JON

Sognò di essere tornato a Grande Inverno. Avanzava zoppicando oltre i re del Nord seduti sui loro troni di pietra. I loro grigi occhi di granito si spostavano, per seguirlo a ogni passo. Le loro grigie dita di granito si serrarono attorno alle impugnature delle spade arrugginite che tenevano in grembo. “Tu non sei uno Stark” poteva udirli sibilare nelle loro aspre voci di granito. “Non c’è posto per te qui sotto. Vattene.” Jon s’inoltrò ancora più nelle tenebre. «Padre?» chiamò. «Bran? Rickon?» Nessuna risposta. Il vento gelido gli alitava sul collo. «Zio» chiamò di nuovo. «Zio Benjen? Padre? Ti prego, padre, aiutami.» Sopra di lui, udiva un battere di tamburi. “Stanno banchettando nella sala grande, ma io non sono il benvenuto. Non sono uno Stark, e non c’è posto per me.” La punta della stampella scivolò sulla pietra e Jon cadde in ginocchio. Nelle cripte le tenebre si fecero più fitte. “Da qualche parte deve essersi spenta una torcia.” «Ygritte?» mormorò. «Perdonami. Ti prego.» Ma non era Ygritte. Era un meta-lupo, grigio e spettrale, con il pelo chiazzato di sangue e gli occhi dorati che scintillavano nel buio, pieni di sofferenza…


La cella era scura e sentiva il letto duro sotto di lui. “Il mio letto” ricordò Jon. Era il suo letto, nella sua cella da attendente sotto gli alloggi del Vecchio Orso. Un luogo che avrebbe dovuto generare sogni più piacevoli, ma perfino sotto le coperte di pelliccia, Jon aveva freddo. Prima di partire per la spedizione a nord della Barriera, aveva condiviso quella cella con Spettro, e allora il calore dei loro corpi teneva lontano il gelo delle notti. Poi, nelle terre selvagge, era stata Ygritte a dormire assieme a lui. “Adesso loro non ci sono più.” Aveva bruciato Ygritte con le proprie mani, secondo i suoi desideri. Quanto a Spettro… “Dove sei?” Che fosse morto anche lui? Era questo il significato del sogno, con la visione del lupo insanguinato nel sepolcro? Ma quel lupo era grigio, non bianco. “Grigio, come il lupo di Bran.” Che dopo l’assalto a Corona della Regina i Thenn gli avessero dato la caccia fino a trovarlo e a ucciderlo? In questo caso, anche Bran sarebbe stato perduto per sempre.

Jon continuò a cercare una logica.

Fu a questo punto che il corno suonò.

“Il Corno dell’Inverno…” pensò Jon, ancora annebbiato dal sonno. No, non poteva essere. Mance Rayder non aveva mai trovato il Corno di Joramun, mitico strumento in grado di risvegliare i giganti. Il corno echeggiò una seconda volta, un suono lungo e profondo quanto il primo. Doveva alzarsi. Sì, doveva alzarsi e andare alla Barriera. Jon ne era consapevole, ma era così difficile…

Gettò da parte le pellicce e si mise a sedere. Il dolore alla gamba sembrava essere diminuito, ed era comunque sopportabile. Per riscaldarsi, aveva dormito con addosso le brache e la tunica, per cui dovette solamente infilare gli stivali e indossare la giubba di cuoio, la maglia di ferro e il mantello. Il corno suonò di nuovo, due richiami prolungati. Jon si sistemò Lungo artiglio di traverso alla schiena, trovò la sua stampella e si avviò giù per i gradini.

All’esterno, c’era il buio della notte, freddo intenso e cielo coperto. Gli altri confratelli in nero stavano riversandosi fuori dalle torri e dai manieri, affibbiandosi i cinturoni delle spade, dirigendosi alla Barriera. Jon cercò con lo sguardo Pyp e Grenn, senza riuscire a trovarli. Forse uno di loro era di sentinella, forse era stato lui a suonare il corno di allarme. “È Mance. Alla fine è arrivato alla Barriera.” Il che era buono. “Combatteremo questa battaglia e poi potremo riposare. Vivi o morti, potremo riposare.”

Alla base della Barriera, dove un tempo c’era la scala, rimaneva solamente un immane mucchio informe di legno e ghiaccio. Adesso raggiungevano la sommità della muraglia per mezzo di un argano, ma la gabbia poteva portare solamente dieci uomini alla volta. Quando Jon arrivò, la gabbia di ferro stava già salendo. Non gli restò che attendere che venisse calata di nuovo. Altri attesero con lui: Satin, Mully, Stivale, Kegs, Hareth, che era grande, grosso, biondo e con i dentoni. Tutti infatti lo chiamavano Cavallo. Era stato stalliere a Città della Talpa, uno dei pochi abitanti del villaggio che avevano scelto di rimanere al Castello Nero. Tutti gli altri erano tornati ai loro campi e alle loro stalle, oppure ai loro letti nel bordello sotterraneo. Cavallo, quel fesso con i dentoni da cavallo, si era addirittura messo in testa di entrare nella confraternita in nero. Era rimasta anche Zei, la baldracca che contro i Thenn aveva dimostrato grande perizia con la balestra. Noye aveva tenuto con sé tre orfani il cui padre era precipitato quando la scala era andata distrutta. Avevano nove, otto e cinque anni, ma nessun altro sembrava volerli.

