EPILOGO

La strada che saliva verso Vecchie Pietre si inerpicava girando per due volte attorno alla collina prima di raggiungere la sommità. Disseminata di rocce, invasa dalle erbacce, era un cammino lento perfino nella stagione migliore. La nevicata della notte precedente aveva reso il sentiero ancora più impervio a causa del fango.

“Neve d’autunno nelle terre dei fiumi. Non è normale” pensò tetramente Merrett Frey. La nevicata non era stata pesante, aveva appena ammantato il suolo di bianco. E aveva cominciato a sciogliersi nel momento in cui era apparso il sole. Eppure, Merrett lo interpretò come un cattivo presagio. Tra piogge, inondazioni, incendi e guerre, avevano già perso due interi raccolti e buona parte del terzo. Nelle terre dei fiumi, un inverno precoce avrebbe significato la carestia. Tantissima gente sarebbe stata costretta a patire la fame, e molti sarebbero morti. Merrett poteva solo sperare di non essere uno di loro. “Però potrei. Considerando la mia fortuna, potrei morire di fame anch’io. Non ho mai avuto fortuna.”

Al di sotto delle rovine incombenti del castello, la foresta che copriva le pendici della collina era così fitta da poter celare un’intera torma di fuorilegge in agguato. “Forse mi stanno tenendo d’occhio già adesso.” Merrett si guardò attorno. Là fuori c’erano solo cespugli di ginestre, felci e cardi, lanciati all’assedio degli alberi-sentinella di colore grigioverde. In altri punti, olmi scheletrici, pallidi lecci e querce nane si abbarbicavano al terreno come viticci deformi. Non vide nessun fuorilegge, ma questo non significava nulla. I fuorilegge erano molto più abili a nascondersi degli uomini onesti.

Merrett odiava le foreste. E odiava ancora di più i fuorilegge. «I fuorilegge mi hanno rubato la vita» era solito lamentarsi dopo qualche coppa di vino di troppo. E lui mandava giù anche troppe coppe di vino di troppo, diceva suo padre. Lo diceva spesso e a gran voce. “Maledettamente vero” fu costretto ad ammettere con se stesso. Un uomo doveva trovare un modo per distinguersi, alle Torri Gemelle, altrimenti tutti si sarebbero dimenticati che esisteva. Ma Merrett scoprì che la reputazione di più accanito bevitore del castello non aveva contribuito molto a migliorare le sue prospettive. “Un tempo speravo di diventare il più grande cavaliere che avesse mai impugnato una lancia. Gli dèi mi hanno privato di quel sogno. Perché non dovrei buttare giù una coppa di rosso, di quando in quando? Il vino mi fa passare quei dannati mal di testa. E poi, mia moglie è una megera, mio padre mi disprezza e i miei figli non valgono niente. Restare sobrio? Per quale motivo?”

Adesso però era sobrio. D’accordo, si era fatto un paio di boccali di birra al malto a colazione. E anche una piccola coppa di rosso poco prima di mettersi in marcia, ma solo per fare cessare il rullo di tamburi nei timpani. Merrett aveva percepito le prime avvisaglie di un ennesimo mal di testa in agguato appena dietro gli occhi. E sapeva che se gli avesse dato anche solo una piccola possibilità di crescere, presto nel cranio gli si sarebbe scatenato un furibondo temporale a base di tuoni, fulmini e saette. Certe volte, quei mal di testa diventavano così acuti che perfino piangere era una sofferenza. A quel punto, l’unica cosa che poteva fare era restare sdraiato a letto in una stanza buia, con una pezza umida sugli occhi, maledicendo la propria sorte e maledicendo ancora di più il fuorilegge senza nome che gliel’aveva imposta come condanna senza appello.

Anche solo pensarci gli metteva l’ansia addosso. Non poteva permettersi un mal di testa adesso. A nessun costo.

“Se riesco a riportare Petyr a casa sano e salvo, la mia fortuna girerà di colpo.” Aveva con sé l’oro. Tutto quello che doveva fare era salire fino alla cima di Vecchie Pietre, incontrare quei fottuti fuorilegge nel castello in rovina ed effettuare lo scambio. Un semplice pagamento di riscatto. Nemmeno lui sarebbe stato in grado di mandarlo in merda… a meno che non gli fosse venuto un altro mal di testa, così forte da impedirgli di cavalcare. Doveva raggiungere quelle rovine prima del tramonto, non poteva ritrovarsi raggomitolato dal dolore a piagnucolare sul bordo del sentiero. Merrett si passò due dita sulle tempie. “Ancora un giro attorno alla collina e ci sono.” Quando il messaggio era arrivato alle Torri Gemelle e lui si era subito offerto di portare il riscatto, suo padre lo aveva fissato ammiccando. «Tu, Merrett?» Poi era scoppiato a ridergli in faccia, heh heh heh, quella sua sghignazzata nasale. Merrett era stato quasi costretto a implorare perché gli affidassero quella fottuta sacca d’oro.

