggio evita di farsi nemico un re» disse Dany. «Hai conosciuto anche mio fratello Rhaegar?»

«Si diceva che nessun uomo potesse realmente conoscere il principe Rhaegar. Ho avuto il privilegio di vederlo ai tornei, e spesso l’ho udito suonare l’arpa dalle corde d’argento.»

«Alla festa del raccolto, assieme a mille altri» grugnì ser Jorah. «La prossima che sfornerai sarà che sei stato suo scudiero.»

«Non ho una simile pretesa, cavaliere. Myles Motoon era lo scudiero del principe Rhaegar, e Richard Lonmouth lo divenne dopo di lui. Una volta che si guadagnarono i loro speroni, fu il principe in persona a investirli cavalieri, e loro rimasero suoi fedeli compagni. Anche il giovane lord Connington era caro al principe, ma il suo più vecchio amico era Arthur Dayne.»

«La Spada dell’alba!» disse Daenerys, deliziata. «Viserys era solito parlarmi della sua incredibile lama bianca. Diceva che ser Arthur era l’unico cavaliere del reame a essere pari a nostro fratello.»

Barbabianca chinò il capo. «Non spetta a me mettere in dubbio le parole del principe Viserys.»

«Re Viserys» lo corresse Dany. «Era un re, anche se non ha mai regnato. Viserys, terzo del suo nome. Ma che cosa intendi, Arstan?» La risposta del vecchio scudiero non era quella che lei si era aspettata. «Una volta, ser Jorah definì Rhaegar l’ultimo dei draghi. Dev’essere stato un guerriero senza pari per venire definito a quel modo, non è forse così?»

«Maestà» disse Barbabianca. «Il principe della Roccia del Drago era uno splendido guerriero, ma…»

«Va’ avanti» lo esortò Dany. «Puoi parlare liberamente.»

«Come tu comandi.» Il vecchio, la fronte aggrottata, si appoggiò al suo bastone di legno di quercia. «Un guerriero senza pari… Si tratta di splendide parole, maestà, ma non sono le parole a vincere le battaglie.»

«Sono le spade a vincere le battaglie» intervenne duramente ser Jorah. «E il principe Rhaegar sapeva bene come usarne una.»

«Lo sapeva, ser, è vero, ma… Ho assistito a mille tornei, e ho visto molte più guerre di quante avrei voluto. E quanto forte, quanto veloce, quanto esperto un cavaliere possa essere, ce n’è sempre almeno un altro capace di batterlo. L’uomo che trionfa in un torneo, altrettanto facilmente può cadere nel torneo successivo. A decretare la sconfitta può essere un punto scivoloso nell’erba, o quello che si è mangiato per cena la sera prima. Così come un giro di vento può diventare la chiave per la vittoria.» Barbabianca rivolse uno strano sguardo a ser Jorah. «O anche il pegno di una signora legato attorno al braccio.»

L’espressione di Mormont s’incupì. «Attento a quello che dici, vecchio.»

Arstan aveva visto ser Jorah combattere a Lannisport, Dany questo lo sapeva, nel torneo che Mormont aveva vinto con il pegno di una dama, un fazzoletto di seta, legato al braccio. Aveva vinto anche il cuore della dama in questione, lady Lynesse della Casa Hightower, di nobili natali e bellissima, che poi era diventata la sua seconda moglie. Solo che in seguito lei lo aveva rovinato, abbandonandolo e non lasciandogli altro che ricordi dolorosi.

«Sii paziente, mio cavaliere.» Dany mise una mano sul braccio di ser Jorah. «Arstan non intende recarti offesa, ne sono certa.»

«Come tu dici, khaleesi» ma continuava a esserci ostilità nel tono di ser Jorah.

Daenerys tornò a rivolgersi all’anziano scudiere «So ben poco di Rhaegar. Solo le storie che Viserys mi ha raccontato di lui. E quando nostro fratello morì, lui era appena un ragazzo. Com’era veramente?»

«Capace» rispose il vecchio, dopo una pausa di riflessione. «Questo soprattutto. Determinato, ligio al dovere, concentrato. Si racconta una storia di lui… Ma non dubito che ser Jorah la conosca bene.»

«È da te che preferirei udirla.»