Mentre aspettavano che la gabbia tornasse giù, Clydas portò loro coppe di vino caldo al miele e Hobb Tre Dita distribuì fette di pane nero. Jon ne prese una e si mise a masticare.

«È Mance Rayder?» chiese Satin con ansia.

«Be’, speriamo.»

C’erano cose molto peggiori dei bruti in agguato nelle tenebre. Jon Snow ricordava fin troppo bene quello che il re oltre la Barriera aveva detto di fronte al campo di massacro in cima al Pugno dei Primi Uomini, in piedi nella neve rossa. “Quando i morti camminano, mura, rostri e spade non servono più. Non si può combattere contro i morti, Jon Snow. E questo, nessuno lo sa meglio di me.” Anche solo ripensando a quelle parole, il vento gli parve di colpo più freddo.

Alla fine, sferragliando e ondeggiando all’estremità della lunga catena, la gabbia arrivò al suolo. I Guardiani della notte vi si ammassarono in silenzio e chiusero lo sportello.

Mully tirò tre volte la fune legata alla campana. Poco dopo cominciarono a salire, prima a scossoni e sussulti, poi via via in modo più uniforme. Nessuno parlò. Raggiunta la cima, la gabbia si spostò di lato e i guerrieri uscirono uno alla volta. Cavallo aiutò Jon a raggiungere il camminamento di ghiaccio. Il gelo lo colpì con la violenza di un pugno ferrato.

Una linea di fuochi, accesi all’interno di barili di ferro sistemati su pali più alti di un uomo, ardeva lungo la sommità della Barriera. Il vento affilato come una lama agitava e torceva le fiamme. I loro sinistri bagliori arancione mutavano di continuo. Ovunque si ergevano fasci di dardi di balestra, frecce per archi lunghi, picche d’assalto, rostri per scorpioni. Mucchi di pietre torreggiavano fino a dieci piedi di altezza e accanto a loro c’erano barili pieni di pece e di olio per lanterne. Bowen Marsh, lord attendente dei Guardiani della notte e lord comandante ad interim, aveva lasciato il Castello Nero ben rifornito di tutto. Tranne che di una cosa: uomini. Il vento flagellava i mantelli neri delle sentinelle spaventacorvi dislocate lungo le fortificazioni, picche serrate nei loro pugni di paglia.

«Spero che non sia stato uno di loro a suonare il corno» disse Jon a Donal Noye, avvicinandosi zoppicando.

«Aspetta… Hai sentito?» fece Noye, con le orecchie tese.

C’era il sibilo del vento e il nitrire dei cavalli. Ma c’era anche qualcos’altro. «Un mammut» riconobbe Jon. «Era il barrito di un mammut.»

L’aria, uscendo dal grosso naso schiacciato del fabbro armaiolo del Castello Nero, si condensava in fiotti lividi. A nord della Barriera dominava un oceano di tenebre che pareva dilatarsi senza fine. Jon riuscì a distinguere il debole chiarore di fuochi lontani in movimento nella foresta. Mance Rayder, ormai appariva chiaro come la luce dell’alba. Gli Estranei non accendevano torce.

«Come facciamo a combatterli se non li vediamo?» chiese Cavallo.

Donal Noye si voltò verso le due grandi catapulte che Bowen Marsh aveva rimesso in funzione. «Accendete il fuoco

Barili di pece vennero collocati in fretta e furia nei cucchiai e innescati con una torcia. Il vento attizzò le fiamme, tramutandole in una ruggente furia rossa.

«LANCIARE!» tuonò Noye.

I contrappesi piombarono giù, i bracci di tiro delle catapulte schizzarono in alto, picchiando contro le travi di blocco imbottite. Tud! Tua! I barili incendiati volarono ad arco attraverso le tenebre, tracciando chiarori baluginanti sul ghiaccio e sulla terra. In quella luce evanescente, Jon ebbe la fugace visione di mammut, molti mammut, che si spostavano pesantemente. La visione tornò a svanire, inghiottita dal buio. “Una dozzina, forse di più.” I barili di pece caddero a terra ed esplosero. Sulla sommità della Barriera, i Guardiani della notte udirono il suono grave di una tromba. Poi un gigante ruggì in un linguaggio antico. Quella voce, simile a un tuono ancestrale, fece salire viticci gelidi lungo la schiena di Jon.

«CARICARE DI NUOVO!» urlò Donal Noye.

Le catapulte vennero caricate una seconda volta. Altri due barili di pece infuocata schizzarono nel buio, andando a scoppiare tra i nemici. Uno colpì un albero morto, avvolgendolo di fuoco. “Non una dozzina di mammut…” si rese conto Jon. “Un centinaio di mammut!”

Si accostò all’orlo del baratro. “Attento” ricordò a se stesso “è lunga la strada per arrivare in fondo.” Alyn il Rosso suonò un’altra volta il suo corno da sentinella: Aaaahuuuuuuu, aaaahuuuuuuuuuu. E questa volta i bruti risposero, ma non con un unico corno. Risposero con dozzine di corni, fiati e tamburi. “Stiamo arrivando” pareva che urlassero “stiamo arrivando per abbattere la vostra Barriera, prendervi le terre e portarvi via le donne.” Il vento ululò, le catapulte scricchiolarono, i barili incendiati volarono. Dietro ai giganti e ai mammut, Jon vide uomini armati di archi e di asce. Uomini che avanzavano verso la Barriera. Ma erano venti… o ventimila? Nell’oscurità era pressoché impossibile capirlo. “Questa è una battaglia tra ciechi, ma Mance Rayder ha migliaia di guerrieri più di noi.”

