SANSA

La mattina in cui il nuovo abito di Sansa Stark fu pronto, le servette riempirono la vasca di acqua bollente e strigliarono la fanciulla dalla testa ai piedi fino a quando la sua pelle non divenne di un colore rosa quasi scintillante. La cameriera personale di Cersei le tagliò le unghie e le acconciò i lunghi capelli castano chiaro in soffici boccoli che le ricaddero sulla schiena. Sansa scelse una fragranza intensamente dolce, con una punta di limone che si sovrapponeva al profumo dei fiori. La cameriera gliene mise qualche goccia sulle dita, dietro le orecchie e anche, delicatamente, sui capezzoli.

Cersei in persona arrivò assieme alla sarta, e rimase a osservare mentre Sansa veniva vestita con i nuovi abiti. La biancheria era interamente di seta, l’abito di sciamito color avorio e di tessuto d’argento, foderato di satin argenteo. Quando Sansa abbassò le braccia, le punte delle lunghe maniche a losanga arrivarono quasi a toccare terra. Ed era un abito da donna adulta, non da ragazzina, non c’era dubbio. Il corpetto scendeva fino al ventre, la profonda V chiusa da un pannello di pizzo di Myr color grigio tortora. Le gonne erano lunghe, gonfie, talmente strette in vita che Sansa dovette trattenere il fiato mentre i lacci venivano annodati. Le portarono anche le scarpe nuove, mocassini di morbida pelle d’agnello che le accarezzavano i piedi come amanti.

«Sei molto bella, mia signora» disse la sarta quando la vestizione fu terminata.

«Lo sono davvero?» Sansa fece una risatina e roteò su se stessa, le gonne che le si allargavano attorno. «Oh, sì, lo sono.» Non vedeva l’ora che Willas Tyrell potesse ammirarla. “Mi amerà, sì, mi amerà, deve amarmi… Quando mi vedrà si scorderà di Grande Inverno, farò io in modo che accada.”

La regina Cersei la esaminò con espressione critica. «Delle gemme, direi. Le pietre di luna che le ha regalato Joffrey.»

«Immediatamente, maestà» rispose la cameriera.

Una volta che le pietre di luna furono appese alle orecchie e disposte al collo di Sansa, la regina annuì. «Sì. Gli dèi sono stati generosi con te, Sansa. Sei una splendida fanciulla. Sembra quasi un’oscenità sprecare tanta delicata innocenza con quel mostriciattolo.»

«Quale mostriciattolo?» Sansa non riusciva a capire. Era a Willas che si riferiva la regina? “Come fa a sapere?” Nessuno era al corrente delle sue nozze con il primogenito dei Tyrell. Nessuno tranne lei, Margaery e la regina di Spine… oh, e anche Dontos, ma lui non contava.

Cersei Lannister ignorò la domanda. «Il mantello» ordinò. Le serve lo portarono: una lunga cappa di velluto bianco tempestato di perle. Su di essa, ricamato con filo d’argento, campeggiava un fiero meta-lupo. Sansa osservò l’emblema colta da un terrore improvviso. «I colori di tuo padre» disse Cersei mentre la cappa veniva chiusa attorno al collo di Sansa con una sottile catena d’argento.

«Il mantello di una vergine.» La mano di Sansa salì alla gola. Se lo sarebbe strappato via, se solo avesse osato.

«Sei più graziosa quando tieni la bocca chiusa, Sansa» le disse Cersei. «Ora vieni, il septon aspetta. E anche gli invitati alle nozze.»

«No» gorgogliò Sansa. «No.»

«Oh, sì, invece. Tu sei la protetta della corona. Quindi, dal momento che tuo fratello Robb è un traditore riconosciuto, è il re a fare le veci di tuo padre. Questo significa che il re ha tutti i diritti di disporre della tua mano. Tu sposerai mio fratello Tyrion.»

“Il mio titolo su Grande Inverno.” Sansa, piena di ribrezzo, capì. Dontos il Giullare non era stato poi tanto giullaresco: aveva intuito la verità con grande chiarezza. Sansa si allontanò dalla regina. «Non lo farò.» “Sono stata promessa in sposa a Willas Tyrell. Sono destinata a diventare la lady di Alto Giardino, io…”

«Comprendo la tua riluttanza. Piangi pure, se vuoi. Se fossi io al tuo posto, probabilmente mi strapperei anche i capelli. Tyrion è un odioso piccolo demordo, non ci sono dubbi, ma tu lo sposerai lo stesso.»

«Non mi potete costringere.»

«Certo che possiamo. Quanto a te, puoi venire con le buone e pronunciare le parole giuste come si addice a una lady, oppure puoi urlare e scalciare e dare spettacolo, in modo che perfino i ragazzi di stalla si facciano beffe di te, ma finirai maritata e impalmata comunque.»

La regina aprì la porta. Ser Meryn Trant e ser Osmund Kettleblack, nelle loro armature bianche a scaglie della Guardia reale, aspettavano appena oltre la soglia.

«Scortate lady Sansa al tempio. Portatecela di peso, se ci siete costretti. Ma fate bene attenzione a non rovinare quel vestito, è molto costoso.»

