JAIME

Al secondo giorno di marcia lungo la strada del Re, si ritrovarono ad attraversare immani pianure devastate. Su ambo i lati del tracciato, si stendevano miglia e miglia di campi anneriti, di frutteti distrutti in cui i monconi degli alberi si protendevano verso l’alto simili a pali da bersaglio per arcieri. Anche i ponti erano bruciati. Questo li costrinse a vagare lungo le rive del fiume alla ricerca di un guado. Le notti erano popolate dall’ululato dei lupi, ma di gente non ne videro mai.

A Maidenpool, il vessillo con l’emblema del salmone rosso di lord Mooton sventolava ancora sul castello in cima alla collina, ma le mura della città erano deserte, le porte sfondate, metà delle case e dei negozi bruciata o saccheggiata. Non videro traccia di vita, salvo alcuni cani tornati allo stato ferale che fuggirono al rumore del loro avvicinarsi.

Maidenpool, Fonte della vergine, prendeva il nome da una sorgente in cui, secondo la leggenda, Florian il Giullare aveva visto per la prima volta la bella Jonquil intenta a fare il bagno assieme alle sue sorelle. Adesso, la pozza che circondava la sorgente era talmente piena di cadaveri in putrefazione che l’acqua si era tramutata in un repellente fluido necrotico dal colore verde grigiastro.

Jaime diede appena un’occhiata e si mise a cantare: «C’erano sei fanciulle in uno stagno nutrito da una sorgente.…».

«Ma che cosa fai?» chiese Brienne.

«Canto. Sei fanciulle in uno stagno, sono certo che la conosci. Ed erano anche fanciulle timide. Un po’ come te, anche se più graziose, ci scommetto.»

«Fai silenzio.»

Dallo sguardo che la donzella gli lanciò, era chiaro che non le sarebbe affatto dispiaciuto lasciare anche lui a galleggiare in quello stagno, in compagnia dei cadaveri decomposti.

«Jaime, per cortesia» implorò il cugino Cleos. «Lord Mooton ha giurato fedeltà a Delta delle Acque. Non vogliamo farlo uscire dal suo castello. E potrebbero esserci anche altri nemici nascosti tra queste rovine^…»

«Nemici della donzella o nemici nostri? Non è la stessa cosa, cugino. Sono tentato dall’idea di vedere se la donzella è davvero capace di usarla, quella spada che porta appesa.»

«Se non farai silenzio, Sterminatore di re, non avrò altra scelta che imbavagliarti.»

«Toglimi queste catene ai polsi, e farò il muto da qui fino ad Approdo del Re. Come si fa a rifiutare una simile proposta, donzella?»

«Brienne! Il mio nome è Brienne!»

Tre corvi si alzarono in volo all’improvviso, spaventati dalle parole sferzanti.

«Che ne diresti di un bagno, Brienne?» rise Jaime. «Tu sei una fanciulla e lì c’è uno stagno. Sono disposto a lavarti la schiena.» Quando ancora erano bambini, a Castel Granito, lui lavava la schiena a Cersei.

La donna fece voltare il cavallo e si allontanò al trotto. Jaime e ser Cleos la seguirono fuori dalle ceneri di Maidenpool. Dopo mezzo miglio, il verde ricominciò lentamente a fare la sua comparsa, lottando contro il nero che era dilagato nel mondo. Jaime ne fu contento. La terra bruciata continuava a fargli tornare in mente Aerys il Folle e la sua ossessione per i roghi.

«Sta prendendo la strada per Duskendale» mormorò ser Cleos. «Sarebbe più sicuro seguire la riva.»

«Più sicuro, ma anche più lento. Io sono in favore di Duskendale, cugino. A dire l’onesta verità, la tua compagnia mi ha davvero tediato.» “Sarai anche mezzo Lannister, Cleos, ma rimani comunque quanto di più diverso si possa immaginare da mia sorella.”

Non era mai riuscito a tollerare di stare lontano dalla sua gemella. Era cominciata quand’erano bambini, quando andavano a intrufolarsi uno nel letto dell’altra e dormivano abbracciati. “Perfino nel ventre di nostra madre eravamo abbracciati.” Molto prima del primo ciclo di Cersei, molto prima che lui superasse la pubertà, avevano visto stalloni e giumente accoppiarsi nelle stalle, cani e cagne farlo nei canili. Così anche loro avevano giocato a quel gioco. Una volta, la cameriera della loro madre li aveva scoperti… Jaime non ricordava con esattezza che cosa stessero facendo. Qualsiasi cosa fosse, a lady Joanna aveva fatto orrore. Aveva allontanato la cameriera, spostato la stanza da letto di Jaime all’estremo opposto della fortezza di Castel Granito, messo una guardia di fronte alla porta di Cersei e detto loro che mai, mai, avrebbero dovuto rifare quel gioco. Diversamente, lady Joanna non avrebbe avuto altra scelta che dirlo al lord loro padre. Ma le loro paure furono di breve durata. Non molto tempo dopo, Joanna morì nel dare alla luce Tyrion. Il volto di sua madre, Jaime lo ricordava a stento.