«La Porta!» Fu Pyp a urlare. «Sono alla PORTA NORD!»

La Barriera era troppo grande per essere assaltata con mezzi convenzionali, troppo alta per scale o torri d’assedio, troppo spessa per arieti di sfondamento. Non esisteva nessuna catapulta in grado di lanciare massi abbastanza grossi da spezzarla. E se qualcuno avesse cercato di darle fuoco, il ghiaccio si sarebbe sciolto e avrebbe spento le fiamme. Si poteva scalarla, come avevano fatto gli incursori Thenn a Guardia Grigia. Ma potevano riuscirci solamente uomini forti, addestrati e dalla presa sicura. E perfino uomini come quelli potevano fare la fine di Jarl, impalato su un albero spezzato. “La Porta è l’unica via. Altrimenti non riusciranno mai a passare.”

Ma la Porta era un tunnel buio e contorto, scavato direttamente nelle viscere del ghiaccio, fatto di tenebre e di gelo. Più piccolo dell’accesso a uno qualsiasi dei castelli dei Sette Regni, e così stretto che i ranger, quando uscivano di pattuglia, dovevano procedere sui loro destrieri in fila singola. Tre grate di ferro sigillavano l’interno del passaggio, e ognuna era chiusa, incatenata e protetta da una feritoia. La Porta nord era di vecchio legno di quercia, spessa nove pollici, irta di spuntoni di ferro. Non sarebbe stato facile abbatterla. “Mance però ha i mammut e i giganti.”

«Deve fare freddo, là sotto» disse Noye. «Che ne dite se gli diamo una scaldatìna, fratelli?»

Una dozzina di otri d’olio per lanterne era allineata sul bordo del baratro di ghiaccio. Con la torcia in pugno, Pyp li accese di corsa uno dopo l’altro. Owen il Muflone gli tenne dietro, gettandoli giù per la china congelata della Barriera. Tentacoli di pallido fuoco giallo si contorsero nella caduta. Dopo che l’ultimo otre fu sparito, Grenn scaraventò di sotto con un calcio anche uno dei barili di pece. Il suono degli strumenti e le grida bellicose dei bruti si tramutarono in urla, rantoli di sofferenza. Dolci melodie per le orecchie dei Guardiani della notte.

Eppure i tamburi di guerra continuarono a battere. Le catapulte sussultarono e schioccarono. Il suono delle cornamuse si diffuse nella notte, simile al canto di strani uccelli da preda. Anche septon Cellador cominciò a cantare, con voce tremula, resa incerta dal troppo vino.

«Dolce Madre, fonte di pietà

salva i nostri figli dalla guerra, noi ti preghiamo,

ferma le spade e ferma le frecce,

lascia che loro sappiano…»

Donal Noye inveì contro di lui. «Ogni uomo che quassù ferma la sua spada lo sbatto di persona giù per la fottuta Barriera! A cominciare da te, septon. Arcieri! C’è qualche arciere del cazzo?»

«Eccomi, sono qui» disse Satin.

«Anch’io» aggiunse Mully. «Ma come faccio a colpire il bersaglio? È buio come dentro la pancia di una scrofa. Dove sono i bruti?»

Noye indicò le tenebre. «Tu lancia tante frecce, e vedrai che qualcuno lo colpisci. O per lo meno, gli metti un po’ di paura.» Passò lo sguardo su quelle facce illuminate dalle fiamme. «Mi servono due archi e due picche per difendere il tunnel se loro abbattono la Porta nord.» Più di dieci confratelli in nero si fecero avanti. Noye scelse i quattro. «Jon Snow, a te la Barriera fino al mio ritorno.»

Per un momento, Jon credette di avere capito male. Sembrava che Donal Noye stesse lasciando il comando a lui. «Mio lord?»

«Lord? Sono un fabbro, io. Ho detto: “Jon Snow, a te la Barriera”.»

“Ci sono uomini più anziani” voleva dirgli Jon “uomini migliori di me. Sono ferito, sono accusato di diserzione.” Aveva di colpo la bocca arida. «Aye» fu tutto quello che riuscì a dire.


In seguito, per Jon Snow quell’intera notte sarebbe stata come un sogno. O forse un incubo. Fianco a fianco con le sentinelle spaventacorvi, con archi lunghi o balestre strette tra le mani semicongelate, i suoi arcieri lanciarono centinaia di frecce contro nemici che non riuscirono mai a vedere. Ogni tanto, una freccia dei bruti saliva in risposta.