Movimento. Là, tra i cespugli a lato della strada. Merrett trattenne le redini, mentre l’altra mano correva alla spada. Niente, solo uno scoiattolo.

“Stupido” disse a se stesso, lasciando che la lama rimanesse nel fodero. “I fuorilegge non hanno coda. Inferno fottuto, Merrett, cerca di controllarti.”

Sentiva il cuore battere nel petto, nemmeno fosse una recluta al primo assalto. “Come se questo fosse bosco del Re, e quelli che vado ad affrontare la vecchia fratellanza, non la ridicola banda di straccioni del Lord della Folgore.” Per un momento, fu tentato di ridiscendere al trotto giù per la collina e di andare alla ricerca della taverna più vicina. Con quella sacca di monete d’oro avrebbe potuto comprarsi un bel po’ di birra al malto. Più che a sufficienza per dimenticarsi di Petyr Foruncolo. “Che lo impicchino pure. È stato lui a farsi fregare. Non si merita altro, dopo essere corso dietro a qualche baldracca da soldati come un cervo in calore.”

La testa aveva cominciato a pulsargli. Per adesso in modo lieve, ma Merrett sapeva che ben presto le cose sarebbero peggiorate. Si sfregò la radice del naso. In fondo, però, non aveva il diritto di giudicare Petyr così duramente. “Alla sua età, anch’io facevo lo stesso.” Nel suo caso, tutto quello che ne aveva ricavato era stato lo scolo. Le baldracche avevano un loro fascino, specialmente se uno aveva una faccia come quella di Petyr. Quel povero ragazzo aveva una moglie, certo, ma lei era almeno metà del suo problema. Tanto per cominciare aveva il doppio della sua età. E poi, a dare retta alle chiacchiere, si faceva sbattere anche da Walder, il fratello maggiore di Petyr. Giravano sempre un mucchio di chiacchiere alle Torri Gemelle, e solo una piccola parte rispondeva a verità, ma a questa parte però Merrett credeva. Walder il Nero era il tipo d’uomo che quando voleva una cosa se la prendeva e basta, anche se si trattava della moglie di suo fratello. Si era preso anche la moglie di Edwyn, e questo lo sapevano tutti. Sapevano che Walda la Bianca gli si infilava nel letto, di tanto in tanto. Alcuni arrivavano addirittura a dire che Walder il Nero aveva conosciuto molto meglio del dovuto perfino la settima lady Frey. Nessuna meraviglia che continuasse a rifiutare di sposarsi. Perché comprare una vacca quando tutto attorno c’era un intero branco di giumente che supplicavano solo di essere munte?

Imprecando a denti stretti, Merrett piantò gli speroni nei fianchi del cavallo e continuò a salire la collina. Bersi tutto l’oro nella borsa in birra al malto era una prospettiva quanto mai allettante, ma sapeva che se fosse tornato alle Torri Gemelle senza Petyr Foruncolo era meglio per lui non tornare affatto.

Ben presto lord Walder Frey avrebbe avuto novantadue anni. Novantadue! Le orecchie avevano cominciato a non funzionargli più tanto bene, gli occhi quasi non funzionavano più del tutto e la sua gotta si era aggravata al punto che quel vecchio doveva essere trasportato a braccia pressoché dovunque. Non poteva reggere ancora per molto, tutti i figli erano d’accordo su questo. “E quando lui se ne sarà andato, tutto cambierà. E non in meglio.” Suo padre era querulo e testardo, volontà di ferro e lingua biforcuta, ma credeva fermamente nel suo dovere di provvedere alla famiglia. A tutta la famiglia, inclusi i componenti che lo avevano adirato o deluso. “Inclusi addirittura quelli di cui non riesce a ricordare neppure il nome.” Nel momento in cui il vecchio non ci fosse stato più però…

Un conto era quando l’erede delle Torri Gemelle era ancora ser Stevron. Per sessant’anni il vecchio aveva preparato Stevron a quel ruolo, martellandogli nel cranio che i legami di sangue rimanevano legami di sangue. Ma poi Stevron era morto in battaglia partecipando alle campagne occidentali del Giovane lupo Robb Stark. «Morto per la troppo lunga attesa» aveva acidamente commentato Lothar lo Storpio quando il corvo messaggero aveva recato la notìzia. I figli di Stevron però erano tutt’altra genia. Il prossimo in linea dinastica era ser Ryman, primogenito di Stevron, un uomo dalla testa dura, ostinato, avido. Dopo Ryman, venivano i suoi figli: Edwyn e Walder il Nero, i quali erano anche peggio di lui. «Per fortuna» era stato un altro commento acido di Lothar lo Storpio «si odiano tra loro addirittura più di quanto odino noi.»

