JON

Emmett il Ferrigno era un giovane ranger, alto e snello, la cui forza, resistenza e abilità con la spada erano l’orgoglio del Forte orientale. Nei loro combattimenti di allenamento, Jon finiva sempre rigido e malconcio, per poi risvegliarsi il giorno dopo coperto di lividi. Del resto, era quello che voleva. Non sarebbe mai riuscito a migliorare allenandosi con avversari come Satin, Cavallo oppure Grenn.

Di solito, Jon metteva negli allenamenti tutta l’energia che aveva, o almeno così gli piaceva credere. Ma quel giorno non fu così. La notte prima non aveva chiuso occhio. Dopo essersi girato e rigirato per ore, aveva infine rinunciato, si era vestito ed era salito fino alla sommità della Barriera ad aspettare l’alba, arrovellandosi sulla proposta di Stannis Baratheon. Ma ora la mancanza di riposo cominciava a farsi sentire. Emmett il Ferrigno lo stava incalzando senza pietà per tutto il cortile, costringendolo ad arretrare in un vortice di fendenti e affondi, colpendolo di tanto in tanto anche con lo scudo, giusto per dargli una mossa. Il braccio destro di Jon era intorpidito per lo sforzo di reggere l’urto degli impatti. La spada da addestramento, non affilata e senza punta, diventava più pesante ogni momento che passava.

Jon era quasi pronto ad abbassare la lama e proclamare la fine dell’incontro, quando Emmett fece una finta bassa, lanciò un selvaggio attacco frontale e colpì Jon alla tempia. Lui barcollò, l’elmo e la corazza che vibravano per la violenza dell’impatto. Per qualche istante, il mondo oltre la feritoia nella celata si tramutò in nulla.

Gli anni svanirono, e lui…


… Fu ancora una volta a Grande Inverno. Al posto della maglia di ferro e dell’armatura, indossava una giubba di cuoio imbottita. La spada che impugnava era fatta di legno. E il suo avversario non era Emmett il Ferrigno. Ma Robb Stark.

Si allenavano assieme ogni mattina, fin da quando erano stati grandi abbastanza da riuscire a camminare. Snow e Stark, volteggiando e falciando per i cortili di Grande Inverno, gridando e ridendo, anche piangendo, a volte, ma questo solo quando nessuno poteva vederli. E nel combattersi, non erano più due ragazzini, erano valorosi cavalieri e possenti eroi.

«Io sono il principe Aemon, cavaliere del Drago!» urlava Jon. «Bene, allora io sono Florian il Giullare!» replicava Robb. Oppure: «Io sono il Giovane drago!» diceva Robb. «E io sono ser Ryam Redwyne!» ribatteva Jon.

Quel mattino, fu Jon ad aprire la sfida. «Io sono il lord di Grande Inverno!» gridò, così come aveva gridato mille altri nomi mille altre volte.

Ma quella volta, quella volta, la risposta di Robb fu completamente diversa. «Tu non puoi essere il lord di Grande Inverno: sei nato bastardo. La lady mia madre dice che tu non potrai mai essere il lord di Grande Inverno. Mai!…»


“…pensavo di averlo dimenticato.” Jon aveva in bocca il sapore acre del sangue a causa del colpo ricevuto da Emmett. Si rialzò dal terreno gelido. Si rialzò con la spada in pugno.

Alla fine, furono Halder e Cavallo, prendendolo ciascuno per un braccio, a sradicarlo a forza da Emmett il Ferrigno. Il ranger del Forte orientale sedeva a terra intontito, con metà dello scudo ridotta a un cumulo di schegge, la celata dell’elmo storta, la spada a sei iarde di distanza.

«Jon! Basta! Jon!» gli stava urlando Halder nell’orecchio. «Lo hai disarmato, Jon! Fermati! Basta!»

“No. Non basta. Non basterà mai!” Jon lasciò cadere la spada. «Mi dispiace» mormorò. «Emmett, stai bene?»

Emmett il Ferrigno si tolse l’elmo ridotto a un rottame. «Quale parte della frase: “Mi arrendo!” non riuscivi a comprendere, lord Snow?» disse sorridendo. Era un tipo amabile, Emmett il Ferrigno, e adorava il canto delle lame. «Guerriero, proteggimi» gemette «ora so come deve essersi sentito Qhorin il Monco.»

