JAIME

La sua mano bruciava.

Ancora adesso, ancora adesso, così tanto tempo dopo che i Guitti Sanguinari avevano estinto la torcia con cui avevano cauterizzato il moncone gocciolante. Erano passati giorni e giorni, eppure Jaime Lannister continuava a sentire il fuoco che gli serpeggiava attorno al braccio, le dita che si contorcevano tra le fiamme… dita che avevano cessato di esistere.

In passato aveva subito altre ferite. Ma mai nessuna come questa. Né aveva mai conosciuto una sofferenza simile. A volte, senza che riuscisse a controllarle, vecchie preghiere gli sfuggivano dalle labbra. Invocazioni che aveva imparato da bambino, cui non aveva più pensato da quei giorni. Preghiere sussurrate per la prima volta assieme a Cersei, inginocchiato al suo fianco nel tempio di Castel Granito. A volte, aveva addirittura pianto, ma solo fino a quando non aveva udito le risate dei Guitti. A quel punto, lasciava che i suoi occhi si asciugassero, che il suo cuore diventasse di pietra, pregando solo che la febbre disseccasse le sue lacrime. “Ora so come si sentiva Tyrion tutte le volte che ridevano di lui.”

Quando cadde da cavallo per la seconda volta, lo legarono stretto a Brienne di Tarth e li costrinsero a condividere la stessa sella. Un giorno, invece che torace contro schiena, li legarono a faccia a faccia. «Gli amanti.» Shagwell il giullare fece un sospiro roco. «Che dolce spettacolo. E che crudeltà sarebbe separare il valente cavaliere dalla sua dama.» E poi rise, con quella sua risata distorta, stridente. «Ah, ma quale dei due è il cavaliere, e quale la dama?»

“Se avessi ancora la mia mano destra, lo scopriresti fin troppo in fretta” pensò Jaime. Le braccia gli dolevano, le gambe erano intorpidite dal morso delle corde, ma dopo un po’ nulla di tutto questo ebbe più importanza. L’universo sprofondò nella tortura pulsante della mano fantasma, e Brienne si strinse contro di lui. “Per lo meno è calda.” Jaime cercò di consolare se stesso, anche se il fiato della donzella era fetido quanto il suo.

E tra di loro c’era sempre la mano mutilata. Urswyck gliel’aveva appesa al collo con un tratto di fune, in modo che gli ballonzolasse sul petto, colpendo i seni di Brienne mentre Jaime scivolava dentro e fuori dall’incoscienza. Il suo occhio destro era ridotto a un’escrescenza tumefatta, chiuso dal gonfiore. La ferita che Brienne gli aveva inflitto quando si erano affrontati sul fiume si era malamente infiammata. Ma il dolore peggiore veniva dalla mano. Sangue e pus trasudavano dal moncone, e l’arto mancante pulsava a ogni passo del cavallo.

Jaime aveva la gola talmente corrosa da non essere in grado di mangiare ma beveva vino, quando glielo davano, e beveva acqua, quando gli veniva offerta. In un’occasione, gli presentarono una coppa piena di qualcosa. Lui la mandò giù senza nemmeno pensarci, mentre i Bravi Camerati si contorcevano dalle risate, un ragliare talmente forte, talmente sbracato da fargli dolere le orecchie. «È piscio di cavallo che ti stai bevendo, Sterminatore di re» lo schernì Rorge, l’uomo dal naso mozzato. Jaime era divorato dalla sete e bevve comunque, per vomitare tutto pochi momenti dopo. I Guitti costrinsero Brienne a lavargli il vomito dalla barba, esattamente come la costringevano a ripulirlo ogni volta che si ormava addosso sulla sella.