Ma Merrett non era affatto certo che quella fosse davvero una fortuna. In realtà, Lothar stesso poteva essere più pericoloso di tutti e due messi assieme. Lord Walder aveva deciso il bagno di sangue degli Stark alle nozze di Roslin, questo sì, ma era stato Lothar lo Storpio a ordire il complotto assieme a lord Roose Bolton di Forte Terrore. Un complotto così dettagliato da arrivare a decidere quali ballate dovevano essere suonate. Lothar poteva essere un compagno di bevute molto divertente, ma Merrett non era mai stato stupido al punto da commettere l’errore di voltargli le spalle. Alle Torri Gemelle, non ci voleva tanto per imparare un’amara lezione: solo dei veri fratelli di sangue ci si poteva fidare, e non troppo nemmeno di loro.

Nel momento in cui il vecchio avesse tirato le cuoia, sarebbe stato ognuno per sé, figli maschi e figlie femmine. Senza dubbio, il nuovo Signore del Guado avrebbe fatto rimanere alle Torri Gemelle alcuni zii, nipoti e cugini, o più probabilmente quelli che riteneva gli avrebbero fatto comodo. “Il resto di noi verrà sbattuto fuori, e dovremo arrangiarci.”

Prospettiva che preoccupava Merrett molto più di quanto ammettesse a parole. In meno di tre anni avrebbe compiuto quarant’anni, troppo vecchio per mettersi a fare il cavaliere di ventura… perfino se fosse stato un cavaliere, cosa che non era. Non aveva né terre né ricchezze. Possedeva i vestiti che aveva addosso, certo, ma poco altro, neppure il cavallo su cui stava in sella. Non era abbastanza intelligente da diventare un maestro della Cittadella, né abbastanza pio per fare il septon, né abbastanza feroce da offrirsi come mercenario. “L’unico dono che gli dèi mi hanno concesso è il lignaggio, e perfino in quello sono stati avari.” A che cosa serviva essere figlio di una grande e potente Casa dei Sette Regni, quando si era il nono figlio? Se poi si teneva conto anche dei figliastri, fratellastri e nipotastri di altre sei diverse generazioni, Merrett aveva tante possibilità di diventare l’erede delle Torri Gemelle quante ne aveva di essere scelto come Alto Sacerdote del Credo.

“Non ho fortuna” rimuginò con amarezza. “Non ho mai avuto nessuna maledetta fortuna.” Era un uomo grande e grosso, con spalle e torace ampi, anche se di altezza media. Negli ultimi dieci anni, era diventato molle e adiposo, di questo era consapevole, ma quando era giovane, Merrett era stato robusto quasi quanto ser Hosteen, suo fratello maggiore, generalmente considerato il più forte della numerosa prole di lord Walder Frey. Da ragazzo, lo avevano spedito a Crakehall, per servire come paggio nella famiglia di sua madre. Quando il vecchio lord Sumner Crakehall lo elevò a scudiero, tutti erano stati certi che in pochi anni lui sarebbe diventato ser Merrett. Ma poi, a pisciare su quei luminosi orizzonti di trionfo cavalieresco, erano arrivati i fuorilegge della fratellanza di bosco del Re. Mentre il suo collega scudiero Jaime Lannister si copriva di gloria, Merrett Frey aveva prima preso lo scolo da una baldracca, poi era addirittura riuscito a farsi catturare da una donna, Wenda il Daino bianco. Per riaverlo, lord Sumner aveva pagato il riscatto chiesto dai fuorilegge, ma solo pochi giorni dopo, al suo primo scontro con la fratellanza, Merrett aveva ricevuto un colpo di mazza ferrata che gli aveva sfondato l’elmo, lasciandolo privo di conoscenza per quasi due settimane. Tutti lo avevano dato per morto, gli dissero in seguito.

Merrett non era morto, ma i suoi giorni di battaglia si erano conclusi. Perfino il più debole colpo alla testa gli provocava atroci dolori, facendolo lacrimare. In simili circostanze, gli aveva detto lord Sumner non senza gentilezza, il cavalierato era fuori questione. Per cui era stato rimandato alle Torri Gemelle, a sopportare il velenoso disprezzo di lord Walder.

