Su, nel soppalco, una donna stava partorendo rumorosamente. Mentre giù, vicino al fuoco, un uomo stava morendo sommessamente. Samwell Tarly non avrebbe saputo dire quale delle due cose gli facesse più paura.
Avevano avvolto il povero Bannen in un mucchio di pellicce, attizzando il fuoco al massimo. Eppure, l’unica cosa che il confratello in agonia riusciva a dire era: «Ho freddo. Vi prego. Ho tanto freddo». Sam cercava di nutrirlo con brodo di cipolle, ma Bannen non riusciva a deglutire. Il brodo gli colava dalle labbra, ruscellando sul mento con la stessa velocità con cui Sam riempiva il cucchiaio.
«Quello lì è già morto.» Craster lanciò a Bannen un’occhiata indifferente, continuando a masticare una salsiccia. «Fai meglio a piantargli un coltello nella pancia invece di mettergli il cucchiaio in bocca, te lo dico io.»
«Non ricordo di aver chiesto il tuo parere.» Gigante, il suo vero nome era Bedwyck, non raggiungeva il metro e mezzo, ma era un metro e mezzo di pura determinazione. «Distruttore, putacaso, hai chiesto tu a Craster di darci il suo consiglio?»
Distruttore. A Sam, quel soprannome continuava a far venire i brividi nella schiena. Scosse comunque la testa. Riempì di nuovo il cucchiaio, lo sollevò e cercò di far scivolare il brodo tra le labbra di Bannen.
«Cibo e fuoco» stava dicendo Gigante «è tutto quello che ti abbiamo chiesto. E il cibo ce lo dai storcendo il gnigno.»
«Accontentati che non storco il gnigno anche a darti il fuoco.» Craster era un uomo grande e grosso, che sembrava ancora più grande e grosso per le puzzolenti pelli di pecora che si teneva addosso giorno e notte. Un bruto dal naso largo e schiacciato, la bocca storta da un lato. Gli mancava un orecchio. I capelli incrostati e la barba arruffata stavano passando dal grigio al bianco, ma le sue mani dure e tozze, coperte di calli, avevano l’aria di essere ancora forti abbastanza da fare danni. «Vi do da mangiare quello che posso, ma voi corvi neri avete sempre fame. Sono un uomo timorato, se no vi mandavo via a calci. Credi che m’importa qualcosa se quello lì mi crepa dentro casa? Credi che mi viene in tasca qualcosa da tutte le vostre bocche da sfamare, piccolo uomo?» Craster sputò con disprezzo. «Corvi neri. Quando mai quell’uccello nero ha portato qualcosa di buono nella casa di un uomo, eh, rispondi? Mai. Mai.»
Altro brodo colò dall’angolo della bocca di Bannen. Sam lo asciugò con il bordo della manica. Gli occhi del ranger erano aperti, ma non vedevano nulla. «Ho freddo» disse di nuovo, in un soffio appena percettibile. Un maestro avrebbe saputo che cosa fare con lui, ma loro non lo avevano, un maestro. Nove giorni prima, Kedge Occhiobianco aveva amputato il piede maciullato di Bannen. Un’eruzione di sangue e pus di fronte alla quale Sam per poco non aveva vomitato. Ma era stato troppo poco, troppo tardi. «Ho tanto freddo» ripeterono le labbra pallide.
La sala comune del primitivo castello di Craster era disseminata di malridotti confratelli in nero. Seduti sui talloni o sulle panche grezze, bevevano ciotole dello stesso leggero brodo di cipolle, masticando tozzi di pane duro. Due di loro, a ben guardare, erano feriti addirittura più gravemente di Bannen. Fornio delirava da giorni, dalla spalla di ser Byam continuava a colare un viscido pus giallastro. Quando la colonna dei Guardiani della notte aveva lasciato il Castello Nero per la spedizione oltre la Barriera, Bernarr il Marrone aveva con sé bisacce piene di fuoco di Myr, unguento di salvia, aglio tritato, gelsomino, papavero, rame di re e altre erbe medicinali. C’era perfino il dolcesonno, che donava una morte priva di dolore. Ma Bernarr il Marrone era morto sul Pugno dei Primi Uomini e, nella battaglia e nella fuga disperata che ne era seguita, a nessuno degli altri confratelli era venuto in mente di cercare la bisaccia dei medicamenti di maestro Aemon. Hake, il cuoco, sapeva qualcosa di erboristeria, ma anche lui era morto nella battaglia. Per cui toccava agli attendenti superstiti occuparsi come potevano dei feriti, il che non era molto. “Per lo meno qui dentro sono all’asciutto, e il fuoco li tiene caldi. Hanno bisogno di più cibo, però.”
Tutti loro avevano bisogno di più cibo. Gli uomini mugugnavano da giorni. Karl Piededuro, chiamato così perché aveva un piede di legno, continuava a dire che Craster aveva una dispensa nascosta da qualche parte e, ogni volta che era fuori portata d’orecchio del lord comandante, Garth di Vecchia Città aveva cominciato a fargli da eco. Sam aveva pensato di implorare Craster di dare quanto meno ai feriti qualcosa di più nutriente, ma non aveva avuto il coraggio di farlo. Gli occhi di Craster erano gelidi, ostili, e ogni volta che il bruto lo fissava, le sue mani si torcevano, quasi volessero chiudersi a pugno. “Saprà che ho parlato con Gilly, l’ultima volta che siamo passati di qui?” si chiese Sam. “E lei, gli avrà detto che ho parlato di portarla via? Forse l’ha costretta a dirglielo con la forza.”
«Ho freddo» si lamentò Bannen. «Vi prego, ho freddo.»
La sala del castello di Craster era piena di fumo, di calore, eppure anche Sam sentiva freddo. “E sono stanco, così stanco.” Aveva bisogno di dormire, ma ogni volta che chiudeva gli occhi sognava neve vorticante. E rivedeva uomini morti che barcollavano verso di lui, mani nere e occhi di un blu scintillante.
Su nel soppalco, Gilly emise un gemito disperato che rimbalzò giù nella sala dal soffitto basso, priva di finestre. «Spingi!» le comandò una delle vecchie mogli di Craster. «Forte. Più forte. Urla, se ti fa sentire meglio.» E Gilly urlò, così forte che Sam chiuse di colpo gli occhi.
Craster lanciò un’occhiata feroce. «Ne ho le palle piene di tutto questo urlare!» sbraitò verso l’alto. «Datele uno straccio da mordere, se no vengo su io a farle assaggiare il dorso della mia mano.»
E lo avrebbe fatto, Sam ne era certo. Craster aveva diciannove mogli, ma se si fosse mosso per salire quella scala a pioli, nessuna di loro avrebbe osato interferire. E lo stesso valeva per i confratelli in nero. Due notti prima, Craster si era messo a picchiare una delle ragazze giovani. A parecchi confratelli questo non era piaciuto, poco ma sicuro. «La sta ammazzando» aveva detto Garth di Greenaway. Karl Piededuro aveva riso. «Se lui non lo vuole, quel pezzetto di carne dolce, può darmelo a me.» Bernarr il Nero aveva imprecato a denti, stretti, pieno di rabbia. Alan di Rosby si era alzato ed era uscito, per evitare di sentire i tonfi e i gemiti. «Sotto il tetto di Craster valgono le regole di Craster» aveva ricordato a tutti loro il ranger Ronnel Harday. «E Craster è un amico della confraternita.»