Una mattina fredda, umida, Jaime si sentì leggermente più in forze. Una sorte di follia s’impadronì di lui. Con la mano sinistra, si gettò sulla spada del mercenario dorniano e riuscì goffamente a estrarla dal fodero. “Che mi uccidano pure” pensò. “Basta che muoia combattendo, con la spada in pugno.” Non servì a niente. Shagwell arrivò saltellando, danzandogli accanto come se niente fosse quando lui tentò un fendente. Jaime perse l’equilibrio e barcollò in avanti, mulinando la spada alla cieca, cercando di decapitare il grottesco giullare. Shagwell continuò a saltellare, a volteggiare e piroettare, mentre i Guitti Sanguinari si piegavano in due dalle risate ai futili tentativi di Jaime di colpirlo. Alla fine, inciampò contro una roccia e cadde in ginocchio. Il giullare gli arrivò alle spalle e gli piantò un bacio viscido sul cranio. A quel punto, Rorge sbatté Shagwell da parte. Con un calcio, strappò la spada dalle deboli dita di Jaime mentre lui cercava nuovamente di sollevarla.

«Queschta volta è schtato divertente, Schterminatore di re» sputacchiò Vargo Hoat. «Ma sce ci riprovi, io ti schtacco l’altra mano. O forscie un piede.»

Più tardi, molto più tardi, Jaime giacque sulla schiena. Guardò su, al cielo notturno, cercando di non sentire il dolore che gli serpeggiava lungo il braccio a ogni movimento. La notte era stranamente bella. La luna era crescente, e gli parve di non avere mai visto così tante stelle. La Corona del Re era allo zenit, Jaime notò lo Stallone vicino all’orizzonte, ed ecco là il Cigno. La Vergine della Luna, timida come sempre, era parzialmente nascosta dietro un pino. “Com’è possibile che una notte come questa sia bella?” Jaime stentava ad accettarlo. “Per quale motivo le stelle vorrebbero splendere per qualcuno come me?”

«Jaime!» Il sussurro di Brienne era talmente remoto che lui ebbe l’impressione di stare sognando. «Jaime, che cosa fai?»

«Cerco di morire» sussurrò lui in risposta.

«No… No, tu devi vivere.»

Gli venne da ridere. «Piantala di dirmi quello che devo fare, donzella. Io muoio, se così mi aggrada.»

«Sei così codardo?»

Quella parola lo sconvolse. Lui era Jaime Lannister, cavaliere della Guardia reale. Era lo Sterminatore di re! Nessun uomo aveva mai osato chiamarlo codardo. Gli avevano dato molti altri appellativi, certo: spergiuro, mentitore, assassino. Dicevano di lui che era crudele, infido, temerario. Ma codardo, questo mai.

«Che altro mi resta, se non la morte?»

«La vita» rispose Brienne di Tarth. «La vita e la lotta e la vendetta.»

Ma aveva parlato a voce troppo alta. Rorge il senzanaso la udì, anche se non capì le parole. Arrivò per prenderla a calci, e urlarle di mordersi quella lingua del cazzo, se voleva continuare a tenersela.

“Codardo” pensava Jaime, mentre Brienne lottava per soffocare i gemiti di dolore. “E se fosse veramente così? Mi hanno mutilato la mano della spada. Sono stato soltanto questo, una mano della spada? Dèi, siate misericordiosi, è questa la verità?”

Eppure la donzella aveva visto giusto. No, lui non poteva, non doveva morire. Cersei lo stava aspettando. Cersei aveva bisogno di lui. E anche Tyrion, suo fratello minore, che gli voleva bene per una menzogna del passato. E anche i suoi nemici lo stavano aspettando: il Giovane lupo, che lo aveva sconfitto al bosco dei Sussurri, che aveva ucciso i suoi uomini attorno a lui; Edmure Tully, che lo aveva gettato nelle tenebre in catene; i Guitti Sanguinari.

Quando venne il mattino, Jaime si costrinse a mangiare. Lo nutrirono con una broda a base di orzo e di biada per cavalli, ma lui inghiottì a forza ogni cucchiaiata. Mangiò di nuovo al calare delle tenebre, e anche il giorno dopo. “Continua a vivere.” Se lo ripeteva brutalmente ogni volta che la broda gli faceva rivoltare le viscere. “Continua a vivere per Cersei, per Tyrion. Per la vendetta. Un Lannister ripaga sempre i propri debiti.” La mano mutilata pulsava, bruciava, puzzava. “Arriverò ad Approdo del Re e mi farò forgiare un’altra mano. D’oro massiccio. In modo da squarciare la gola a Vargo Hoat.”