Da quel momento in poi, la malasorte di Merrett non aveva fatto altro che peggiorare, in qualche modo, suo padre era riuscito ad arrangiargli un buon matrimonio: sposare una delle figlie di lord Darry, quando i Darry ancora godevano del favore di re Aerys. A differenza dei Frey, sempre ambigui, i Darry erano tra i più fedeli alleati dei Targaryen. Posizione che, alla fine della rivolta guidata da Robert Baratheon, Eddard Stark e Jon Arryn, aveva finito con il costare loro metà delle terre, la maggior parte delle ricchezze e quasi tutto il potere che avevano. Quanto alla lady sua moglie, fin dall’inizio aveva giudicato Merrett una grossa delusione, insistendo per anni a sfornargli solamente figlie femmine — tre delle quali erano vissute, una era morta nel venire alla luce, un’altra non aveva superato l’infanzia — prima di dargli finalmente l’agognato maschio. La sua primogenita si era rivelata una puttana fatta e finita, la secondogenita una golosa senza freni. Ami si era fatta sorprendere nelle stalle intenta a farsi scopare da tre stallieri simultaneamente, per cui Merrett non aveva avuto altra scelta se non darla in sposa a un fottuto cavaliere di ventura, un idiota di nome ser Pate della Forca Blu. Merrett era ormai certo che le cose non potessero mettersi peggio di così. Sbagliato. Perché a un certo punto quell’idiota di ser Pate si era messo in testa di dare lustro al proprio nome sconfiggendo sul campo ser Gregor Clegane. Ami, novella vedova, se ne era tornata di corsa al tetto natio, con profondo sconforto di Merrett e grande delizia di tutti gli stallieri delle Torri Gemelle.

Merrett aveva osato sperare che la sua malasorte stesse finalmente cambiando, quando Roose Bolton aveva deciso di prendere in moglie la sua Walda al posto di una cugina più snella e decisamente più attraente. L’alleanza con Forte Terrore era cruciale per la Casa Frey e la carnosa ragazza stava contribuendo a consolidarla. Merrett era stato certo che questo contasse qualcosa. Il vecchio lord Walder non ci aveva messo molto per riportarlo alla dura realtà. «Credi davvero che al lord mignatta freghi qualcosa se Walda è tua figlia? Credi davvero che si sia detto: “Feh, Merrett Frey testa di somaro, quale padrino più perfetto per la mia prole?” Imbecille! La tua cara Walda non è altro che una scrofa ammantata di seta, ecco perché Bolton ha scelto lei. Né io intendo dirti grazie, scemo. Questa stessa alleanza l’avremmo pagata la metà, se solo quella porcella all’ingrasso di tua figlia fosse riuscita a mettere giù il cucchiaio della crema, di quando in quando!»

Al danno era venuta ad aggiungersi la beffa finale, elargita con un sorriso, quando Lothar lo Storpio aveva convocato Merrett per discutere delle sue mansioni al matrimonio di Roslin. «Ognuno di noi avrà un ruolo, stabilito dal dono di nozze» gli aveva detto il suo claudicante fratellastro. «Tu avrai un’unica missione, Merrett. Credimi, sei perfetto per condurla a compimento. Voglio che sia tua cura fare sì che il Grande Jon Umber sia così ubriaco da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi, figurarsi a combattere con la spada in pugno.»

“Invece ho fallito anche in questo.” Aveva messo il gigantesco guerriero del Nord a suo agio al punto da fargli ingollare più vino di tre uomini messi assieme. Eppure, quando era giunto il momento della messa a letto di Roslin e aveva avuto inizio il massacro, il Grande Jon aveva comunque avuto la forza di strappare la spada dal fodero di uno degli armati Frey, spezzandogli anche un braccio. C’erano voluti otto uomini per metterlo ai ferri. E quella lotta era costata la vita di un uomo, due feriti gravi e il povero ser Leslyn Haigh con mezzo orecchio in meno. Nel momento in cui Umber non era più stato in grado di combattere con le mani, aveva combattuto con i denti.

Merrett si fermò per qualche istante, chiudendo gli occhi. La testa adesso gli pulsava come quel tamburo che avevano percosso alle Nozze rosse. Fu costretto a mettercela tutta per non cadere di sella. “Devo andare avanti” impose a se stesso. Se fosse riuscito a riportare a casa Petyr Foruncolo, questo lo avrebbe fatto certamente rientrare nelle grazie di ser Ryman. Petyr sarà anche stato un inetto fessacchiotto, ma non era freddo dentro come Edwyn, né incandescente come Walder il Nero. “Il ragazzo mi sarà grato, e suo padre capirà che sono leale, che sono un uomo che vale la pena di avere vicino.”

