Meereen, terza e ultima piazzaforte degli schiavisti, era vasta come Astapor e Yunkai messe insieme, ed era anch’essa costruita in mattoni, ma mentre quelli di Astapor erano rossi e quelli di Yunkai gialli, i mattoni di Meereen erano di molti colori diversi. Le sue mura erano più alte di quelle di Yunkai e in migliori condizioni, rinforzate da bastioni e ancorate da grandi torri di difesa in tutti i punti chiave. Dietro di esse, stagliata contro il cielo vuoto, era visibile la parte superiore della Grande Piramide, un mostruoso acrocoro alto ottocento piedi, su cui torreggiava un’arpia di bronzo.
«L’arpia è un essere vile» dichiarò Daario Naharis nel momento stesso in cui la vide. «Cuore di donna, zampe di gallina. Nessuna meraviglia se i suoi figli rimangono rintanati dietro quelle mura.»
L’eroe di Meereen però non rimase rintanato. Uscì a cavallo dalle porte della città, con l’armatura a scaglie di bronzo e smalto nero, in sella a un corsiero bianco la cui bardatura a strisce bianche e rosa era in linea cromatica con la cappa di seta che fluiva dalle spalle dell’eroe. Brandiva una lancia lunga quattordici piedi, anch’essa ornata di bianco e rosa. I suoi capelli erano acconciati e impomatati nella foggia di due grandi corna d’ariete ricurve. L’eroe cavalcò avanti e indietro ai piedi delle alte mura di mattoni multicolori, sfidando gli assedianti a scegliere un loro campione, in modo che lui potesse affrontarlo in singolar tenzone.
Mancò poco che Aggo, Jhogo e Rakharo, i tre cavalieri di sangue della Madre dei draghi, venissero alle mani tra di loro, tanta era la foga di scendere in campo.
«Sangue del mio sangue» disse loro Daenerys Targaryen «il vostro posto è qui, al mio fianco. Quest’uomo è una mosca fastidiosa, nulla di più. Ignoratelo, ben presto sarà svanito.»
Aggo, Jhogo e Rakharo erano guerrieri coraggiosi ma giovani, e troppo preziosi per rischiare di perderne anche uno solo. Non soltanto tenevano assieme il khalasar, ma erano anche i migliori esploratori di Daenerys.
«Saggia decisione, mia regina» concordò ser Jorah Mormont mentre entrambi osservavano, in piedi davanti al padiglione reale. «Che quell’idiota contìnui pure a zampettare avanti e indietro fino a quando il suo ronzino non gli crepa sotto. Non ci fa alcun danno.»
«Invece sì» lo contraddisse Arstan Barbabianca. «Le guerre non si vincono solamente con spade e picche, cavaliere. Due eserciti di eguale forza possono scontrarsi, ma uno finirà con l’andare in pezzi mentre l’altro terrà il fronte. Questo eroe di Meereen infonde coraggio nel cuore dei suoi uomini e getta il seme del dubbio nel cuore dei nostri.»
Ser Jorah grugnì. «E se fosse il nostro campione a essere sconfitto, che genere di seme getterebbe?»
«L’uomo che teme la battaglia non otterrà mai alcuna vittoria, cavaliere.»
«Non è di battaglia che stiamo parlando. Le porte di Meereen non si apriranno nemmeno se quell’idiota morderà la polvere. Perché rischiare una vita per nulla?»
«Non per nulla, per l’onore.»
«Ho udito abbastanza.» Daenerys aveva ben altri problemi da risolvere anche senza il loro berciare. Meereen presentava pericoli molto più gravi del guerriero in bianco e rosa tutto intento a ululare insulti, e non era il caso di farsi distrarre. Dopo la caduta di Yunkai, la sua armata ormai superava gli ottantamila uomini, ma solo un quarto erano soldati. Il resto… bene, ser Jorah li chiamava “bocche dotate di piedi”, e ben presto quelle bocche sarebbero state alla fame.
Di fronte all’avanzata di Daenerys, i Grandi Padroni di Meereen si erano ritirati, portandosi via tutto quello che avevano potuto e riducendo in cenere quanto erano stati costretti a lasciare. Il khalasar aveva incontrato solo terra bruciata e pozzi avvelenati. Peggio ancora, avevano crocifisso un bambino schiavo a ogni palo miliare della strada costiera oltre Yunkai. Li avevano crocifissi ancora vivi, le viscere penzolanti dall’addome squarciato, un braccio teso in direzione di Meereen. Daario Naharis, al comando dell’avanguardia, aveva dato ordine di tirarli giù e di seppellirli prima che Dany potesse vederli, ma la Madre dei draghi aveva dato subito il contrordine non appena le era stato riferito quell’orrore. «Invece li vedrò» aveva detto. «Vedrò ognuno di loro, e conterò quanti sono, e guarderò il loro viso. E non dimenticherò.»
Quando finalmente arrivarono in vista di Meereen, incombente sulla costa del sale, alla foce del fiume Skahazadhan, Daenerys ne aveva contati centosessantatré. “Prenderò questa città” aveva giurato a se stessa per l’ennesima volta.
L’eroe locale in bianco e rosa continuò a provocare gli assedianti per oltre un’ora, deridendo la loro virilità, offendendo madri, mogli e dèi. Dall’alto delle mura, i difensori di Meereen lo inneggiavano e lo applaudivano.
«Il suo nome è Oznak zo Pahl» la informò Ben Plumm il Marrone quando arrivò per presenziare al consiglio di guerra. Era il nuovo comandante dei Secondi Figli, eletto dai suoi camerati mercenari. «Un tempo, prima di entrare nei Secondi Figli, ero stato guardia del corpo di suo zio. E i Grandi Padroni… che putrido groviglio di vermi. Le donne non sono male, anche se guardare quella sbagliata nel modo sbagliato può costarti la pelle. Conoscevo un uomo, un certo Scarb, a cui Oznak strappò il fegato. Dichiarò di aver difeso l’onore di una signora che Scarb aveva stuprato con lo sguardo. E io allora chiedo come si fa a stuprare una donzella con lo sguardo? Ma suo zio è l’uomo più ricco di Meereen e suo padre è il comandante della Guardia cittadina, per cui fui costretto a scappare come il vento prima che Oznak sgozzasse anche me.»
Osservarono Oznak zo Pahl smontare dal suo corsiero bianco, aprire le tuniche, tirare fuori l’uccello e lanciare un getto di urina nella generica direzione dell’uliveto in cui, tra monconi di alberi bruciati, era stato eretto il padiglione dorato di Daenerys.
Stava ancora pisciando quando Daario Naharis arrivò a cavallo, con l’arakh in pugno. «Vuoi che vada a tagliarglielo e poi glielo ficchi in gola, maestà?» Il suo dente d’oro scintillava dietro la barba biforcuta.