I giorni e le notti si susseguivano fondendosi gli uni nelle altre in una nebbia di sofferenza. Di giorno, Jaime si addormentava sulla sella, premuto contro Brienne, il naso pieno del fetore della mano che andava in putrefazione. Di notte, giaceva sul nudo terreno, tra i tentacoli di un incubo a occhi aperti da cui era impossibile risvegliarsi. Debole com’era, i Guitti lo legavano sempre e comunque a un albero. Era una specie di consolazione sapere che continuavano a temerlo, perfino ora.

Brienne era sempre legata accanto a lui. Giaceva avvinta dalle funi, immobile come una grossa vacca morta, senza proferire parola. “La donzella ha costruito una fortezza dentro di sé. Ben presto incominceranno a stuprarla, ma non riusciranno a violarla dietro le mura della sua fortezza.” Invece le mura della fortezza di Jaime erano crollate. Gli avevano mozzato la mano, la mano della spada. E senza di essa, lui non era niente.

Era la sua mano destra a fare di lui un cavaliere. Ed era il suo braccio destro a fare di lui un uomo.


Un giorno, udì Urswyck dire qualcosa a proposito di Harrenhal, e Jaime ricordò che era quella la loro destinazione. La cosa lo fece ridere, e questo spinse Timeon il dorniano a colpirlo in pieno volto con un lungo, sottile scudiscio. La ferita si mise a sanguinare, ma rispetto al dolore della mano Jaime quasi non sentì niente.

«Che cos’avevi da ridere?» gli chiese la donzella quella notte, in un bisbiglio.

«È stato a Harrenhal che mi diedero la cappa bianca della Guardia reale» bisbigliò lui in risposta. «Il grande torneo di lord Whent. Voleva mostrare a tutti noi il suo grande castello e i suoi cinque figli. Anch’io volevo mostrare loro qualcosa. Avevo solo quindici anni, ma nessuno sarebbe riuscito a battermi quel giorno. Aerys il Folle non mi permise di partecipare al confronto alla lancia.» Rise di nuovo. «Mi mandò via. E adesso è proprio là che sto tornando.»

I Guitti udirono la risata. E quella notte fu Jaime a ricevere calci e pugni. Quasi non li sentì, fino a quando Rorge non gli passò con lo stivale sul moncone. A quel punto perse conoscenza.


Fu la notte seguente che infine arrivarono. Tre della feccia peggiore: Shagwell il giullare, Rorge il senzanaso e Zollo, il dothraki grasso che gli aveva mozzato la mano con l’arakh. Nell’avvicinarsi, Zollo e Rorge litigavano su chi l’avrebbe presa per primo, sembrava non esserci dubbio che l’ultimo sarebbe stato il giullare. Shagwell suggerì che tutti e due la prendessero per primi, inforcandola uno dal davanti l’altro dal dietro. L’idea piacque a Zollo e a Rorge, ma poi si misero a litigare su chi l’avrebbe presa davanti e chi dietro.

“Faranno anche di lei una storpia, ma dentro, dove non si vede.” «Donzella» le sussurrò Jaime, mentre Zollo e Rorge continuavano a urlarsi oscenità. «Lascia che si prendano la carne, e tu va’ lontano, molto lontano. Sarà finita più in fretta, e loro ne ricaveranno meno piacere.»

«Non ricaveranno alcun piacere da quello che ho intenzione di dargli» ribatté lei in un soffio, bellicosa.

“Stupida testarda donna coraggiosa…” Brienne di Tarth avrebbe finito con il farsi ammazzare, Jaime non aveva dubbi. “E a me che cosa importa? Se su quel fiume lei non fosse stata tanto idiota, io avrei ancora la mia mano.” Eppure udì se stesso dire: «Lasciali fare e vattene lontano».