“Un amico, certo.” Quel pensiero rimbalzava nella mente di Samwell mentre ascoltava le grida soffocate di Gilly. Craster era un uomo brutale, che dominava mogli e figlie con il pugno di ferro, ma quel suo castello era pur sempre un rifugio. «Corvi congelati» aveva sogghignato Craster quando i confratelli si erano trascinati dentro, quei pochi che erano riusciti a sopravvivere al disastro sul Pugno dei Primi Uomini, agli assalti dei non-morti e al freddo micidiale. «E tanti meno del branco che se n’è svolazzato a nord.» Ma aveva comunque dato loro spazio sul pavimento, un tetto al riparo dalla neve e un fuoco attorno cui scaldarsi. Le sue mogli avevano anche portato loro ciotole di vino bollente, in modo da mettere qualcosa di caldo in pancia. “Corvi fottuti” li chiamava Craster, ma li aveva anche nutriti, sia pure con poco.
“Siamo suoi ospiti” si ripeté Sam. “Gilly è sua. Sua moglie, sua figlia, il suo tetto, le sue regole.”
La prima volta che lui era passato di là, Gilly lo aveva supplicato di aiutarla. Sam le aveva prestato il suo mantello nero, in modo che lei potesse nascondere il ventre gravido mentre andava alla ricerca di Jon Snow. “I cavalieri dovrebbero proteggere le donne e i bambini.” Soltanto pochi confratelli in nero erano cavalieri, eppure… “Tutti noi abbiamo pronunciato le parole del giuramento” pensò Sam. “’Io sono lo scudo che protegge i regni degli uomini.’” Una donna rimaneva comunque un essere umano, perfino una donna dei bruti. “Dovremmo aiutarla. Sì, dovremmo farlo.” Gilly temeva per la creatura che aveva in grembo, temeva che potesse essere un maschio. Craster allevava le sue figlie in modo che in seguito diventassero le sue mogli, ma nel suo strano maniero non c’era mai stata traccia di maschi, né adulti né bambini. Gilly aveva detto a Jon che Craster aveva consegnato i suoi figli maschi agli dèi. “Se gli dèi sono generosi” pregò Sam “manderanno a Gilly una figlia.”
Su nel soppalco, Gilly emise un altro grido strangolato. «Ecco che ci siamo» disse la donna anziana. «Un’ultima spinta, adesso. Oh, vedo già la testa del bambino…»
“Bambina” pensò Sam con disperazione. “La testa della bambina…”
«Freddo» bisbigliò Bannen, sempre più debolmente. «Ti prego. Tanto freddo.»
Sam mise da parte ciotola e cucchiaio, gettò un’altra pelliccia sopra l’uomo morente, mise un altro ciocco sul fuoco. Gilly lanciò un grido acuto e cominciò ad ansimare. Craster continuava a biascicare la dura salsiccia annerita. Per lui e per le sue mogli, le salsicce c’erano. Ma non per i Guardiani della notte.
«Donne» grugnì. «Quanto starnazzano. Un tempo avevo una grassa scrofa che ne ha cacciati fuori otto senza neanche un mezzo grugnito.» Senza smettere di masticare, Craster girò la testa, lanciando a Sam un’occhiata di disprezzo. «Era grassa quasi quanto te, ragazzo.» Sghignazzò. «Distruttore.»
Fu più di quanto Samwell potesse sopportare. Si allontanò dal grosso focolare, barcollando goffamente tra gli uomini che dormivano, che si accoccolavano e che morivano sul pavimento di terra battuta. Fumo e urla e gemiti gli stavano dando le vertigini. Abbassando la testa, si aprì la strada tra le pelli di cervo appese all’architrave, le porte del castello di Craster. Uscì nel pomeriggio del Nord.
Il cielo era coperto, ma per contrasto con la penombra rossastra della sala la luce del giorno era accecante. La neve appesantiva ancora i rami degli alberi circostanti, e ricopriva le colline dalle tinte dorate e ocra dell’autunno. Ma ce n’era meno di prima. La tempesta era passata e al castello di Craster i giorni erano stati… be’, forse non caldi, ma almeno non così spaventosamente freddi. Samwell poteva udire il sommesso plik-plik-plik dell’acqua che si scioglieva dalle stalattiti di ghiaccio di cui era irto lo spesso tetto di fango indurito. Tirò un lungo sospiro tremante e si guardò attorno.
Verso ovest, Ollo Lophand e Tim Stone si muovevano lungo la fila dei cavalli, dando da mangiare e da bere ai destrieri superstiti.
Sottovento, altri confratelli scuoiavano e macellavano gli animali considerati troppo deboli per continuare. Picchieri e arcieri montavano la guardia al riparo di trincee scavate nella cruda terra, unica difesa di Craster contro qualsiasi insidia si celasse nella foresta là fuori. Da una dozzina di falò si alzavano dense dita di fumo grigio azzurro a gonfiarsi verso l’alto. Dalle profondità del bosco, Sam percepì l’eco lontana di asce al lavoro: l’obiettivo era raccogliere la legna necessaria per tenere i fuochi accesi tutta la notte. La notte era il momento peggiore. Calavano le tenebre, di notte. E calava il gelo.
Dal loro arrivo al castello di Craster non c’erano stati attacchi, né dei non-morti né degli Estranei. E non ce ne sarebbero stati, insisteva Craster. «Un uomo in grazia degli dèi non deve temere cose come quelle. L’ho detto anche a Mance Rayder, una volta, quando è venuto qua a ficcare il naso. Ma lui non mi dà retta, non più di quanto fate voi corvi neri con le vostre spade e i vostri fottuti fuochi. Tanto non vi aiuteranno quando verrà il freddo bianco. Solo gli dèi vi aiutano quando arriva. E con gli dèi è meglio andare d’accordo.»
Anche Gilly aveva parlato del freddo bianco e dei sacrifici che Craster faceva a quei suoi dèi. Quando lo aveva saputo, Samwell avrebbe voluto andare a ucciderlo. “Non esistono leggi oltre la Barriera” ricordò a se stesso. “E Craster è un amico della confraternita.”
Da dietro la primitiva struttura di fango e sterpi si levò un grido. Sam andò a dare un’occhiata. Il terreno che aveva sotto i piedi era una poltiglia di neve che si scioglieva e di fango molle. Gli stessi materiali, sosteneva Edd l’Addolorato, di cui era fatto il castello di Craster. Materiali che però erano più densi della merda: risucchiavano gli stivali con tale forza che Sam ne sentì uno che stava per sfilarsi.