Jon mandò alcuni uomini alle catapulte più piccole e la notte si riempì di pietre frastagliate, grosse quanto il pugno di un gigante. Pietre che le tenebre inghiottirono così come un uomo inghiotte una manciata di noccioline. Mammut barrirono nel buio, strane voci urlarono in strani linguaggi, septon Cellador pregò per l’arrivo dell’alba in modo talmente sbracato, con voce talmente ubriaca, che Jon dovette vincere la tentazione di scaraventarlo nella voragine. Udirono le urla di un mammut che moriva ai piedi del ghiaccio. Videro un altro mammut fuggire verso la foresta Stregata, il pelo avvolto dalle fiamme, travolgendo alberi e calpestando uomini. Il vento ululò gelido, sempre più gelido. Hobb Tre Dita salì nella gabbia portando coppe piene di brodo di cipolle. Owen e Clydas andarono a servire gli arcieri là dove si trovavano, in modo che potessero mangiare qualcosa senza smettere di lanciare frecce. Zei la baldracca prese posto assieme ai guerrieri in nero, brandendo la sua balestra. Alla fine, dopo ore e ore di tensioni, contrazioni, lanci e sussulti qualcosa si spezzò nella catapulta di destra. Improvvisamente, tragicamente il suo contrappeso si staccò, strappando il braccio di lancio in uno schianto di legno distrutto. La catapulta di sinistra continuò a funzionare, ma ormai i bruti avevano imparato a evitare la zona su cui piombavano i carichi offensivi.

“Ce ne vorrebbero venti, di catapulte, invece che due. E dovrebbero essere montate su pattini, su piattaforme girevoli, in modo da orientarle in varie direzioni.” Pensiero inutile. Era come desiderare di avere altri mille guerrieri e, già che c’era, anche un drago che sputasse fiamme. O magari tre draghi che sputassero fiamme.

Donal Noye non tornò. Non tornò nessuno dei quattro che erano andati con lui a presidiare il gelido, nero tunnel scavato nel ghiaccio. “A te la Barriera” si ripeteva Jon ogni volta che sentiva incrinarsi la sua determinazione. Anche lui impugnava un arco lungo, anche le sue dita erano rigide, piene di crampi, mezzo congelate. Gli era tornata la febbre. La gamba ferita era scossa da spasmi incontrollabili, che lanciavano fiammate di dolore in tutte le parti del suo corpo. “Un’altra freccia… poi mi riposo.” Quante volte se lo era ripetuto? “Solo un’altra freccia.” Ogni volta che la sua faretra era vuota, uno dei tre orfani di Città della Talpa gliene portava una piena. “Un’altra faretra e chiudo.” Non poteva comunque mancare molto all’alba.

Quando l’alba finalmente arrivò, sulle prime nessuno di loro se ne rese conto. Il mondo continuava a essere invaso dall’oscurità, ma il nero stava virando al grigio, e dalle tenebre, lentamente, cominciavano a emergere forme indistinte. Jon abbassò l’arco, scrutando la massa di pesanti nubi color piombo che invadeva l’orizzonte a oriente. C’era un chiarore dietro di esse, ma forse stava solo sognando. Incoccò un’altra freccia.

Il sole nascente si aprì la strada tra le nubi, mandando strali di pallida luce sul campo di battaglia. Jon si ritrovò a trattenere il fiato. Il suo sguardo percorse la fascia di terra brulla, larga mezzo miglio, che si estendeva lungo la Barriera. Terra di nessuno, tramutata in una devastazione di erba annerita dal fuoco, catrame ancora bollente, pietre sbriciolate dall’impatto, cadaveri. Tanti cadaveri. La carcassa del mammut bruciato stava già attirando nugoli di corvi. C’erano anche corpi di giganti sul terreno. Ma dietro di loro, dietro tutto questo…

Alla sinistra di Jon, qualcuno si lasciò sfuggire un gemito. «Madre, abbi misericordia, ohi, ohi!» Era septon Cellador.

Bruti. Pareva che tutti i bruti delle terre selvagge del mondo fossero venuti ad ammassarsi tra gli alberi della foresta Stregata. Predoni, giganti, mostri e metamorfi, uomini delle montagne e marinai del mare salato, cannibali dei fiumi glaciali, abitatori delle caverne di ghiaccio dalle facce dipinte, carri da guerra fatti d’osso della Costa Congelata, trainati da cani, Piedi di corno dagli arti inferiori più duri del cuoio. Laggiù, c’erano tutte le strane, folli creature che Mance Rayder aveva radunato per abbattere la Barriera.

“Non è la vostra terra!” Questo avrebbe voluto gridare Jon Snow. “Non c’è posto per voi qui. Andate via.” In risposta, gli parve quasi udire la risata rauca di Tormund Veleno dei giganti. “Tu non sai niente, Jon Snow” gli avrebbe detto Ygritte. Jon contrasse la mano della spada, aprendo le dita, richiudendole. Ma sapeva perfettamente che non sarebbero state le spade a decidere quella battaglia.

Si sentiva gelare, scosso da tremiti convulsi. Di colpo, il peso dell’arco lungo gli parve intollerabile. Il combattimento contro il maknar e i suoi Thenn era stato niente, e il combattimento di quella lunga notte era stato meno di niente. Appena un assaggio, intuì Jon, una pugnalata nel buio, sferrata cercando di coglierli di sorpresa. Era solo adesso che iniziava la vera battaglia.

«Non credevo che potessero essere così in tanti» disse Satin.

