TYRION

Da qualche parte alle sue spalle, tra i ranghi di cappe dorate schierate lungo la strada, un cavallo nitrì con impazienza. Tyrion udì anche l’immancabile tosse di lord Gyles Rosby. Non aveva richiesto la presenza di lord Gyles, non più di quanto avesse richiesto quella di ser Addam Marbrand o di Jalabhar Xho o di chiunque altro. Ma il lord suo padre aveva insistito che Doran Martell, principe di Dorne, avrebbe potuto non gradire di avere un nano come unica scorta da una sponda all’altra delle Acque Nere.

“Joffrey sarebbe dovuto venire ad accogliere i dorniani di persona” rimuginò il Folletto, continuando ad aspettare “solo che avrebbe trasformato tutta la faccenda in una farsa, non c’è dubbio.” Di recente, il giovane re si era messo a ripetere le battute più o meno umoristiche sui dorniani che sentiva dagli armati di lord Mace Tyrell. “Quanti dorniani ci vogliono per ferrare un cavallo? Nove. Uno per mettere il ferro, gli altri otto per sollevare il cavallo.” Per qualche ragione, Tyrion non riteneva che Doran Martell avrebbe condiviso quel genere di umorismo.

Vide i loro vessilli al vento mentre i cavalieri emergevano in una lunga colonna polverosa dal verde della foresta risparmiata dal fuoco. Da quel punto fino al fiume, rimanevano solo neri tronchi bruciati, retaggio della battaglia. “Troppi vessilli” pensò acidamente il Folletto. Rimase a osservare le ceneri sollevate dagli zoccoli dei cavalli che si avvicinavano. Anche gli zoccoli dei cavalli dell’avanguardia di Tyrell, sfondando il fianco dello schieramento di Stannis, avevano sollevato quelle medesime ceneri. “Si direbbe che Martell si sia portato dietro metà dei lord di Dorne.” Cercò di pensare che da tutto questo sarebbe anche potuto venire fuori qualcosa di buono, ma non riuscì proprio a vedere che cosa.

«Quanti vessilli conti?» chiese a Bronn.

Il mercenario si fece visiera sugli occhi con una mano. «Otto… no, nove.»

Tyrion si voltò indietro sulla sella. «Pod, vieni qui. Descrivi gli emblemi che vedi, e dimmi quali Case rappresentano.»

Podrick Payne, il suo giovane scudiero, si accostò in sella al suo castrato. Innalzava lo stendardo reale, il grande emblema di Joffrey con il cervo e il leone, lottando contro il suo peso. Bronn reggeva il vessillo di Tyrion, il leone dei Lannister, oro in campo porpora.

“Pod sta crescendo di statura” si rese conto Tyrion mentre il ragazzo si alzava in piedi sulle staffe per vedere meglio. “Presto anche lui, come tutti gli altri, sarà più alto di me.” Per ordine di Tyrion, Podrick aveva studiato con diligenza l’araldica di Dorne ma, come sempre, era nervoso. «Non riesco a vedere bene. Il vento li fa ondeggiare troppo.»

«Bronn, di’ tu al ragazzo quello che vedi.»

Quel giorno, con il nuovo farsetto e il nuovo mantello, la catena fiammeggiante di traverso sul torace, Bronn appariva un vero cavaliere. «Sole rosso su sfondo arancio» descrisse «con una lancia di traverso sul retro.»

«Martell» disse subito Podrick Payne, visibilmente sollevato. «Casa Martell di Lancia del Sole, mio signore. Il principe di Dorne.»

«Questo lo sa anche il mio cavallo» rispose Tyrion in tono secco. «Dagliene un altro, Bronn.»

«C’è una bandiera viola con delle palle gialle.»

«Limoni?» azzardò Pod speranzoso. «Limoni disseminati su sfondo viola? La Casa Dalt di Lemonwood?»

«Potrebbe essere. Quello dopo ha un grande uccello nero sul giallo. Qualcosa di bianco o di rosa nelle zampe, difficile dirlo con il vessillo che sbatte.»

«L’avvoltoio dei Montenero trattiene un infante tra gli artigli» disse Pod. «Casa Montenero di Montenero, cavaliere.»

«Di nuovo a leggere libri, Pod?» Bronn rise. «I libri ti mandano in malora l’occhio della spada, ragazzo. Vedo un teschio. Vessillo nero.»

«Il teschio incoronato della Casa Manwoody, color osso e oro su sfondo nero.» Pod diventava sempre più determinato a ogni risposta esatta. «I Manwoody di Tomba del Re.»

«Tre ragni neri?»

«Sono scorpioni, cavaliere. Casa Qorgyle di Sandstone, tre scorpioni neri in campo rosso.»