Sul retro di una specie di orto, a lato di un serraglio per le pecore, una dozzina di confratelli lanciava frecce a una sagoma fatta di paglia e fieno. Lo snello uomo biondo chiamato Donnel Hill il Dolce aveva appena piantato una freccia proprio nel centro del bersaglio, da cinquanta iarde di distanza.
«Prova tu a fare di meglio, vecchio» sfidò Donnel.
«Aye. Certo che faccio di meglio.»
Ulmer, dinoccolato, incurvato, dalla barba grigia e la pelle cascante, si spostò sullo spiazzo da cui tiravano e sfilò una freccia dalla faretra appesa al cinturone. In gioventù era stato un fuorilegge, membro della famigerata fratellanza del bosco del Re. Dichiarava di aver trafitto con una freccia la mano del Toro Bianco, leggendario comandante della Guardia reale, per rubare un bacio dalle labbra di una principessa dorniana. Oltre a quello, le aveva anche rubato i gioielli e uno scrigno pieno di dragoni d’oro, ma era del bacio che si vantava con tutti nelle sere di bevute.
Ulmer incoccò e tese l’arco, movimenti fluidi come seta d’estate. Scoccò. La sua freccia andò a conficcarsi a lato di quella di Donnel Hill, spostata di circa mezzo pollice verso il centro del bersaglio.
«Ti va bene così, ragazzo?» chiese l’anziano confratello, arretrando.
«Va bene, va bene» riconobbe Donnel con astio. «Avevi il vento a tuo favore. Soffiava più forte quando ho tirato io.»
«Allora dovevi tenerne conto. Hai buona mira e mano sicura, ma ci vuole ben di più per battere il miglior arciere del bosco del Re. Fu Fletcher Dick a insegnarmi come si tende un arco, e non c’è mai stato arciere più grande di lui su questa terra. Ti ho mai parlato del vecchio Dick?»
«Solo trecento volte.»
Al Castello Nero, non c’era uomo che non avesse sentito ripetere le storie di Ulmer sulla grande banda di fuorilegge dei tempi andati: Simon Toyne e il Cavaliere sorridente, Oswyn Lungocollo tre-volte-impiccato, Wenda la Cerbiatta Bianca, Fletcher Dick, Ben il Panzone e tutti gli altri. Cercando di risparmiarsi la trecentounesima volta, Donnel il Dolce si guardò in giro e vide Sam immobile nella palta.
«Ehi, Distruttore» chiamò, sollevando l’arco lungo. «Vieni a farci vedere come hai fatto a inchiodare l’Estraneo.»
Sam arrossì. «Non è stata una freccia. È stata una daga, di vetro di drago…» Sapeva quello che sarebbe successo se avesse impugnato quell’arco. Avrebbe mancato il bersaglio e mandato la freccia al di là della trincea, a perdersi tra gli alberi. E a quel punto, ci sarebbe stata una risata generale.
Non voleva che accadesse di nuovo: i sorrisi di derisione, le piccole battute crudeli, il disprezzo nei loro sguardi. Si girò e tornò da dove era venuto, solo che il piede destro sprofondò nel fango, e quando lui cercò di tirarlo fuori lo stivale rimase nella melma. Sam fu costretto a mettere un ginocchio a terra ed estrarlo a forza, mentre le immancabili risate gli raschiavano all’orecchio. A dispetto delle molte paia di calze, quando Sam riuscì finalmente a dileguarsi, la neve sciolta era comunque riuscita a filtrare fino al piede. “Inutile. Un essere inutile, ecco cosa sono” pensò tetramente. “Mio padre aveva ragione. Non ho alcun diritto di essere ancora vivo quando così tanti uomini valorosi sono morti.”
Grenn si stava occupando del falò a sud dell’ingresso al perimetro, ed era intento a spaccare ciocchi con l’ascia nudo fino alla cintola. Era rosso in faccia per lo sforzo, il sudore che gli fumava dalla pelle. Quando Sam arrivò ansimando vicino a lui, gli rivolse un gran sorriso. «Gli Estranei si sono fregati il tuo stivale, Distruttore?»
“Anche lui?” «Colpa del fango. E, per favore, non chiamarmi a quel modo.»
«Perché no?» Il tono di Grenn era sinceramente perplesso. «È un bel nome. E tu l’hai ottenuto in modo onesto.»
Pyp prendeva sempre in giro Grenn accusandolo di essere duro di comprendonio quanto le mura di un castello, per cui Sam gli spiegò con pazienza come lui vedeva la cosa. «È solo un modo diverso per darmi del codardo» disse, in equilibrio sulla gamba sinistra mentre cercava d’infilare il piede destro nello stivale infangato. «Mi prendono in giro, proprio come prendono in giro Bedwyck chiamandolo “Gigante”.»
«Lui però non è un gigante» obiettò Grenn. «E Piccolo Paul non è mai stato piccolo. Be’, forse lo era quando ancora succhiava il latte dalla tetta della mamma, ma dopo no di certo. E tu quell’Estraneo lo hai distrutto per davvero. Non è la stessa cosa.»
«No, senti… io non ho mai… Ero spaventato!»
«Non più di quanto lo ero io. È solo Pyp che dice che sono troppo scemo per avere paura. Ma anch’io ho paura come tutti gli altri.» Grenn si chinò a raccogliere un ciocco spaccato a metà e lo gettò nel fuoco. «Avevo paura di Jon ogni volta che dovevo affrontarlo in addestramento. Era così svelto, lui, e combatteva come se avesse voluto uccidermi.» Il legno fresco, intriso d’umidità, rimase a fumare tra le fiamme prima di prendere fuoco. «Ma questo non l’ho mai detto a nessuno. Certe volte penso che tutti fanno solo finta di essere coraggiosi, ma nessuno di noi lo è. Forse fare è finta è il modo per diventarlo, non so. Lascia che ti chiamino Distruttore, che te ne importa?»
«A te però non è mai piaciuto che ser Alliser Thorne ti chiamasse “uri”, o muflone.»
«Quello che lui diceva è che ero grosso e stupido.» Grenn si grattò la barba. «Se Pyp voleva chiamarmi “uri”, poteva farlo. O tu, o Jon. Un uri è una grande bestia feroce, per cui non è poi così male come nome. Io sono grosso, e divento sempre più grosso. Quanto a te, non è meglio essere Sam il Distruttore che Messer Porcello?»
«Perché non posso essere Samwell Tarly e basta?» Sam si lasciò cadere pesantemente sul ciocco che Grenn doveva ancora tagliare. «È stato il vetro di drago a uccidere l’Estraneo. Non io, il vetro di drago.»
Era stato costretto a dirlo. A tutti quanti. Alcuni non gli avevano creduto, lo sapeva. Dirk aveva mostrato a Sam il proprio stiletto dicendo: «Ho una lama di ferro, che me ne faccio di una di vetro?». Bernarr il Nero e tutti e tre i confratelli di nome Garth gli avevano detto senza mezzi termini che non credevano alla sua storia. Rolley di Sisterton arrivò a dire: «Magari hai dato una pugnalata in un cespuglio e invece dietro c’era Piccolo Paul che stava cagando, per cui tiri fuori una balla».