Jon invece lo sapeva. Li aveva visti. Eppure non li aveva mai visti così, schierati in assetto da combattimento. Quando era ancora in marcia, la colonna dei bruti si dipanava per intere miglia, come un verme gigantesco. E questo rendeva impossibile vederli tutti insieme. Invece qui, ora…

«Eccoli che arrivano» disse qualcuno con voce roca.

Jon vide che al centro dello schieramento dei bruti c’erano i mammut. Cento o anche più immani elefanti pelosi cavalcati da giganti che impugnavano mazze colossali ed enormi asce di pietra. Altri giganti si muovevano al loro fianco, spingendo in avanti un tronco d’albero montato su mastodontiche ruote di legno, con la punta trasformata in un rostro acuminato. “Un ariete di sfondamento” pensò cupamente. Se la Porta nord, l’ultima porta della Barriera, esisteva ancora, sarebbero bastati pochi colpi di quel mostro a ridurla in briciole. Su entrambi i fianchi dei giganti avanzava una falange di cavalieri coperti di cuoio trattato e armati di lance indurite sulla fiamma. E poi una massa di arcieri in corsa, e fitte falangi di fanteria. Uomini e donne che impugnavano picche, frombole, bastoni, scudi di pelle. I carri da guerra fatti di ossa della Costa Congelata avanzavano sulle ali del cuneo d’attacco, trainati da massicci cani albini, le ruote sussultavano su pietre e radici.

“La furia delle terre selvagge…” Jon rimase ad ascoltare la folle cacofonia dei bruti. Il rombo dei tamburi di pelle, il latrare e l’abbaiare dei cani, il barrito dei mammut, le grida e i fischi del popolo libero, le urla dei giganti nell’antico linguaggio. Il frastuono dell’orda rimbalzò sul ghiaccio simile al rombo di tuono della collera degli dèi.

Ma Jon Snow percepì anche qualcosa d’altro attorno a lui. Percepì la disperazione. Allo stato primigenio.

«Saranno centomila…» balbettò Satin. «Come facciamo a fermarli…»

«Sarà la Barriera a fermarli.» Jon non si rese neppure conto di aver parlato. «La Barriera!» ripeté, a voce più alta. «Sarà lei a fermarli: la Barriera difende se stessa!»

Parole vuote. Ma Jon aveva bisogno di pronunciarle. Così come i suoi confratelli avevano bisogno di udirle.

«Mance Rayder vuole schiacciarci numericamente. Ma per chi ci prende, per degli stupidi?» Adesso Jon Snow urlava, dimenticando il dolore alla gamba, e tutti gli uomini lo ascoltavano. «I carri da guerra, i cavalieri, e tutti quegli idioti a piedi là sotto… che cosa possono fare a noi quassù? Qualcuno di voi ha mai visto un mammut che scala una muraglia di ghiaccio?» Rise. Pyp, Owen, un’altra dozzina risero con lui. «Centomila bruti? Non sono niente… niente! Sono meno di questi confratelli di paglia. Non possono raggiungerci, non possono colpirci e certamente non possono farci paura, o sbaglio?»

«No!» urlò Grenn.

«Loro sono là sotto e noi siamo qua sopra» continuò Jon «e fino a quando difenderemo la porta nel ghiaccio loro non passeranno. Non passeranno!»

A questo punto, tutti i confratelli in nero urlavano, ripetendo le sue parole in un ruggito, alzando verso il cielo spade e archi lunghi, con le facce arrossate dalla tensione. Jon notò Kegs in piedi a poca distanza, con il corno da guerra sotto il braccio.

«Confratello» gli disse «da’ il segnale di battaglia.»

Con un ghigno, Kegs sollevò il corno, se lo portò alle labbra e soffiò i due lunghi ululati che significavano “bruti”. Altri corni risposero al segnale, fino a quando l’intera Barriera parve tremare e l’eco di quei profondi lamenti inghiottì qualsiasi altro suono.

«Arcieri!» Jon attese che l’ululato dei corni fosse cessato. «Il vostro bersaglio sono i giganti con l’ariete di sfondamento. Vi voglio tutti quanti su di loro. Lanciate solo al mio comando, non prima. I GOGANTU E L’ARIETE! Voglio che le nostre frecce gli piovano addosso a ogni passo che fanno. Ma aspettate che siano a tiro. Chiunque di voi sprecherà una freccia, dovrà andare là sotto a raccoglierla, avete capito?»

«Sì» gridò Owen il Muflone. «Io ho capito, lord Snow!»

Jon Snow rise come un ubriaco. O forse come un folle. I suoi uomini risero con lui. I carri d’ossa e i cavalieri con le lance ai fianchi della massa in cammino erano ormai ben oltre la parte mediana della terra di nessuno, eppure la loro linea d’assalto stava già dissolvendosi.

«Caricata la catapulta con palle chiodate» decise Jon. «Owen, Kegs: collocate le frombole verso il centro, lungo la verticale della porta. Scorpioni: caricate i rostri con la punta incendiaria. Aspettate il mio comando.» Indicò i tre ragazzini di Città della Talpa. «Tu, tu e tu: pronti con le torce.»