«Rosso e giallo, una linea spezzata tra di loro.»

«Le fiamme di Hellholt. Casa Uller.»

Tyrion era ammirato. “Il ragazzo non è per niente stupido, una volta che gli si scioglie la lingua.” «Continua, Pod» lo esortò. «Se me li dici tutti, ti faccio un regalo.»

«Una torta a fette rosse e nere» incalzò Bronn. «Con una mano dorata nel mezzo.»

«Casa Allyrion di Grazia degli Dèi.»

«Un pollo rosso che mangia un serpente, sembra.»

«I Gargalen di Costa del Sale. È un serpentario. Cavaliere, chiedo venia. È un serpentario, non un pollo. Rosso, con un serpente nero nel becco.»

«Molto bene!» esclamò Tyrion. «Ancora uno, ragazzo.»

Bronn osservò le schiere dorniane in avvicinamento. «L’ultimo è una piuma dorata su scacchi verdi.»

«Una penna dorata, cavaliere. Jordayne di Tor.»

Tyrion rise. «E sono nove. Bene. Nemmeno io sarei stato in grado di riconoscerli rutti.» L’ultima era una bugia, ma avrebbe dato al ragazzo un po’ d’orgoglio, qualcosa di cui aveva un grande bisogno.

“Martell si porta dietro dei compagni formidabili, a quanto sembra.” Non una delle nobili Case che Pod aveva menzionato era piccola o insignificante. Erano nove dei più grandi lord di Dorne quelli che risalivano la strada del Re, loro o i loro eredi. E Tyrion non era affatto convinto che avessero fatto tutta quella strada solo per vedere un orso danzante. Un simile spiegamento di forze e di blasoni era un messaggio. “E un messaggio che non mi piace.” Si chiese se non avesse commesso un errore a mandare Myrcella quale protetta a Lancia del Sole.

«Mio lord» disse timidamente Pod. «Non c’è alcuna carrozza.»

Tyrion voltò di scatto la testa. Il ragazzo aveva ragione.

«Doran Martell viaggia sempre in carrozza» aggiunse il giovane scudiero. «Un carro scolpito munito di drappi di seta, con sopra il sole dei Dorne.»

La stessa cosa che aveva sentito Tyrion. Il principe Doran era oltre la cinquantina e afflitto dalla gotta. “Può darsi che questa volta abbia voluto fare più in fretta” ipotizzò. “Può darsi che abbia temuto che la sua carrozza potesse costituire una ghiotta preda per i briganti. O che fosse troppo ingombrante sugli alti passi montani della strada delle Ossa. Può darsi che abbia scelto di sopportare la gotta.”

Poteva darsi, certo. E allora come mai aveva quella brutta sensazione?

L’attesa stava diventando intollerabile. «In alto i vessilli» scattò Tyrion. «Andiamo a incontrarli.»

Diede di speroni. Bronn e Podrick furono i primi a seguirlo, l’uno alla sua destra, l’altro alla sua sinistra. Quando i dorniani li videro, aumentarono a loro volta l’andatura, i vessilli che garrivano nel vento. Alle loro selle ornate erano appesi gli scudi rotondi di metallo, preferiti dai guerrieri dell’estremo Sud dell’Occidente. Molti erano armati di fasci di corte picche da lancio, o dei classici archi dorniani a doppia curvatura che sapevano usare da cavallo con micidiale precisione.

Esistevano tre tipi di dorniani, come il temerario re Daeron Targaryen I, chiamato il Giovane drago, aveva osservato tanto tempo prima durante la sua sanguinosa conquista di Dorne. C’erano i dorniani del sale, che vivevano lungo le coste, i dorniani della sabbia, abitatori dei deserti e delle lunghe valli fluviali e, infine, i dorniani della roccia, il cui dominio erano i passi e le altezze delle Montagne Rosse. I dorniani del sale erano quelli nelle cui vene scorreva sangue di Rhoyne, l’antico regno di Nymeria, leggendaria regina guerriera. I dorniani della roccia erano quelli con il minore retaggio rhoynar.

Tutte e tre le etnie sembravano ben rappresentate nel seguito del principe Doran. I dorniani del sale erano agili e scuri, pelle liscia, olivastra, e lunghi capelli neri che fluttuavano nel vento. I dorniani della sabbia erano di carnagione addirittura più scura, le facce abbronzate dal torrido sole di Dorne. Per evitare insolazioni, avvolgevano attorno ai loro elmi lunghe sciarpe dai colori chiari. I dorniani della roccia erano di corporatura più robusta e di pelle più chiara, discendenti degli andali e dei Primi Uomini, dai capelli castani chiari o biondi, facce cosparse di lentiggini e bruciate dal sole invece che abbronzate.