«È quella città che vogliamo, non la sua striminzita virilità.» Daenerys però cominciava a infuriarsi. “Se continuo a ignorare l’affronto, la mia gente penserà che sono debole.” Al tempo stesso, chi mandare? Daario le era indispensabile quanto i suoi cavalieri di sangue. Senza lo stravagante guerriero tyroshi, avrebbe perduto la presa sui Corvi della Tempesta, molti dei quali avevano obbedito a Prendahl na Ghezn e a Sallor il Baldo, altri due comandanti della compagnia di ventura, prima che Naharis li decapitasse entrambi in un temerario, brutale colpo di mano.
Dalle alte mura di Meereen, le urla di scherno si erano fatte ancora più assordanti. Molti avevano seguito l’esempio del loro eroe nello spregio agli avversari: veri e propri torrenti di piscio adesso scivolavano giù per le fortificazioni. “È sugli schiavi che stanno pisciando, per mostrarci quanto poco ci temono. Mai oserebbero farlo se ci fosse un’orda dothraki fuori dalle loro porte.”
«Questa sfida deve essere raccolta» insistette Arstan.
«E sia» dichiarò Dany, mentre l’eroe locale rimetteva via l’uccello. «Andate a dire a Belwas il Forte che ho bisogno di lui.»
Trovarono il gigantesco eunuco dalla pelle marrone all’ombra del padiglione della regina, intento a mangiare una salsiccia. La finì in tre morsi, si pulì le mani unte sulle brache e mandò Arstan a prendere le sue armi. L’anziano scudiero, il più vecchio dei Sette Regni, nella poco gradevole definizione di ser Jorah, affilava l’arakh di Belwas ogni notte, strofinando l’acciaio scintillante con olio rosso.
Quando Barbabianca gli portò l’arma, Belwas il Forte esaminò il filo, grugnì un’approvazione, fece scivolare la lama nel fodero di cuoio e si strinse il cinturone attorno al vasto girovita. Arstan gli aveva portato anche lo scudo: un disco d’acciaio non più grande di un piatto da torta. L’eunuco guerriero lo impugnava con la mano libera invece che fare scivolare l’avambraccio nella correggia interna alla maniera delle terre d’Occidente.
«Trovami fegato e cipolle, Barbabianca» disse Belwas. «Non per adesso, per dopo. A Belwas il Forte uccidere mette fame.» Senza aspettare risposta, si addentrò nell’uliveto carbonizzato. Verso Oznak zo Pahl.
«Perché lui, khaleesi?» protestò Rakharo. «È grasso e stupido.»
«Belwas il Forte era uno schiavo proprio qui a Meereen, nelle fosse da combattimento. Se questo Oznak di alto lignaggio dovesse soccombere contro un simile avversario, i Grandi Padroni verrebbero coperti di vergogna, mentre se dovesse vincere… ben magra vittoria per un nobile, una vittoria priva di orgoglio per Meereen.» Inoltre, a differenza di ser Jorah, Daario, Ben il Marrone e dei tre cavalieri di sangue, l’eunuco guerriero non guidava soldati, non contribuiva ai piani di battaglia e non dava consigli. “Tutto quello che fa è mangiare, ruttare e gridare dietro ad Arstan.” Belwas era l’uomo più sacrificabile. Infine era tempo che lei vedesse una volta per tutte che genere di protettore il magistro Illyrio Mopatis le aveva inviato.
Un mormorio di eccitazione serpeggiò tra i ranghi degli assedianti quando videro Belwas il Forte dirigersi verso la città. Dalle mura di Meereen arrivarono urla e insulti. Oznak zo Pahl si rimise in sella, rimanendo in attesa, con la lancia rivolta verso il cielo. Il corsiero bianco fece andare su e giù la testa con impazienza, mentre con lo zoccolo raspava la sabbia. Pur essendo massiccio, Belwas appariva piccolo a confronto dell’eroe di Meereen.
«Un avversario cavalieresco smonterebbe» commentò Arstan.
Oznak zo Pahl abbassò la lancia e partì alla carica.
Belwas si fermò, ben piantato a gambe larghe. In una mano stringeva il piccolo scudo rotondo e nell’altra impugnava l’arakh ricurvo cui Arstan Barbabianca dedicava tanta cura. Al di sopra della fascia di seta gialla che portava annodata in vita, il grande ventre prominente e il torace floscio dell’eunuco erano nudi, esposti. Belwas non indossava altra armatura all’infuori del suo gilè di cuoio borchiato, così assurdamente piccolo da non arrivare a coprirgli nemmeno i capezzoli.
Dany si sentì improvvisamente in ansia. «Avremmo dovuto dargli almeno una maglia di ferro.»
«Lo avrebbe rallentato e basta» ribatté ser Jorah. «Non si portano armature nelle fosse da combattimento. Lo spettacolo che il pubblico viene a vedere è il sangue.»
Gli zoccoli del corsiero bianco sollevarono vortici di polvere. Oznak avanzò dritto contro Belwas il Forte, il mantello a strisce che gli sventolava alle spalle. L’intera città di Meereen parve andare in eruzione, inneggiando per lui. Al confronto di quell’immane urlo, le grida d’incitamento degli assedianti sembrarono poche e flebili. Gli Immacolati di Daenerys si ergevano in ranghi silenziosi, osservando con volti di pietra. Anche Belwas il Forte sembrava di pietra. Rimase immobile sulla traiettoria del cavallo, con il minuscolo gilè teso contro la schiena a botte. La lancia di Oznak scese per allinearsi al torace di Belwas. La lucida punta d’acciaio lampeggiò nel sole. “Finirà impalato…” pensò Dany.
… L’eunuco guerriero scartò di lato. Rapido come un battito di ciglia, cavallo e cavaliere si ritrovarono oltre. Oznak tirò le redini e sollevò la lancia. Belwas non fece alcun tentativo di colpirlo. I meereenesi sulle mura urlarono ancora più forte.
«Ma che cosa sta facendo?» domandò Daenerys.
«Sta dando spettacolo per la folla» replicò ser Jorah.
Oznak condusse il cavallo in un ampio cerchio attorno a Belwas, diede furiosamente di speroni e caricò di nuovo. Di nuovo, Belwas il Forte rimase ad aspettarlo. E di nuovo scartò di lato, evitando la punta della lancia. Daenerys udì la tonante risata dell’eunuco echeggiare sulla pianura quando l’eroe di Meereen lo oltrepassò per la seconda volta.
«È troppo lunga, quella lancia» disse ser Jorah. «Tutto quello che Belwas deve fare è evitare la punta. Invece di cercare d’infilzarlo in modo così elegante, quello stupido cornuto dovrebbe passargli sopra e basta.»