Questo fu davvero troppo. Jon si strappò alla stretta dei suoi amici e si ritirò nell’armeria, da solo. Le orecchie continuavano a fischiargli per il colpo ricevuto sull’elmo. Sedette su una panca, affondò il viso tra le mani. “Perché ho tutta questa rabbia in corpo?” si chiese, ma era una domanda stupida. “Lord di Grande Inverno. Potrei essere lord di Grande Inverno. L’erede di mio padre.”

Ma il volto che gli fluttuò davanti non fu quello di suo padre, fu quello di lady Catelyn. Con i suoi freddi occhi azzurri e la bocca dalla piega dura, assomigliava in qualche modo a Stannis. “Ferro, ma aspro.” Lo stava guardando nello stesso modo in cui lo guardava a Grande Inverno, ogni volta che lui si rivelava migliore di Robb con la spada, o a fare le somme, o in. qualsiasi altra cosa. “Chi sei?” sembrava dire quello sguardo. “Questo non è il tuo posto. Perché sei qui?”

I suoi amici erano ancora nel cortile a fare pratica, ma Jon non era in condizione di affrontarli. Lasciò l’armeria uscendo dalla porta sul retro e scese la ripida scala di pietra che conduceva giù nei “passaggi dei vermi”, l’intricato sistema sotterraneo di tunnel che collegava i vari manieri del Castello Nero, e che i Guardiani della notte usavano per spostarsi in pieno inverno, per evitare i morsi del gelo e le muraglie di neve. Era un tragitto breve fino alla costruzione che ospitava i bagni. Jon si tolse il sudore di dosso con un rapido tuffo nell’acqua gelata, poi si immerse nel liquido abbraccio bollente di una vasca di pietra. Il calore portò via parte dell’indolenzimento muscolare. E il calore gli ricordò i bagni di fango di Grande Inverno, quelle pozze fumanti e ribollenti nel parco degli dèi. “Grande Inverno… Theon Greyjoy l’ha lasciata dietro di sé bruciata e distrutta. Ma io potrei ricostruirla.” Questo, suo padre lo avrebbe desiderato di certo. E anche suo fratello Robb. Non avrebbero mai voluto che il castello andasse in rovina.

“Tu non puoi essere il lord di Grande Inverno: sei nato bastardo.” Le parole di Robb continuavano a rimbalzargli nella mente. E i re di granito giù nelle cripte gli ringhiavano con le loro lingue di granito: “Tu non appartieni a questo luogo. Questo non è il tuo posto”. Jon chiuse gli occhi. Vide l’albero-cuore, i rami pallidi, le foglie rosse, il volto solenne scolpito nel tronco. L’albero-diga nel parco degli dèi era il cuore di Grande Inverno, diceva sempre lord Eddard Stark… ma per ricostruire il castello, Jon sarebbe stato costretto a sradicare quel cuore dalle sue antiche radici per poi gettarlo in pasto al feroce dio del fuoco della Donna rossa. “Non ho il diritto di fare questo” pensò. “Grande Inverno appartiene agli antichi dèi.”

Voci. Riecheggiarono contro il soffitto a volta, riportandolo al Castello Nero.

«Non lo so» stava dicendo qualcuno, una voce carica di dubbi.

«Forse se conoscessi meglio quell’uomo… lord Stannis non mi ha detto belle cose su di lui, questo è poco ma sicuro.»

«E quando mai lord Stannis ha avuto belle cose da dire su qualcuno, su chiunque?» Impossibile non riconoscere il timbro raschiante di ser Alliser Thorne. «Se lasciamo che sia Stannis a scegliere il nostro nuovo lord comandante, i Guardiani della notte diverranno a tutti gli effetti suoi alfieri. Cosa che Tywin Lannister ben difficilmente dimenticherà, e tu sai che alla fine sarà lord Tywin che uscirà vincitore da questa guerra. Ha già sconfitto Stannis una volta, alle Acque Nere.»

«Lord Tywin appoggia Slynt» disse Bowen Marsh in tono affrettato, ansioso. «Posso farti vedere la sua lettera, Othell. “Il nostro fedele amico e servitore” lo definisce.»

Jon Snow si rizzò subito a sedere. Al suono dell’acqua agitata, i tre uomini si bloccarono. «Miei lord» li apostrofò Jon con fredda cortesia.

«Che cosa ci fai qui, bastardo?» chiese Thorne.