Ma Dywen, il ranger veterano dai denti di legno, aveva ascoltato. E anche Edd l’Addolorato aveva ascoltato. Così avevano insistito che Sam e Grenn raccontassero l’intero evento al lord comandante. Jeor Mormont aveva tenuto la fronte aggrottata per tutto il tempo, facendo domande precise, ma era un uomo troppo cauto per ignorare qualsiasi possibile elemento di vantaggio, anche solo ipotetico. Aveva ordinato che Sam gli consegnasse tutto il vetro di drago contenuto nel suo zaino, che non era molto. Ogni volta che Sam pensava all’arsenale che Jon Snow aveva trovato sepolto tra le rocce del Pugno dei Primi Uomini, gli veniva voglia di piangere. C’erano lame di daga e rostri di picca, e almeno due o trecento punte di freccia. Jon aveva fatto daghe di vetro di drago per sé, per Sam, per il lord comandante Mormont, e aveva dato a Sam uno dei rostri di picca, un corno spezzato e alcune punte di freccia. Anche Greim aveva preso una manciata di punte di freccia, ma questo era tutto.
Così, adesso gli restava solo la daga di Mormont e quella che aveva dato a Grenn, più diciannove frecce e una lunga lancia di legno di quercia con la punta di vetro di drago nero. Le sentinelle si erano passate la picca da un turno di guardia all’altro, mentre Mormont aveva distribuito le punte di freccia agli arcieri migliori. Bill Grugno, Garth Piumagrigia, Ronnel Harclay e Donnel Hill il Dolce ne avevano avute tre a testa, Ulmer quattro. Ma anche se avessero centrato ogni volta il bersaglio, sarebbero stati costretti a ripiegare sulle frecce incendiarie fin troppo presto. Sul Pugno dei Primi Uomini ne avevano lanciate a centinaia, di quelle frecce, eppure i non-morti avevano continuato ad avanzare.
“Non basterà” pensò Sam. Gli sbarramenti di pali e le trincee piene di neve sciolta e fango sarebbero riusciti appena a rallentare i non-morti, i quali avevano scalato le ben più ripide pendici del Pugno, dilagando oltre il muro perimetrale di rocce. E questa volta, invece di trecento agguerriti, ben disciplinati Guardiani della notte, i mostri avrebbero trovato a contrastarli solamente quarantuno stremati superstiti, nove dei quali feriti troppo gravemente per combattere. Degli oltre sessanta confratelli che erano riusciti a sganciarsi a colpi di spada dal Pugno dei Primi Uomini, solo quarantaquattro ce l’avevano fatta a trascinarsi fuori dalla tempesta, rifugiandosi infine nel castello di Craster. Tre di loro erano morti per le ferite riportate, e di lì a non molto Bannen sarebbe stato il quarto.
«Pensi che i non-morti siano spariti?» chiese Sam a Grenn. «Perché non vengono a finirci?»
«Vengono solo quando fa freddo.»
«È vero» riconobbe Sam. «Ma è il freddo che porta i non-morti, o sono i non-morti a portare il freddo?»
«Che differenza fa?» L’ascia di Grenn fece volare schegge di legno. «Vengono assieme, è questa l’unica cosa che importa. Ehi, adesso però noi sappiamo che il vetro di drago può ucciderli. Forse non verranno più. Forse adesso sono loro ad avere paura di noi!»
Samwell avrebbe voluto credere che potesse essere vero. A lui però sembrava che, una volta morti, la paura cessava di avere significato, così come anche l’amore e il senso del dovere. Si circondò le gambe con le braccia, continuando a sudare sotto gli strati di lana, cuoio e pellicce. La daga di vetro di drago aveva liquefatto la cosa livida nella foresta, era vero… Grenn però sosteneva che avrebbe fatto lo stesso anche con i non-morti. “Questo non lo sappiamo” pensò. “In realtà, non sappiamo niente. Quanto vorrei che anche Jon fosse qui.” Grenn gli piaceva, ma non poteva fare con lui gli stessi discorsi che faceva con Jon. “Jon non mi chiamerebbe Distruttore, ne sono certo. E potrei parlargli della creatura di Gilly.” Ma Jon era andato in esplorazione assieme a Qhorin il Monco, e di lui non avevano più avuto notizie. “Anche lui aveva una daga di vetro di drago, ma avrà pensato di usarla? E se ora giace morto e congelato in fondo a qualche strapiombo… o peggio ancora: se ora è morto e cammina?”
Sam continuava a non capire perché gli dèi volessero prendere Jon Snow e Bannen e risparmiare lui, così goffo e codardo. Avrebbe dovuto morire lui sul Pugno, lui che si era pisciato addosso tre volte, lui che aveva perduto la sua spada. E avrebbe dovuto morire nella foresta se Piccolo Paul non fosse arrivato e non l’avesse portato in salvo. “Vorrei che fosse stato solo un sogno. In modo da potermi svegliare”. Come sarebbe stato bello… risvegliarsi sul Pugno dei Primi Uomini, con i confratelli ancora tutti attorno a lui, magari con vicino Jon e Spettro. Anzi, meglio: svegliarsi al Castello Nero, al riparo della Barriera, per poi andare nella sala comune a farsi una ciotola di quella spessa zuppa d’avena che faceva Hobb Tre Dita, con una bella cucchiaiata di burro a sciogliersi nel mezzo e del miele come contorno. Quel solo pensiero fece rumoreggiare il suo stomaco vuoto.
«Snow.»
A quel suono, Sam alzò lo sguardo. Il corvo parlante del lord comandante Mormont stava svolazzando attorno al fuoco, le grandi ali nere che agitavano l’aria.
«Snow» gracchiò l’uccello. «Snow, snow.»
Dovunque andasse quel corvo, Mormont non poteva essere lontano. In sella al suo destriero il lord comandante dei Guardiani della notte emerse dalla foresta, accanto a lui cavalcavano Dywen, l’anziano veterano, e Ronnel Harday, che era stato promosso comandante dei ranger al posto di Thoren Smallwood, ucciso dall’orso mostruoso sul Pugno dei Primi Uomini. La sentinella armata di picca sulla porta intimò il chi va là. Il Vecchio orso rispose in tono ruvido: «Per i sette inferi, chi pensi che vada là? Gli Estranei ti hanno forse portato via gli occhi?». Superò la coppia di pali ai lati dell’ingresso, uno sormontato da un teschio d’ariete, l’altro da un teschio d’orso. Fermò il cavallo con un colpo di redini, sollevò un pugno, emise un fischio. Il corvo gli calò sulla spalla.
«Mio signore» comunicò Ronnel Harclay «ci sono rimasti solo ventidue cavalli, ma almeno la metà non riuscirà a farcela fino alla Barriera.»