Ma solo se fosse riuscito ad arrivare in cima alla collina per il tramonto. Portando l’oro. “Appena in tempo.” Gli serviva qualcosa per calmare il tremore alle mani. Afferrò l’otre d’acqua appeso al pomo della sella, lo stappò, mandò giù una lunga sorsata. Il vino era forte e dolce, così scuro da sembrare nero. Ed era ottimo.


Un tempo, le mura perimetrali di Vecchie Pietre si ergevano lungo tutta la sommità della collina come una corona sulla testa di un re. Quel tempo era passato. Adesso rimanevano solamente le fondamenta, e pochi cumuli di pietre frastagliate, punteggiate dal lichene, alti fino alla cintola di un uomo. Merrett seguì i resti della costruzione fino ad arrivare dove un tempo era sorto il corpo di guardia. Qui le rovine erano più consistenti, tanto da costringerlo a smontare di sella e condurre il palafreno per le briglie. A occidente, il sole era sceso dietro un basso banco di nubi. Ginestre e felci crescevano dappertutto. Una volta all’interno del perimetro, Merrett si ritrovò con le erbacce che gli arrivavano al petto. Allentò la spada all’interno del fodero e si guardò attorno con sospetto. Nessun fuorilegge. “Che sia il giorno sbagliato?” Si fermò a massaggiarsi le tempie con i pollici, ma questo non allentò in alcun modo la pressione dietro gli occhi. “Per i sette fottuti inferi …”

Musica. Proveniva da qualche parte tra le viscere della fortezza distrutta. Una musica fievole, che dilagò fluttuando tra gli alberi.

A dispetto del pesante mantello, Merrett cominciò a rabbrividire. Tolse di nuovo il tappo all’otre e bevve dell’altro vino. “Ma perché non mi rimetto in sella, non cavalco fino a Vecchia Città e mi bevo tutto il contenuto di questa borsa d’oro? Non è mai venuto fuori niente di buono a trattare con i banditi.” Durante la sua cattività con la fratellanza di bosco del Re, quella troia di Wenda gli aveva marchiato a fuoco un daino sulla chiappa. Nessuna meraviglia se sua moglie lo disprezzava. “No, devo giocarmela fino in fondo. Un giorno, Petyr Foruncolo potrebbe diventare il Signore del Guado. Edwyn non ha figli maschi e Walder il Nero solo figli bastardi. Petyr non dimenticherà chi è stato ad andare a riprenderlo.” Merrett bevve un altro sorso, tappò di nuovo l’otre e riprese a condurre il palafreno nel labirinto di pietre, cespugli di ginestre e alberi flagellati dal vento. Seguì il suono della musica attraverso quello che una volta era il cortile del castello.

Il terreno era ricoperto da uno spesso strato di foghe cadute. Parevano soldati rimasti su un campo di battaglia dopo la battaglia. Un uomo che indossava abiti verdi rattoppati e scoloriti era seduto a gambe incrociate su un ancestrale sepolcro corroso dagli elementi, intento a strimpellare un’arpa di legno. La melodia era dolce e triste. Una melodia che Merrett conosceva. Su nelle sale dei re scomparsi, Jenny danzava con i suoi fantasmi…

«Vieni giù di lì» intimò Merrett. «Sei seduto sopra un re.»

«Al vecchio Tristifer non gliene importa più molto del mio culo ossuto. Lo chiamavano il Martello della Giustizia. È passato un bel po’ di tempo da che ha udito qualche nuova canzone.»

Il fuorilegge saltò a terra. Era snello, affilato, con la faccia allungata e i lineamenti furbi, ma la sua bocca era così larga che il sorriso sembrava arrivare fino alle orecchie. Il vento gli trascinava sulla fronte le poche ciocche di sottili capelli castani.

«Ti ricordi di me, mio lord?»

«No» rispose Merrett. «Perché dovrei?»

«Ho cantato al matrimonio di tua figlia. Ecco uno che se la passa bene, avevo pensato. Quel Pate che lei sposò era un mio cugino. Siamo tutti cugini, giù a Settecorrenti. Ma questo non gli impedì di essere un dannato tirchio quando fu il momento di pagarmi.» Il cantastorie alzò le spalle. «Come mai il lord tuo padre non mi ha mai permesso di suonare alle Torri Gemelle? Forse non faccio abbastanza rumore per sua signoria? Gli piace la musica forte, dicono.»

«Hai portato l’oro?» disse una voce diversa, più aspra, più minacciosa.

Merrett sentì la gola diventargli arida di colpo. “Fuorilegge del cazzo. Sempre in agguato tra i cespugli.” Nel bosco del Re era la stessa cosa. Credevi di averne presi cinque, e di colpo, dal nulla, ne spuntavano altri dieci.