«Il bagno» rispose Jon, emergendo dalla vasca di pietra. «Ma non voglio disturbare i vostri complotti.»

Si asciugò, si rivestì e li lasciò alle loro cospirazioni.


Si ritrovò all’esterno. Senza avere la benché minima idea di dove stesse andando. Superò lo scheletro annerito della Torre del lord comandante, dove una notte aveva salvato la vita del Vecchio Orso dall’assalto di un morto che cammina. Oltrepassò il punto dove Ygritte era morta con un sorriso triste sul viso. Superò la Torre del re, dove lui e Satin e Dick Follard il Sordo avevano aspettato Styr il maknar e i suoi guerrieri Thenn. Andò al di là dei resti frastagliati e anneriti della grande scalinata di legno. La porta sul fianco sud della Barriera era aperta, Jon si addentrò nel tunnel sotto il ghiaccio. Varcò il luogo in cui Donal Noye e Mag il Possente avevano combattuto e dove, assieme, erano morti. Passò oltre la nuova Porta nord, nella pallida e fredda luce solare.

Solo allora si concesse di fermarsi, di riprendere fiato. E di pensare. Othell Yarwyck, Primo Costruttore della confraternita in nero, non era un uomo di solide convinzioni, tranne quando si trattava di legname, pietra e calce. Il Vecchio Orso lo sapeva bene. “Thorne e Marsh gli faranno cambiare idea. Yarwyck finirà per appoggiare lord Janos e lord Janos verrà scelto come lord comandante. E a me che cosa resta, se non Grande Inverno?”

Il vento vorticava contro la Barriera, facendo sbattere il mantello di Jon. Poteva percepire il respiro gelido proveniente dal ghiaccio così come il calore emana dal fuoco. Sollevò il cappuccio e riprese a camminare. Il pomeriggio era ormai inoltrato e il sole era già basso sullo scuro orizzonte occidentale della foresta Stregata. A un centinaio di iarde di distanza si stendeva il campo dove, oltre anelli concentrici di fossati, sbarramenti di rostri acuminati e alte palizzate di legno, re Stannis aveva confinato i prigionieri bruti. Sulla sinistra c’erano le tre grandi fosse dove i vincitori avevano bruciato i corpi degli uomini del popolo libero caduti nell’assalto alla Barriera, dai colossali giganti pelosi ai piccoli uomini dai piedi di corno. La terra di nessuno era una desolazione di erbacce annerite e catrame indurito. Ovunque erano disseminate le tracce lasciate dalle genti di Mance: una pelle squarciata che forse aveva fatto parte di una tenda, la mazza di un gigante, la ruota di un carro falcato, una lancia spezzata, una pila di sterco di mammut. Al margine della foresta, là dove erano state erette le tende, Jon trovò un moncone di albero abbattuto e si sedette.

“Ygritte voleva che io diventassi un bruto. Stannis vuole che io diventi lord di Grande Inverno. E io? Che cosa voglio, io?” Il sole avanzò nel cielo, svanendo dietro la Barriera, là dove questa s’incurvava sulle colline a occidente. Jon rimase a guardare, mentre la torreggiante muraglia di ghiaccio assumeva le tonalità rosse e rosate del tramonto. “Qual è la mia scelta? Essere impiccato da lord Janos come traditore oppure gettare ai rovi il mio giuramento, sposare Val, la principessa dei bruti, e diventare lord di Grande Inverno?” Vista in quei termini, sembrava una scelta fin troppo facile… ancora più facile, se Ygritte fosse stata viva. Val era per lui una sconosciuta. Tutt’altro che sgradevole a vedersi, certo, e sorella della regina di Mance Rayder, eppure…

“Se volessi ottenere il suo amore dovrei rubarla. E un giorno Val potrebbe anche darmi dei figli. Un giorno, potrei stringere tra le braccia un figlio del mio sangue.” Cosa che Jon Snow, da quando avesse deciso di passare la propria esistenza sulla Barriera, non aveva mai nemmeno osato sognare. “Potrei chiamarlo Robb. Val vorrà tenere con sé anche il figlio di sua sorella Dalla. Potremmo farlo crescere a Grande Inverno, assieme al bimbo di Gilly. Samwell non avrebbe ragione di dire menzogne. E troveremmo anche un posto per Gilly, in modo che Sam possa venire a farle visita una volta all’anno, o qualcosa del genere. Il figlio di Mance e quello di Craster crescerebbero come fratelli, così come è stato per Robb e me.”