I lord indossavano caftani di seta e satin, con cinture ingioiellate e maniche fluenti. Le loro armature erano pesantemente smaltate, con istoriazioni di rame brunito, argento scintillante, soffice oro rosso. Cavalcavano cavalli dal pelo fulvo, dorato, alcuni addirittura bianco come la neve. Animali snelli e veloci, dai lunghi colli e dagli splendidi musi affilati. I favolosi destrieri delle sabbie di Dorne erano più piccoli dei cavalli da guerra veri e propri, né potevano reggere il peso dell’armatura, ma si diceva che potessero galoppare per un intero giorno, un’intera notte e tutto il giorno successivo senza mai stancarsi.

Il capo dorniano inforcava uno stallone nero come il peccato, coda e criniera rosse come il fuoco. Sedeva in sella come se vi fosse nato, alto, asciutto, aggraziato. Dietro le sue spalle ondeggiava una cappa di pallida seta rossa. La sua tunica era ornata da file sovrapposte di dischi di rame, che a ogni falcata scintillavano come monete appena uscite dalla forgia. Sul suo alto elmo lavorato dominava un sole di rame, e sullo scudo rotondo appeso alle sue spalle il sole trafitto dalla lancia dei Martell campeggiava sulla levigata superficie di metallo.

“Un sole Martell, ma di dieci anni più giovane” pensò Tyrion nel trattenere le redini “fin troppo atletico, e decisamente troppo feroce.” A quel punto, aveva capito con chi avrebbe dovuto fare i conti. “Quanti dorniani ci vogliono per iniziare una guerra?” chiese a se stesso. “Uno solo.” Eppure, non ebbe altra scelta se non sorridere.

«Lieto d’incontrarvi, miei lord. Abbiamo avuto notizia del vostro arrivo, e sua maestà re Joffrey ha insistito perché venissi a darvi il benvenuto in suo nome. Anche il lord mio padre, Primo Cavaliere del re, vi manda i suoi saluti.» Tyrion esibì un’espressione amabilmente confusa. «Quale di voi è il principe Doran?»

«La salute di mio fratello richiede che lui rimanga a Lancia del Sole.»

Il nobile sul cavallo nero come il peccato, dalla criniera e la coda rosse come il fuoco, si tolse l’elmo. Sotto c’era un volto scavato, saturnino, dalle sottili sopracciglia arcuate su grandi occhi neri. Neri e vividi come pozze d’olio di carbone. Appena qualche filo argenteo interrompeva la compattezza dei suoi lucenti capelli neri, i quali avevano cominciato a recedere dalla sua fronte, formando un picco di vedova appuntito quanto il suo naso. “Un dorniano del sale, è certo.”

«Il principe Doran mi ha inviato a sedere in sua vece nel concilio di re Joffrey, se così compiace a sua maestà.»

«Sua maestà sarà onorato di avere a consiglio un rinomato guerriero quale il principe Oberyn di Dorne» disse Tyrion. Ma nel dirlo pensava invece: “L’uomo chiamato Vipera rossa… Questo significherà fiumi di sangue nelle strade”. «E anche i tuoi nobili compagni sono i benvenuti.»

«Consentimi, lord Lannister, di presentarteli. Ser Deziel Dalt, di Lemonwood. Lord Tremond Gargalen. Lord Harmen Uller e suo fratello ser Ulwydc. Ser Ryon Allyrion e suo figlio naturale ser Daemon Sand, il bastardo di Grazia degli Dèi. Lord Dagos Manwoody, suo fratello ser Myles, i suoi figli Mors e Dickon. Ser Arron Qorgyle. E non sia mai che io trascuri le signore. Myria Jordayne, erede di Tor. Lady Larra Montenero, sua figlia Jynessa, suo figlio Perros.» Il principe Oberyn Martell indicò una donna dai capelli neri verso il fondo della colonna, facendole cenno di avvicinarsi. «E questa è Ellaria Sand, la mia concubina.»

Tyrion riuscì a soffocare un grugnito. “La sua concubina, e nata bastarda… Se Oberyn la vorrà alle nozze, Cersei andrà fuori di testa da qui fino ai sette inferi.” Se Ellaria Sand fosse stata relegata in qualche infimo angolo del banchetto, la sua cara sorella avrebbe rischiato il furore di Vipera rossa. Viceversa, facendola sedere accanto a lui alla tavola reale, era quanto mai probabile che tutte le altre nobildonne si ritenessero offese.