Forse, Stannis Baratheon e gli Stark, nel divulgare la storia dell’incesto ai quattro angoli del mondo, gli avevano addirittura fatto un piacere. Adesso, non doveva più preoccuparsi di nasconderla. “Per quale motivo non dovrei sposare Cersei apertamente, in modo da condividere il suo letto ogni notte? I re della dinastia del Drago sposavano sempre le loro sorelle.” Di fronte agli incesti dinastici dei Targaryen, septon, lord e popolino avevano guardato dall’altra parte per centinaia di anni. Che facessero lo stesso anche con la Casa Lannister. Certo, per la pretesa di Joffrey sulla corona, sarebbe stato un disastro. Ma alla fine erano state le spade a portare Robert Baratheon sul trono. E sarebbero state ancora le spade e tenere Joffrey su quel medesimo brutto scranno di ferro, a dispetto di chi fosse il padre. “Una volta che avremo rimandato Sansa Stark da sua madre, potremmo fargli sposare Myrcella. Questo mostrerebbe una volta per tutte al reame che i Lannister sono al di sopra di qualsiasi legge, come gli dèi e i Targaryen.”

Jaime aveva deciso di restituire Sansa a lady Catelyn. E anche l’altra ragazzina, se mai fossero riusciti a trovarla. Una decisione che non aveva nulla a che fare con il riguadagnare l’onore perduto. No, era l’idea di mantenere la parola data, quando tutti si aspettavano un altro tradimento, a divertirlo più di quanto lui stesso riuscisse a esprimere.

Superarono un campo di avena rivoltato dagli zoccoli dei cavalli; a una certa distanza, si ergeva un basso muro di pietre a secco. Frrrrrr! Jaime percepì per primo quel suono improvviso, simile a una dozzina d’uccelli che spicchino il volo tutti assieme.

«State bassi!» urlò, gettandosi contro il collo del cavallo. Il castrato nitrì, sussultando all’indietro, colpito da una freccia nella natica. Altre frecce sibilarono su di loro. Jaime ebbe la visione di ser Cleos che veniva sbalzato di sella, un piede impigliato nella staffa. Il suo palafreno schizzò in avanti, trascinando nella fuga l’urlante Cleos Frey, la testa che rimbalzava sul terreno.

Il castrato avanzò pesantemente, soffiando e nitrendo di dolore. Jaime ruotò il capo, cercando d’individuare Brienne. Quando la vide, era ancora a cavallo. La donzella aveva una freccia conficcata nella schiena, un’altra in una gamba, eppure pareva non sentirle nemmeno. La vide snudare la spada, cavalcando in circolo, alla ricerca del punto di tiro degli arcieri.

«Sono dietro quel muro!» gridò Jaime.

Fu costretto a lottare con il cavallo per farlo voltare nella direzione della minaccia. Le dannate catene erano andate a impigliarsi nelle redini. E poi l’aria fu nuovamente piena di frecce.

«Addosso!» Diede di speroni, in modo da farle vedere come si faceva.

Chissà come, chissà da dove, il ronzino che aveva tra le gambe trovò un impulso di velocità. Di colpo, Jaime fu lanciato attraverso il campo d’avena, gli zoccoli dell’animale sollevarono fontane di terriccio. Ebbe appena il tempo per un pensiero frantumato: “La donzella farà meglio a starmi dietro, prima che quei codardi si rendano conto di essere attaccati da un uomo disarmato, e in catene”. Un istante dopo la udì alle sue spalle, caricando con forza e superandolo in velocità.

«Evenfall!» urlò Brienne nel passarlo al galoppo, spada lunga in pugno. «Tarth! Tarth!»

Poche altre frecce volarono molto fuori bersaglio. Poi gli arcieri ruppero lo schieramento e scapparono a gambe levate, come sempre in battaglia gli arcieri privi di copertura scappano di fronte a una carica di cavalieri. Brienne trattenne le redini appena prima del muro. Quando Jaime la raggiunse, gli avversari si erano fatti inghiottire dal bosco una ventina di iarde più in là.