Gli arcieri dei bruti lanciavano e avanzavano. Facevano un rapido scatto, si fermavano, lanciavano, quindi scattavano per un’altra decina di iarde. Erano così numerosi che l’aria era nera di frecce. Ma tutte, fortunatamente per i Guardiani della notte, cadevano ben più in basso della cima della Barriera. “Che spreco” rilevò Jon. “La loro mancanza di disciplina si fa sentire.” I piccoli archi di legno e corno del popolo libero avevano una gittata di gran lunga inferiore ai poderosi archi lunghi di leccio dei Guardiani della notte. Inoltre i bruti erano costretti a lanciare in ascendente obliqua, verso bersagli settecento piedi più in alto.

«Lasciate pure che giochino con le loro freccette» disse Jon. «Aspettate… aspettate… INCOCCARE!» I loro mantelli neri sbattevano nel vento gelido. «Abbiamo il vento contrario. Questo ci costringerà ad allungare il tiro. Aspettate.» “Più vicino, venite più vicino.” Le cornamuse urlavano, i tamburi battevano, le frecce dei bruti stallavano e ricadevano sul ghiaccio.

«TENDERE!»

Anche Jon tese il proprio arco, arretrando la freccia a ridosso dell’orecchio. Satin lo imitò. E anche Grenn, Owen il Muflone, Stivale, Jack Bulwer il Nero, Arron, Emrick. Zei appoggiò il calcio della balestra contro la spalla. Jon osservò l’ariete di sfondamento venire avanti, sempre più avanti, e i giganti e i mammut che arrancavano su entrambi i lati. Visti da quell’altezza apparivano talmente piccoli che sembrava di poterli schiacciare con una mano sola. “Se solo la mia mano fosse abbastanza grande…” Penetrarono nella terra di nessuno. Uno stormo di corvi spiccò il volo dalla carcassa del mammut morto. I bruti le marciarono attorno rombando. Vicini, sempre più vicini…

«LANCIARE!»

Le frecce nere dei Guardiani della notte sibilarono in picchiata, come serpenti dotati di ali piumate. Jon non attese di vedere dove avessero colpito. Afferrò la seconda freccia dalla faretra nel momento stesso in cui la prima lasciava l’arco. «INCOCCARE! TENDERE! LANCIARE!» Mise in tensione la terza freccia. «INCOCCARE! TENDERE! LANCIARE!» scoccò la freccia. E poi ne scoccò una quarta, una quinta, fino a quando non riuscì più a contarle.

«PALLE CHIODATE!»

Una delle catapulte entrò in azione. Una miriade di sfere irte di spuntoni di ferro vorticò ai piedi della muraglia di ghiaccio.

«FROMBOLE! SCORPIONI! ARCIERI! … LANCIATE A VOLONTÀ!»

Le frecce dei bruti adesso arrivavano a colpire la Barriera, ma cento piedi sotto di loro. Furono a ridosso della porta, un secondo gigante sussultò e cadde. “Incoccare, tendere, lanciare.” Un mammut irto di frecce crollò contro un altro animale accanto, scaraventando a terra i giganti che li cavalcavano. “Incoccare, tendere, lanciare.” L’ariete era fermo, i giganti che lo spingevano morti o morenti.

«Frecce incendiarie!» ordinò Jon. «Voglio vedere quell’ariete in fiamme!»

I barriti dei mammut in agonia e il rombo delle grida dei giganti si fusero con le cornamuse e i tamburi in un’unica cacofonia mortifera. Eppure, a dispetto di quel caos, gli arcieri di Jon continuavano a scatenare la loro pioggia di frecce, quasi fossero diventati sordi come Dick Follard, caduto nella battaglia contro i Thenn. Forse quegli uomini erano veramente la feccia della confraternita in nero, ma rimanevano comunque dei Guardiani della notte, o almeno qualcosa di molto vicino. Niente altro contava. “Ecco perché i bruti non passeranno.”

Uno dei mammut corse via come impazzito, falciando bruti con la proboscide e schiacciando arcieri sotto le zampe. Jon tese un’ultima volta l’arco, scagliando una freccia contro il dorso peloso dell’animale, quasi a spronarlo. A est e a ovest, i carri della Costa Congelata e i lancieri a cavallo avevano raggiunto indenni la base della Barriera. Indenni ma inutili. I carri vennero voltati, i cavalieri si aggirarono senza meta a ridosso del ghiaccio.

«Alla porta!» L’urlo di qualcuno. Stivale, forse. «Mammut alla porta!»

«Fuoco!» gridò Jon. «Grenn, Pyp. Colpitelo col fuoco!»

Grenn mise da parte l’arco lungo, coricò sul fianco uno dei barili d’olio e lo fece rotolare fino all’orlo della Barriera. A colpi di mazza, Pyp strappò via il tappo che lo sigillava, premette dentro l’imbocco uno straccio attorcigliato e lo accese con una torcia. Lui e Grenn assieme lo scaraventarono giù. Cento piedi più in basso, il barile urtò contro la Barriera, esplodendo in una vampata di pezzi di legno e olio incendiato. Grenn stava già spingendo un secondo barile verso il baratro, Kegs un terzo. Pyp diede fuoco a entrambi.

«Colpito!» Era Satin. Si protendeva così temerariamente nel vuoto che Jon fu certo che sarebbe piombato giù anche lui. «Colpito, colpito e annientato!»

Là sotto il fuoco ruggiva. Un gigante avvolto dalle fiamme si gettò a terra, rotolando su se stesso per cercare di spegnere il fuoco.