Perché era questo che anche lui aveva fatto quando gli Stark erano stati annientati davanti ai suoi occhi: lord Rickard che arrostiva dentro la sua armatura al calore dell’altofuoco degli alchimisti, e suo figlio Brandon che si strangolava da solo nel tentativo di salvarlo. «Pensa a Renly, se lo amavi. Pensa a Tarth, montagne e oceani, sorgenti, cascate, qualsiasi cosa tu abbia sulla tua isola di Zaffiro, pensa a…»

Ma a quel punto, Rorge aveva avuto la meglio sul dothraki. «Sei la donna più racchia che abbia mai visto» disse a Brienne. «Ma non credere che io non possa farti ancora più racchia. Lo vuoi, un naso come il mio? Prova a resistere, e lo avrai. E due occhi, sono troppi. Un solo urlo, e te ne faccio schizzare uno dalla testa e te lo faccio mangiare. E poi ti strappo a uno a uno quei dentoni del cazzo.»

«Oh, sì, strappaglieli, Rorge» implorò Shagwell. «Senza denti, sembrerà proprio la mia cara vecchia mammetta.» Sghignazzò. «Ho sempre voluto chiavarla su per il culo, la mia cara vecchia manimetta.»

Jaime ridacchiò. «Che ridere, giullare. E adesso ce l’ho io un indovinello per te, Shagwell. Che ti frega se anche lei urla? Oh, aspetta, lo so…» Jaime urlò a squarciagola. «Zaffiri!»

Bestemmiando, Rorge gli pestò di nuovo il moncone con lo stivale. Jaime urlò. “Non credevo che al mondo potesse esistere una sofferenza simile.”

Fu l’ultima cosa che ricordò. Non ebbe idea di quanto a lungo rimase nelle tenebre. Quando il dolore tornò a risputarlo fuori dal buio, c’era Urswyck. E c’era anche Vargo Hoat, in persona.

«Queschti qua non devono escere toccati!» urlò il Caprone, sputacchiando bava addosso a Zollo. «Lei deve reschtare vergine, pezzo di schtupido! Lei vale un’intera borscia di sciaffiri!»

Da quella notte in poi, ogni notte Vargo Hoat mise i suoi uomini a fare loro la guardia. Per proteggerli dagli altri suoi uomini.

Due notti trascorsero in silenzio prima che Brienne trovasse finalmente il coraggio di sussurrare. «Jaime? Perché hai gridato?»

«Perché ho gridato “zaffiri”, vuoi dire? Usa il buonsenso, donzella. Ti pare che se avessi gridato “stupro” sarebbe fregato qualcosa a questo branco da cloaca?»

«Non c’era bisogno di gridare e basta.»

«È già abbastanza duro guardarti in faccia con il naso. E poi volevo far dire al Caprone “borscia di sciaffiri”» ridacchiò. «Buon per te che sono un gran bugiardo. Un uomo d’onore avrebbe detto la verità sull’isola di Zaffiro.»

«Non cambia niente» replicò Brienne. «Comunque, ti ringrazio, cavaliere.»

La mano che non c’era aveva ricominciato a pulsare. Jaime digrignò i denti: «Un Lannister ripaga sempre i propri debiti» disse. «È stato per il fiume, per quelle rocce che hai fatto piovere addosso a Robin Ryger.»


Il Caprone voleva fare un ingresso memorabile, così Jaime venne costretto a smontare da cavallo a oltre un miglio di distanza dalle porte di Harrenhal. Gli passarono una fune attorno alla vita, ne passarono un’altra attorno ai polsi di Brienne e legarono le estremità di entrambe al pomo della sella di Vargo Hoat. A fianco a fianco, Jaime e la donzella avanzarono sussultando dietro la zorze a strisce del capitano mercenario di Qohor.

Fu il furore a spingere Jaime in avanti. La benda che gli avvolgeva il moncone era grigia, intrisa di pus puzzolente. Le dita fantasma urlavano a ogni passo. “Sono più forte di quanto loro possono sapere” disse a se stesso. “Sono ancora un Lannister. Sono ancora un cavaliere della Guardia reale.” Avrebbe raggiunto Harrenhal, certo. E poi Approdo del Re. Avrebbe continuato a vivere. “In modo da ripagare questo debito, e con gli interessi.”

Mentre si avvicinavano alle mura simili a scogliere della mostruosa fortezza di Harren il Nero, Brienne gli strinse il braccio. «È lord Bolton a tenere il castello. I Bolton sono alfieri degli Stark.»

«I Bolton scuoiano i loro nemici.»