«Che succede, donzella? Non dirmi che hai perso il tuo gusto per la battaglia»

«Stavano fuggendo.»

«È quello il momento migliore per ucciderli.»

Brienne rinfoderò la spada. «Perché hai caricato?»

«Gli arcieri sono temibili… ma solo quando possono nascondersi dietro un muro e colpirti da lontano. Nel momento in cui gli vai addosso, scappano. Sanno che fine faranno se riesci a raggiungerli. A proposito, hai una freccia nella schiena. E un’altra nella gamba. Farei meglio a occuparmene.»

«Tu?»

«E chi altri? L’ultima volta che ho visto il cugino Cleos, il suo palafreno stava arando il campo con la sua testa. Immagino però che dovremmo cercarlo. È pur sempre una specie di Lannister.»

Lo trovarono, il cugino Cleos. Aveva il piede ancora impigliato nella staffa, una freccia in un braccio e un’altra nel petto. Ma era stato il terreno a farlo fuori. La sommità del suo cranio era fradicia di sangue, e molle al tocco. Jaime sentì le ossa spezzate muoversi sotto la pressione delle dita.

Brienne s’inginocchiò e gli prese la mano. «È ancora caldo.»

«Sarà freddo molto presto. Voglio il suo cavallo e i suoi vestiti. Ne ho abbastanza di stracci e di pulci.»

«Era tuo cugino!» La donzella era sconvolta.

«Appunto: era» concordò Jaime. «Non temere, ho un’ampia scorta di cugini. Prendo anche la sua spada. Hai bisogno di qualcuno per i turni di guardia.»

«Non ti servono armi per montare la guardia.» Brienne si rialzò.

«Stando incatenato a un albero, forse? Potrei farlo, certo. O forse invece potrei mettermi d’accordo con la prossima banda di fuorilegge. E farti tagliare quel tuo collo troppo grosso, donzella.»

«Non intendo farti del male. E il mio nome è…»

«…Brienne, lo so. Sono pronto a prestare solenne giuramento che non ti farò del male, se questo contribuirà a porre fine ai tuoi timori da bambinetta.»

«I tuoi giuramenti non hanno valore. Anche ad Aerys tu avevi prestato giuramento.»

«Ma per quanto ne so, tu non hai arrostito nessuno all’interno della sua armatura. E tutti e due vogliamo arrivare sani e salvi ad Approdo del Re, o sbaglio?» Jaime sedette sui talloni accanto a Cleos e si mise a slacciargli la fibbia del cinturone con la spada.

«Allontanati da lui. Adesso. E fermati.»

Ma Jaime Lannister era stanco di Brienne di Tarth. Era stanco dei suoi sospetti e dei suoi insulti. Era stanco dei suoi denti storti, della sua larga faccia lentigginosa, di quei ridicoli pelucchi che erano i suoi capelli. Ignorò le sue proteste, afferrò l’impugnatura della spada lunga di Cleos con entrambe le mani, si puntò con un piede sul cadavere e tirò. La lama non era neppure uscita dal fodero del tutto che lui stava già muovendosi con una rotazione del busto. Fece compiere alla spada un arco ascendente rapido e letale. Clang! Il tintinnare secco, da far incrinare le ossa, dell’acciaio contro altro acciaio. In qualche modo, Brienne era riuscita a estrarre la sua lama in tempo.

Jaime rise. «Niente male, donzella.»

«Dammi quella spada, Sterminatore di re.»

«Ma certo che te la darò.»

Jarme schizzò in piedi e andò all’assalto, la spada lunga come una cosa viva nella sua stretta. Brienne saltò indietro, parando il colpo. Lui la seguì, senza rallentare l’assalto. Nel momento in cui lei deviava un fendente, quello successivo le stava già calando addosso. Le lame si baciarono, si separarono, si baciarono di nuovo. Il sangue nelle vene di Jaime cantava. Era questa la sua ragione di esistere: non si sentiva mai altrettanto vivo quanto nel mezzo di un combattimento, con la morte in bilico su ogni affondo. “Visto che ho i polsi incatenati, la donzella potrebbe anche restare in piedi… per un po’.” Il tratto di catena lo costringeva alla presa a due mani, imponendo un peso e un allungo inferiori a quelli di una vera spada lunga a due mani, ma che importanza aveva? La spada del cugino Cleos bastava e avanzava comunque a porre fine a questa Brienne di Tarth.