Poi, d’un tratto, i mammut si diedero alla fuga, correndo via dal rogo e dal fumo, scontrandosi nel loro terrore con i mammut che venivano dietro. A loro volta, anche quelli cominciarono a fare dietrofront, mentre i giganti e i bruti cercavano di togliersi dalla direttrice della loro carica. In pochi attimi, tutto il centro dello schieramento d’assalto dei bruti si spezzò. I cavalieri ai fianchi si videro abbandonati e decisero di abbandonare a loro volta, nessuno di loro aveva ricevuto neppure una scalfittura. Perfino i carri d’ossa si dileguarono: il loro unico contributo all’attacco era stato quello di apparire terribilmente minacciosi e di fare molto rumore.

“Quando si scompaginano, si scompaginano proprio male.” Jon Snow li osservò disperdersi nella foresta Stregata. “Che ne dici di questa musica, Mance? Ti è piaciuta la Moglie del Dorniano?”

«Abbiamo dei feriti?» Jon riportò lo sguardo sui suoi uomini.

«Quei fetenti mi hanno beccato alla gamba.» Stivale estrasse la freccia e la sventolò in alto. «Quella di legno!»

Si levò una risata generale. Zei la baldracca prese Owen per le mani, lo trascinò in una specie di girotondo e gli piantò sulla bocca un lungo bacio umido, lì, davanti a tutti. Cercò di baciare anche Jon. Lui la fermò tenendola per la spalla. Poi, gentilmente ma con fermezza, la respinse.

«No» le disse. “Io ho finito con i baci.” Improvvisamente, si sentì troppo stanco per reggersi in piedi. Dal ginocchio all’inguine, la gamba ferita gli bruciava come l’inferno. Brancolò alla ricerca della stampella. «Pyp, aiutami a raggiungere la gabbia. Grenn, a te la Barriera.»

«A me?» ripeté Grenn.

«A lui?» berciò Pyp.

Era difficile dire quale dei due fosse più terrorizzato.

«M…ma io…» Grenn faceva fatica ad articolare le parole. «Ecco… cioè… voglio dire… che cosa faccio se i bruti attaccano di nuovo?»

«Li fermi.»


Nella gabbia che tornava verso il basso, Pyp si tolse l’elmo e si passò una mano sulla fronte. «Sudore congelato. Che cosa c’è di più disgustoso?» Rise. «Per gli dèi, non ricordo di avere mai avuto tanta fame come adesso. Penso che potrei mangiarmi un uri tutto intero, te lo giuro. Che dici, Jon, pensi che Hobb ci cucinerebbe Grenn?» Ma quando vide l’espressione di Jon, la sua risata svanì. «Che cosa c’è che non va? La gamba?»

«Già» confermò Jon. Perfino parlare era una sofferenza.

«Non la battaglia? Abbiamo vinto, vero?»

«Rifammi la domanda dopo che avrò visto la Porta» rispose Jon in tono tetro. “Voglio un fuoco caldo, un buon pasto, un letto e qualcosa che mi faccia passare il dolore alla gamba.”

Prima però doveva andare nel tunnel, doveva vedere che fine avevano fatto Donal Noye e gli altri.

Dopo la battaglia contro i Thenn c’era voluta quasi una giornata per sgombrare la porta interna dai blocchi di ghiaccio e dalle travi spezzate. Pate il Macchiato, Kegs e altri costruttori avevano insistito perché i detriti venissero lasciati là dov’erano. Avrebbero costituito un altro ostacolo per Mance, sostenevano. Questo però avrebbe significato rinunciare alla difesa del tunnel, cosa di cui Noye non aveva voluto nemmeno sentire parlare. Con uomini piazzati in prossimità della botola superiore, con arcieri e picchieri dietro le feritoie a proteggere le grate intermedie, pochi confratelli determinati sarebbero stati sufficienti per respingere un numero di bruti cento volte superiore, ammucchiando cadaveri fino al soffitto. Donal Noye non aveva intenzione di lasciare a Mance Rayder un comodo passaggio lungo tutto il tunnel nel ghiaccio. Per cui, armati di picconi, vanghe e funi, gli uomini del Castello Nero avevano smantellato la catasta di rovine e disseppellito la Porta sud del tunnel.

Jon rimase in attesa vicino alle sbarre di gelido ferro mentre Pyp andava a prendere la chiave di riserva da maestro Aemon. Sorprendentemente, l’anziano sapiente in persona arrivò assieme a lui, mentre Clydas reggeva una lanterna.

«Vieni da me quando hai finito» disse Aemon a Jon mentre Pyp armeggiava con lucchetti e catene. «È necessario che ti rifaccia la medicazione e che ti applichi un impacco fresco. E ti darò anche altro vino dei sogni, contro il dolore.»

Jon annuì debolmente. La porta del tunnel venne spalancata. Pyp li precedette all’interno, seguito da Clydas e dalla lanterna. Tutto quello che Jon poté fare fu tenere il passo con maestro Aemon. Attorno a loro il ghiaccio era un sudario raggelante. Jon poteva sentire il freddo penetrargli nelle ossa e l’immane massa della Barriera incombere su di lui. Ebbe come l’impressione di camminare nelle viscere di un drago di ghiaccio. Il tunnel fece una svolta, poi un’altra. Pyp aprì il lucchetto della seconda porta di ferro. Ripresero ad avanzare, svoltarono di nuovo. Videro una luce. Un debole, pallido chiarore attraverso il ghiaccio. “Brutto segno” intuì Jon all’istante.