Il principe Oberyn fece voltare il proprio destriero, fronteggiando i compatrioti dorniani. «Ellaria, miei lord e lady, cavalieri di Dorne, constatate quanto ci ama re Joffrey. Sua maestà è stato infarti così gentile da mandare niente meno che suo zio il Folletto per accompagnarci a corte.»

Bronn emise una risata gorgogliante. Per cui anche Tyrion fu costretto a fingere di essere divertito. «Non sono venuto da solo, miei lord. Sarebbe stato un compito troppo grande per un piccolo uomo come me.» Anche la sua scorta era arrivata, fu quindi il suo turno fare le presentazioni. «Lasciate che vi presenti ser Flement Brax, erede di Hornvale. Lord Gyles di Rosby. Ser Addam Marbrand, lord comandante della Guardia cittadina di Approdo del Re. Jalabhar Xho, principe della valle del Fiore Rosso. Ser Harys Swyft, suocero di mio zio ser Kevan per unione matrimoniale. Ser Merlon Crakehall. Ser Philip Foote e ser Bronn delle Acque Nere, due eroi della nostra recente battaglia contro il ribelle Stannis Baratheon. E infine il mio giovane scudiero, Podrick della Casa Payne.»

Tyrion cercò di declamare quei nomi nel modo più altisonante possibile, ma quelli che li portavano non erano neppure lontanamente illustri o formidabili quanto i componenti del seguito del principe Oberyn. Cosa che entrambi sapevano fin troppo bene.

«Mio lord di Lannister» intervenne lady Montenero «abbiamo percorso una strada lunga e polverosa, riposo e conforto sarebbero quanto mai graditi. Potremmo quindi continuare verso la città?»

«Subito, mia signora.». Tyrion fece voltare il cavallo e chiamò ser Addam Marbrand. Al suo comando, anche le cappe dorate che formavano il grosso della Guardia d’onore girarono rapidamente i loro destrieri. L’intera colonna cominciò a muoversi in direzione del fiume e di Approdo del Re, che giaceva al di là.

“Oberyn Nymeros Martell.” Mentre cavalcava a fianco del nobile dorniano, Tyrion bofonchiò il nome a denti stretti. “La Vipera rossa di Dorne. Per i sette inferi, che cosa s’immaginano che ci faccia con lui adesso?”

Di quell’uomo conosceva solo la reputazione, è vero… ma si trattava di una reputazione che incuteva terrore. Quando non aveva ancora sedici anni, Oberyn Martell era stato scoperto a letto con la concubina dell’anziano lord Yronwood, un gigante dalla nomea minacciosa e dal pessimo carattere. Ne venne fuori un duello. Considerando la giovane età e l’alto lignaggio del principe, fu un duello solo al primo sangue. Entrambi gli uomini ricevettero ferite e l’onore ottenne quindi soddisfazione. Il principe Oberyn guarì rapidamente. Per contro, le ferite di lord Yronwood s’infettarono, portandolo alla morte. In seguito, si sussurrò che Oberyn aveva combattuto con una spada avvelenata. E da quel momento, amici e nemici lo soprannominarono “Vipera rossa”. Tutto questo accadeva molti anni prima, certo. Il ragazzo sedicenne adesso era un uomo di oltre quarant’anni, e la leggenda che lo accompagnava si era fatta molto più tenebrosa. Oberyn Martell aveva viaggiato a lungo nelle città libere, apprendendo l’arte degli avvelenatori e forse, a prestare ascolto a certe dicerie, anche arti più oscure. Aveva studiato alla Cittadella, riuscendo a forgiare sei anelli della catena di maestro, fino a quando quell’istruzione gli era venuta a noia. Era stato soldato nelle Terre Contese al di là del mare Stretto, cavalcando per un periodo nei ranghi dei Secondi Figli, una delle più celebri compagnie di ventura di quelle regioni, prima di formarne una propria. I suoi tornei, le sue battaglie, i suoi duelli, i suoi cavalli, la sua carnalità… si diceva che fornicasse sia con uomini sia con donne, disseminando figlie bastarde ai quattro angoli di Dorne. I “serpenti delle sabbie”, così veniva chiamata la sua progenie femminile. Per quanto ne sapeva Tyrion, il principe Oberyn non aveva mai generato un figlio maschio.

E poi, naturalmente, aveva storpiato per sempre Willas Tyrell, l’erede di Alto Giardino.