«Lo so bene» brontolò Mormont. «Ma da qui dobbiamo comunque andarcene. Craster ce lo ha detto chiaro e tondo.» Il suo sguardo si spostò verso il cielo a occidente, dove un banco di nubi minacciose stava inghiottendo il sole. «Gli dèi ci hanno concesso una tregua, ma quanto durerà?» Mormont balzò a terra con un volteggio. Al movimento improvviso, il corvo tornò a spiccare il volo. Il Vecchio orso vide Sam: «Tarly!» tuonò.
«Io?» Goffamente, Samwell si rimise in piedi.
«Io?» ripeté il corvo atterrando sulla testa dell’anziano guerriero. «Io?»
«Il tuo nome è Tarly? Hai forse un fratello da queste parti? Sì, tu. Chiudi la bocca e vieni con me.»
«Con te?» Le parole uscirono dalle labbra di Sam in un balbettio.
Il lord comandante Mormont gli lanciò un’occhiata da incenerirlo. «Sei un uomo dei Guardiani della notte, Tarly. Cerca di non bagnarti le mutande ogni volta che ti guardo. Vieni, ho detto.» Affondando nel fango, i suoi stivali producevano suoni viscidi. Sam fu costretto ad arrancare per tenergli dietro. «Ho continuato a pensare a questo tuo vetro di drago.»
«Non è mio» disse Sam.
«Il vetro di drago di Jon Snow, allora. Se quello di cui abbiamo bisogno sono daghe di vetro di drago, perché ne abbiamo soltanto due? Ogni uomo della Barriera dovrebbe esserne armato a partire dal giorno in cui pronuncia il suo giuramento.»
«Non abbiamo mai saputo…»
«Non abbiamo mai saputo? Un tempo invece dovevamo sapere! La confraternita dei Guardiani della notte ha dimenticato lo scopo stesso della propria esistenza, Tarly. Non si costruisce una muraglia di ghiaccio alta settecento piedi semplicemente per impedire a un branco di selvaggi ricoperti di pelli di portare via qualche donna. La Barriera esiste per proteggere i regni degli uomini… e non per proteggerli semplicemente da altri uomini, che è tutto quello che sono questi bruti, una volta che ti trovi a faccia a faccia con loro. Troppi anni, Tarly. Troppe centinaia, migliaia di anni. Abbiamo perduto la consapevolezza di qual è il nostro vero nemico. E adesso che il nemico è qui, abbiamo dimenticato come si fa a combatterlo. Il vetro di drago viene dai draghi, non è questo che dice il popolino?»
«I ma-maestri pensano di no» insistette Samwell. «I maestri dicono che viene dai grandi fuochi nel ventre profondo della terra. “Ossidiana”, lo chiamano.»
Mormont emise un grugnito. «Possono anche chiamarlo torta al limone per quello che m’importa. Se, come tu sostieni, questa ossidiana uccide davvero, ne voglio dell’altra. Ne voglio molta di più.»
Sam incespicò. «Jon ne ha trovata dell’altra, sul Pugno dei Primi Uomini. Centinaia di punte di freccia, e anche di punte di picca…»
«Così hai detto. Ma qui quell’arsenale vale ben poco. Per tornare sul Pugno dei Primi Uomini dovremmo essere armati con armi che non riusciremo ad avere fino a quando non ci saremo di nuovo, su quel fottuto Pugno dei Primi Uomini. E abbiamo ancora i bruti con cui fare i conti. Il vetro di drago dobbiamo trovarlo da qualche altra parte.»
Erano accadute talmente tante cose, che Sam quasi si era dimenticato dei bruti. «I Figli della foresta usavano lame di vetro di drago» disse. «Loro saprebbero dove trovare l’ossidiana.»
«I Figli della foresta sono tutti morti, Tarly» ribatté Mormont. «I Primi Uomini ne hanno sterminati la metà con spade di bronzo e gli Andali hanno annientato la metà che restava con quelle di ferro. Per quale motivo le daghe di vetro di drago dovrebbero…»
S’interruppe. Craster era sbucato fuori dalle pelli di cervo che chiudevano l’entrata. Il bruto sorrise, rivelando una chiostra di putridi denti marrone. «Ho un figlio.»
«Figlio» ripeté il corvo di Mormont. «Figlio, figlio, figlio.»
L’espressione del lord comandante era rigida. «Sono contento per te.»
«Davvero? E io sono contento quando tu e i tuoi ve ne andate da qui. Mai troppo presto, per quanto mi riguarda.»
«Non appena i nostri feriti avranno recuperato le forze…»
«Non possono recuperare più di quello che hanno già fatto, vecchio corvo nero, lo sappiamo entrambi. Sono già morti, e anche tu lo sai. Tagliagli la gola e falla finita. Oppure lasciali, se non hai lo stomaco per farlo, e a loro ci penso io.»
La voce di Mormont divenne ostile. «Thoren Smallwood diceva che tu sei un amico della confraternita.»
«Aye» ribatté Craster. «E vi ho dato tutto quello che potevo. Ma l’inverno sta arrivando, e adesso la ragazzina mi ha scodellato un’altra bocca da nutrire.»
«Potremmo prenderlo noi» borbottò qualcuno.
Craster girò il capo. I suoi occhi si strinsero. Sputò sul piede di Sam. «Cos’hai detto, Distruttore?»
Sam aprì la bocca, la richiuse. «Io… io… io volevo solo dire… se tu non la vuoi… la bocca in più da sfamare… con l’inverno che sta arrivando, noi… ecco, potremmo prenderlo noi, il bambino e…»
«Mio figlio. Il mio sangue. E tu pensi che lo do a voi corvi?»
«Pensavo solo che…» “Tu non hai figli maschi, tu li abbandoni, Gilly lo ha detto chiaramente. Li lasci nei boschi, per questo hai soltanto mogli… e figlie che crescono per diventare altre mogli.”
«Fa’ silenzio, Sam» ordinò il lord comandante Mormont. «Hai parlato abbastanza. Troppo. Vai dentro.»
«Mm-mio signore…»
«Dentro!»
Rosso in faccia, Samwell scostò le pelli di cervo, rientrando nella semioscurità della sala. Mormont lo seguì.
«Ma che razza di gigantesco imbecille sei, Tarly?» La voce dell’anziano guerriero era strozzata, rabbiosa. «Anche se Craster ce lo desse, il bambino sarebbe morto prima che arriviamo alla Barriera. In un momento come questo, abbiamo bisogno di un infante di cui occuparci quanto di un’altra tormenta di neve. Cos’è, quelle tue tettone hanno forse latte da dargli? O forse intendi prendere anche la madre?»
«Lei vuole venire» disse Sam. «Mi ha implorato…»
Mormont lo interruppe con un gesto. «Non una parola di più, Tarly. Ti è stato detto e ridetto di stare ben lontano dalle mogli di Craster.»
«Lei è sua figlia» si difese debolmente Sam.
«Va’ a vedere come sta Bannen. Vacci subito. Prima che io dia fuori di matto.»
«Sì, mio lord.» Samwell se ne andò in fretta, tremando.