«Come desideri» rispose Barbabianca. «Da ragazzo, il principe della Roccia del Drago era un vero e proprio topo di biblioteca. Aveva cominciato a leggere talmente in tenera età da dar vita a una storiella faceta: che la regina Rhaella avesse inghiottito alcuni libri e una candela quando Rhaegar era ancora nel suo grembo. Rhaegar non aveva alcun interesse a giocare con gli altri bambini. I maestri della Cittadella erano stupefatti dalla sua intelligenza. Per contro, la battuta preferita dei cavalieri di suo padre, re Aerys, era che Baelor il Benedetto era nato una seconda volta. Poi, un giorno, il principe Rhaegar trovò in una pergamena qualcosa che cambiò la sua vita. Nessuno sa cosa, con esattezza, ma, una mattina, il ragazzo apparve all’improvviso nel cortile degli addestramenti mentre i cavalieri indossavano le armature. Si presentò a ser Willem Darry, maestro d’armi della Fortezza Rossa, e disse: “Ho bisogno di un’armatura e di una spada. Sembra che io debba diventare un guerriero”.»

«E che guerriero divenne!» esclamò, Dany, deliziata.

«Per certo.» Barbabianca fece un inchino. «Chiedo venia, maestà. Parlando di guerrieri, vedo che Belwas il Forte si è alzato. Devo occuparmi di lui.»

Dany si voltò verso il ponte. L’eunuco, in tutta la sua imponenza, era apparso da uno dei compartimenti inferiori. Belwas era tozzo ma massiccio, un solido quintale e mezzo di grasso e muscoli, la pelle marrone del suo notevole ventre deturpata da una ragnatela di pallide cicatrici biancastre. Indossava pantaloni larghi, una fascia di seta gialla in vita e un gilè di pelle punteggiato di borchie di ferro, assurdamente piccolo per il suo torace.

«Belwas il Forte ha fame!» ruggì a nessuno in particolare. «Belwas il Forte vuole mangiare! Adesso!» Individuò Arstan sul castello di prora. «Barbabianca! Porta da mangiare a Belwas il Forte!»

«Puoi andare» concesse Dany allo scudiero. Barbabianca s’inchinò di nuovo e si mosse per andare a occuparsi delle necessità dell’uomo che serviva.

Ser Jorah rimase a osservare, l’espressione ancora corrucciata. Ser Jorah Mormont era alto e forte, della mascella squadrata e le spalle larghe e robuste. Tutt’altro che un uomo di bell’aspetto, ma era l’amico più fidato che Dany avesse mai avuto.

«Sarebbe saggio fare una buona tara alle parole di quel vecchio» le disse, una volta che Barbabianca fu fuori portata di voce.

«Una regina deve ascoltare tutti» gli ricordò Dany. «I nobili e i popolani, i forti e i deboli, i generosi e gli avidi. Una sola voce ti può dire il falso, ma in molte voci c’è sempre una verità da scoprire.» Era qualcosa che aveva letto in un libro.

«E allora ascolta la mia voce, maestà» disse il cavaliere esiliato. «Questo Arstan Barbabianca ti sta mentendo. È troppo vecchio per essere uno scudiero, e troppo istruito per fare il servitore a quel bestione d’un eunuco.»