Oznak zo Pahl caricò per la terza volta. E Daenerys vide chiaramente che cavalcava a lato di Belwas, come fanno i cavalieri del continente occidentale quando si affrontano in torneo, e non verso Belwas, come avrebbe fatto un dothraki deciso ad abbattere l’avversario. Il terreno pianeggiante permetteva al corsiero di raggiungere una buona velocità, ma consentiva anche all’eunuco di evitare l’ingombrante lancia da quattordici piedi.
Questa volta però l’eroe a strisce bianche e rosa di Meereen volle giocare d’anticipo. All’ultimo momento, spostò l’angolazione della lancia cercando d’infilzare Belwas quando lui si toglieva di mezzo. Ma l’eunuco intuì anche questa mossa, e invece di spostarsi lateralmente, si lasciò cadere in ginocchio. La lancia sibilò inutilmente sopra la sua testa. Di colpo Belwas rotolò sulla sabbia, il suo arakh affilato come un rasoio descrisse un arco argenteo e tutti, proprio tutti, udirono il nitrito di dolore del corsiero quando l’acciaio gli falciò le gambe. Poi il cavallo crollò, scaraventando il cavaliere giù dalla sella.
Un silenzio improvviso calò sui parapetti di mattoni di Meereen. Adesso era la gente di Dany a incitare e applaudire.
Oznak riuscì a sganciarsi dal destriero in agonia. Estrasse la spada prima che Belwas il Forte gli piombasse addosso. L’acciaio batté contro l’acciaio, un turbine troppo rapido, troppo feroce perché Dany potesse distinguere la sequenza dei colpi. In una manciata di attimi il petto di Belwas era viscido per il sangue colato da una ferita orizzontale sotto le mammelle, e ci volle ancora meno perché Oznak si ritrovasse con il rostro dell’arakh affondato nel cranio, proprio nel bel mezzo delle sue orgogliose corna d’ariete. L’eunuco guerriero divelse la lama. Con tre colpi micidiali finì di staccare la testa dal collo dell’avversario. Si voltò verso Meereen e sollevò il cranio mozzato, gocciolante, in modo che tutti potessero vederlo. Concluse lanciando il macabro trofeo verso le porte della città, mandandolo a rotolare sulla sabbia lasciandosi dietro una scia rossa frastagliata.
«Ingloriosa fine dell’eroe di Meereen» sghignazzò Daario Naharis.
«Una vittoria senza senso» ammonì ser Jorah. «Non prenderemo Meereen uccidendo i suoi difensori uno alla volta.»
«No, certo» concordò Dany «ma sono contenta che abbiamo ucciso almeno questo difensore.»
Gli armati sulle mura cominciarono a lanciare dardi di balestra contro Belwas, ma i dardi caddero prima del bersaglio o lo mancarono conficcandosi sulla sabbia. L’eunuco guerriero voltò le spalle alla grandine di punte d’acciaio, si abbassò le brache, sedette sui talloni e fece una cacata in faccia alla città. Dopo di che, si ripulì con la cappa a strisce di Oznak e si attardò quanto bastava per depredare il cadavere dell’eroe di Meereen e per porre fine alle sofferenze del suo corsiero prima di tornare verso l’uliveto annerito dall’incendio.
Quando arrivò all’accampamento, gli assedianti lo accolsero con un fragoroso benvenuto. I dothraki di Dany ulularono e gridarono, gli Immacolati levarono un enorme clangore picchiando le picche contro gli scudi.
«Ben fatto» gli disse ser Jorah.
Ben il Marrone gli gettò una prugna matura. «Un frutto dolce per un dolce combattimento.»
Perfino le ancelle dothraki di Daenerys ebbero parole di elogio: «Acconceremmo i tuoi capelli a treccia e vi appenderemmo una campanella, Belwas il Forte» dichiarò Jhiqui «solo che tu non hai capelli da intrecciare».
«Belwas il Forte non vuole campanelle.» L’eunuco guerriero divorò la prugna di Ben il Marrone in quattro possenti morsi e gettò via il nocciolo. «Belwas il Forte vuole fegato e cipolle.»
«E questo avrai» disse Dany. «Vedo che Belwas il Forte è ferito.» Il ventre dell’eunuco continuava a essere coperto di sangue, colato da una ferita superficiale sotto le mammelle.
«Non è niente. Lascio che l’avversario mi colpisca una volta, prima di ucciderlo.» Si diede una pacca sul ventre arrossato. «Conta le cicatrici, e sai quanti Belwas il Forte ha abbattuto.»
Ma Daenerys aveva perduto khal Drogo proprio a causa di una ferita molto simile a quella. Mandò Missandei, la giovanissima ancella di Astapor, alla ricerca di un certo liberto di Yunkai noto per le sue arti di guaritore. Belwas ululò e si lamentò. Dany continuò a rimproverarlo, dandogli del grasso bambinetto calvo, fino a quando il guaritore non ebbe stagnato la ferita con l’aceto e l’ebbe ricucita, fasciando il ventre dell’eunuco con strisce di lino imbevute di buon vino.
Fu solamente dopo tutto questo che Daenerys convocò i suoi capitani e i suoi comandanti nel padiglione per il consiglio di guerra.
«Devo avere questa città» disse loro, seduta a gambe incrociate su una pila di cuscini, circondata dai suoi draghi. Irri e Jhiqui versarono il vino. «I granai di Meereen sono pieni fino a scoppiare. Sulle terrazze delle piramidi crescono fichi, datteri, olive. I magazzini sono stracolmi di pesce salato e carne affumicata.»
«Più tanti scrigni pieni zeppi d’oro, argento e pietre preziose» le ricordò Daario Naharis. «Non dimentichiamo le pietre preziose.»
«Ho studiato le mura fortificate verso l’entroterra» intervenne ser Jorah «ma non ho individuato alcun punto debole. Potremmo scavare un tunnel sotto una delle torri e fare breccia, ma che cosa mangeremo durante gli scavi? Le nostre scorte si esauriranno molto prima.»
«Nessun punto debole nelle mura verso l’entroterra?» ripeté Daenerys. Meereen sorgeva su una lingua di sabbia e pietra nel punto in cui il lento, scuro fiume Skahazadhan andava a gettarsi nella baia degli Schiavisti. Le mura settentrionali della città si sviluppavano lungo la riva occidentale, in direzione del golfo. «Questo significa che saremo costretti ad attaccare dal fiume oppure dal mare?»
«Con tre sole navi? Dovremo mandare il capitano Groleo a dare un’occhiata alle mura sul fiume ma, a meno che quelle mura non siano in rovina, attaccare da quel lato significherà solo morire bagnati.»
«E se costruissimo torri d’assedio? Mio fratello Viserys narrava di simili strutture, so che possono essere costruite.»