Alto, basso, discendente rovescio, Jaime le scatenò contro una grandinata d’acciaio. Destra, sinistra, montante trasverso. Le lame pestavano talmente duro da lanciare nembi di scintille a ogni impatto. Stoccata, fendente, sgualembro ascendente. Sempre all’attacco, perforando la sua guardia, evasione sul fianco e scivolata, rientro e colpo, rientro e colpo, impennata, calata, più rapido, sempre più rapido…

Fino a quando, senza fiato, Jaime arretrò e abbassò a terra la punta della spada, lasciando a Brienne un momento di respiro.

«Niente affatto male» le concesse «…per una donzella.»

Brienne fece un breve respiro, i suoi occhi che lo studiavano, guardinghi. «Non intendo farti del male, Sterminatore di re.»

«Come se tu potessi riuscirci…»

In un tintinnio di catene, Jaime fece vorticare la lama alta sopra la testa e tornò all’attacco. Non fu in grado di dire per quanto tempo durò. Minuti, forse. O forse intere ore. Il tempo perde significato quando le spade si risvegliano. La costrinse lontano dal cadavere di Cleos, la costrinse verso la strada, la costrinse negli alberi. Brienne inciampò in una radice affiorante e, per un momento, Jaime fu certo che quella sarebbe stata la fine. Ma invece di cadere, la donzella andò in appoggio su un ginocchio, e non perse un colpo. La sua spada salì a bloccare un fendente che l’avrebbe squarciata dalla spalla al pube. E poi si lanciò al contrattacco, respingendo colpo su colpo, tornando a rimettersi in piedi.

Così continuò la danza dell’acciaio. Jaime la inchiodò contro una quercia. E imprecò quando lei gli scappò via da sotto. La seguì in un basso torrente strangolato da fradice foglie morte. L’acciaio cantò, tintinnò, urlò, scintillò e fiammeggiò. La donna guerriera grugnì come una scrofa a ogni colpo e a ogni contraccolpo, eppure Jaime Lannister non riuscì mai a toccarla. Pareva che Brienne di Tarth fosse circondata da un’impenetrabile gabbia di ferro.

«Proprio niente male.» Jaime fece un’altra pausa, appena un attimo per riprendere fiato, deviando a destra.

«Per una donzella?»

«Per uno scudiero, dico io. Uno ancora inesperto.» Jaime fece una risata rauca, priva d’aria. «Andiamo, mia dolcezza, forza: la musica continua a suonare. Posso avere questo ballo, mia lady?»

Con un grugnito, fu lei a venire all’assalto, la lama che mulinava. E all’improvviso, lui dovette lottare per non ricevere sulla propria pelle il bacio dell’acciaio. Uno dei fendenti di Brienne gli scavò un solco nella fronte, il sangue gli ruscellò sull’occhio destro. “Che gli Estranei se la portino alla dannazione, e Delta delle Acque assieme con lei!” Quella fottuta cella oscurata, era stato là sotto che la sua abilità di spadaccino si era prima arrugginita e poi putrefatta. E quelle dannate catene non aiutavano di certo. Adesso Jaime aveva un occhio chiuso, non sentiva più le spalle a causa della grandine di colpi che aveva parato, i polsi gli dolevano sotto il peso della catena, dei ceppi, della spada. E a ogni nuovo colpo, la spada lunga diventava sempre più pesante. Jaime non stava più falciando con la medesima rapidità di prima, né sollevando l’acciaio altrettanto in alto. Lo sapeva, lo vedeva.

“È più forte di me… ”

Una consapevolezza raggelante. Robert Baratheon era stato più forte di lui, questo era certo. E anche Gerold Hightower, il Toro Bianco, nei suoi giorni di gloria. E ser Arthur Dayne, la Spada dell’alba. E tra i vivi, Grande Jon Umber era più forte di lui, e anche il Cinghiale Selvaggio di Crakehall, e di sicuro entrambi i fratelli Clegane. La forza della Montagna che cavalca era oltre l’umano. Ma nulla di tutto questo aveva importanza. Con la velocità, con la bravura, Jaime era comunque in grado di batterli tutti, tutti quanti. Ma questa che aveva di fronte adesso era una donna. Un’immensa mucca di donna, d’accordo, ma anche così… a tutti gli effetti, avrebbe dovuto essere lei a cedere.

Ma lei non stava affatto cedendo.

«Arrenditi, Sterminatore di re!» Brienne lo spinse di nuovo indietro, ad affondare fino alle ginocchia nel torrente. «Getta quella spada!»