“In tutti i Sette Regni non esiste uomo meno gradito a un matrimonio Tyrell.” Di questo, Tyrion era fin troppo consapevole. Mandare il principe Oberyn ad Approdo del Re, quando la città ospitava ancora lord Mace Tyrell, due dei suoi figli e mille dei loro armigeri, era una provocazione pericolosa quanto lo stesso principe Oberyn. “Una sola parola sbagliata, una sola battuta fuori luogo, e i nostri alleati si azzanneranno alla gola gli uni con gli altri.” Il Folletto continuò a cavalcare lungo la strada del Re fianco a fianco con la Vipera rossa, superando campi desolati e alberi scheletriti.

«Noi ci siamo già incontrati» disse disinvoltamente il principe di Dorne. «Sebbene non mi aspetti che tu possa ricordartene. Eri addirittura più piccolo di adesso.»

In quelle parole c’era un’affilata punta di derisione che a Tyrion non piacque, ma non avrebbe risposto alle provocazioni del dorniano. «E quando è stato, mio lord?» chiese, in tono di cordiale interesse.

«Oh, molti e molti anni fa, quando mia madre dominava Dorne e il lord tuo padre era Primo Cavaliere di un diverso re.»

“Non così diverso da questo re quanto tu potresti pensare.” Ma questo Tyrion non lo disse.

«Fu quando feci visita a Castel Granito con mia madre, il suo consorte e mia sorella Elia. Io avevo, oh, quattordici, forse quindici anni, Elia un anno più di me. Tuo fratello e tua sorella erano sugli otto, nove anni, se ricordo bene, e tu eri appena nato.»

“Strano momento per fare una visita.” Sua madre era morta nel darlo alla luce, quindi i Martell avevano trovato la fortezza immersa nel lutto. Specialmente suo padre. Lord Tywin menzionava di rado la moglie che aveva perduto, ma Tyrion aveva udito i suoi zii parlare del grande amore che c’era tra di loro. In quei giorni, suo padre era il Primo Cavaliere di Aerys il Folle, ed erano in molti a sostenere che in realtà fosse lord Tywin a dominare i Sette Regni, ma che era lady Joanna a dominare lord Tywin. “Dopo la sua morte, non è più stato lo stesso uomo, Folletto” gli aveva detto suo zio Gery. “La sua parte migliore è morta insieme a lei.” Gerion era il più giovane dei quattro figli di lord Tytos Lannister, ed era lo zio cui Tyrion aveva voluto più bene di tutti.

Ma Gerion adesso non c’era più, perduto oltre gli oceani, ed era stato Tyrion in persona a mandare lady Joanna alla tomba.

«E trovasti Castel Granito di tuo gradimento, mio lord?» chiese al principe Oberyn.

«Non tanto. Tuo padre ci ignorò per tutto il tempo che fummo là, anche se diede disposizioni a ser Kevan affinché si occupasse del nostro intrattenimento. La mia stanza aveva un pagliericcio di piume su cui dormire e tappeti di Myr sul pavimento, ma era buia e priva di finestre. Molto simile a una segreta, a tutti gli effetti, come dissi a Elia in quell’occasione. I vostri cieli erano troppo grigi, i vostri vini troppo dolci, le vostre donne troppo caste, il vostro cibo troppo blando… Quanto a te, ebbene, tra tutte quelle delusioni, fosti proprio tu la più grande.»

«Ero appena nato. Come ti aspettavi che fossi?»

«Enorme» rispose la Vipera rossa. «Eri piccolo, certo, ma grande era già la tua fama. Noi ci trovavamo a Vecchia Città alla tua nascita, e l’intero borgo non faceva altro che parlare del mostro scaturito dal talamo dal Primo Cavaliere. E di quali sventure un simile presagio poteva rappresentare per il reame.»

«Carestia, pestilenza e guerra, ne sono certo.» Tyrion fece un sorriso amaro. «È sempre carestia, pestilenza e guerra. Oh, e inverno, certo. La gelida notte che non ha fine.»

«Tutto questo» disse il principe Oberyn «e anche la caduta di tuo padre. Lord Tywin era diventato un’entità più grande di Aerys, udii un confratello questuante dire una volta, ma solamente un dio può collocarsi più in alto di un re. Tu fosti la sua maledizione, un castigo mandato dagli dèi per insegnargli che non era migliore di qualsiasi altro uomo.»

«Io continuo a tentare, ma lui sì rifiuta d’imparare.» Tyrion sospirò. «Ma continua, principe, ti prego: adoro le belle storie.»

«Quella che ti riguarda è tra le migliori: si diceva che tu avessi la coda. Una coda dura e ossuta, attorcigliata come quella di una scrofa. Il tuo cranio era mostruosamente grande, ci dissero, quanto metà del tuo corpo. Eri nato coperto di una spessa peluria nera, ci dissero, con la barba, un occhio malefico e unghie simili ad artigli di leone. I tuoi denti erano talmente lunghi da non permetterti di chiudere la bocca, e tra le tue gambe c’erano non solo i genitali di un maschietto ma anche quelli di una femminuccia.»