«Bisogna avere il legname per costruirle, maestà» rispose ser Jorah. «Ma gli schiavisti hanno bruciato tutti gli alberi nel raggio di venti leghe. Senza legname, non avremo catapulte per fare breccia nelle fortificazioni, né scale per scavalcarle, né torri d’assedio, né testuggini, né arieti. Certo, porremmo andare all’assalto delle porte con l’ascia in pugno, ma…»
«Avete notato le teste di bronzo sopra le porte?» chiese Ben Plumm il Marrone. «Quelle file di teste d’arpia dalle bocche spalancate? Bene, da quelle bocche i meereenesi possono far uscire fiumi d’olio bollente, arrostendo i guerrieri armati d’ascia là dove si trovano.»
Daario Naharis fece un sorriso a Verme Grigio. «Forse dovrebbero essere gli Immacolati a impugnare quelle asce. Ho sentito dire che per voi l’olio bollente è solo un bagno caldo.»
«È falso.» Verme Grigio, comandante degli Immacolati, non rispose al sorriso. «Questi soldati non sentono le ustioni come gli altri uomini, ma l’olio bollente li acceca e li uccide ugualmente. Eppure, gli Immacolati non temono la morte. Date a noi quegli arieti, maestà, e abbatteremo le porte di Meereen, a costo di morire tutti.»
«E infatti morireste tutti» confermò Ben il Marrone. A Yunkai, quando aveva assunto il comando dei Secondi Figli, aveva dichiarato di essere un veterano di cento battaglie. “Non posso però dire di avere combattuto con coraggio in tutte quelle cento battaglie. Esistono mercenari vecchi ed esistono mercenari coraggiosi, ma non esistono vecchi mercenari coraggiosi” aveva aggiunto.
Daenerys capì che quella era la cruda verità. «No, Verme Grigio» sospirò «non getterò via le vite degli Immacolati. Forse potremmo prendere Meereen per fame.»
Ser Jorah Mormont ebbe un’espressione infelice. «Saremo noi a morire di fame, maestà, e molto prima di loro. Qui non c’è cibo per gli uomini, né biada per i muli e i cavalli. E anche l’acqua di questo fiume non mi piace. Meereen getta la sua merda nello Skahazadhan, ma ricava l’acqua che beve da pozzi profondi. Nei nostri accampamenti ci sono già i primi casi di malattia, febbri, scabbia e tre casi di diarrea emorragica. Se restiamo, ce ne saranno altri. Gli schiavi sono indeboliti dalla marcia.»
«Liberti» lo corresse Dany. «Non sono più schiavi.»
«Schiavi o liberi, hanno fame e presto si ammaleranno. Questa città ha scorte più grandi delle nostre, e può rifornirsi d’acqua. Le tue tre navi non bastano a bloccare sia il fiume sia il mare.»
«Allora qual è il tuo consiglio, ser Jorah?»
«Non ti sarebbe gradito.»
«Lo ascolterò ugualmente.»
«Come desideri. Io dico: lasciamo perdere questa città. Non puoi liberare ogni schiavo al mondo, khaleesi. La tua vera guerra è nell’Occidente.»
«Non ho dimenticato l’Occidente.» Certe notti Daenerys sognava quella terra fantastica che non aveva mai visto. «Ma se permetterò alle vecchie mura di mattoni di Meereen di vincermi così facilmente, come riuscirò a prendere i grandi castelli di pietra del continente occidentale?»
«Nello stesso modo in cui li prese Aegon il Conquistatore» rispose ser Jorah. «Con il fuoco. Quando raggiungeremo i Sette Regni, i tuoi draghi saranno cresciuti. E avremo anche catapulte e torri d’assedio, tutte armi che qui non abbiamo… ma il cammino attraverso le Terre della Lunga Estate è lungo ed estenuante, pieno di pericoli a noi ignoti. Ti sei fermata ad Astapor per comprare un esercito, non per iniziare una guerra. Risparmia le tue spade e le tue picche per i Sette Regni, mia regina. Lascia Meereen ai meereenesi e mettiti in marcia verso occidente, verso la città libera di Pentos.»
«Mettermi in marcia… da regina sconfitta?» disse Daenerys, con astio.
«Quando i codardi si nascondono dietro alte mura, sono loro gli sconfitti, khaleesi» dichiarò ko Jhogo.
Anche gli altri due cavalieri di sangue si associarono. «Sangue del mio sangue» disse Rakharo «quando i codardi si nascondono, quando bruciano cibo e alberi, i grandi khal devono andare alla ricerca di avversari più degni, è risaputo.»
«È risaputo» concordò Jhiqui, versando altro vino.
«Non da me.» Daenerys teneva in grande conto il consiglio di ser Jorah, ma andarsene lasciando Meereen intatta era più di quanto potesse sopportare. Come dimenticare tutti quei bambini inchiodati ai pali lungo la strada costiera, con le esili braccia puntate verso la città maledetta e gli uccelli predatori che beccavano le loro viscere esposte? «Ser Jorah, tu dici che non ci rimane più cibo. Se ci mettiamo in marcia verso ovest, come potrò sfamare ì miei liberti?»
«In nessun modo. Mi dispiace, khaleesi. Dovranno essere in grado di nutrirsi da soli o moriranno di fame. Molti di loro moriranno durante la marcia, è vero. E questo sarà difficile da sopportare, ma non c’è modo di salvarli. Dobbiamo lasciare questa terra bruciata alle nostre spalle.»
Quando avevano attraversato la desolazione rossa, Daenerys si era lasciata alle spalle una scia di cadaveri. Uno spettacolo che non intendeva rivedere. «No» disse «non trascinerò la mia gente in una marcia della morte.» “Sono i miei figli.” «Deve esistere una via per entrare in quella città.»
«E io so qual è.» Ben Plumm il Marrone si accarezzò la barba grigia e bianca. «Le fogne.»
«Le fogne? Che cosa intendi?»
«Grandi fogne di mattoni vanno a svuotarsi nello Skahazadhan, portando via i rifiuti della città. Potrebbe essere il modo per far entrare un po’ di uomini. È da là che sono riuscito a fuggire quando Scarb venne decapitato.» Ben il Marrone fece una smorfia. «Il tanfo delle fogne di Meereen non mi ha mai lasciato. Certe notti me lo sogno ancora.»
Ser Jorah era dubbioso. «Mi sembra che sia più facile uscire che entrare. Dici che queste fogne vanno a svuotarsi nel fiume? Ciò significa che le imboccature degli scarichi si trovano al di sotto delle mura.»