Sotto il piede di Jaime, una pietra viscida ruotò all’improvviso. E lui si ritrovò a cadere. Tramutò l’inaspettato scivolone in un tuffo improvviso in avanti. La punta della sua spada, deviata dalla parata di Brienne, riuscì ad aprirsi di poco la strada nella parte superiore della coscia di lei. Un fiore rosso si allargò sulla stoffa bagnata. Per un momento, per un breve momento, Jaime assaporò la vista del sangue della donzella. Poi il suo ginocchio batté duramente contro una roccia del fondale. Il dolore fu accecante. Brienne gli fu addosso in un ribollire di spuma, gli strappò la spada dalle mani con un calcio.

«Arrenditi!»

Jaime la caricò di spalla contro le gambe, trascinandola a crollare sopra di lui. Rotolarono uno sull’altra, scalciando, picchiando pugni. Alla fine, Brienne gli si sedette sopra. Jaime riuscì a toglierle la daga dal fodero. L’istante in cui stava per affondargliela nel ventre, Brienne gli afferrò il polso al volo e lo pestò contro una roccia, talmente forte che Jaime ebbe l’impressione che il braccio gli fosse stato sradicato via dall’articolazione della spalla. La mano libera di Brienne s’inchiodò sulla sua faccia, dita aperte, come artigli.

«Arrenditi!» Gli cacciò sotto la testa, la tenne sotto, la tirò su. «Arrenditi!»

Jaime le sputò un fiotto d’acqua in faccia. Una spinta, un tonfo liquido, e lui fu nuovamente sotto, scalciando a vuoto, lottando per respirare. Venne trascinato fuori. «Arrenditi… o ti affogo!»

«Ma come, tu che infrangi un giuramento?» ringhiò lui. «Tu… come me?»

Lei lo lasciò andare di colpo, Jaime tornò a crollare in un vortice di spruzzi.

E poi, dal bosco, venne una sbracata eruzione di risate.

Brienne schizzò in piedi. Dalla vita in giù, era ridotta a un pastone di fango e sangue, aveva i vestiti strappati, la faccia rossa. “È imbarazzata come se ci avessero scoperti a scopare invece che a batterci.” Jaime strisciò sulle rocce, raggiunse il basso fondale e si tolse il sangue dalla faccia con le mani sempre incatenate. Uomini armati erano apparsi su entrambe le rive del torrente. “Niente di cui stupirsi: abbiamo fatto baccano sufficiente a svegliare un drago.”

«Amici miei, lieto d’incontrarvi» disse allegramente Jaime. «Le mie scuse se vi ho disturbato. Mi avete colto mentre davo una lezione a mia moglie.»

«Mi sembra che la lezione te la stava dando lei.»

L’uomo che aveva parlato era massiccio, dalla corporatura poderosa. La protezione che scendeva al centro del viso dal mezzo elmo di ferro che portava in testa non riusciva a nascondere del tutto il suo naso mozzato.

Questi non erano i fuorilegge che avevano ucciso ser Cleos, Jaime se ne rese conto di colpo. Questi erano lo sterco del mondo: snelli dorniani e biondi lyseniani, dothraki con campanelle nei capelli, pelosi uomini di Ibben, neri individui delle isole dell’Estate, con mantelli di piume. Sì, Jaime Lannister sapeva chi erano: i Bravi Camerati.

Brienne ritrovò la voce. «Ho cento fiorini…»

Le rispose un uomo dall’aspetto cadaverico, con addosso una stracciata cappa di cuoio. «Cominciamo con il prenderci quelli, milady.»

«E dopo ci prendiamo la tua fica» disse il senzanaso. «Non può essere brutta come tutto il resto.»

«Girala di dietro e chiavala nel culo, Rorge» ridacchiò un lanciere di Dorne, sciarpa di seta rossa avvolta attorno all’elmo. «Così ti risparmi di doverla guardare in faccia.»

«E portarle via il piacere di guardare me in faccia?» disse senzanaso. Tutti gli altri risero.

Era brutta, la donzella, ed era ostinata, ma meritava comunque di meglio che non venire stuprata in gruppo da questa feccia. «Chi è in comando qui?» s’impose Jaime a voce alta.

«Ho io quell’onore, ser Jaime.» Gli occhi dell’uomo cadaverico erano bordati di rosso, i suoi capelli radi e secchi. Vene blu scuro s’indovinavano sotto la pelle livida delle mani e della faccia. «Urswyck, sono io. Chiamato Urswyck il Fedele.»

«E sai chi sono io?»

Il mercenario inclinò la testa di lato. «Ci vuole qualcosa di più di una barba e di una testa rasata per ingannare i Bravi Camerati.»

“I Guitti sanguinari, vorrai dire.” A Jaime non serviva gente come questa, non più di quanto gli fossero serviti Gregor Clegane o Amory Lorch. Cani, era così che li definiva suo padre lord Tywin, e come cani li trattava, mandandoli a caccia delle sue prede, spargendo la paura.