Si girò. Erano tutti attorno a lui. Un manipolo male assortito di vecchi dalla pelle dura come il cuoio e di ragazzini imberbi addirittura più giovani di Petyr Foruncolo, tutti quanti con addosso cenci di stoffa grezza, cuoio trattato e parti di armatura appartenute a uomini morti. C’era un’unica donna tra loro, avvolta in un mantello con cappuccio tre volte più grande di lei. Merrett era troppo agitato per contarli, ma gli parvero almeno una dozzina, forse anche di più.»

«Ti ho fatto una domanda.» Quello che gli stava parlando era un uomo grande e grosso, con la barba, i denti anneriti e il naso rotto. Era più alto di Merrett ma decisamente meno grasso. Mezzo elmo gli proteggeva la testa, sulle spalle ampie portava un mantello rattoppato color giallo limone. «Dov’è il nostro oro?»

«Nella mia borsa da sella. Cento dragoni d’oro.» Merrett si schiarì la gola. «Lo avrete dopo che avrò visto Petyr…»

Un tozzo fuorilegge con un occhio solo arrivò fino a lui prima che potesse finire la frase. Come se niente fosse, si mise a frugare nella borsa da sella, trovò la bisaccia con l’oro. Merrett fu sul punto di afferrarlo, ma poi ci ripensò. Il fuorilegge aprì la stringa, tolse una moneta, diede un morso.

«Il sapore è quello giusto.» Soppesò la borsa. «Anche il peso è quello giusto.»

“Si terranno l’oro e si terranno anche Petyr.” Pensiero che gettò Merrett in un panico improvviso. «Il riscatto c’è tutto. Tutto quello che avete chiesto.» Aveva le mani sudate. Se le passò sulle brache. «Chi di voi è Beric Dondarrion?» Prima di diventare un fuorilegge, Dondarrion era stato un lord. Poteva essere ancora un uomo d’onore.

«Sono io» rispose l’uomo con un occhio solo.

«Sei un fottuto bugiardo, Jack» lo rimbeccò il fuorilegge grande e grosso con il mantello color limone. «È il mio turno di essere Beric.»

«Questo allora vuol dire che è il mio turno di essere Thoros di Myr?» Il menestrello rise in faccia a Merrett. «Ecco, mio signore, triste a dirsi, ma la presenza di lord Beric era richiesta altrove. Sono tempi turbolenti, i nostri, con molte battaglie da combattere. Ma noi ci occuperemo di te proprio come avrebbe fatto lui, non avere paura.»

Ma di paura Merrett Frey ne aveva da vendere. Anche la testa gli pulsava. Se il dolore fosse peggiorato, si sarebbe ritrovato a singhiozzare tra le erbacce. «Avete avuto il vostro oro» disse. «Datemi mio nipote e io me ne vado.» In realtà, Petyr Foruncolo era per lui un bisnipote di terzo grado, ma non c’era bisogno di entrare in simili dettagli.

«È nel parco degli dèi» disse l’uomo con il mantello giallo. «Ti portiamo da lui. Notch, prendi il suo cavallo.»

Con riluttanza, Merrett passò le briglie a un giovane fuorilegge. Che altra scelta aveva? «Il mio otre» disse. «Un sorso di vino, per…»

«Noi non beviamo con quelli come te» lo interruppe in tono deciso l’uomo con il mantello giallo. «Da questa parte. Seguimi…»

Le foglie morte scricchiolavano sotto i loro piedi, e ogni passo era una lancia conficcata nelle tempie di Merrett. Avanzarono in silenzio, con il vento che soffiava su di loro a raffiche. I raggi del sole morente gli ferirono gli occhi mentre scalava le gibbosità coperte di muschio, ultimi resti della fortezza. Al di là, c’era il parco degli dèi.

E c’era anche Petyr Foruncolo. Penzolava dal ramo di una quercia, nodo scorsoio stretto attorno all’esile collo, allungato in modo grottesco. Gli occhi sporgevano dalla faccia diventata nera. Fissavano Merrett in modo accusatorio. “Sei arrivato tardi” sembravano dirgli quegli occhi dilatati. “Troppo tardi.” Ma non era così. Lui non era arrivato tardi!

«Lo avete… ucciso!» disse in un rantolo.

«È proprio furbo come una volpe, questo qui» commentò l’uomo con un occhio solo.

Un intero branco di bisonti stava rombando nel cranio di Merrett. “Madre, abbi misericordia…” «Ho portato l’oro» ripeté.

«È stato gentile da parte tua» disse in tono mellifluo il cantastorie. «Ne faremo buon uso, vedrai.»

Merrett distolse lo sguardo dall’impiccato. Aveva in gola il sapore del fiele. «Voi… voi non avevate il diritto.»