«E sono sbarrate da grate di ferro» ammise Ben il Marrone «anche se molte sono corrose dalla ruggine, altrimenti sarei annegato nella merda. Una volta dentro, c’è da fare una lunga salita fetida nel buio pesto, in un labirinto di mattoni in cui ci si può perdere per sempre. Il liquame non scende mai sotto la cintola e può anche arrivare a sommergerti completamente, a giudicare dalle chiazze che ho visto sul soffitto. E poi, là sotto ci sono topi grossi come non si sono mai visti prima. E anche altre cose. Fetenti.»
Daario Naharis rise di nuovo. «Fetenti come te quando sei strisciato fuori? Se un uomo fosse così fesso da tentare un’impresa del genere, gli schiavisti di Meereen sentirebbero il suo puzzo nel momento stesso in cui emerge.»
Ben il Marrone alzò le spalle. «Sua maestà ha chiesto se esiste una via per entrare a Meereen e io ho detto qual è… ma Ben Plumm in quelle fogne non ci ritorna, nemmeno per tutto l’oro dei Sette Regni. Se però c’è qualcuno che vuole provarci, faccia pure.»
Aggo, Jhogo e Verme Grigio si misero a parlare tutti assieme.
Daenerys sollevò una mano, imponendo il silenzio. «Queste fogne non sembrano un’alternativa promettente.»
Se lei glielo avesse ordinato, Verme Grigio avrebbe guidato gli Immacolati là sotto, di questo era consapevole. E nemmeno i suoi cavalieri di sangue si sarebbero tirati indietro. Ma nessuno di loro era adatto a un simile compito. I dothraki erano guerrieri a cavallo, mentre la forza degli Immacolati era la loro disciplina sul campo di battaglia. “Come posso mandare degli uomini a morire nell’oscurità dietro una speranza così fragile?”
«Devo pensarci» concluse. «Tornate ai vostri doveri.»
I capitani s’inchinarono e si ritirarono, lasciandola con le sue ancelle e i suoi draghi. Ma quando anche Ben Plumm il Marrone stava per uscire, Viserion spalancò le diafane ali bianche e svolazzò pigramente verso la sua testa. Una delle ali scivolò sulla faccia del mercenario. Il drago bianco atterrò in modo goffo, un artiglio sul capo dell’uomo e l’altro sulla spalla. Poi lanciò un grido raschiante e decollò di nuovo.
«Tu gli piaci, Ben» disse Dany.
«Com’è giusto che sia» rise Ben il Marrone. «C’è in me almeno una goccia di sangue di drago, lo sai, maestà?»
«In te?» Dany fu colta alla sprovvista. Ben Plumm faceva parte delle truppe mercenarie ed era una simpatica canaglia. Aveva un viso largo, marrone, il naso spezzato e una gran massa di capelli grigi arruffati. Dalla madre dothraki aveva preso i grandi occhi scuri a mandorla. Ben dichiarava di essere in parte braavosiano, in parte delle isole dell’Estate, in parte ibbenese, in parte di Qohor, in parte dothraki, in parte dorniano e in parte delle terre d’Occidente. Ma questa era la prima volta che Daenerys lo sentiva menzionare il sangue dei Targaryen. Gli lanciò un’occhiata penetrante. «E in che modo?»
«Be’» spiegò Ben il Marrone «c’è stato un vecchio Plumm nei regni del Tramonto che sposò una principessa dei draghi. Me lo raccontò mia nonna. Ha vissuto al tempo di re Aegon.»
«Quale re Aegon?» chiese Dany. «Ci sono stati cinque Aegon che hanno regnato sull’Occidente.» Il figlio infante di suo fratello Rhaegar sarebbe stato il sesto, ma gli uomini dell’Usurpatore gli avevano sfondato il cranio sbattendolo contro un muro.
«Cinque, davvero? Questo mi manda in confusione. Non so dirti di quale Aegon si tratti, mia regina. Quel vecchio Plumm, però, era un lord e dev’essere stato anche un uomo famoso, ai suoi tempi, uno di cui parlavano tutti. Ecco, invocando la tua regale benevolenza, aveva un cazzo lungo sei piedi.»
Daenerys scoppiò a ridere, facendo tintinnare le tre campanelle nella sua treccia argentea. «Vorrai dire sei pollici.»
«No, no: piedi» dichiarò Ben il Marrone con fermezza. «Se fossero solo pollici, maestà, oggi chi ne parlerebbe più?»
Dany rise come una ragazzina. «E tua nonna ha detto di averlo visto con i suoi occhi, questo prodigio?»
«Vederlo, quella vecchia non lo ha visto mai. Era mezza di Ibben e mezza di Qohor, non è mai stata all’Ovest. Deve averglielo raccontato mio nonno. Certi dothraki lo hanno ammazzato prima che io nascessi.»
«E tuo nonno da chi lo aveva saputo?»
«Penso che fosse una di quelle storie che si imparano con il latte materno.» Ben il Marrone si strinse nelle spalle. «È tutto quello che so di Aegon il Senzanumero, temo, e della possente virilità del vecchio lord Plumm. Adesso è meglio che vada dai miei Secondi Figli.»
«Vai pure.»
Quando Ben il Marrone fu uscito, Daenerys si rilassò sui cuscini. «Se tu fossi cresciuto» disse a Drogon, grattandolo tra le corna «ti manderei in volo oltre le mura a fondere quell’arpia di bronzo sulla cima della piramide in una massa informe.»
Ma sapeva che sarebbero dovuti passare alcuni anni prima che i suoi draghi fossero abbastanza cresciuti da poter essere cavalcati. “E quando finalmente saranno cresciuti, chi sarà a cavalcarli? Il drago dei Targaryen ha tre teste, mentre io ne ho solo una.” Il suo pensiero andò a Daario Naharis. “Se mai è esistito qualcuno in grado di stuprare una donna con lo sguardo…”
E lei era altrettanto colpevole, a tutti gli effetti. Dany si ritrovava a lanciare sguardi furtivi allo stravagante mercenario di Tyrosh ogni volta che i suoi capitani si riunivano per i consigli di guerra. E, di notte, spesso le tornava in mente il suo dente d’oro, che scintillava a ogni sorriso. E anche i suoi occhi. “Quei vividi occhi azzurri.” Lungo la strada da Yunkai, ogni volta che si presentava da lei la sera a fare rapporto Daario le portava un fiore, un ramoscello o una piccola pianta, in modo che sua maestà potesse apprendere che genere di terra stessero attraversando, diceva. Salice di vespa, rosa nera, menta selvatica, merletto della signora, foglia di lancia, ginestra, biancospino, oro d’arpia… “Ha anche cercato di risparmiarmi la vista dei bambini crocifissi.” Cosa che non avrebbe dovuto fare, ma che comunque aveva motivazioni gentili. Inoltre, Daario Naharis la faceva ridere, cosa che mai ser Jorah era riuscito a fare.