«Quanto sarebbe più semplice la vita se gli uomini potessero scoparsi da soli, non sei d’accordo, mio principe? E ho anche bene in mente svariate circostanze nelle quali artigli e zanne avrebbero potuto rivelarsi di notevole utilità. In ogni caso, comincio a intuire le ragioni della tua delusione.»

Bronn ridacchiò di nuovo, ma Oberyn si limitò a sorridere.

«Probabilmente, non ti avremmo mai visto se non fosse stato per la tua dolce sorella» riprese il dorniano. «Non venivi mai portato al desco, né nelle sale. Ma di notte, a volte, udivamo le grida di un neonato provenire dalle profondità della rocca. Avevi una voce mostruosamente forte, questo te lo riconosco. Continuavi a urlare per ore, e nulla poteva acquietarti eccetto la tetta di una donna.»

«Il che è valido ancora oggi.»

Questa volta, il principe Oberyn rise. «Gusto che abbiamo in comune. Lord Gargalen una volta mi disse che sperava di morire con la spada in pugno, io gli risposi che la mia speranza era di andarmene con in pugno un seno rigoglioso.»

Tyrion non trattenne un sogghigno. «Facevi forse riferimento a mia sorella?»

«Cersei promise a Elia che ci avrebbe portati a vederti. Il giorno prima di salpare, mentre tuo padre e mia madre erano impegnati in un colloquio riservato, Cersei e Jaime ci condussero nella tua stanza. La tua nutrice cercò di mandarci via, ma tua sorella non volle sentire ragioni. “Lui è mio” disse “mentre tu sei solamente una vacca da latte, e non sarai tu a dirmi che cosa fare. Fa’ silenzio, o dirò a mio padre di tagliarti la lingua. Una vacca non ha bisogno di lingua, solo di mammelle.”»

«Sua maestà ha imparato la cortesia in tenera età.» Tyrion era divertito all’idea di Cersei che lo dichiarava di sua proprietà. «Non si è certo comportata nello stesso modo in seguito, come sanno bene gli dèi.»

«Cersei arrivò addirittura al punto di sciogliere i nodi dei tuoi pannolini per consentirci di vedere bene» continuò il principe di Dorne. «In effetti, avevi un occhio malefico e la peluria nera sul capo. Forse la tua testa era più grande del normale… ma non c’era nessuna coda, nessuna barba, niente artigli né zanne, e niente tra le tue gambe tranne un piccolo cazzo rosa. Dopo tutti quei meravigliosi bisbigli, il Flagello di lord Tywin si era rivelato nient’altro che un orribile neonato, rosso e con le gambe leggermente tozze. Elia emise il tipico suono che le ragazze emettono di fronte a un infante, sono certo che sai di che cosa sto parlando. Quel verso che fanno anche davanti ai cuccioli di cane e ai gattini appena nati. Credo che lei stessa, a dispetto della tua bruttezza, sia stata tentata di allattarti. Al mio commento che come creatura mostruosa tutto sommato valevi poco, tua sorella disse: “Ha ucciso mia madre”, dopo di che afferrò quel tuo piccolo cazzo e lo torse talmente forte da farmi temere che te lo avrebbe strappato via. Tu urlasti, ma Cersei abbandonò la presa solo dopo che tuo fratello Jaime disse: “Lascialo stare, gli stai facendo male”. “Tanto non importa” ci disse “lo sanno tutti che morirà presto. Non avrebbe neppure dovuto vivere così a lungo.”»

Il sole splendeva sopra le loro teste, era una giornata d’autunno piacevolmente calda, ma dopo aver udito tutto questo, Tyrion Lannister sentì il gelo insinuarsi nel profondo del proprio essere. “Cara, dolce sorellina.” Si grattò la cicatrice che gli deturpava il naso e fece gustare al dorniano uno sguardo del suo “occhio malefico”. “Perché avrà voluto raccontarmi una storia come questa? Mi sta mettendo alla prova oppure sta anche lui torcendomi il cazzo come fece Cersei, solo per sentirmi urlare?”

«Ricordati di raccontare questo aneddoto anche al lord mio padre» riprese il Folletto. «Sono convinto che lo delizierà quanto ha deliziato me. Soprattutto la parte che riguarda la mia coda. In realtà, ce l’avevo, una coda. Ma lui me l’ha tagliata.»

Il principe Oberyn ridacchiò. «Sei diventato più divertente rispetto all’ultima volta che ci siamo incontrati.»

«Sì, ma era mia intenzione diventare più alto.»