Era solo questo che Jaime ricordava riguardo al sinistro, livido nobile del Nord. Tyrion avrebbe saputo tutto quello che c’era da sapere riguardo al lord di Forte Terrore, ma Tyrion era mille leghe lontano, con Cersei. “Non posso morire mentre Cersei vive. Siamo nati assieme, moriremo assieme.”

Il fortino all’esterno delle mura era ridotto a un ammasso di cenere e pietre annerite dal fuoco. E di recente molti uomini e molti cavalli erano stati accampati lungo la sponda del lago dell’Occhio degli Dèi. Là, nell’anno della falsa primavera, lord Whent aveva allestito il suo grande torneo. Mentre attraversavano il terreno dalle zolle rivoltate, un sorriso venato di amarezza increspò le labbra di Jaime. Nel medesimo punto in cui lui si era inginocchiato al cospetto del re Folle, a pronunciare il giuramento solenne della Guardia reale, qualcuno aveva scavato il fossato delle latrine. “Mai avrei immaginato quanto rapidamente il miele sarebbe diventato sterco. Aerys non mi permise di sentirne il gusto nemmeno per una notte. Prima mi onorò, e subito dopo mi sputò addosso.”

«I vessilli» osservò Brienne. «Uomo scuoiato e torri gemelle. Vedi? Gli uomini che hanno giurato fedeltà a Robb. E guarda là, sopra il corpo di guardia, grigio in campo bianco. Sventolano il meta-lupo.»

Jaime torse il collo per guardare a sua volta. «È il tuo fottuto lupo, certo» concordò. «E se non erro, quelle che vedo ai lati sono teste mozzate.»

Soldati, servi e baldracche al seguito delle truppe si radunarono per coprirli di insulti. Abbaiando e ringhiando, una cagna maculata si mise a seguirli per tutto l’accampamento, fino a quando un mercenario lyseniano la infilzò con la picca e passò al galoppo in testa alla colonna. «Innalzo il vessillo dello Sterminatore di re!» urlò, poi sollevò il cadavere del cane al di sopra della testa di Jaime.

Le mura di Harrenhal erano talmente spesse che varcarle fu come passare in un tunnel di pietra. Vargo Hoat aveva mandato avanti due dei suoi dothraki a informare lord Bolton del loro arrivo, per cui il cortile esterno era pieno di curiosi. Fecero ala per lasciar passare Jaime nel suo incedere barcollante, la fune attorno alla vita che sussultava, che lo trascinava ogni volta che lui rallentava il passo.

«Io vi do lo Schterminatore di re!» proclamò Vargo Hoat in quel suo modo distorto, sbavante.

La punta di una picca colpì la schiena di Jaime, buttandolo a terra. D’istinto, protese le mani in avanti per fermare la caduta. Il moncone urtò contro le pietre. Ennesima, accecante esplosione di dolore. Eppure, in qualche modo, Jaime riuscì ad alzarsi appoggiandosi su un ginocchio. Di fronte a lui, una rampa di alti gradini di pietra conduceva all’ingresso di uno degli immani torrioni cilindrici di Harrenhal. Cinque cavalieri e un uomo del Nord erano là immobili, a guardarlo. L’uomo pallido indossava lana e pellicce, gli altri cinque apparivano minacciosi in corazza e maglia di ferro, con l’emblema delle torri gemelle sulle tuniche.

«Una furia di Frey» dichiarò Jaime. «Ser Danwell, ser Aenys, ser Hosteen.» Sapeva riconoscere i figli di lord Walder; in fondo, sua zia era sposata a uno di loro. «Vi porgo le mie condoglianze.»

«Per che cosa, cavaliere?» chiese ser Danwell Frey.

«Per ser Cleos, figlio di tuo fratello» rispose Jaime. «Ha cavalcato con noi fino a quando alcuni fuorilegge lo hanno crivellato di frecce. Urswyck e questa banda lo hanno quindi spogliato di tutto e hanno lasciato il suo corpo ai lupi.»

«Miei lord!» Brienne diede uno strappo alla fune che la imprigionava e si fece avanti. «Ho riconosciuto i vostri vessilli. Ascoltate le mie parole, nel nome del vostro giuramento.»