“Il che, in effetti, appare strano” Daenerys fu costretta ad ammettere con se stessa. Belwas il Forte era un ex schiavo, cresciuto e addestrato nelle fosse da combattimento di Meereen. Magistro Illyrio lo aveva inviato a farle da guardia, o almeno così sosteneva Belwas. Ed era anche vero che lei aveva bisogno di qualcuno che le facesse la guardia. Dal suo Trono di Spade, l’Usurpatore aveva offerto terre e il titolo di lord a chiunque la uccidesse. Un primo tentativo era già stato fatto: a Vaes Dothrak, la città sacra dei dothraki, con una coppa di vino avvelenato. Quanto più vicina lei fosse arrivata al continente occidentale, tanto più probabili sarebbero stati altri attentati. A Qarth, lo stregone Pyat Pree le aveva scatenato contro uno degli Uomini del dispiacere, la famigerata confraternita degli assassini, per vendicarsi degli Eterni che lei aveva bruciato nel rogo del loro palazzo di Polvere. Gli stregoni non dimenticavano mai un torto, si diceva, e gli Uomini del dispiacere non fallivano mai un assassinio. Adesso, anche la maggior parte dei dothraki erano contro di lei. I ko che un tempo avevano servito khal Drogo ora erano alla testa di nuovi khalasar, e nessuno di loro avrebbe esitato ad attaccare il suo piccolo gruppo nel momento stesso in cui lo avesse individuato. Avrebbero ucciso o reso schiava la sua gente, trascinando poi lei a Vaes Dothrak per costringerla a prendere il suo posto nel dosh khaleen, il concilio delle raggrinzite anziane dei signori del cavallo. Dany aveva sperato che Xaro Xhoan Daxos non fosse un nemico, ma l’unica cosa alla quale il mercante di Qarth era stato interessato erano i suoi draghi. E poi c’era Quaithe delle Ombre, la strana donna con la maschera di legno rosso laccato, che le aveva fornito quegli strani criptici consigli. Era una nemica anche lei, o forse un’amica pericolosa? Dany non era in grado dirlo.

“Ser Jorah mi ha salvata dall’avvelenatore. E Arstan Barbabianca mi ha salvata dalla manticora. Forse Belwas il Forte mi salverà dalla prossima minaccia.” Come guerriero, Belwas era certamente gigantesco. Aveva braccia simili a piccoli tronchi d’albero ed era munito di un grande arakh ricurvo talmente affilato che avrebbe potuto usarlo per radersi. Questo nell’improbabile eventualità che su quelle lisce guance brune fossero tornati a spuntargli peli. Ma pur con tutto questo, Belwas era simile a un bambino. “Come protettore, lascia molto a desiderare. Grazie agli dèi, ho ser Jorah e i miei cavalieri di sangue. E soprattutto i miei draghi, come ho potuto dimenticarli?” Nel futuro, sarebbero stati proprio loro, i draghi, a diventare i suoi più formidabili guardiani, esattamente come lo erano stati per Aegon il Conquistatore e le sue sorelle trecento anni prima. Il problema era che, qui e adesso, i draghi erano più una fonte di pericolo che non di protezione. In tutto il mondo, erano gli unici tre draghi viventi. E appartenevano a lei: fonte di terrore, di meraviglia e di valore incalcolabili.

Stava ancora pensando a che cosa rispondere a ser Jorah quando percepì un alito freddo sul collo. Una ciocca ribelle di capelli argentei e dorati le si agitò sulla nuca. Sopra di lei, le vele scricchiolarono, si mossero.

«Vento!» Un unico, grande grido scosse la Balerion da prua a poppa. «Il vento si sta alzando! Il vento

Dany guardò l’albero. Le grandi vele della nave sbatterono e si gonfiarono, il sartiame si tendeva e schioccava riproponendo quel rincuorante coro di suoni e rumori che per gli ultimi sei lunghi giorni li aveva abbandonati. Il capitano Groleo corse sul ponte, sbraitando ordini. I marinai di Pentos si abbandonarono al giubilo e si arrampicarono sull’alberatura. Perfino Belwas il Forte lanciò un grido possente e si cimentò in una sorta di balletto.

«Gli dèi sono generosi!» esclamò Dany. «Vedi, ser Jorah? Ancora una volta, riprendiamo il nostro cammino.»

«Sì, mia regina» assentì il cavaliere. «Ma verso che cosa?»


Il vento soffiò per tutto il giorno, prima costante da est, poi a raffiche violente. Il sole tramontò in un incendio rosso fuoco. “Sono ancora a mezzo mondo di distanza dal continente occidentale” Daenerys ricordò a se stessa. “Ma ogni ora che passa mi porta più vicino.” Cercò d’immaginare come sarebbe stato, come si sarebbe sentita nell’individuare il primo lembo della terra che era nata per dominare. “Sarà la costa più splendida che avrò mai visto, lo so. Come potrebbe essere diversamente?”

Più tardi quella notte, mentre la Balerion procedeva nelle tenebre, Dany sedette a gambe incrociate sulla sua cuccetta nella cabina del capitano, e si accinse a nutrire i suoi draghi. “Perfino in alto mare” aveva detto graziosamente il capitano Groleo “le regine hanno la precedenza sui comandanti.” Fu interrotta da un duro bussare alla porta.