«Visto che mi conosci, Urswyck, sai anche che avrai la tua ricompensa. Un Lannister paga sempre i propri debiti. Quanto alla donzella, è di nobile origine e vale un buon riscatto.»

«Ma sul serio?» Il cadavere vivente inclinò la testa di lato. «Che fortuna.»

Nel modo viscido che Urswyck aveva di sorridere c’era qualcosa che a Jaime non piaceva affatto. «Mi hai udito. Dov’è il caprone?»

«A qualche ora da qui. Sarà compiaciuto di vederti, non ne dubito. Ma davanti a lui, se fossi in te, eviterei di chiamarlo caprone. Lord Vargo Hoat è quanto mai suscettibile riguardo alla sua dignità.»

“Dignità? E da quando quel selvaggio bavoso possiede una dignità?” «Sarà mia cura ricordarlo, quando lo incontrerò. A proposito, lord di che cosa?»

«Harrenhal. Gli è stata promessa.»

“Harrenhal? Mio padre è forse uscito di senno?” Jaime sollevò i polsi incatenati. «È ora di toglierle, queste.»

La risata di Urswyck era secca come pergamena.

“Qui è tutto sbagliato, tutto quanto.” Jaime non rivelò nulla del disagio che provava, si limitò a sorridere. «Ho detto qualcosa di divertente?»

Senzanaso sogghignò. «Sei la cosa più divertente che ho visto da che Mordente ha staccato a morsi le tette di quella septa.»

«Tu e tuo padre avete perso un po’ troppe battaglie» intervenne il dorniano con la sciarpa rossa. «Così noi abbiamo preferito mollare la criniera del leone per prendere la pelliccia del lupo.»

«Quello che Timeon sta cercando di dire» Urswyck allargò le braccia «è che i Bravi Camerati non sono più al soldo della Casa Lannister. Adesso serviamo Roose Bolton e il re del Nord.»

Jaime gli somministrò un sorriso di gelido disprezzo. «E pensare che la gente dice che sono io quello che ha la merda al posto dell’onore.»

A Urswyck quel commento non piacque. Fece un cenno, due dei Guitti sanguinari afferrarono Jaime per le braccia, Rorge gli affondò nello stomaco un pugno rivestito di maglia di ferro. Nel piegarsi in avanti con un grugnito, udì la donzella che si metteva a protestare. «Fermi! Non dovete fargli del male! È lady Catelyn Stark che ci manda. È per uno scambio di prigionieri, lui si trova sotto la mia protez…»

Rorge colpì Jaime una seconda volta, facendogli uscire tutta l’aria dai polmoni. Brienne andò alla disperata ricerca della sua spada, sprofondata nel torrente. I Guitti le furono addosso prima che potesse impugnarla. Era talmente forte che ci si misero in quattro per renderla inoffensiva.

Una volta che ebbero finito, la faccia della donzella era gonfia e coperta di sangue al pari di quella di Jaime. Le avevano anche fatto saltare due denti, il che non contribuiva certo a renderla più attraente. Barcollanti e sanguinanti, i due prigionieri vennero trascinati nel bosco, fino ai cavalli; Brienne zoppicava a causa della ferita alla coscia che Jaime le aveva inflitto nel torrente. Improvvisamente, inaspettatamente, lui sentì di compiangerla. Quella notte, avrebbe perduto la sua verginità, nessun dubbio. Quel figlio di una baldracca dal naso mozzato l’avrebbe stuprata per primo, poi sarebbe stato il turno degli altri.

Il dorniano li legò schiena contro schiena sul cavallo da tiro di Brienne. Altri Guitti denudarono il cadavere di Cleos, depredandolo di tutto. Rorge s’impossessò del farsetto a quadranti chiazzato di sangue, ma ancora orgogliosamente ornato degli emblemi dei Lannister e dei Frey. Le frecce avevano aperto dei buchi sia nel leone sia nelle torri.

«Spero che tu sia contenta, adesso, donzella» Jaime bisbigliò a Brienne. Tossì, sputando una boccata di sangue. «Se mi avessi lasciato la spada, non ci avrebbero mai presi.»

Nessuna risposta. “Una stronza testarda peggio di una scrofa” rimuginò Jaime. “Ma con un coraggio da leone, questo sì.” «Questa notte, quando ci accamperemo, verrai stuprata. E anche più di una volta» l’avvertì lui. «Farai meglio a non resistere. Se cerchi di lottare, perderai qualcosa di peggio di un paio di denti.»