Ma quando raggiunse il focolare, fu solo per trovare Gigante intento a coprire il volto e la testa di Bannen con una cappa di pelliccia. «Diceva di avere freddo» disse il piccolo ranger. «Spero che sia andato in qualche luogo caldo.»
«La ferita…» disse Sam.
«Alla malora la ferita.» Dirk diede dei corpetti al cadavere con la punta dello stivale. «Era ferito al piede. Conoscevo un uomo del mio villaggio che lo aveva perduto, un piede. È vissuto fino a novantaquattro anni.»
«Il freddo» insistette Sam. «Non è stato mai al caldo.»
«Non è stato nutrito» sibilò Dirk. «Non come doveva. Quel bastardo di Craster lo ha fatto crepare di fame.»
Sam si guardò attorno con ansia. Craster non era rientrato. Se lo avesse fatto, le cose avrebbero potuto mettersi male di nuovo. Il bruto odiava i bastardi, anche se i ranger dicevano che lui stesso era un bastardo, frutto dell’unione di una donna dei bruti e di un corvo nero morto da molto tempo.
«Craster ha già i suoi da nutrire» disse a Gigante. «Tutte queste donne. Ci ha dato quello che poteva.»
«Non ci credo, cazzo. Il giorno che ce ne andremo, Craster aprirà un otre di birra e festeggerà con prosciutto e miele. E se la riderà di noi, che saremo là fuori a morire di fame. È solo un fottuto bruto, nient’altro. E nessuno dei bruti è amico della confraternita. Non vuoi credermi?» Dirk diede un altro calcio al corpo di Bannen. «Allora chiedilo a lui.»
Bruciarono il corpo al tramonto. Lo bruciarono sul fuoco che Grenn aveva alimentato per tutto il giorno. Tim Stone e Garth di Vecchia Città portarono fuori il cadavere nudo, reggendolo per le mani e per i piedi. Lo fecero oscillare un paio di volte prima di gettarlo tra le fiamme. I confratelli rimasti si divisero i vestiti di Bannen, e anche le sue armi, la sua corazza, tutto quello che aveva posseduto in vita. Al Castello Nero, i Guardiani della notte seppellivano i loro caduti con i dovuti onori. Ma questo non era il Castello Nero. “In questo castello le ossa ritornano… sotto forma di non-morti.”
«Il suo nome era Bannen» disse il lord comandante Mormont, mentre le fiamme avvolgevano la salma. «Era un uomo coraggioso, un buon ranger. Venne da noi da… da dov’è che veniva?»
«Da qualche parte giù verso Porto Bianco» gridò qualcuno.
«Venne da noi da Porto Bianco» riprese Mormont «e mai è venuto meno al suo dovere. Ha mantenuto fede al suo giuramento quanto meglio ha potuto, cavalcando lontano, combattendo con fierezza. Non vedremo mai nessun altro come lui.»
«E ora la sua guardia si è conclusa» dissero i confratelli in nero, in un unico coro solenne.
«E ora la sua guardia si è conclusa» fece eco Mormont.
«Conclusa» gridò il suo corvo. «Conclusa.»
Sam aveva gli occhi rossi e la gola secca a causa del fumo. Guardò tra le fiamme. Credette di vedere Bannen mettersi seduto, con le mani strette a pugno, quasi a lottare contro il fuoco che lo divorava. Fu solo un istante, poi il fumo vorticante inghiottì tutto quanto. Ma la cosa peggiore fu l’odore. Se si fosse trattato di un lezzo repellente, Sam sarebbe anche riuscito a sopportarlo. Ma ciò che emanava dal suo confratello che bruciava era un odore talmente simile a quello del maiale arrosto che gli venne l’acquolina in bocca. Fu orribile. Troppo orribile. Il corvo urlò ancora: «Conclusa». Samwell Tarly corse dietro il castello di Craster. A vomitare in un fosso fangoso.
Fu là, inginocchiato nella melma, che lo trovò Edd l’Addolorato. «Vai a caccia di vermi, Sam? Oppure ti senti male e basta?»
«Mi sento male» rispose flebilmente Sam, ripulendosi la bocca con il dorso della mano. «Quell’odore…»
«Chi l’avrebbe mai detto che Bannen sapeva così di buono, eh?» Il tono di Edd era tetro come sempre. «Pensa che mi era venuta una mezza idea di tagliarmene una fetta. Se ci fosse stata un po’ di salsa di mele, magari l’avrei anche fatto. Il maiale migliora sempre con la salsa di mele sopra.» Si slacciò le brache e tirò fuori l’uccello. «Meglio che non crepi anche tu, Sam, se no mi viene da pensare che non ce la farò a resistere. Con te, ci sarebbe una carne molto più croccante di quella di Bannen. Non sono mai stato capace di resistere a della buona carne croccante.» Edd sospirò e si mise a spandere un liquido arco giallo, fumante. «Ci mettiamo in sella alle prime luci, mi senti? Sole o neve, noi andiamo, così dice il Vecchio orso.»
“Sole o neve.” Sam sollevò al cielo due occhi ansiosi. «Neve?» berciò. «Ci mettiamo… in sella? Tutti?»
«Be’, no. Alcuni dovranno camminare.» Edd l’Addolorato diede una scrollata. «Ecco, Dywen dice che dovremmo imparare a cavalcare cavalli morti, come fanno gli Estranei. Dice che questo ci farebbe risparmiare sulla biada. Quanto può mangiare un cavallo morto?» Si richiuse la patta. «Non posso dire che l’idea mi piace. Se uno impara a fare andare i cavalli morti, mi sa che i prossimi siamo noi. E mi sa anche che il primo sarei proprio io. “Edd” diranno “adesso che sei morto, non ci sono più scuse per sonnecchiare, per cui alzati e prendi questa picca, sei tu di guardia questa notte.” Bah, mi sto preoccupando troppo. Probabilmente sarò morto prima che loro scoprano il trucco.»
“Forse tutti noi saremo morti, e anche molto prima di quanto vorremmo.” Sam si rimise in piedi barcollando.
Quando Craster seppe che i suoi sgraditi ospiti se ne sarebbero andati il mattino seguente, divenne quasi gentile, per quanto potesse diventarlo. «Era ora» disse. «Voi non siete di qui ve l’ho detto, no? Ma in ogni caso voglio che ve ne andate come si deve, con un banchetto. Una bella mangiata. Le mie mogli possono arrostire i cavalli che avete macellato, e io troverò birra e pane.» Sorrise di nuovo, mettendo in mostra i denti marci. «Non c’è niente di meglio di birra e carne di cavallo. Se li cavalchi, li puoi anche mangiare, lo dico sempre.»
Le sue mogli e le sue figlie trascinarono fuori le panche e i lunghi tavoli di tronchi, e poi si misero a cucinare e a servire. Tranne che per Gilly, Samwell faceva fatica a distinguerle l’una dall’altra. Alcune erano vecchie, altre giovani, alcune erano appena delle bambine, ma molte di loro erano anche figlie di Craster, oltre a essere le sue mogli, e per certi versi si assomigliavano tutte. Cucinando e servendo, parlavano tra loro a voce bassa, senza mai rivolgersi agli uomini in nero.