Irri dormiva a terra presso la cuccetta. Era troppo stretta perché potessero starci in tre, e stasera era il turno di Jhiqui di condividere il materasso di piume con la sua regina. Sentendo i colpi alla porta, Irri si alzò e andò ad aprire. Dany tirò su la coperta e se la drappeggiò addosso. Non aspettandosi visite a quell’ora della notte, era nuda. C’era ser Jorah all’esterno, illuminato dal chiarore incerto di una lanterna che oscillava al moto dello scafo.

«Entra» disse Dany.

«Maestà.» Nel varcare la soglia, il cavaliere in esilio chinò il capo. «Sono dolente di disturbare il tuo sonno.»

«Non stavo dormendo, ser Jorah. Vieni, guarda anche tu.»

Dalla ciotola che teneva in grembo, Daenerys prese un pezzo di carne di maiale salata e lo tenne sollevato, in modo che i draghi lo vedessero. Tutti e tre lo osservarono avidamente. Rhaegal dispiegò le ali verdi e le agitò nell’aria. Il collo di Viserion si mosse avanti e indietro, simile a un serpente pallido, seguendo il movimento della mano di lei.

«Drogon» disse Dany in tono soffice. «Dracarys.» Poi lanciò la carne in aria.

Drogon fu più rapido di un cobra all’attacco. Un fiotto di fiamme arancioni, scarlatte e nere gli scaturì dalla bocca, arrostendo la carne ancora prima che questa raggiungesse il pavimento. I suoi acuminati denti neri si serrarono e la testa di Rhaegal scattò, come se stesse cercando di rubare la preda dalle fauci del fratello. Drogon inghiottì e urlò, il drago verde poté emettere solo un sibilo di frustrazione.

«Basta così, Rhaegal» lo rimproverò Dany, irritata, dando uno schiaffetto sulla testa del drago. «Tu avevi mangiato il boccone precedente. Non voglio avere draghi ingordi.» Poi sorrise a ser Jorah. «Non c’è più bisogno di cuocergli la carne sul braciere.»

«Vedo. Dracarys

Al suono, tutti e tre i draghi voltarono la testa. Viserion emise un getto di pallide fiamme dorate che costrinse ser Jorah a una brusca ritirata.

«Attento con quella parola, cavaliere» sorrise Dany. «Se non vuoi che t’inceneriscano la barba. In alto valyriano, significa fuoco di drago. Ho voluto scegliere un comando che difficilmente qualcuno potrebbe usare alla leggera.»

Ser Jorah annuì. «Maestà» riprese «mi domandavo se potessimo avere qualche momento in privato.»

«Naturalmente. Irri, lasciaci per un momento.» Dany scosse lievemente Jhiqui per la spalla nuda e la svegliò. «Anche tu, cara. Ser Jorah deve parlarmi.»

«Sì, khaleesi.» Sbadigliando, Jhiqui si trascinò giù dalla cuccetta, nuda ma coperta dal manto dei suoi lunghi e folti capelli neri. Si rivestì in fretta e se ne andò con Irri, chiudendosi la porta alle spalle.

Dany tenne i draghi impegnati gettando loro il resto della carne. Poi diede alcuni colpetti sul letto, accanto a sé. «Siedi, buon cavaliere. Dimmi che cosa ti turba.»

«Tre cose.» Ser Jorah si accomodò. «Belwas il Forte, questo Arstan Barbabianca… E Illyrio Mopatis, che li ha mandati.»

“Ancora?” Dany tirò più su la coperta, avvolgendosene un lembo attorno alla spalla. «E perché ti turbano?»

«Gli stregoni di Qarth ti hanno detto che saresti stata tradita tre volte» le ricordò il cavaliere in esilio, mentre Viserion e Rhaegal si minacciavano a vicenda con zanne e artìgli per il possesso della carne.

“Una volta per il sangue, una volta per l’oro e una volta per l’amore.” Non era un avvertimento che Dany avrebbe dimenticato facilmente. «Mirri Maz Duur è stata la prima dei traditori.»