Sentì la schiena di Brienne irrigidirsi contro la sua. «È questo che tu faresti, se fossi una donna?»

“Se fossi una donna, sarei Cersei.” «Se fossi una donna, li spingerei a uccidermi. Ma non lo sono.» Jaime diede un colpo di speroni, facendo avanzare il cavallo al trotto. «Urswyck! Una parola.»

Il cadaverico mercenario con la lacera cappa di pelle diede un colpo di redini, avanzando al loro fianco. «Che altro vuoi da me, ser? E attento a come parli, o ti punirò di nuovo.»

«Oro» disse Jaime. «Ti piace l’oro?»

Urswyck lo studiò con quei suoi laidi occhi cisposi. «Ha una certa utilità, lo riconosco.»

Jaime gli allungò un sorriso complice. «Tutto l’oro di Castel Granito? Perché lasciare che sia il caprone a goderselo? Perché non portarci ad Approdo del Re e incassare tu il mio riscatto? E anche quello della donna, se vuoi. Tarth è chiamata l’isola di Zaffiro, mi disse una fanciulla qualche tempo fa.»

A quella frase, la donzella si agitò, ma non disse nulla.

«Mi prendi per un voltagabbana?»

«Poco ma sicuro. Che altro?»

Per una manciata d’istanti, Urswyck valutò la proposta. «Approdo del Re è molto lontana, ed è là che si trova tuo padre. Lord Tywin potrebbe risentirsi per il fatto che siamo stati noi a consegnare Harrenhal a lord Bolton.»

“È più furbo di quanto sembri.” Jaime stava già accarezzando l’idea d’impiccare personalmente questo sacco di sterco lasciandogli le tasche gonfie d’oro. «Tu procura che me la veda io con mio padre. Ti farò ottenere un perdono reale per tutti i crimini che hai commesso. Ti farò ottenere anche il cavalierato.»

«Ser Urswyck» ripeté il turpe individuo, assaporando il suono di quelle parole. «Quanto orgogliosa sarebbe la mia cara moglie nell’udirlo. Lo sarebbe… se solo non le avessi tagliato la gola» sospirò. «E come la mettiamo con il valoroso lord Vargo?»

«Vuoi che ti canti una strofa di Le piogge di Castamere? Il caprone non sarà più tanto valoroso una volta che mio padre gli avrà messo addosso i suoi artigli.»

«E come potrà riuscirci? Forse le braccia di tuo padre sono così lunghe da superare le mura di Harrenhal e da tirarlo fuori?»

«Se si dovrà arrivare a tanto…» La mostruosità fortificata di re Harren il Nero era già caduta altre volte, e poteva cadere di nuovo. «Sei davvero stolto al punto da credere che il caprone possa trionfare sul leone?»

Urswyck si protese in avanti e, con un movimento pigro, lo schiaffeggiò in piena faccia. Il colpo in se stesso fu nulla a paragone dell’evidente insolenza di quel gesto. “Non ha paura di me” si rese conto Jaime, un rigagnolo gelido che gli colava lungo la schiena. «Ho sentito abbastanza da te, Sterminatore di re. Dovrei essere davvero un grandissimo stolto per credere alle promesse di un traditore quale sei.» Diede di speroni e, saggiamente, galoppò più avanti.

“Aerys” il tetro pensiero ritornò. “Tutto origina da Aerys.” Jaime ondeggiò seguendo il moto del cavallo, desiderando di avere una spada. “Due spade sarebbero ancora meglio. Una per la donzella, e una per me. Moriremmo, certo, ma porteremmo almeno la metà di loro negli inferi con noi.”

«Perché gli hai detto che Tarth è chiamata l’isola di Zaffiro?» gli sussurrò Brienne una volta che Urswyck fu fuori portata di voce. «Potrebbe pensare che mio padre è ricco di pietre preziose…»

«Farai meglio a pregare che lo pensi.»

«Davvero ogni parola che dici è una menzogna, Sterminatore di re? Tarth è chiamata l’isola di Zaffiro per il blu delle sue acque.»

«Gridalo un po’ più forte, donzella, non mi sembra che Urswyck abbia capito bene. Quanto prima scopriranno che il tuo riscatto vale poco, tanto più in fretta cominceranno a stuprarti. Ognuno di questi fetenti ti monterà, ma che te ne importa, in fondo? Chiudi gli occhi, apri le gambe, e fa’ finta che siano tutti lord Renly.»

E questo, fortunatamente, le tappò la bocca, almeno per un po’.