«Avevamo la fune, però» ribatté l’uomo con il mantello giallo. «Quella è abbastanza diritta.»

Due dei fuorilegge afferrarono Merrett per le braccia, gli legarono i polsi dietro la schiena. Lui era troppo sconvolto per opporre qualsiasi resistenza. «No» fu tutto quello che riuscì a dire. «Sono venuto solo per riscattare Petyr. Avevate detto che se aveste avuto l’oro prima del tramonto non gli sarebbe successo niente…»

«Qui ci cogli in fallo, mio signore» disse il cantastorie. «Quella è stata una bugia.»

Il fuorilegge con un occhio solo si fece avanti reggendo un lungo rotolo di fune di canapa. Ne avvolse un’estremità attorno alla gola di Merrett, fece un nodo scorsoio, lo strinse bene poco dietro il suo orecchio. L’altra estremità volò oltre il ramo della quercia. L’uomo con il mantello giallo la afferrò mentre ricadeva.

«Ma che cosa state facendo?» Merrett era consapevole di quanto fosse idiota quella domanda, solo che non riusciva ancora a credere che tutto quello stesse accadendo veramente. «Non oserete impiccare un Frey!»

«Ma tu pensa!» L’uomo con il mantello giallo gli rise in faccia. «Anche il ragazzino con i foruncoli ha detto la stessa cosa.»

“Non parla sul serio. Non può parlare sul serio!” «Mio padre vi pagherà. Io valgo un grosso riscatto, più grosso di quello di Petyr, il doppio di quello di Petyr.»

Il cantastorie sospirò. «Lord Walder sarà anche mezzo cieco e gottoso, ma non è così stupido da abboccare due volte allo stesso amo. La prossima volta, temo che al posto di cento dragoni ci manderà cento spade.»

«Proprio così!» Merrett cercò di suonare minaccioso, ma la voce lo tradì. «Ne manderà mille. E vi ucciderà tutti quanti.»

«Ma prima deve prenderci di spada.» Il cantastorie alzò lo sguardo al povero Petyr. «E non può impiccarci due volte, o sbaglio?» Suonò un accordo malinconico. «Con calma, adesso, non fartela addosso, milord Merrett. Tutto quello che devi fare è rispondere a una domanda, una sola. E io gli dirò di lasciarti andare.»

«Che cosa vuoi sapere?» Merrett era pronto a dirgli qualsiasi cosa, qualsiasi cosa, se la posta in gioco era la sua vita. «Ti dirò la verità, te lo giuro!»

Il fuorilegge gli rivolse un sorriso incoraggiante. «Bene, il caso vuole che stiamo cercando un cane che è scappato.»

«Un cane?» Merrett non capiva più niente. «Quale cane?»

«Uno che risponde al nome di Sandor Clegane. Thoros di Myr sostiene che potrebbe essersi diretto alle Torri Gemelle. Abbiamo trovato i barcaioli che lo hanno traghettato attraverso il Tridente in piena. E poi anche quel povero fesso che Clegane ha rapinato lungo la strada del Re. Non è che per caso alle Nozze rosse tu lo hai visto, eh?»

«Alle Nozze rosse?» Merrett aveva l’impressione che la sua testa fosse sul punto di spaccarsi in due, ma fece del suo meglio per ricordare. La confusione era terribile, quella notte, ma qualcuno avrebbe menzionato il mastino di Joffrey che annusava da quelle parti, se lo avesse visto. «Nel castello non c’era. Né al banchetto principale… forse era alla festa dei bastardi, o negli accampamenti, ma… no, qualcuno avrebbe detto…»

«Aveva una ragazzina con lui» aggiunse il cantastorie. «Una ragazzina magra di circa dieci anni. O forse un ragazzino della stessa età.»

«Non credo proprio.» Merrett scosse la testa. «Non ne so niente.»

«No? Ah, che peccato. D’accordo: è ora di andare su!»

«No!» berciò Merrett. «Non potete farlo, ti ho risposto. Hai detto che mi avresti lasciato andare.»

«Mi sembra di ricordare che quello che ho detto è che avrei detto a loro di lasciarti andare.» Il cantastorie guardò l’uomo con il mantello giallo. «Lem, lascialo andare.»

«Va’ a farti fottere, Tom» replicò bruscamente l’uomo grande e grosso.

Il cantastorie alzò le spalle sconsolato e si mise a suonare Il giorno che impiccarono Pettirosso Nero.

«Vi prego…» Gli ultimi residui del coraggio di Merrett stavano colandogli lungo la gamba. «Io non vi ho fatto alcun male. Vi ho portato l’oro, proprio come avevate chiesto. Ho risposto alla vostra domanda. Io… ho figli!»