«Ne rimangono ancora due… E adesso appaiono questi due. Mi turba, è così. E non dimenticare che Robert Baratheon offrì il titolo di lord all’uomo che ti avrebbe uccisa.»

Daenerys si protese in avanti, afferrò Viserion per la coda e lo allontanò dal fratello dalle scaglie verdi. Nel movimento, la coperta scivolò e le scoprì un seno. Lei afferrò di scatto un lembo di stoffa, coprendosi di nuovo. «L’Usurpatore è morto» affermò.

«Ma ora suo figlio Joffrey siede sul trono.» Ser Jorah sollevò lo sguardo, i suoi occhi scuri incontrarono quelli di Dany. «Un figlio consapevole sa onorare i debiti del padre. Perfino i debiti di sangue.»

«Questo ragazzo Joffrey potrà anche volermi morta… ma è più probabile che neppure si ricordi che sono viva. Che cosa ha a che fare questo con Belwas e Arstan Barbabianca? Il vecchio non porta neppure la spada. Anche tu lo hai visto.»

«Sì. Ma ho anche visto con quale abilità maneggia quel suo bastone da pellegrino. Ricordi come ha ucciso la manticora a Qarth? Avrebbe potuto frantumarti la gola con la medesima facilità.»

«Avrebbe potuto farlo, certo, ma non lo ha fatto» rilevò Dany. «Era una manticora velenosa che stava per uccidermi. E Arstan mi ha salvato la vita.»

«Khaleesi, hai considerato l’ipotesi che Arstan e Belwas fossero in combutta con l’assassino? Può essere stato tutto un trucco per ottenere la tua fiducia.»

«Come trucco, ha funzionato bene.» L’improvvisa risata di Daenerys fece emettere un sibilo a Drogon, mentre Viserion volò ad appollaiarsi sul suo trespolo sopra l’oblò.

Il cavaliere in esilio non rispose al sorriso di lei. «Siamo sulle navi di Jllyrio, nelle mani del capitano di Illyrio… Anche Belwas il Forte e Arstan Barbabianca sono uomini di Illyrio, non tuoi.»

«Nel passato, magistro Illyrio mi ha protetto. Belwas il Forte dice di averlo visto piangere alla notizia della morte di mio fratello.»

«Ma lo ha visto piangere per che cosa?» obiettò ser Jorah. «Per la scomparsa di Viserys o per il crollo dei piani che aveva fatto con lui?»

«Non è necessario che i suoi piani cambino. Magistro Illyrio è un amico della Casa Targaryen, ed è un ricco…»

«Non è nato ricco. E nel mondo che conosco, nessun uomo diventa ricco in virtù della propria bontà. Gli stregoni hanno detto che il secondo tradimento sarebbe stato per l’oro. C’è qualcosa che Illyrio Mopatis ami più dell’oro?»

«La sua pelle» disse Dany. Sul lato opposto della cabina, Drogon si agitava, inquieto, soffiando vapore dalle narici. «Mirri Maz Duur mi ha tradita. E io l’ho bruciata per questo.»

«Mirri Maz Duur era in tuo potere. Mentre a Pentos, sarai tu a essere in potere di Illyrio. Non è la stessa cosa. Io conosco il magistro tanto bene quanto lo conosci tu. È un uomo astuto e abile…»

«Avrò bisogno di uomini astuti e abili attorno a me se voglio riconquistare il Trono di Spade.»

Ser Jorah grugnì. «Anche il mercante di vini che cercò di avvelenarti a Vaes Dothrak era un uomo abile. E gli uomini abili coltivano piani ambiziosi.»

Dany raccolse le gambe sotto la coperta. «Tu mi proteggerai. Tu e i miei cavalieri di sangue.»

«Quattro uomini? Khaleesi, tu ritieni di conoscere Illyrio Mopatis. Molto bene. Eppure insisti nel circondarti di uomini che invece non conosci, come questo tronfio eunuco e il più anziano scudiero del mondo. Non dimenticare le lezioni di Pyat Pree e di Xaro Xhoan Daxos.»