Jon voleva tutto questo, sapeva di volerlo. Lo voleva più di qualsiasi altra cosa. “L’ho sempre voluto…” Ma nel pensarlo, si sentiva in colpa. “Possano gli dèi perdonarmi.”

D’un tratto ebbe fame. Aveva bisogno di cibo, un cervo rosso avvolto dall’odore della paura, oppure un alce gigante, orgoglioso e pronto alla sfida. Aveva bisogno di uccidere, di riempirsi le viscere di carne fresca, di sangue ancora caldo.

La sua bocca si riempì di bava.

Gli ci volle un lungo momento per rendersi conto di quello che stava accadendo. Ma alla fine Jon capì, balzò in piedi, si voltò verso la foresta Stregata.

«Spettro?»

La forma bianca emerse dalle tenebre verdi. Il respiro che gli usciva dalle fauci si condensava nell’aria gelida in ritmici fiotti lividi.

«SPETTRO!»

Il meta-lupo scattò di corsa verso di lui. Era più magro di come Jon se lo ricordava, ma anche più grosso, l’unico suono ad accompagnare la sua avanzata fu il debole scricchiolio delle foglie morte sotto le sue zampe. Quando raggiunse Jon, gli saltò addosso. Si rotolarono nell’erba scura, l’uomo in nero e la belva albina, tra le lunghe ombre, mentre le stelle cominciavano a brillare sopra di loro.

«Per gli dèi, lupo, dove sei stato?» disse Jon quando Spettro ebbe smesso di azzannarlo all’avambraccio. «Credevo che anche tu fossi morto, come Robb, Ygritte e tutti gli altri. Non sono più riuscito a sentirti, da quando ho scalato la Barriera. Non riuscivo a vederti neanche in sogno.»

Il meta-lupo non aveva risposte. Leccò il viso di Jon con la sua lingua umida e ruvida come una raspa. Gli occhi di Spettro intercettarono gli ultimi raggi del sole, scintillando come due enormi stelle colore del sangue.

“Occhi rossi” notò Jon “ma diversi da quelli di Melisandre.” Gli occhi di Spettro erano come quelli degli alberi-diga. “Occhi rossi, bocca rossa, pelliccia bianca. Sangue e ossa, come un albero-cuore. Spettro, tu appartieni agli antichi dèi.” E di tutti i meta-lupo degli Stark, Spettro era l’unico con il pelo bianco. Avevano trovato sei cuccioli, lui e Robb, nella neve di fine estate. Cinque erano grigi, neri e marrone, per i cinque ragazzi Stark. L’ultimo era bianco. Come snow, neve.

A quel punto, Jon Snow ebbe la sua risposta.


Ai piedi della Barriera, gli uomini della regina stavano attizzando il loro fuoco notturno. Vide Melisandre emergere dal tunnel, con il re al suo fianco, per guidare le preghiere che a suo dire avrebbero tenuto lontano le tenebre.

«Vieni, Spettro» disse al meta-lupo. «Con me. Tu hai fame. Lo so. Lo sento.»

Corsero assieme verso la Porta nord, facendo un largo giro attorno al fuoco notturno, le cui fiamme artigliavano il ventre nero della notte.

Gli uomini del re erano una presenza imponente nei cortili del Castello Nero. Al passaggio di Jon si bloccarono, guardandolo con occhi sbarrati. Nessuno di loro aveva mai visto un meta-lupo, capì Jon, e Spettro era grosso il doppio dei comuni lupi che si aggiravano nelle foreste meridionali dei Sette Regni. Mentre si dirigeva verso l’armeria, Jon alzò lo sguardo, e notò Val dietro la finestra di una torre. “Mi dispiace, principessa” pensò “non sono io l’uomo che verrà a portarti via da lassù.”

Nel cortile degli addestramenti incappò in una dozzina di uomini del re muniti di torce, con lunghe picche in pugno. Il loro sergente quando vide Spettro s’irrigidì, e due dei suoi uomini puntarono minacciosamente le armi.

«Fatevi da parte e lasciateli passare» ordinò il cavaliere che li guidava. «Sei in ritardo per la cena» disse poi a Jon.

«Allora fatti da parte anche tu, ser» rispose Jon. Il cavaliere arretrò.