Nel castello c’era un’unica sedia, che naturalmente spettò a Craster. Indossava un gilè di pelle di pecora senza maniche. Le sue braccia massicce erano ricoperte di peluria bianca, attorno a un polso portava un bracciale d’oro a torciglione. Il lord comandante Mormont prese posto accanto a lui, all’estremità della panca alla sua destra. I confratelli in nero si ammassarono gomito a gomito, tranne una dozzina che erano fuori a montare la guardia e ad aumentare i fuochi.
Sam, con lo stomaco che ancora rumoreggiava, trovò posto tra Edd l’Addolorato e Oss l’Orfano. La carne di cavallo abbrustolita colava grasso mentre le mogli di Craster facevano ruotare gli spiedi sulle fiamme. Di nuovo, l’odore fece venire a Sam l’acquolina in bocca, e questo gli fece tornare in mente Bannen. Stava morendo di fame, eppure, se avesse cercato di mandarne giù anche un solo boccone, sapeva che avrebbe vomitato di nuovo. Come potevano gli altri divorare quei poveri destrieri che li avevano portati così lontano? Le mogli di Craster portarono in tavola delle cipolle e lui non esitò ad arraffarne una. Una metà era nera di muffa, Sam la tagliò via con la daga e mangiò l’altra metà cruda. C’era anche del pane, ma soltanto due forme. Ulmer ne chiese dell’altro, ma una delle donne si limitò a scuotere la testa.
Fu a quel punto che iniziarono i guai.
«Due forme e basta?» gridò Karl Piededuro dal fondo della panca. «Ma siete stupide, donne? Di pane ce ne serve di più!»
Il lord comandante Mormont gli lanciò un’occhiata severa. «Prendi quello che ti viene dato e sii riconoscente. A meno che tu non preferisca stare là fuori, a mangiare neve.»
«Ci torneremo anche troppo presto, là fuori.» Karl Piededuro non si lasciò affatto impressionare dalla rabbia del Vecchio orso. «Io voglio mangiare quello che Craster tiene nascosto, mio lord.»
Craster strinse gli occhi. «Ho dato abbastanza a voi corvi. Ho delle donne da sfamare.»
Dirk infilzò un pezzo di carne di cavallo. «Aye. Quindi ammetti che hai una dispensa segreta. So no, come altro faresti a superare l’inverno?»
«Io sono un uomo timorato…» cominciò Craster.
«Tu sei un uomo avido» lo rimbeccò Karl. «E sei un bugiardo.»
«Prosciutti» disse Garth di Vecchia Città, con voce quasi mistica. «C’erano dei maiali, quando siamo passati l’altra volta. Ci scommetto che ha dei prosciutti nascosti da qualche parte. Prosciutti affumicati e salami, e anche pancetta.»
«E salsicce» rincarò Dirk. «Quelle lunghe e nere, dure come la pietra, che si conservano per anni interi. Io dico che Craster ne ha infrattate almeno un centinaio.»
«Orzo» suggerì Ollo Lophand. «Avena. Grano.»
«Grano» gracchiò il corvo di Mormont, agitando le ali. «Grano, grano, grano, grano, grano.»
«Basta così!» tuonò Mormont al di sopra dei versi rauchi del corvo. «Tacete! Tutti quanti. Questa è follia!»
«Mele» disse Garth di Greenaway. «Barili e barili pieni di sode mele d’autunno. Ci sono alberi di mele là fuori, li ho visti io.»
«Fragole secche. Cavoli. Pinoli.»
«Grano, grano, grano.»
«Montone salato. C’è un ovile per le pecore. Ha dozzine di gerle piene di montone salato, lo sappiamo tutti che ce le ha.»
Ormai, Craster sembrava pronto a infilzarli a uno a uno per poi metterli ad arrostire assieme ai cavalli.
«Silenzio!» Il lord comandante Mormont si alzò. «Non tollererò più discorsi del genere.»
«E allora riempiti le orecchie di pane rinsecchito, vecchio.» Karl Piededuro si alzò a sua volta, arretrando dal tavolo. «O forse te la sei già mangiata, la tua crosta di pane del cazzo?»
«Hai forse dimenticato chi hai di fronte?» Sam vide la faccia del Vecchio orso virare al rosso. «Siediti, mangia e fa’ silenzio. Questo è un ordine.»
Nessuno fiatò. Nessuno si mosse. Tutti gli occhi erano puntati sul lord comandante e sul grosso ranger dal piede di legno, intenti a fissarsi dai lati opposti del tavolo. Sam ebbe l’impressione che fosse Karl ad abbassare gli occhi per primo, che stesse per sedersi, per quanto pieno di rabbia…
… ma fu Craster ad alzarsi, con l’ascia in pugno. La grossa ascia di acciaio nero che proprio Mormont gli aveva dato come dono all’ospite.
«No» ringhiò il bruto. «Non ti siedi. Nessuno che mi chiama avido dorme sotto il mio tetto o mangia alla mia tavola. Vattene fuori, storpio. E anche te e te e te.» Da Piededuro, la testa dell’ascia si spostò a indicare Dirk e poi Garth e poi l’altro Garth. «Andatevene a dormire al freddo e a pancia vuota, tutti quanti, o io…»
«Bastardo del cazzo!» Era uno dei Garth quello che Sam udì imprecare, ma non capì quale fosse.
«Chi è che mi chiama bastardo?» Ruggendo, Craster spazzò via piatto, carne e coppe di vino con la sinistra, sollevando l’ascia con la destra.
«Tutti gli uomini lo sanno, che sei un bastardo di corvo» replicò Karl.
Per un uomo della sua stazza, Craster si mosse molto più in fretta di quanto Samwell avrebbe creduto possibile. In un attimo, saltò sul tavolo brandendo l’ascia. Una donna urlò. Garth di Greenaway e Oss l’Orfano snudarono i pugnali. Karl barcollò all’indietro, inciampando nel corpo di ser Byam, che giaceva a terra ferito. Un momento prima, Craster gli piombava addosso vomitando insulti. Il momento dopo, vomitava sangue. Dirk lo aveva afferrato per i capelli, tirandogli indietro la testa e aprendogli la gola da un orecchio all’altro con un’unica, veloce passata. Poi gli diede una spinta violenta. Il bruto crollò in avanti, dritto addosso a ser Byam. Il ranger ferito urlò di dolore, mentre Craster gli moriva addosso annegando nel suo stesso sangue, e l’ascia gli sfuggiva dalle dita ormai prive di forza. Due delle mogli di Craster piangevano, una terza imprecava, una quarta si gettò contro Donnel il Dolce e cercò di cavargli gli occhi a unghiate. Donnel la scaraventò a terra.
Il lord comandante, livido di furore, torreggiò sul cadavere di Craster. «Gli dèi ci maledicono!» gridò. «Non esiste crimine peggiore che portare l’assassinio nella casa dell’ospite. Nel nome di tutte le leggi del focolare, noi…»
«Non esistono leggi a nord della Barriera, vecchio. O te ne sei scordato?» Dirk prese per un braccio una delle mogli di Craster, le puntò alla gola la lama del pugnale insanguinato. «Facci vedere dove tiene nascosto il cibo, donna, se non vuoi fare la sua stessa fine.»