“Le sue intenzioni sono buone” Dany ricordò a se stessa. “Tutto quello che fa, lo fa per amore.” «Sembra a me, ser Jorah, che una regina che non si fida di nessuno è tanto sciocca quanto una regina che si fida di tutti. Ogni uomo che prendo al mio servizio rappresenta un rischio, di questo sono consapevole, ma come potrò mai riavere i Sette Regni senza correre rischi? Come potrò mai riconquistare il continente occidentale solamente con la spada di un cavaliere in esilio e di tre guerrieri dothraki?»

«Il tuo è un cammino pericoloso.» La mascella di Jorah era contratta e il suo viso esprimeva una cupa ostinazione. «Non lo nego. Ma se continuerai a fidarti ciecamente di ogni mentitore, di ogni cospiratore che si presenta al tuo cospetto, allora farai la stessa fine di tuo fratello.»

Jorah Mormont aveva esagerato, la regina adesso era furiosa “Mi tratta come se fossi una bambina.” «Belwas il Forte non riuscirebbe a cospirare nemmeno per ottenere la colazione. E quali menzogne mi avrebbe raccontato Arstan Barbabianca?»

«Arstan Barbabianca non è chi vuole far credere di essere. E ti parla in un modo fin troppo audace per un semplice scudiero.»

«Ha parlato in quel modo solo quando gliel’ho ordinato. E conosceva mio fratello Rhaegar.»

«Molti grandi uomini conoscevano tuo fratello Rhaegar. Maestà, sul continente occidentale, il lord comandante della Guardia reale siede nel Concilio ristretto, e serve il re con la sua intelligenza oltre che con la sua spada. Se io sono il primo della tua Guardia, ti prego, ascoltami. Ho un piano da proporti.»

«Quale piano? Dimmi.»

«Illyrio Mopatis ti rivuole a Pentos, sotto il suo tetto. Molto bene, vai da lui… Ma decidi tu quando, e non andarci da sola. Vediamo quanto ti sono leali e ubbidienti questi tuoi due nuovi sudditi. Dai ordine a Groleo di cambiare rotta per la baia degli Schiavisti.»

Daenerys non seppe dire quanto una simile proposta le piacesse. Tutto quello che aveva udito in merito ai mercati di carne umana delle grandi città schiaviste di Yunkai, Meereen e Astapor era sinistro e spaventoso. «E che cosa c’è per me alla baia degli Schiavisti?»

«Un esercito» rispose ser Jorah. «Se Belwas il Forte ti piace così tanto, potrai comprarne centinaia come lui dalle fosse da combattimento di Meereen… Ma io farei vela per Astapor. Ad Astapor puoi comprare gli Immacolati.»

«Vuoi dire gli schiavi con gli elmi di bronzo muniti di rostro?» Dany aveva visto guardie appartenenti agli Immacolati sorvegliare le porte dei magistri, dei demiurghi e dei dinastici nelle città libere. «Per quale ragione dovrei volere gli Immacolati? Non sanno neppure andare a cavallo, e la maggior parte di loro sono grassi.»

«Gli Immacolati che puoi aver visto a Pentos e a Myr erano le guardie dei maggiorenti. Quello è un compito a basso rischio e inoltre gli eunuchi tendono comunque alla pinguedine. Il cibo è l’unico vizio che gli è rimasto. Maestà, giudicare tutti gli Immacolati sulla base di pochi, vecchi schiavi di magione è come misurare tutti gli scudieri sul metro di Arstan Barbabianca. Conosci la storia dei Tremila di Qohor?»

«No.» La coperta scivolò di nuovo dalla spalla di Daenerys. E di nuovo lei la sollevò.

«Accadde circa quattrocento anni fa, forse di più, quando per la prima volta i dothraki si spinsero a est, saccheggiando e bruciando ogni singola città che incontrarono lungo la loro avanzata. Il khal che li guidava si chiamava Temmo. Il suo khalasar non era vasto quanto quello di Drogo, ma era grande quanto bastava. Cinquantamila uomini, almeno. Metà dei quali portavano le trecce e gli anelli nei capelli.

«Gli abitanti di Qohor sapevano che Tarano stava arrivando. Così rinforzarono le mura, raddoppiarono la Guardia cittadina e assoldarono anche due compagnie mercenarie: i Vessilli lucenti e i Secondi figli. Per una sorta di presentimento, inviarono un uomo ad Astapor ad acquistare tremila Immacolati. Fu una lunga marcia da Astapor a Qohor e, quando furono quasi a destinazione, videro nell’aria colonne di fumo e di polvere. E udirono il fragore della battaglia lontana.