«Sangue» disse Pyp. «C’è del sangue per terra.»

I confratelli avevano combattuto negli ultimi venti piedi del tunnel. Ed era là che erano morti. L’ultima porta, quella di quercia con spuntoni di ferro sul lato nord della Barriera, era stata presa a colpi d’ascia, squarciata e infine divelta dai cardini. Uno dei giganti si era aperto la strada strisciando tra i suoi resti. La lanterna gettò una tetra luce rossa su una scena di puro orrore. Pyp ebbe un conato di vomito. Jon invidiò la cecità di maestro Aemon.

Donal Noye e i suoi quattro uomini erano rimasti ad aspettare l’attacco all’interno del tunnel, dietro la terza grata di spesse sbarre di ferro, identica alle altre due che Pyp aveva aperto. Prima di soccombere, i due balestrieri erano riusciti a lanciare una dozzina di dardi contro il gigante che avanzava verso di loro. Poi i picchieri dovevano essersi fatti avanti, cercando di respingere l’attacco attraverso le sbarre. Eppure il gigante aveva comunque avuto la forza di ghermirli. Aveva sradicato il cranio di Pate il Macchiato, afferrato la porta di ferro e deformato le sbarre. Anelli spezzati della catena di blocco erano disseminati da tutte le parti. “Un solo gigante. Tutto questo è opera di un solo gigante.”

«Sono morti tutti?» chiese maestro Aemon in un soffio.

«Tutti» confermò Jon. «Donal Noye per ultimo.»

La spada di Noye era affondata nella gola del gigante, quasi fino all’elsa. Jon aveva sempre considerato il fabbro armaiolo della Fortezza Rossa come un uomo enorme. A vederlo serrato tra le immani braccia dell’avversario sembrava quasi un bambino.

«Il gigante gli ha spezzato la spina dorsale. Non so quale dei due sia morto per primo.» Jon prese la lanterna, fece un passo avanti per vedere meglio. «Mag…»

«Che cosa?»

«Mag il Possente.» Jon sentiva una sorta di tristezza. “Io sono l’ultimo dei giganti.” Ma non aveva tempo per la tristezza. «Il re dei giganti.»

Jon Snow sentì bisogno di sole. Era troppo freddo, troppo buio in quel tunnel. L’odore del sangue e della morte toglieva il respiro. Jon restituì la lanterna a Clydas, passò oltre i cadaveri ammucchiati e quindi al di là delle sbarre contorte. Si diresse verso la luce del sole che inondava la porta sventrata.

L’enorme carcassa del mammut morto ostruiva la soglia. Mentre Jon cercava di superarla, il suo mantello s’impigliò in una delle zanne ricurve, squarciandosi. Là fuori c’erano altri tre giganti morti, mezzo sepolti da pietre, ghiaccio liquefatto e catrame indurito dal freddo. Jon localizzò il punto in cui il fuoco aveva sciolto la parete della Barriera e dove il calore aveva fatto distaccare grandi lastre di ghiaccio, mandandole a schiantarsi sulla terra annerita. Alzò lo sguardo per vedere da dove erano franate. “A stare qua sotto sembra immane, come se volesse schiacciarti.”

Jon tornò dentro, e si unì di nuovo agli altri. «Dobbiamo riparare la Porta nord il meglio possibile, e poi bloccare questa zona. Detriti, ghiaccio spezzato, qualsiasi cosa. Bloccare il tunnel fino alla seconda porta di ferro. Ser Wynton deve assumere il comando del Castello Nero, è l’ultimo cavaliere che a rimane, ma deve muoversi subito: i giganti torneranno fin troppo presto. Dobbiamo dirgli…»

«Digli pure quello che vuoi» disse gentilmente maestro Aemon. «Ser Wynton prima farà un sorriso, quindi un cenno di assenso e infine dimenticherà tutto. Trent’anni fa, a ser Wynton Stout mancavano solo una dozzina di voti per diventare lord comandante dei Guardiani della notte. Sarebbe stato un ottimo comandante. Dieci anni fa avrebbe ancora potuto farcela. Ora non più. E tu, Jon, lo sai bene, come lo sapeva Donal.»

Era la verità. «E allora, maestro, dai tu l’ordine» replicò Jon. «Tu hai passato tutta la vita sulla Barriera, gli uomini ti seguiranno. Dobbiamo chiudere questa porta.»

«Io sono un maestro della Cittadella. Il mio ordine serve, Jon. Noi diamo consigli, non impartiamo comandi.»

«Qualcuno deve…»

«Tu. Sei tu che devi comandare.»

«No.»

«Sì, invece. Non sarà per molto tempo. Solo fino a quando la guarnigione non avrà fatto ritorno. Donal Noye ti ha scelto e, prima di lui, ti aveva scelto Qhorin il Monco. Il lord comandante Mormont ti aveva nominato suo attendente. Tu sei un figlio di Grande Inverno, un nipote di Benjen Stark. Spetta a te e a nessun altro. A te la Barriera, Jon Snow.»

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