«Il Giovane lupo invece non ne avrà mai» disse il fuorilegge con un occhio solo.

Merrett quasi non riusciva più a pensare, tanto gli doleva la testa. «Ci aveva ricoperto di vergogna. Tutto il reame rideva dei Frey. Noi dovevamo lavare l’onta al nostro onore.» Questo era quello che gli aveva detto suo padre lord Walder. Questo e anche molto di più.

«Forse era così, d’accordo. E poi, che possono saperne un branco di stupidi paesani dell’onore di un lord?» Mantello giallo avvolse tre giri di fune di canapa attorno al braccio. «In compenso, sappiamo tutto quello che c’è da sapere dell’assassinio.»

«Non è stato affatto un assassinio.» La voce di Merrett era stridula. «È stata una vendetta! Avevamo il diritto di avere la nostra vendetta. È stata la guerra. Aegon era il suo nome, ma noi lo chiamavamo Campanello, un povero demente che non aveva mai fatto del male a nessuno. Ma lady Stark gli ha tagliato la gola. Abbiamo perso almeno cinquanta dei nostri nell’assalto agli accampamenti degli uomini del Nord. Ser Garse Goodbrook, il marito di Kyra, ser Tytos, il figlio di Jared… qualcuno gli ha sfondato il cranio con un’ascia… Il meta-lupo di Robb Stark ha ucciso quattro dei nostri mastini e ha strappato un braccio al maestro dei canili… E questo dopo che lo avevamo riempito di dardi di balestra…»

«E quando il ragazzo e il suo lupo erano morti entrambi, avete cucito la testa del lupo sul corpo decapitato del ragazzo» disse l’uomo con il mantello giallo.

«È stato mio padre a fare questo. Tutto quello che ho fatto io è stato bere. Non potete uccidere un uomo per questo!» In quel momento, Merrett si ricordò di un’altra cosa, una cosa che forse poteva salvargli la vita. «Dicono che lord Beric fa sempre un processo, che non uccide mai qualcuno se non ci sono delle prove contro di lui. Voi non avete nessuna prova contro di me. Le Nozze rosse sono state opera di mio padre, di Ryman e di lord Bolton. Lothar lo Storpio ha fatto sabotare le grandi tende all’esterno del castello perché crollassero sugli uomini del Nord, e ha collocato balestrieri nella galleria della sala Grande, mescolandoli ai musicanti. Walder il Bastardo ha guidato l’attacco agli accampamenti. … Sono loro quelli che volete, non me. Io ho solo bevuto del vino… E non avete nessun testimone!»

«Qui ti sbagli.» Il cantastorie si voltò verso la donna incappucciata. «Milady?»

I fuorilegge si divisero. La donna si fece avanti, senza dire una parola. Abbassò il cappuccio. Nel petto di Merrett Frey qualcosa si strinse. Per un momento, non riuscì a respirare. E non a causa del nodo scorsoio. “No, non può essere. Io ti ho vista morire. Eri morta da un giorno e una notte quando denudarono il tuo corpo e lo gettarono nel fiume. Raymund ti ha aperto la gola da un orecchio all’altro. Tu sei morta, morta… morta!”

Il colletto del mantello celava lo squarcio che la lama di suo fratello, Raymund Frey, aveva scavato nel collo della donna. La faccia era ancora peggio di quello che Merrett ricordava. Le acque del Tridente avevano reso la carne flaccida, del colore del latte cagliato. Aveva perso gran parte dei capelli, e quelli che rimanevano erano bianchi e ispidi, come quelli di una vecchia. Sotto quel groviglio grottesco, il volto della donna, là dove si era dilaniata da sola con le unghie, era una maschera di pelle maciullata e sangue rappreso. Ma la parte più terribile erano gli occhi.

Occhi in grado di vedere.

E di odiare.

«Non può parlare» disse l’uomo grande e grosso con il mantello giallo. «Voi luridi bastardi le avete tagliato la gola troppo in profondità. Ma può ricordare.» Si girò verso la donna morta. «Che dici, milady? Era uno di loro?»

Gli occhi di lady Catelyn Stark non si staccarono da quelli di Merrett Frey. Nemmeno per un istante.

Lady Catelyn annuì.

Merrett Frey aprì la bocca per invocare pietà. Il serrarsi del nodo scorsoio gli troncò la voce. I suoi piedi si staccarono dal terreno coperto di foglie morte, la fune di canapa affondò nella pelle morbida sotto il suo mento. Merrett Frey salì nel vuoto sussultando, scalciando, contorcendosi. Salì in alto, in alto, sempre più in alto.

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