«Quando finalmente gli Immacolati raggiunsero la città, il sole era tramontato. Corvi e lupi stavano banchettando sotto le mura con quanto rimaneva della cavalleria pesante di Qohor. I Vessilli lucenti e i Secondi figli si erano dati alla fuga, come sempre fanno i mercenari di fronte a soverchianti forze nemiche. Al calare delle tenebre, i dothraki si erano ritirati nei loro accampamenti a bere, a ballare e a gozzovigliare. Ma nessuno dubitava che al mattino sarebbero tornati, sfondando le porte della città e dando l’assalto finale alle mura, per poi uccidere, stuprare, saccheggiare e ridurre in schiavitù tutti gli abitanti a loro piacimento.

«Ma con la nuova alba, quando Temmo e i suoi cavalieri di sangue condussero il khalasar fuori degli accampamenti, trovarono i tremila Immacolati schierati di fronte alle mura di Qohor, con l’immagine del Capro nero che sventolava sui loro vessilli. Una forza talmente esigua avrebbe potuto essere facilmente aggirata. Ma tu, mia regina, conosci i dothraki: avevano di fronte uomini appiedati, e gli uomini appiedati vanno bene solo e soltanto per essere pestati sotto gli zoccoli dei cavalli.

«Così i dothraki si lanciarono in una carica frontale. Gli Immacolati serrarono gli scudi, abbassarono le lance e restarono ad aspettarli. Sotto l’impatto di ventimila guerrieri urlanti con le campanelle nelle trecce, non cedettero di un palmo.

«Per diciotto volte caricarono i dothraki. E per diciotto volte, come altrettante ondate su una costa rocciosa, i guerrieri delle pianure andarono a infrangersi contro quella falange di scudi e di lance. Tre volte khal Temmo mandò avanti gli arcieri, e come grandine le frecce piovvero sui Tremila. Ma gli Immacolati si limitarono ad alzare gli scudi sopra la testa e attesero che la grandine passasse. Alla fine, ne rimasero solamente seicento… Ma i cadaveri di dodicimila dothraki giacquero sulla terra di nessuno. Tra i morti, c’erano khal Temmo, i suoi cavalieri di sangue, i suoi ko e tutti i suoi figli. La mattina del quarto giorno, il nuovo khal guidò i dothraki superstiti oltre le mura della città e sfilò in un’austera processione. Uno a uno, i guerrieri a cavallo si tagliarono la treccia e la gettarono a terra ai piedi degli Immacolati.

«Da quel giorno, la Guardia della città di Qohor è composta unicamente da Immacolati. Ognuno dei quali è armato di un’alta lancia ornata da una ciocca di capelli umani.

«Questo è quanto troverai ad Astapor, maestà. Da là procederai verso Pentos per via di terra. Ci vorrà più tempo, è vero… Ma quando condividerai il desco con magistro Illyrio, dietro di te avrai mille spade, non quattro soltanto.»

“C’è saggezza in tutto questo” pensò Dany. “Ma…” «Come farò a comprare mille soldati schiavi? L’unica cosa di valore in mio possesso è la corona che mi è stata donata dalla fratellanza della Tormalina.»

«Ad Astapor, i draghi susciteranno la stessa meraviglia che hanno suscitato a Qarth» rispose ser Jorah. «Potrebbe anche essere che gli schiavisti t’inondino di regali come è accaduto a Qarth. In caso contrario… Queste tre navi trasportano ben più dei tuoi dothraki e dei loro cavalli. Hanno le stive piene di merci caricate a Qarth, ho visto io stesso. Pezze di seta e pelli di tigre, monili d’ambra e di giada, zafferano, mirra. Gli schiavi sono merce a poco prezzo, maestà. Mentre le pelli di tigre costano.»

«Ma le pelli di tigre appartengono a Illyrio» obiettò lei.

«E Illyrio è un amico della Casa Targaryen.»

«A maggior ragione quindi non dovremmo rubare le sue merci.»