«E chi è a parlare?» chiese imperiosamente ser Aenys Frey.

«La balia aschiutta di Lannischter» sputacchiò Hoat.

«Sono Brienne di Tarth, figlia di lord Selwyn di Evenstar. E ho giurato fedeltà alla Casa Stark, così come avete fatto anche voi.»

Ser Aenys sputò davanti ai suoi piedi. «Questo per i tuoi giuramenti. Noi ci eravamo fidati della parola di Robb Stark, e lui ha ripagato la nostra fede con il tradimento.»

“Ma guarda. Questo sì che è un risvolto interessante.” Jaime si contorse per vedere come Brienne incassava l’accusa, ma la donzella era più testarda di un mulo con il morso tra i denti.

«Non sono a conoscenza di alcun tradimento.» Fece forza contro la fune che le scorticava i polsi. «Lady Catelyn mi ha ordinato di portare Jaime Lannister da suo fratello, ad Approdo del Re…»

«Quando li abbiamo trovati, lei stava cercando di annegarlo» precisò Urswyck il Fedele.

Brienne avvampò di rossore. «Presa dalla rabbia, ho perduto il controllo, ma non lo avrei mai ucciso. Se dovesse morire, i Lannister passerebbero a fil di spada le figlie della mia lady Catelyn.»

Ser Aenys non si fece commuovere. «E per quale motivo questo dovrebbe riguardarci?»

«Rimandiamolo a Delta delle Acque» propose ser Danwell. «Contro riscatto.»

«Castel Granito ha più oro di Delta delle Acque» obiettò un altro fratello Frey.

«Uccidiamolo!» disse un altro fratello ancora. «La sua testa per quella di Ned Stark!»

Shagwell il giullare, nel suo costume grigio e rosa, saltellò alla base della scalinata di pietra e si mise a cantare. «C’era una volta un leone che danzava con un orso, oh-oh, oh-oh…»

«Scilenscio, schtupido» lo zittì Vargo Hoat. «Lo Schterminatore di re non è per l’orscio. Lui è mio.»

«Non è uomo da mettere a morte.» Roose Bolton, l’uomo pallido, parlò a voce talmente bassa che, per poterlo udire, tutti tacquero. «E vorrei che ricordassi, lord Hoat, che tu non sarai il maestro di Harrenhal fino a quando io non avrò marciato a nord.»

A Jaime, la febbre continuava a dare le vertìgini. E a renderlo temerario. «Che quest’uomo sia davvero il temuto lord di Forte Terrore? L’ultima cosa che ho udito di te è che mio padre ti aveva messo in fuga con la coda tra le gambe. Perciò dimmi, lord, quand’è che avresti smesso di fuggire?»

Il silenzio di Bolton fu cento volte più minaccioso della gorgogliante malevolenza di Vargo Hoat. Pallidi come la nebbia dell’alba, i suoi occhi celavano molto più di quanto comunicassero. A Jaime Lannister non piacevano, quegli occhi. Gli ricordavano quel giorno ad Approdo del Re, il giorno maledetto in cui Ned Stark lo aveva trovato seduto sul Trono di Spade. Alla fine, il lord di Forte Terrore dischiuse le labbra: «Hai perduto una mano» constatò.

«Niente affatto» ribatté Jaime. «L’ho proprio qui, appesa al collo.»

Roose Bolton allungò un braccio, strappò la corda con un gesto secco e gettò l’arto putrefatto verso Vargo Hoat. «Porta via questa cosa. La sua vista mi offende.»

«Penscierò io a mandarla al lord sciuo padre. Gli dirò che deve pagare scentomila dragoni, o io farò scì che lo Schterminatore di re gli venga riportato in scento pezzi. E poi, quando abbiamo prescio il sciuo oro, noi conscegneremo scer Jaime a Karschtark, così avremo un altro rischcatto!» Un ruggito di risate percorse i Bravi Camerati.

«Un ottimo piano» disse Roose Bolton con lo stesso tono con cui avrebbe potuto dire: “Un ottimo vino” a un commensale. «Anche se, lord Hoat, dubito che lord Rickard Karstark ti mostrerà la sua gratitudine concedendoti sua figlia. Re Robb infatti lo ha accorciato della testa, per tradimento e assassinio. Quanto a lord Tywin, lui è ad Approdo del Re, dove rimarrà fino al nuovo anno, quando suo nipote Joffrey prenderà in sposa una figlia di Alto Giardino.»