Dany cercò di immaginare come sarebbe stato se avesse consentito a Daario di baciarla nello stesso modo in cui ser Jorah l’aveva baciata a bordo della nave. Un pensiero che la eccitava e la turbava al tempo stesso. “No, sarebbe troppo rischioso.” Il mercenario di Tyrosh era tutt’altro che un uomo integerrimo. Dany non aveva bisogno che glielo ricordassero. Dietro a tutti quei sorrisi, a quelle battute, si celava un individuo pericoloso. E crudele. Una mattina Sallor il Baldo e Prendahl na Ghezn erano stati suoi compagni di ventura alla guida dei Corvi della Tempesta. Ma alla sera di quella stessa giornata Daario aveva gettato ai piedi di Daenerys le loro teste mozzate. “Anche khal Drogo sapeva essere crudele, e non c’è mai stato un uomo più pericoloso di lui.” Eppure lei lo aveva amato comunque. “E Daario? Potrei arrivare ad amarlo? Che cosa potrebbe significare, se lo accogliessi nel mio talamo? Potrebbe essere lui una delle tre teste del drago?” Ser Jorah sarebbe andato su tutte le furie, questo le era chiaro, ma era proprio lui a dirle che avrebbe dovuto avere due mariti. “Forse dovrei sposarli entrambi e porre fine al dilemma.”
Si trattava di assurdi voli di fantasia. Aveva una città da conquistare, e sognare gli occhi azzurri e i baci di un guerriero mercenario non le sarebbe stato di alcun aiuto per abbattere le fortificazioni di Meereen. “Io sono il sangue del drago” Daenerys ricordò a se stessa. Ma la sua mente continuava a vorticare, come un cane che cerca di mordersi la coda. All’improvviso, capì di non poter tollerare un istante di più gli spazi ristretti del suo padiglione. “Voglio avere il vento sul viso e sentire l’odore del mare.”
«Missandei» chiamò. «Fa’ sellare la mia purosangue. E prendi anche tu un cavallo.»
La piccola scriba fece un inchino. «Come sua maestà comanda. Vuoi che convochi i tuoi cavalieri di sangue a scortarti?»
«Prenderemo con noi Arstan Barbabianca. Non ho intenzione di uscire dagli accampamenti.» Non aveva nemici tra i suoi figli. Inoltre l’anziano scudiero non parlava incessantemente come Belwas, né la guardava come Daario.
L’uliveto bruciato in cui Daenerys aveva fatto erigere il suo padiglione era vicino al mare, tra l’accampamento dei dothraki e quello degli Immacolati. Una volta che i cavalli furono sellati, Dany e i suoi due compagni si avviarono lungo la costa, allontanandosi dalla città. Fu inutile: alle sue spalle, Daenerys continuò a percepire Meereen che si faceva beffe di lei. Gettò un’occhiata dietro di sé. E infatti eccola là, con il sole del pomeriggio che fiammeggiava sull’arpia di bronzo in cima alla Grande Piramide. Presto, all’interno delle mura fortificate, gli schiavisti di Meereen si sarebbero rilassati nei loro tokar muniti di frange, banchettando con agnello alle olive, feti di cane, ratti bianchi al miele e altri manicaretti del genere. Mentre all’esterno delle mura i figli di Daenerys continuavano a patire la fame. Di colpo, si sentì piena di furore. “Io ti avrò” giurò a se stessa.
Superarono gli sbarramenti di pali acuminati e le trincee di protezione dell’accampamento degli eunuchi guerrieri. Dany poté udire Verme Grigio e i suoi sergenti impegnati ad addestrare una compagnia a una serie di assalti con scudo, spada corta e lancia pesante. Un’altra compagnia, i cui soldati indossavano solo mezze brache di lino bianco, stava bagnandosi nel mare. Gli eunuchi erano estremamente puliti, aveva notato Dany. Molti mercenari puzzavano come se non si fossero né lavati né cambiati dall’epoca in cui suo padre re Aerys aveva perduto il Trono di Spade, invece gli Immacolati facevano il bagno ogni sera, perfino dopo un’intera giornata di marce forzate. Quando non c’era acqua disponibile si pulivano usando la sabbia, seguendo l’usanza dothraki.
Al suo passaggio gli Immacolati si genuflessero, portandosi i pugni serrati al petto. Daenerys rispose al loro saluto. Si stava alzando la marea e la risacca ribolliva attorno agli zoccoli della sua purosangue argentata. Dany poté vedere le sue navi alla fonda oltre la linea dei flutti. La Balerion era quella ormeggiata più sottocosta, con le vele raccolte; era il grosso mercantile un tempo conosciuto come Saduleon. Più al largo c’erano le altre due galee, la Meraxes e la Vhagar, battezzate in precedenza Scherzo di Joso e Sole d’estate. In realtà, quegli scafi non erano affatto suoi ma di proprietà di magistro Illyrio, eppure lei le aveva ribattezzate senza un solo attimo di esitazione. Nomi di draghi, e inoltre nell’antica Valyria, prima che il Disastro la cancellasse, Balerion, Meraxes e Vhagar erano stati dèi.
A sud dell’ordinata scacchiera fatta di rostri acuminati, trincee, addestramenti ed eunuchi intenti a bagnarsi si stendevano gli accampamenti dei liberti, i suoi liberti, luoghi molto più rumorosi e caotici. Dany aveva armato gli schiavi di un tempo quanto meglio aveva potuto con le armi prese ad Astapor e Yunkai. Ser Jorah aveva organizzato gli uomini abili a combattere in quattro grosse compagnie, ma Daenerys non vide nessun addestramento in corso. Passarono di fronte a un falò aumentato da legna portata a riva dal mare. Almeno un centinaio di persone erano radunate attorno al fuoco, ad arrostire la carcassa di un cavallo. Dany percepì l’odore della carne che cuoceva, udì il grasso che friggeva mentre i ragazzi facevano ruotare lo spiedo. Ma si trattò di una vista che le fece corrugare la fronte.
Frotte di bambini giocosi corsero dietro ai loro cavalli. Come saluto, molte voci chiamarono Dany in una cacofonia di linguaggi. Alcuni liberti la apostrofarono come “Madre”, altri implorarono doni o favori. Alcuni invocarono strani dèi affinché la benedicessero, altri ancora chiesero che fosse lei a benedirli. Lei sorrise in risposta, voltandosi a destra e a sinistra, toccando le loro mani sollevate, permettendo a coloro i quali si erano inginocchiati di toccare le sue staffe, le sue gambe. Molti liberti credevano che toccare la “Madre” di tutti loro portasse fortuna. “Se questo infonde loro coraggio, che mi tocchino pure” pensò Dany. “Ci aspettano dure tribolazioni…”
Si fermò a parlare con una donna incinta, la quale voleva che la Madre dei draghi battezzasse suo figlio. Dany non vide nemmeno il movimento improvviso. Qualcuno allungò una mano, l’afferrò per il polso sinistro. Dany si voltò. Ebbe la fugace visione di un uomo alto, coperto di stracci, con la testa rasata e la faccia bruciata dal sole.