Era quasi il tramonto quando trovarono lord Vargo Hoat, intento a saccheggiare un piccolo tempio assieme a un’altra dozzina di Bravi Camerati. Le finestre di vetro istoriato erano state sfondate, le statue degli dèi, di legno lavorato, trascinate fuori alla luce del sole. Il dothraki più grasso che Jaime avesse mai visto era seduto sul torace della Madre, molto occupato a sradicare gli occhi di calcedonio con la punta del pugnale. Poco più oltre, il cadavere di uno scarno septon con pochi capelli penzolava a testa in giù dalla biforcazione di un grande albero di castagno. Tre Guitti sanguinari lo usavano come bersaglio per il tiro con l’arco. Uno di loro doveva avere una mira invidiabile: c’erano frecce piantate in ciascuno dei bulbi oculari del morto.

Nel momento in cui quelli della banda mercenaria individuarono Urswyck e il suo gruppo, echeggiò un’ovazione urlata in una mezza dozzina di lingue diverse. Il caprone stava seduto presso il fuoco, mangiando un uccello allo spiedo arrostito a metà: unto e sangue gli colavano giù per la lunga barba a nastro. Si pulì le mani lerce sulla tunica e si alzò.

«Schhterminatore di re» sputacchiò in quel suo grottesco modo di parlare. «Scei mio priscioniero.»

«Mio lord, sono Brienne di Tarth» cominciò la donzella. «Lady Catelyn Stark mi ha comandato di portare ser Jaime da suo fratello, ad Approdo del Re.»

Il caprone le allungò uno sguardo privo d’interesse. «Fatela schtare scitta.»

«No, devi ascoltare» insistette Brienne, mentre Rorge arrivava a tagliare le funi che la legavano a Jaime. «Nel nome del re del Nord, il re che anche tu servi, per cortesia, ascoltami…»

Rorge la trascinò giù di sella e cominciò a prenderla a calci. «Cerca di non spezzarle nessun osso» gli gridò Urswyck. «Quella troia dal muso di cavallo vale il suo peso in zaffiri.»

Timeon, il dorniano dalla sciarpa rossa, e uno scimmione di Ibben che puzzava da fare rivoltare lo stomaco tolsero anche Jaime dalla sella e lo spinsero brutalmente verso il fuoco. Non gli sarebbe stato difficile strappare una delle loro spade dal fodero mentre lo malmenavano, ma loro erano in troppi, e lui era ancora ai ceppi. Forse ne avrebbe sventrati uno o due, ma alla fine sarebbe morto. E Jaime non era ancora pronto a morire, di certo non per un soggetto quale Brienne di Tarth.

«Queschta è una dolsce giornata» disse Vargo Hoat. Attorno al collo, portava una collana fatta di monete saldate una all’altra, monete di ogni forma e di ogni dimensione, fuse e lavorate a martello, monete con immagini di re, di maghi, di dèi e di demoni, di tutti i tipi di animali strani.

“Conio da tutti i posti in cui ha combattuto” ricordò Jaime. Avidità, eccola, la chiave di quell’uomo. “Se ha cambiato vessillo già una volta, può farlo di nuovo.” «Lord Vargo, sei stato sciocco a lasciare il servizio di mio padre, ma non è troppo tardi per fare ammenda. Pur di riavermi, lord Tywin ti pagherà bene. E tu questo lo sai.»

«Oh, sci che lo shciò» sputacchiò Vargo Hoat. «Metà dell’oro di Caschtel Granito, io prendo. Ma per prima coschia, gli devo mandare un messaschio.» Poi, nel suo linguaggio sibilante, aggiunse qualcos’altro.

Urswyck diede a Jaime una spinta. Un giullare addobbato in un lurido costume verde e rosa gli sferrò da dietro un calcio alle gambe. Nel momento in cui Jaime crollò al suolo, uno degli arcieri afferrò la catena che gli tratteneva i polsi e tirò, facendogli alzare le braccia in avanti. Il dothraki grasso che stava strappando gli occhi alla Madre mise il coltello da parte. Sfoderò un enorme arakh ricurvo, l’affilatissima lama a metà strada tra una falce e una spada tanto prediletta dai signori del cavallo.

“Vogliono solo farmi paura.” Ridacchiando, il giullare saltò sulla schiena di Jaime. Il dothraki venne verso di lui. “Il caprone vuole che me la faccia nelle brache e implori pietà, ma non avrà mai questa soddisfazione.” Lui era un Lannister di Castel Granito, lord comandante della Guardia reale: nessun lurido mercenario lo avrebbe fatto urlare.

La lama dell’araldi calò in un barbaglio di luce solare, talmente rapida da essere nulla di più di un’ombra argentea.

Jaime Lannister urlò.

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