La cacofonia di rumori gli arrivò ben prima di arrivare in fondo alle scale di granito. Voci alterate, imprecazioni, pugni picchiati sul tavolo. Quasi nessuno notò Jon entrare nella cripta. I confratelli in nero affollavano le panche e i tavoli, ma la maggior parte di loro era in piedi, e urlava. Nessuno stava mangiando. Non c’era cibo. “Ma che cosa sta succedendo?” Lord Janos Slynt stava ragliando qualcosa su voltagabbana e tradimenti. Emmett il Ferrigno era in piedi su uno dei tavoli, con la spada in pugno. Hobb Tre Dita stava inveendo contro un ranger della Torre delle Ombre… un uomo del Forte orientale continuava a picchiare il pugno sul tavolo, cercando di imporre il silenzio, ottenendo come unico risultato di aumentare ancora di più la confusione che rimbombava sotto il soffitto a volta.

Pyp fu il primo a vedere Jon. Quando scorse anche Spettro sogghignò, poi si portò due dita alla bocca e fischiò come solo un ragazzo dei guitti sapeva fischiare. La nota acuta e assordante si aprì un varco nel clamore come una lama nell’acqua. Jon continuò ad avanzare tra i tavoli. Sempre più confratelli si accorsero del suo arrivo, e smisero di gridare. A poco a poco, il fronte del silenzio si estese. Alla fine, l’unico suono in tutta la cripta fu il battere ritmico dei taccili degli stivali di Jon sul pavimento di pietra e il debole strepitio dei ceppi nel focolare.

Fu la voce aspra di ser Alliser Thorne a spezzare quel silenzio. «Finalmente il voltagabbana ci concede la grazia della sua presenza.»

Lord Janos era rosso paonazzo, con la grande mascella che tremolava. «La belva!…» esclamò. «Guardate! Eccola, la belva che ha strappato la vita a Qhorin il Monco! Un mostro cammina tra noi, confratelli! Un METAMORFO! Questa… questa creatura non può guidarci! Questa belva non può continuare a vivere!»

Spettro snudò le zanne. Jon lo calmò mettendogli una mano sul capo. «Mio lord di Slynt» disse «vorresti spiegarmi che cosa sta succedendo?»

Gli rispose maestro Aemon, dall’altra estremità della cripta. «Il tuo nome è stato proposto quale lord comandante dei Guardiani della notte, Jon.»

Una notizia così assurda che Jon non poté fare a meno di sorridere. «Proposto da chi?» chiese, voltandosi verso i suoi amici. Doveva certo essere uno degli scherzi balordi di Pyp. Ma Pyp alzò le spalle e Grenn scosse la testa.

«Da me.» Edd Tollett l’Addolorato si fece avanti. «Aye, è una cosa terribilmente crudele da fare a un amico, ma meglio te che me.»

Sputacchiando, lord Janos riprese a ragliare. «Questo… questo è un oltraggio, ecco! Noi dovremmo impiccare questo ragazzino. Sì! Impicchiamolo, dico io. Impicchiamolo come voltagabbana e metamorfo, assieme con il suo amico Mance Rayder! Lord comandante? Lui? Non intendo tollerarlo, a nessun costo!»

Cotter Pyke del Forte orientale si alzò. «Tu non intendi tollerarlo, Slynt? Magari quelle cappe dorate le avevi addestrate bene a leccarti quel tuo culo puzzone, ma adesso è un mantello nero che hai sulla schiena.»

«Qualsiasi confratello ha il diritto di proporre un nome, a patto che costui abbia pronunciato il giuramento della nostra confraternita» intervenne ser Denys Mallister. «Edd Tollett ha quel diritto a pieno titolo, mio lord di Slynt.»

Una dozzina di uomini cominciarono a parlare tutti assieme, e ognuno cercava di urlare più del vicino. In breve, la cripta fu di nuovo nel caos. Questa volta, fu ser Alliser Thorne a salire in piedi su un tavolo, alzando le braccia per imporre il silenzio.

«Confratelli!» gridò. «Tutto questo non ci è di nessun aiuto. Io dico di votare. Questo… re che ha occupato la Torre del re ha piazzato i suoi uomini di guardia a tutte le porte, per impedirci di andarcene senza prima aver compiuto una scelta. Ebbene, che scelta sia! Noi sceglieremo, e andremo avanti a scegliere, se necessario, per tutta la notte, fino a quando non avremo un nuovo lord comandante… ma prima di procedere alla votazione, credo che il nostro Primo Costruttore abbia qualcosa da dire.»