«E restando in materia di divertimenti, l’attendente di lord Buckler mi ha fatto giungere all’orecchio una curiosa storiella. Sostiene che tu abbia messo una tassa sull’uso delle camere private delle donne.»

«È una tassa sulle puttane.» Adesso Tyrion era di nuovo irritato. “E l’idea è stata di mio padre.” «Solo un centesimo per ogni, ehm… transito. Il Primo Cavaliere del re ha ritenuto che questo potesse migliorare la moralità cittadina.» “E pagare anche le nozze di Joffrey.” Nemmeno a dirlo, quale maestro del Conio, tutto il biasimo era ricaduto su Tyrion. Bronn gli aveva detto che nelle strade la tassa veniva chiamata “il soldino del nano”. «Apri bene le gambe per il Mezzo-uomo adesso» urlavano nei bordelli e nelle osterie, se si voleva dare credito al mercenario.

«In tal caso» disse Oberyn «sarà mia cura avere sempre con me una borsa ben munita di centesimi. Anche un principe deve pagare le tasse.»

«Perché mai vorresti andare a puttane?» Tyrion gettò un’occhiata dietro di sé, a Ellaria Sand che cavalcava assieme alle altre donne. «Lungo il viaggio hai forse finito con lo stancarti della tua concubina?»

«Mai. Abbiamo troppo in comune.» Il principe Oberyn scrollò le spalle. «Però non l’abbiamo mai fatto con una bella bionda, ed Ellaria è curiosa. Tu conosci una creatura del genere?»

«Sono un uomo sposato.» “Per quanto non abbia ancora consumato.” «E non frequento più le puttane.» “A meno che non voglia vederle penzolare da un nodo scorsoio.”

Oberyn cambiò improvvisamente argomento. «Si dice che al banchetto di nozze del re saranno servite settantasette portate.»

«Soffri la fame, mio principe?»

«Soffro la fame da lungo tempo. Per quanto non fame di cibo. Dimmi, ti prego, quando verrà servita la giustizia

«Giustizia?» “Ecco perché è qui. Avrei dovuto capirlo fin dal primo momento.” «Tu amavi molto tua sorella?»

«Da bambini, Elia e io eravamo inseparabili, quasi come tuo fratello e tua sorella.»

“Dèi, spero proprio non come loro.” «Guerre e nozze ci hanno impegnato molto, principe Oberyn. Temo che nessuno abbia avuto il tempo di tornare a esaminare delitti perpetrati sedici anni fa, pur considerando quanto sono stati efferati. Lo faremo, è chiaro, non appena sarà possibile. Qualsiasi aiuto Dorne potrà fornire per ristabilire la pace del re non potrà che contribuire ad avvicinare l’inizio dell’inchiesta del lord mio padre, la quale…»

«Nano!» Adesso c’era ben poca cordialità nel tono della Vipera rossa. «Risparmiami le tue menzogne da Lannister. Per che cosa ci prendi, per pecoroni o giullari? Mio fratello il principe Doran non è un uomo assetato di sangue, ma questo non significa che negli ultimi sedici anni sia rimasto a dormire. Jon Arryn venne a Lancia del Sole l’anno dopo che Robert era salito al trono, e ti posso garantire che gli furono poste domande stringenti. A lui e ad altri cento. Non ho viaggiato fin qui per assistere a una farsa come questa tua cosiddetta “inchiesta”. Sono venuto qui perché giustizia sia fatta per Elia e per i suoi figli. E giustizia avrò. Cominciando da quella putrida palude che risponde al nome di Gregor Clegane… mi correggo: concludendo con Gregor Clegane. Prima di crepare, la Montagna di sterco che cavalca mi dirà da chi ha avuto gli ordini. E insisto che questo tu lo faccia presente al lord tuo padre. Con estrema chiarezza.» Oberyn sorrise. «Una volta un vecchio septon disse che io ero la prova vivente della bontà degli dèi. E sai perché, Folletto?»

«No» ammise cautamente Tyrion.

«Perché, se gli dèi fossero crudeli, avrebbero fatto sì che fossi io il primogenito di mia madre e Doran il terzogenito. Vedi, nano, della progenie Martell sono io quello assetato di sangue. E sono sempre io quello con cui ti dovrai confrontare qui e ora, non il mio paziente, prudente, gottoso fratello.»

Tyrion poteva vedere il sole risplendere sul fiume delle Rapide Nere, mezzo miglio più avanti, illuminando le torri e le colline di Approdo del Re. Guardò di nuovo alle proprie spalle, alla scintillante colonna di cavalieri che li seguiva lungo la strada del Re.