«A che cosa servono quindi gli amici ricchi se non sono disposti a concederci la loro ricchezza, mia regina? Se magistro Illyrio dovesse negarti il suo aiuto, allora sarà solo uno Xaro Xhoan Daxos più grasso. Se invece è sincero nella sua devozione alla tua causa, non se la prenderà per aver perduto tre carichi di merce. Quale uso migliore delle pelli di tigre che comprarti il cuore di un esercito?»

“Questo è vero.” Dany si sentì pervadere da una crescente eccitazione. «Una marcia così lunga sarà pericolosa…»

«Ci sono pericoli anche per mare. Le rotte meridionali sono percorse da pirati e da corsari. E a nord di Valyria, il mare Fumante è infestato da demoni. La prossima tempesta potrebbe farci naufragare, una piovra gigante potrebbe trascinarci sotto… Oppure potrebbe ripresentarsi la bonaccia, e noi morire di sete nell’attesa che il vento torni ad alzarsi. I pericoli di una marcia saranno differenti, mia regina, ma non più grandi.»

«E se il capitano Groleo dovessi rifiutarsi di cambiare rotta? E Arstan e Belwas il Forte… Loro che faranno?»

Ser Jorah si alzò. «Forse è giunto il momento che tu lo scopra.»

«Sì» decise Daenerys «lo farò!» Gettò le coperte da parte e saltò in piedi abbandonando la cuccetta. «Andrò dal capitano immediatamente. Gli dirò di fare rotta per Astapor.»

Si chinò sul suo baule, spalancò il coperchio e afferrò il primo indumento che le capitò sotto mano: un paio di calzoni di seta cruda.

«Passami la mia cintura a medaglioni» comandò a ser Jorah, tirandosi su i pantaloni fino alle anche. «E il mio gilè…» continuò mentre si voltava.

Ser Jorah la circondò con un abbraccio.

«Oh…»

Daenerys non ebbe il tempo di dire altro. Il cavaliere l’attirò a sé e premette la sua bocca sulle labbra morbide di lei. Ser Jorah odorava di sudore, di salmastro e di cuoio. Le borchie di ferro della sua tunica affondarono nei seni nudi della regina mentre lui la stringeva a sé. Con una mano la trattenne per le spalle, facendo scendere l’altra lungo la curva della schiena. Daenerys schiuse le labbra, accogliendo la lingua ardente di lui. “La sua barba punge” pensò “ma la sua bocca è dolce.” I dothraki non portavano la barba, soltanto lunghi baffi. E, prima di quel momento, era stato khal Drogo l’unico uomo ad averla baciata. “Ser Jorah non dovrebbe far questo. Sono la sua regina, non la sua donna.”

Fu un bacio lungo. Ma quanto lungo, Dany non avrebbe saputo dirlo. Quando ser Jorah la lasciò andare, la regina fece un rapido passo indietro.

«Tu… Tu non avresti dovuto…»

«…Sì, non avrei dovuto aspettare tanto a lungo» completò ser Jorah al suo posto. «Avrei dovuto baciarti a Qarth, a Vaes Tolorro. Avrei dovuto baciarti nella desolazione rossa, ogni notte e ogni giorno. Tu sei fatta per essere baciata, spesso e bene.» Aveva gli occhi fissi sui seni di lei.

Dany se li coprì con le mani, prima che i capezzoli la tradissero. «Non… Non è stato appropriato. Io sono la tua regina.»

«La mia regina» rispose ser Jorah. «E anche la più coraggiosa, la più dolce e la più bella donna che io abbia mai visto. Daenerys…»

«Maestà!»

«Maestà» concesse lui. «“Il drago ha tre teste”, ricordi? Ti sei chiesta che cosa significa, fin da quando lo hai sentito dagli stregoni del palazzo di Polvere. Ebbene, ecco il significato: Balerion, Meraxes e Vhagar, cavalcati da Aegon, Rhaenys e Visenya. Il drago con tre teste della Casa Targaryen… Tre draghi, e tre cavalieri di draghi.»

«Sì» disse Dany. «Ma i miei fratelli sono morti.»

«Rhaenys e Visenya non erano solo le sorelle di Aegon, erano anche le mogli. Tu non hai fratelli, ma puoi avere dei mariti. E io ti dico: in verità, Daenerys, non esiste nessun uomo al mondo che potrà esserti più devoto di me.»

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