«Non così forte…» tentò di dire. Non riuscì a finire la frase.
L’uomo calvo la strappò brutalmente giù di sella. Il terreno le arrivò addosso di schianto, l’impatto le tolse il fiato. La purosangue argentata nitrì di terrore, retrocedendo. Intontita, Dany rotolò al suolo, riuscì ad appoggiarsi su un gomito…
… Fu in quell’istante che vide l’acciaio.
«Sei finita, brutta scrofa» l’uomo brandì la spada. «Lo sapevo che saresti venuta a farti leccare i piedi, un giorno o l’altro.» Il suo cranio era calvo come un melone, il suo naso rosso e spellato. Ma su quella voce raschiante, su quegli slavati occhi verdi Dany non ebbe il miniino dubbio. «Comincerò con il mozzarti le tette.»
Dany ebbe la remota percezione di Missandei che gridava aiuto. Un liberto si fece avanti, arrivò a meno di un passo. L’uomo calvo falciò un’unica volta. Il liberto cadde in ginocchio, la faccia ridotta a una maschera di sangue.
Mero, il Bastardo del Titano, il turpe capitano di ventura braavosiano che un tempo era stato al comando dei Secondi Figli, ripulì la lama sulle brache. «Chi è il prossimo?»
«Prova con me.» Era Arstan Barbabianca.
L’anziano scudiero volteggiò dalla sella, torreggiando su Daenerys. Il vento saturo di salmastro gli agitò i capelli candidi. Entrambe le sue mani rugose si serrarono attorno al lungo bastone da pellegrino.
«Vattene via, nonnetto» avvertì Mero «prima che spezzi in due quello stecco e te lo pianti dove fa male…»
Il vecchio fece una finta con un’estremità del bastone, poi lo arretrò e falciò con l’altra estremità, più rapido di quanto Dany avesse mai visto. Il Bastardo del Titano barcollò all’indietro, affondando nella risacca, sputando sangue e denti spezzati dalla polpa gocciolante in cui era ridotta la sua bocca. Barbabianca si frappose tra Dany e la spada, mentre Mero tentava un fendente. Il vecchio balzò indietro, rapido come un gatto. Il bastone da pellegrino colpì di punta il costato di Mero, scaraventandolo di nuovo sulla battigia. Arstan balzò a sua volta nell’acqua, andò in parata bassa, evitò un secondo fendente, ne intercettò un terzo a metà della calata. Movimenti così rapidi che era difficile seguirli. Missandei aiutò Dany a rialzarsi. Crack! Daenerys pensò che il bastone di Arstan fosse stato spezzato in due. Poi vide l’osso frantumato che sporgeva dal polpaccio di Mero. Il Bastardo del Titano crollò contorcendosi, tentando un ultimo, disperato affondo al torace dell’anziano scudiero. Barbabianca deviò la lama quasi con disprezzo. Il bastone vorticò di nuovo, centrò Mero alla tempia. Il mercenario rinnegato andò giù come una capanna nella tempesta, vomitando una spessa boccata di sangue. I liberti lo sommersero, un’ondata di furore allo stato puro. Coltelli, pietre, pugni inferociti calarono, si rialzarono, tornarono a colpire in una frenesia di distruzione.
Daenerys si girò dall’altra parte, inorridita. Era molto più spaventata adesso che non quando era stata aggredita. “Stava per uccidermi.”
«Maestà.» Arstan s’inginocchiò al suo cospetto. «Sono solo un vecchio, e pieno di vergogna. Non avrei mai dovuto permettere che si avvicinasse al punto di afferrarti. Sono stato incauto. Senza la barba e i capelli non l’avevo riconosciuto.»
«Non l’avevo riconosciuto neanch’io.» Dany fece un respiro profondo, cercando di smettere di tremare. “Nemici, nemici dappertutto.” «Riportami alla mia tenda, Arstan. Ti prego.»
Quando Jorah Mormont apparve nel padiglione dorato, Dany era avvolta nella pelle del leone delle pianure e sorseggiava una coppa di vino speziato.
«Ho esaminato le mura lungo il fiume» esordì il cavaliere in esilio. «Sono di alcuni piedi più alte delle altre, e altrettanto robuste. Inoltre, i meereenesi hanno sistemato una dozzina di grossi fuochi proprio sotto le fortifica…»
Lei lo interruppe bruscamente. «Avresti dovuto avvertirmi che il Bastardo del Titano era riuscito a fuggire.»
Ser Jorah corrugò la fronte. «Non ho ritenuto giusto angosciarti, maestà. Avevo messo una taglia sulla sua testa…»
«E allora pagala a Barbabianca. Mero ci ha seguiti fin da Yunkai. Si è rasato la testa, mescolandosi con i liberti, in attesa di potersi vendicare. Arstan lo ha ucciso.»
Ser Jorah lanciò al vecchio un lungo sguardo. «Un vecchio scudiero con un bastone che abbatte Mero di Braavos. È così che è andata?»
«Con un bastone, certo» confermò Daenerys «ma non più uno scudiero. Ser Jorah, è mia volontà che Arstan venga fatto cavaliere.»
«No!»
Quel secco rifiuto fu una dura sorpresa. Una doppia sorpresa: era venuto simultaneamente da entrambi gli uomini.
Ser Jorah snudò la spada. «Il Bastardo del Titano era una brutta bestia. E molto abile nell’uccidere. Chi sei, vecchio?»
«Un cavaliere migliore di te, ser» rispose Arstan, gelido.
“Cavaliere?” Dany non capiva. «Hai detto di essere uno scudiero.»
«Lo sono stato, maestà.» Arstan Barbabianca mise un ginocchio a terra. «In gioventù, sono stato scudiero di lord Swann e, per incarico di magistro Illyrio, ho servito anche Belwas il Forte. Ma nei molti anni trascorsi tra un evento e l’altro, fui cavaliere nell’Occidente. Io non ti ho detto menzogne, mia regina. Eppure esistono verità che non ti ho rivelato. Per questo e per tutti gli altri miei peccati ora invoco il tuo perdono.»
«Quali sono queste verità che non mi hai rivelato?» A Dany tutto questo non piaceva affatto. «Dimmelo, Arstan, dimmelo adesso.»
Barbabianca chinò la testa. «A Qarth, quando tu chiedesti il mio nome, ti risposi che era Arstan. È vero. Molti mi hanno chiamato a quel modo mentre Belwas e io ci dirigevamo verso oriente alla tua ricerca. Ma Arstan non è il mio vero nome.»