Othell Yarwyck si alzò lentamente, con la fronte aggrottata. Il grosso costruttore dei Guardiani della notte si passò una mano sul lungo mento. «Bene» disse «ritiro il mio nome come candidato. Se era me che volevate, avete avuto dieci occasioni per scegliermi. Ma non lo avete fatto. O, comunque, non lo avete fatto in numero sufficiente. Stavo per dire a quelli che intendevano dare a me il loro voto di scegliere lord Janos…»

Ser Alliser annuì. «Lord Slynt è la scelta migliore…»

«Non ho finito, Alliser» lo interruppe Yarwyck. «Lord Slynt ha comandato la Guardia reale di Approdo del Re, questo lo sappiamo, ed è stato lord di Harrenhal…»

«Ma se non l’ha nemmeno mai vista, Harrenhal!» tuonò Cotter Pyke.

«Be’, è vero» continuò Yarwyck. «Comunque, adesso che sono qui davanti a voi, non ricordo proprio per quale ragione ho pensato che Slynt potesse essere la scelta giusta. Nominare Slynt sarebbe un po’ come dare un calcio in bocca a re Stannis, e non vedo come questo aiuti la confraternita. Forse Snow è davvero meglio. È stato sulla Barriera più a lungo, è il nipote di Ben Stark e ha servito come scudiero del Vecchio Orso.» Yarwyck alzò le spalle. «Scegliete chi vi pare, basta che non sia io.» Tornò a sedersi.

Jon notò che da paonazzo il viso di Janos Slynt era virato al viola, mentre quello di ser Alliser si era fatto pallido come gesso. L’uomo del Forte orientale aveva ricominciato a pestare i pugni sul tavolo, e adesso stava invocando a gran voce la pentola delle votazioni. Alcuni dei suoi amici si unirono al grido.

«Pentola!» ruggirono all’unisono. «Pentola, pentola, pentola!»

La pentola era in un angolo del focolare, un grosso, panciuto calderone nero con due enormi manici e un pesante coperchio. Maestro Aemon bisbigliò qualcosa. Samwell e Clydas andarono a prendere la pentola e la appoggiarono sul tavolo. Alcuni confratelli stavano già scegliendo i simboli mentre Clydas toglieva il coperchio, che per poco non gli cadde su un piede.

Con un stridere rauco e un battito d’ali, un gigantesco corvo svolazzò fuori dal calderone.

L’uccello nero salì in alto, forse alla ricerca di una trave dove appollaiarsi o di una finestra da cui fuggire. Ma in quella cripta non c’erano travi, e nemmeno finestre. Il corvo era in trappola. Gracchiando ferocemente, volò in circolo nel cielo ristretto della sala, una volta, due volte, tre volte.

«Io conosco quel corvo!» Jon udì gridare Samwell Tarly. «È il corvo di lord Mormont!»

Il corvo atterrò sul tavolo più vicino a Jon. «Snow» gracchiò. Era un uccello molto vecchio, sporco, spelacchiato. «Snow» disse di nuovo «Snow, snow, snow….» Zampettò fino al centro del tavolo, dispiegò nuovamente le ali e si alzò in volo.

Per andare a posarsi sulla spalla di Jon Snow.

Thump! Lord Janos Slynt crollò a sedere sulla panca. Ser Alliser, invece, fece rimbombare nella cripta una risata di scherno. «Confratelli, forse Messer Porcello crede che siamo tutti quanti idioti» berciò. «Ha insegnato lui questo ridicolo trucco a quell’uccello. Tutti i corvi del Castello Nero dicono “snow”, lo sapete anche voi. L’uccello di Mormont conosceva molte più parole.»

Il vecchio corvo inclinò il capo, osservando Jon. «Grano?» chiese speranzoso. Non ottenne grano. E non ottenne nemmeno una risposta. Deluso, gracchiò qualcosa. Poi aggiunse: «Pentola? Pentola?… Pentola!».


Il resto furono punte di freccia, una cascata di punte di freccia, un’inondazione di punte di freccia. Abbastanza punte di freccia da seppellire le poche pietre, conchiglie e perfino le monetine di rame.