«Grande Inverno» corresse Brienne. «Tu intendi dire Grande Inverno. Re Joffrey è promesso a Sansa Stark.»

«Non più. La battaglia delle Acque Nere ha cambiato tutto. È là che la rosa e il leone hanno stretto alleanza, annientando l’esercito di Stannis Baratheon e riducendo in cenere la sua flotta.»

“Io ti avevo avvertito, Urswyck” pensò Jaime. “Quando si scommette contro i leoni, si finisce con il perdere ben più della borsa.” «Che ne è di mia sorella?» chiese a Bolton.

«Gode di buona salute. Lo stesse vale per tuo… nipote.» Il lord di Forte Terrore fece una pausa prima di dire nipote. Una pausa che voleva dire io so. «Anche tuo fratello Tyrion vive, sebbene sia rimasto ferito nella battaglia.» Fece cenno a un uomo del Nord dall’aspetto minaccioso, il quale indossava una tunica di pelle borchiata. «Accompagna ser Jaime da Qyburn. E libera le mani di questa donna.» La corda che legava i polsi di Brienne venne tagliata. «Perdonaci, lady, ti prego. In tempi turbolenti come questi, è arduo distinguere gli amici dai nemici.»

Brienne si massaggiò l’interno dei polsi, dove la fune aveva messo a nudo la carne viva. «Mio lord, questi uomini hanno cercato di stuprarmi.»

«A tanto sono arrivati?» I pallidi occhi di Bolton si spostarono su Vargo Hoat. «Non sono compiaciuto, lord Vargo. Né di questo né della mano di ser Jaime.»

Nel cortile di Harrenhal c’erano cinque uomini del Nord e altrettanti Frey per ciascuno dei Guitti Sanguinari. Forse il lord Caprone non era il più astuto dei mercenari, in compenso sapeva contare quanto bastava. Tenne quindi a freno la lingua.

«Mi hanno preso la spada» insistette Brienne. «E anche l’armatura…»

«Qui non avrai bisogno di armature, lady» le disse lord Bolton. «A Harrenhal sei sotto la mia protezione. Comare Amabel, trova un alloggio appropriato per lady Brienne. Walton, tu ti occuperai subito di ser Jaime.»

Bolton non attese risposte. Si voltò e prese a salire gli scalini di pietra, la cappa bordata di pelliccia che volteggiava dietro di lui. Jaime ebbe appena il tempo di scambiare una rapida occhiata con Brienne prima che entrambi fossero condotti via. In direzioni diverse.


Le stanze del maestro di Harrenhal si trovavano sotto l’uccelliera. Un uomo di nome Qyburn, capelli grigi e aria paterna, trattenne il fiato dopo aver tagliato la benda lurida che avvolgeva il moncone della mano di Jaime.

«È davvero così brutta? Morirò?»

Qyburn premette la punta di un dito sulla ferita, storcendo il naso allo sgorgare del pus. «No. Per quanto, se avessimo aspettato qualche altro giorno…» Lacerò la manica di Jaime. «La cancrena si è diffusa. Vedi com’è corrotta la carne? Devo tagliarla via tutta quanta. La cosa migliore sarebbe amputare l’intero braccio.»

«In quel caso, sarai tu a morire» minacciò Jaime. «Ripulisci il moncone e ricucilo. Correrò i miei rischi.»

Qyburn corrugò la fronte. «Potrei lasciarti la parte superiore del braccio e amputare al gomito, ma…»

«Tu amputa una qualsiasi parte del braccio, e farai meglio ad amputarmi anche l’altro. Perché è quello che dopo userò per strangolarti.»

Qyburn lo fissò negli occhi. Qualsiasi cosa vide in essi, bastò a convincerlo. «Molto bene. Rimuoverò la carne corrotta, non di più. Cercherò di bruciare la cancrena con vino bollente e con un impasto di ortica, semi di senape e muffa di pane. Forse basterà. La decisione spetta a te. Se desideri il latte di papavero…»

«No.» Jaime non voleva permettere che lo addormentassero. A dispetto delle rassicurazioni di quell’uomo, avrebbe potuto risvegliarsi senza un braccio.