«Parli come un uomo che dietro di sé ha un grande esercito, principe Oberyn. Mentre tutto quello che vedo sono trecento uomini. Vedi quella città davanti a noi, a nord del fiume?»

«Quel turpe ammasso che chiamate Approdo del Re?»

«Quello, per l’appunto.»

«Non solo lo vedo, ma comincio anche a sentirne il tanfo.»

«E allora annusa bene, mio lord. Riempiti il naso. Scoprirai che il tanfo di mezzo milione di persone batte di gran lunga quello di trecento dorniani. Riesci a sentire anche il tanfo delle cappe dorate della Guardia cittadina? Ebbene, loro sono quasi cinquemila. Ai quali vanno ad aggiungersi le ventimila spade che hanno prestato giuramento di fedeltà al lord mio padre. E poi ci sono le rose. Che delizioso olezzo emanano le rose, vero? Specialmente quando sono tante e poi tante. Cinquanta, sessanta, settantamila rose, dentro la città e accampate fuori delle mura. Davvero non potrei dire quante, con esattezza, ma certamente di più di quante sono in grado di contarne.»

Oberyn Martell alzò le spalle. «A Dorne, prima che sposassimo Daeron Targaryen II alla principessa Myriah, dicevamo che tutti i fiori si piegano sotto il sole. Se le rose dovessero cercare d’intralciarmi, sarà mio piacere schiacciarle sotto gli zoccoli del mio cavallo.»

«Come hai schiacciato Willas Tyrell?»

La reazione del nobile dorniano non fu quella che Tyrion si aspettava. «Ho ricevuto una lettera da Willas circa metà di un anno addietro. Abbiamo un comune interesse per i cavalli di razza. Non ha mai nutrito alcuna acrimonia nei miei confronti per quanto accadde in quel torneo. Io colpii la sua corazza pettorale correttamente, ma lui rimase con il piede impigliato nella staffa e il cavallo gli cadde addosso. Arrivai a mandare un maestro al capezzale del ragazzo, ma il massimo che lui riuscì a fare fu salvargli la gamba. Il ginocchio era leso senza rimedio. Se qualcuno è da biasimare, quel qualcuno è l’idiota che ha per padre. Willas Tyrell era inesperto come un fiore di campo, non avrebbe mai dovuto partecipare a una tenzone di quella fatta, contro avversari di quella fatta. Il Fiore di Lardo lo ha gettato nella mischia in troppo giovane età, lo stesso errore che ha commesso con gli altri due figli. Lord Mace voleva un altro Leo Lungaspina, quello che ha ottenuto è uno storpio.»

«C’è chi sostiene che ser Loras è addirittura più temibile di Leo Lungaspina» disse Tyrion.

«Parli della rosellina di Renly Baratheon? Ne dubito.»

«Dubita quanto ti aggrada» insistette Tyrion «resta il fatto che ser Loras ha sconfitto molti validi cavalieri, incluso mio fratello Jaime.»

«Per “sconfitto” tu intendi “disarcionato” in torneo. Se vuoi spaventarmi, parlami di quelli che ha decapitato in battaglia.»

«Ser Robar Royce e ser Emmon Cuy, per menzionarne solo due. Alcuni uomini dicono che abbia compiuto gesta di grande valore durante la battaglia delle Acque Nere, combattendo a fianco dello spettro di Renly.»

«E gli stessi uomini che hanno assistito a quelle gesta hanno visto anche loro lo spettro di Renly?» Il guerriero dorniano sogghignò.

Tyrion gli lanciò una lunga occhiata. «Il bordello di Chataya, sulla strada della Seta, ospita una quantità di ragazze che potrebbero soddisfare le tue necessità. Dancy ha capelli del colore del miele. Quelli di Marei sono come oro pallido. Ti suggerisco, mio lord, di tenere l’una o l’altra costantemente al tuo fianco.»

«Costantemente?» Il principe Oberyn sollevò una delle sopracciglia sottili. «E perché, Folletto?»

«Vuoi morire con un seno rigoglioso in pugno, hai detto. O sbaglio?»

Tyrion aumentò l’andatura, dirigendosi verso il punto in cui le chiatte erano attraccate alla sponda meridionale del fiume. Aveva tollerato tutto il tollerabile della cosiddetta arguzia dorniana. “Il lord mio padre avrebbe veramente dovuto mandare Joffrey. Il regale nipotino forse avrebbe chiesto a Oberyn che differenza passa tra un dorniano e una scoreggia di vacca.” Quel pensiero, a dispetto di tutto, strappò a Tyrion un sogghigno. Era essenziale che lui si trovasse nei pressi quando la Vipera rossa sarebbe stato presentato al sovrano.

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