Terminata la conta, Jon Snow si ritrovò circondato. Alcuni confratelli gli davano pacche sulle spalle, altri misero un ginocchio a terra davanti a lui come se fosse un vero lord. Satin, Owen il Muflone, Halder, Toad, Stivale, Gigante, Mully, Ulxner di bosco del Re, Donnel Hill il Dolce, dozzine di uomini in nero si strinsero tutte attorno a lui.

Dywen fece schioccare le sue dentiere di legno: «Che gli dèi ci aiutino, abbiamo un lord comandante che si cambia ancora i pannolini».

Emmett il Ferrigno disse: «Spero che questo non significhi che non potrò più farti pisciare sotto dalle botte la prossima volta che c’incontriamo, mio lord».

Hobb Tre Dita volle sapere se Jon avrebbe continuato a mangiare con gli altri o se invece preferiva che i pasti gli venissero portati nel suo solarium. Perfino Bowen Marsh si accostò a dirgli che sarebbe stato onorato di continuare a servire quale lord attendente, se tale era il volere di lord Snow.

«Lord Snow» disse Cotter Pyke «se da questo tiri fuori un bordello, ti vengo a strappare il fegato e me lo mangio crudo con le cipolle.»

Ser Denys Mallister fu più compito. «Mi è stato difficile ottemperare alla richiesta del giovane Samwell» confessò l’anziano cavaliere. «Quando lord Qorgyle venne scelto, mi dissi: “Non importa. È stato più tempo di me sulla Barriera. Arriverà il mio turno”. Quando lord Mormont venne scelto, pensai: “È forte e fiero, ed è già in là con gli anni. Il mio tempo può ancora venire”. Ma tu sei poco più che un ragazzo, lord Snow, e ora io tornerò alla Torre delle Ombre con la consapevolezza che il mio tempo non verrà mai più.» Ser Denys rivolse a Jon un sorriso stanco. «Non fare sì che io muoia con dei rimpianti. Tuo zio era un grande uomo. Anche il lord tuo padre lo era, e suo padre prima di lui. Mi aspetto altrettanto da te, lord Jon Snow.»

«Aye» concordò Cotter Pyke. «E puoi cominciare con l’andare a dire agli uomini del re che la scelta dei Guardiani della notte è stata fatta… e che adesso vogliamo la nostra fottuta cena!»

«Cena!» urlò il corvo. «Cena, cena!»

Una volta data la notizia, gli uomini del re sgombrarono le porte della cripta. Hobb Tre Dita e una mezza dozzina di aiutanti si diressero alle cucine per andare a prendere da mangiare.

Lord Jon Snow non attese di mangiare. Vagò per il castello, domandandosi se non fosse tutto un sogno, con il corvo sulla spalla e Spettro al suo fianco. Pyp, Grenn e Sam lo seguirono chiacchierando tra loro, ma Jon quasi non sentì una parola di quello che dissero. Almeno fino a quando Grenn non sussurrò: «È stato Sam».

«Sì, bravo Sam!» ripeté Pyp. Si era portato dietro un otre di vino. Mandò giù una lunga sorsata e iniziò a canticchiare. «Sam, Sam, Sam il mago, Sam il fantastico, Sam l’uomo meraviglioso, è stato lui. Ma dimmi una cosa, Sam, quando hai nascosto il corvo nella pentola? E per i sette inferi, come facevi a sapere che sarebbe andato a posarsi proprio su Jon? Se avesse deciso di andare sul cranio di Janos Slynt, andava tutto quanto a scatafascio.»

«Io non c’entro assolutamente niente con il corvo» insistette Sam. «Quando è saltato fuori dalla pentola, per poco non me la sono fatta sotto.»

Jon rise, sorpreso lui stesso di ricordarsi ancora come si faceva. «Siete un gran branco di guitti balordi, lo sapete?»

«Noi?» disse Pyp. «Noi dei guitti? Nessuno di noi è appena stato scelto quale novecentonovantottesimo lord comandante dei Guardiani della notte. Tieni, lord Jon, è meglio che ti fai un goccio di vino. Mi sa che avrai bisogno di molto vino.»

Così Jon Snow prese l’otre che Pyp gli offriva e bevve un sorso. Un sorso soltanto.

La Barriera era sua, la notte era piena di tenebre.

E lui aveva un re da affrontare.

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