Dany era più confusa che infuriata. “Mi ha raggirato, proprio come Jorah mi aveva avvertito, eppure mi ha appena salvato la vita.”
Ser Jorah Mormont divenne paonazzo dalla rabbia. «Mero si è tagliato la barba. Tu invece te la sei fatta crescere, non è così? Maledizione! Ora capisco perché mi è sempre sembrato di averti già visto…»
«Tu conosci quest’uomo?» chiese Dany, totalmente persa, al cavaliere in esilio.
«L’avrò visto forse una dozzina di volte… la maggior parte delle quali da lontano, assieme ai suoi confratelli o impegnato in qualche torneo. Ma ogni uomo dei Sette Regni conosce Barristan il Valoroso.» Jorah puntò la spada contro la gola del vecchio. «Khaleesi, al tuo cospetto è inginocchiato ser Barristan Selmy, lord comandante della Guardia reale, che ha tradito la tua nobile Casa Targaryen per passare al servizio dell’Usurpatore Robert Baratheon.»
«Il caldaio che chiama nera la padella» l’anziano cavaliere non batté ciglio. «Proprio tu osi parlare di tradimento, Jorah Mormont?»
«Perché sei qui?» Daenerys chiese a Selmy. «Se è stato Robert a mandarti per uccidermi, per quale motivo mi hai salvato la vita?» “Serviva l’Usurpatore. Ha tradito la memoria di Rhaegar, ha abbandonato Viserys a vivere e a morire in esilio. Eppure, se mi avesse voluta morta, gli sarebbe bastato restare a guardare…” «Voglio tutta la verità, qui e ora, sul tuo onore di cavaliere. Sei un uomo dell’Usurpatore… o un mio uomo?»
«Un tuo uomo, se mi vorrai.» Gli occhi di ser Barristan erano pieni di lacrime. «Ho accettato il perdono di Robert, aye. L’ho servito nella Guardia reale e nel Concilio ristretto. Ho servito con lo Sterminatore di re e altri individui malefici quanto lui, che hanno lordato la cappa bianca che anch’io indossavo. Nulla potrà scusare tutto questo. E sarei ancora ad Approdo del Re se il turpe ragazzino che ora siede sul Trono di Spade non mi avesse messo da parte, mi vergogno ad ammetterlo. Ma quando Joffrey si è preso il mantello che il Toro Bianco mi aveva posto sulle spalle, mandando qualcuno a uccidermi quello stesso giorno, è stato come se la nebbia si fosse finalmente diradata davanti ai miei occhi. È stato allora che ho compreso di dover trovare il mio vero sovrano, per morire al suo servizio…»
«Un desiderio che posso esaudire subito» commentò cupamente ser Jorah.
«Silenzio» disse Dany. «Ascolterò tutto quello che quest’uomo ha da dire.»
«Forse sta scritto che io debba morire la morte dei traditori» riprese ser Barristan. «Ma in questo caso, non è da solo che dovrei morire. Prima di accettare il perdono di Robert combattei sul Tridente. Contro di lui. Mentre tu, Mormont, combattevi per lui, o sbaglio?» Non attese una risposta da ser Jorah. «Maestà, sono desolato di averti ingannata. Ma era l’unico modo per evitare che i Lannister scoprissero che ero venuto a unirmi a te. Tu vieni sorvegliata come lo era tuo fratello Viserys. Lord Varys, l’eunuco della Fortezza Rossa, profeta delle spie del Trono di Spade, era informato di ogni singola mossa di Viserys. E questo per anni. Mentre sedevo nel Concilio ristretto, ho udito centinaia di questi rapporti. E dal giorno in cui tu sei andata in sposa a khal Drogo, c’è sempre stato un informatore al tuo fianco, pronto a vendere i tuoi segreti, fornendo sussurri al Ragno tessitore in cambio di oro e promesse.»
“No… Non è possibile che stia parlando di…”
«Tu commetti un errore…» Lo sguardo di Daenerys si spostò su Jorah Mormont. «Digli che si sbaglia. Non c’è nessun informatore. Ser Jorah, diglielo. Abbiamo attraversato il mare dothraki fianco a fianco, e poi la desolazione rossa…» Dany sentì il cuore sussultare come un uccello preso in una trappola. «Diglielo, Jorah. Digli del suo errore.»
«Che gli Estranei ti portino alla dannazione, Selmy!» Ser Jorah gettò la spada lunga sui tappeti del padiglione. «Khaleesi, tutto questo è stato solamente all’inizio, prima che io imparassi a conoscerti. … prima che imparassi ad amare…»
«Non pronunciare quella parola!» Daenerys si allontanò da lui. «Come? Come hai potuto? Che cosa ti ha promesso l’Usurpatore? Oro?» Gli Eterni di Qarth l’avevano avvertita: sarebbe stata tradita altre due volte, una volta per l’oro e l’altra per amore. «Dimmi che cosa ti hanno promesso!»
«Varys aveva detto…» Jorah chinò la testa. «Che sarei potuto tornare a casa.»
“Io ti stavo portando a casa!” I draghi percepirono il suo furore. Viserion ruggì, fumo grigio si arricciò dalle sue narici. Le ali nere di Drogon agitarono l’aria. Rhaegal arretrò il capo, sputando fiamme. “Dovrei dire: dracarys… e ridurli entrambi in cenere”. Sarebbe mai esistito qualcuno di cui lei potesse fidarsi, qualcuno che l’avrebbe fatta sentire al sicuro?
«Ditemi, tutti i cavalieri delle terre d’Occidente sono falsi come voi? Fuori. Uscite di qui prima che i miei draghi vi facciano tutti e due arrosto. Qual è la puzza di un mentitore arrosto? Peggiore di quella delle fogne di Ben il Marrone? Ne dubito. Fuori!»
Ser Barristan si alzò, rigido e lento. Per la prima volta, apparve veramente l’uomo anziano che era. «Dove vuoi che andiamo, maestà?»
«All’inferno, in modo da servire re Robert fino in fondo.» Dany sentì lacrime incandescenti scivolarle lungo le guance. Drogon urlò, la sua coda flagellava l’aria a destra e a sinistra. «Che gli Estranei vi portino alla dannazione.»
“Andate via. Sparite per sempre. Tutti e due. La prossima volta che vi rivedrò, farò mozzare le vostre teste di traditori.” Ma non poté pronunciare quelle parole. “Mi hanno tradito, ma mi hanno salvato. E mi hanno anche mentito.”
«Tu, vattene…» “Mio orso, mio feroce, fiero orso, che cosa farò senza di lui? E il vecchio, amico di mio fratello Rhaegar.” «Anche tu, vattene… vattene…» “Dove?”
Poi Daenerys lo capì.