«Lasciala andare.» Mormont fece un passo avanti. «Avrò la tua testa per questo. Tu non…»
Garth di Greenaway gli sbarrò la strada. Ollo Lophand lo bloccò da dietro. Tutti e due avevano le lame sguainate. «Morditi la lingua, vecchio» intimò Ollo. Mormont cercò di estrarre la daga. Ollo aveva solamente una mano, ma era maledettamente svelto. Si liberò dalla stretta del Vecchio orso e gli affondò la lama nel ventre. Quando la strappò fuori, era tutta rossa, gocciolante.
A quel punto, l’universo impazzì.
Più tardi, molto più tardi, Samwell sedeva sul pavimento di terra battuta, tenendo la testa di Mormont in grembo. Non ricordava come fosse arrivato lì. Non ricordava quasi niente di quanto era accaduto dopo che il Vecchio orso era stato accoltellato. Garth di Greenaway aveva ucciso Garth di Vecchia Città, questo lo ricordava, ma non ricordava perché lo avesse fatto. Rolley di Sisterton si era spezzato il collo cadendo dalla scala del soppalco, dove cercava di arrivare per prendersi un assaggio delle mogli di Craster. Grenn…
Grenn gli aveva urlato qualcosa in faccia e lo aveva schiaffeggiato. Poi era scappato via con il Gigante, Edd l’Addolorato e alcuni altri. Il cadavere di Craster continuava a giacere sopra ser Byam, ma i lamenti del cavaliere ferito erano cessati. Quattro uomini in nero sedevano sulle panche, mangiando pezzi di carne di cavallo bruciacchiata, mentre Ollo Lophand si accoppiava sul tavolo con una donna piangente.
«Tarly.» Quando Vecchio orso cercò di parlare, il sangue gli sgorgò dalla bocca, andando ad arrossargli la barba. «Tarly, vai. Vai.»
«Dove, mio lord?» La voce di Samwell era piatta, inerte. “Non ho paura.” Era così strana, quella sensazione. «Non c’è nessun posto in cui andare.»
«La Barriera. Torna alla Barriera. Adesso.»
«Adesso» gracchiò il corvo. «Adesso. Adesso.» L’uccello zampettò lungo il braccio dell’anziano guerriero morente, raggiunse il suo petto e, con una singola beccata, gli strappò un pelo della barba.
«Devi… devi andare a dirglielo.»
«Dirgli che cosa, mio lord?» chiese gentilmente Sam.
«Tutto. Il Pugno. I bruti. Il vetro di drago… Tutto quanto.» Il respiro di Mormont era diventato quasi impercettibile, la sua voce un sussurro. «Devi dire a mio figlio… Jorah. Digli di prendere il nero. Della confraternita. Il mio desiderio. L’ultimo.»
«Desiderio?» Il corvo inclinò la testa, i lucidi occhi neri quasi perplessi. «Grano?»
«Niente più grano» lo zittì Mormont. «Dillo a Jorah. Lo perdono. Mio figlio. Ti prego. Vai.»
«È troppo lontano» rispose Samwell. «Non ce la farò mai a raggiungere la Barriera, mio lord.» Era così stanco. Tutto quello che voleva era dormire, dormire senza più risvegliarsi. E sapeva che se fosse rimasto lì abbastanza a lungo, Dirk oppure Ollo Lophand o anche Karl Piededuro avrebbero finito con l’arrabbiarsi con lui, esaudendo il suo desiderio, giusto per vederlo morire. «Tanto vale che rimanga con te, mio lord. Lo sai? Non ho più paura, adesso. Né di te, né di nient’altro…»
«Invece è meglio che tu ne hai» disse una voce di donna.
Tre delle mogli di Craster erano in piedi davanti a loro. Due vecchie rugose che Sam non conosceva, e tra loro Gilly, tutta avvolta nelle pelli, con in braccio un fagotto di pelliccia bianca e marrone in cui doveva esserci il suo bimbo.
«Non dobbiamo parlare con le mogli di Craster» disse Sam. «Abbiamo i nostri ordini.»
«È finito il tempo degli ordini» disse la vecchia rugosa a destra di Gilly.
«I corvi più neri sono giù nella cantina, a ingozzarsi» disse la vecchia a sinistra. «O su nel soppalco, con quelle giovani. Ma presto torneranno. Meglio che tu sia già andato via quando tornano. I cavalli sono scappati, ma Dyah ne ha catturati due.»
«Tu hai detto che mi aiutavi» gli ricordò Gilly.
«Ho detto che sarebbe stato Jon ad aiutarti. Jon ha coraggio, ed è un bravo guerriero, ma adesso penso che sia morto. Io sono un codardo. E sono grasso. Guarda come sono grasso. E poi, lord Mormont è ferito. Non vedi? Non posso abbandonare il lord comandante.»
«Ragazzo» disse una vecchia. «Il vecchio corvo se n’è andato prima di te. Guarda.»
La testa di Mormont era ancora posata sul suo grembo, ma i suoi occhi erano aperti, fissi. Le labbra non si muovevano. Il corvo inclinò di nuovo la testa e gracchiò, poi guardò Sam. «Grano?»
«Niente grano.» Samwell abbassò le palpebre del Vecchio orso. «Non ne ha più, di grano.» Cercò di pensare a una preghiera. Gli uscì un’unica frase: «Madre, abbi misericordia. Madre, abbi misericordia. Madre, abbi misericordia».
«Tua madre non può fare niente per te» disse la vecchia a sinistra. «Neanche il vecchio uomo morto può fare niente per te. Prendi la sua spada, la sua grande mantella di pelliccia calda e anche il suo cavallo, se riesci a trovarlo. E poi vai.»
«La ragazza non mente» disse la vecchia a destra. «È la ragazza mia, e gliel’ho insegnato da subito con le botte che non si mente. Tu hai detto che l’aiutavi. Fai quello che ti dice Ferny, ragazzo. Prendi la ragazza e fai presto.»
«Presto» esortò il corvo. «Presto, presto, presto.»
«Dove?» chiese Sam, senza capire. «Dov’è che devo portarla?»
«In qualche posto caldo» risposero a una voce le due vecchie donne.
«Me e il mio piccolo.» Gilly stava piangendo. «Ti prego. Sarò tua moglie, come lo ero di Craster. Ti prego, ser corvo nero. È un bambino, proprio come ha detto Nella. Se non lo prendi tu, lo prendono loro.»
«Loro?» disse Sam.
«Loro. Loro. Loro» fece eco il corvo.
«I fratelli del bambino» spiegò la vecchia a sinistra. «I figli di Craster. Il freddo bianco si sta alzando là fuori, corvo. Lo sento nelle ossa. E queste povere vecchie ossa non mentono. Loro saranno qui presto. I figli.»