Qyburn fu sorpreso. «Sarà doloroso.»

«Urlerò.»

«Molto doloroso.»

«Urlerò molto forte.»

«Accetterai per lo meno di bere del vino?»

«Il sommo septon accetta di pregare?»

«Oh, di questo non sono del tutto certo. Porterò il vino. Mettiti sdraiato, devo legarti il braccio.»

Munito di un bacile e di una lama affilata, Qyburn ripulì il moncone mentre Jaime ingollava vino forte, versandoselo addosso in continuazione. La sua mano sinistra non sembrava essere in grado di trovare la bocca, ma in questo c’era almeno un vantaggio: l’odore del vino che impregnò la sua barba lercia servì ad attenuare il fetore del pus.

Ma nulla fu d’aiuto quando venne il momento di rimuovere la carne corrotta. Fu quello il momento in cui Jaime urlò, in cui picchiò contro il tavolo il pugno che gli rimaneva, picchiò e picchiò. Urlò di nuovo quando Qyburn versò vino bollente sui resti del moncone. A dispetto di tutti i suoi giuramenti, di tutte le sue paure, a tratti Jaime perse comunque conoscenza. Quando tornò in sé, il maestro stava ricucendogli il braccio con ago e budello di gatto.

«Ho lasciato un lembo di pelle in modo che possa essere ripiegato sul polso.»

«Tu hai già fatto cose simili» mugolò debolmente Jaime. In bocca, dove si era morso la lingua, aveva il gusto metallico del sangue.

«Nessun uomo che sia al servizio di Vargo Hoat è estraneo ai moncherini. Ce ne sono dovunque lui vada.»

Eppure, valutò Jaime, questo Qyburn non sembrava un mostro. Era asciutto e di poche parole, ma c’era calore nei suoi occhi castani. «Come fa un maestro a finire a cavalcare assieme ai Bravi Camerati?»

«La Cittadella mi ha revocato la catena dell’ordine.» Qyburn mise via l’ago. «Devo occuparmi anche della ferita che hai sull’occhio. La carne è malamente infiammata.»

Jaime chiuse gli occhi, lasciando che il vino e Qyburn finissero il lavoro. «Parlami della battaglia.» Qyburn si occupava dei corvi messaggeri di Harrenhal, perciò era stato il primo ad averne notizia.

«Lord Stannis è stato preso tra tuo padre e il fiume delle Rapide Nere che bruciava. Si dice che sia stato il Folletto ad appiccare il fuoco alle acque.»

Jaime vide fiamme verdi salire nel cielo, più alte del più alto edificio di Approdo del Re. Vide uomini urlanti carbonizzati nelle strade. “Ho già fatto questo sogno.” La situazione aveva qualcosa di comico: non c’era nessuno con cui condividere quella battuta.

«Prova ad aprire l’occhio.» Qyburn immerse un panno nell’acqua calda, ripulendo la crosta di sangue secco. La palpebra era gonfia, ma Jaime si rese conto di riuscire a sollevarla a metà. «Questo chi te l’ha fatto?» chiese il maestro.

«Regalo di una donzella.»

«Difficile seduzione, mio lord?»

«La donzella in questione è più grossa di me e più brutta di te. Meglio che tu dia un’occhiata anche a lei. Zoppica ancora a causa del colpo che le ho assestato mentre duellavamo.»

«Provvederò. Che cosa rappresenta per te questa donna?»

«È la mia protettrice.» Nonostante il dolore, Jaime non poté fare a meno di ridere.

«Triturerò certe erbe che potrai mescolare al vino per ridurre la febbre. Torna da me domattina. Ti metterò una sanguisuga sull’occhio, in modo da rimuovere il sangue cattivo.»

«Una sanguisuga. Fantastico.»

«Lord Bolton ama molto le sanguisughe» affermò Qyburn, non senza un certo sussiego.

«Ma no?» fece Jaime. «Chi l’avrebbe mai detto.»

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