Sansa cercò di fuggire. La cameriera di Cersei l’afferrò dopo nemmeno tre passi. Ser Meryn Trant le lanciò un’occhiata che le fece accapponare la pelle, ma Kettleblack le si rivolse quasi con gentilezza. «Fa’ come ti dicono, piccola, non sarà poi così terribile. Si suppone che i lupi debbano essere coraggiosi, non è vero?»

“Coraggiosi.” Sansa fece un respiro profondo. “Sono una Stark, sì. E anch’io so essere coraggiosa.” Tutti la stavano guardando, proprio come l’avevano guardata quel giorno nel cortile, quando ser Boros Blount le aveva strappato i vestiti di dosso per ordine di Joffrey. Ed era stato il Folletto a salvarla dal linciaggio, lo stesso… nano che ora la stava aspettando all’altare. “Lui non è crudele come gli altri” disse a se stessa.

«Andrò» decise Sansa.

Cersei sorrise. «Sapevo che lo avresti fatto.»


In seguito, non ricordò di aver lasciato la stanza, né di aver disceso i gradini della torre, né di aver attraversato il cortile della Fortezza Rossa. Ogni angolo della sua mente era assorbito dallo sforzo di mettere un piede dietro l’altro. Ser Meryn e ser Osmund camminavano al suo fianco, con addosso mantelli pallidi come quello che lei aveva sulle spalle, solo privi delle perle e senza il meta-lupo che era stato l’emblema di suo padre.

Il re, splendido in porpora e oro, aveva la corona sul capo. «Quest’oggi» annunciò «io sono tuo padre.»

«Non lo sei» avvampò Sansa. «Non lo sarai mai.»

L’espressione di Joffrey si incupì. «Lo sono. Sono tuo padre, e ti posso dare in sposa a chiunque io voglia. A qualsiasi individuo io voglia. Tu andrai in sposa al ragazzo dei porcili se io ti ordino di farlo, e giacerai con lui nello sterco dei porci.» C’era un lampo di divertimento nei suoi occhi verdi. «O forse dovrei darti a Ilyn Payne, pensi che lui ti piacerebbe di più?»

Il cuore di Sansa ebbe un sussulto. «Maestà, ti supplico» implorò. «Se mi hai voluto bene anche solo per un istante, non farmi sposare tuo…»

«…zio?» Tyrion Lannìster varcò le porte del tempio. «Maestà» disse a Joffrey «concedimi un momento da solo con lady Sansa, per cortesia.»

Il re stava per rifiutare, ma sua madre lo fulminò con uno sguardo tagliente. Joffrey e Cersei si ritirarono di qualche passo.

Tyrion indossava un farsetto di velluto nero ornato di ricami dorati e stivali alti fino alla coscia che gli davano almeno un palmo di statura in più. Al collo portava una catena di rubini e teste di leone. Ma lo squarcio che gli solcava la faccia era crudo, rosso e il suo naso un moncone repellente. «Sei bellissima, Sansa» le disse.

«È gentile da parte tua, mio signore.» Non sapeva che altro rispondere. “Dovrei forse dirgli che è un bell’uomo? Mi crederebbe una stupida, o una bugiarda.” Sansa abbassò gli occhi e tenne a freno la lingua.

«Mia signora, non è certamente questo il modo di portarti alle nozze» riprese Tyrion. «Ne sono dispiaciuto. E sono anche dispiaciuto che tutto sia avvenuto in modo così improvviso, così segreto. È stato il lord mio padre a ritenere che fosse necessario, nel nome della ragion di stato. Diversamente, sarei venuto da te ben prima, cosa che desideravo fare.» Le si accostò con quella sua andatura ondeggiante. «Tu non hai chiesto che queste nozze avessero luogo, lo so. Non più di quanto lo abbia chiesto io. Tuttavia, se ti avessi rifiutata, loro ti avrebbero mandata in sposa a mio cugino Lancel. Alternativa che tu forse avresti preferito. Lancel è più o meno della tua età, e di aspetto gradevole alla vista. Se è questo il tuo desiderio, non hai che da dirlo, e io porrò fine a questa farsa.»

“Non voglio andare in sposa a nessun Lannister” avrebbe voluto dire Sansa. “Voglio Willas, voglio Alto Giardino e i cagnolini e il vascello fluviale, e figli di nome Eddard, Bran e Rickon.” Ma poi si ricordò delle parole che Dontos le aveva detto nel parco degli dèi. “Tyrell, Lannister, non fa alcuna differenza. Non è me che vogliono: è il mio titolo su Grande Inverno.”

«Sei cortese, mio signore» disse, sconfitta. «Ma sono la protetta del trono, ed è mio dovere sposare chi il re comanda.»

Gli occhi asimmetrici del Folletto la scrutarono. «Sono consapevole di non essere il genere di marito che una ragazza sogna di sposare, Sansa» disse in un soffio. «Ma non sono nemmeno Joffrey.»

«No, non lo sei» assentì Sansa. «Tu sei stato gentile con me. Questo lo ricordo.»

Tyrion le porse una mano dalle dita corte e tozze. «Vieni, allora. Facciamo il nostro dovere.»

Sansa pose la propria mano su quella di lui, e Tyrion la condusse all’altare, dove il septon, in piedi tra le icone della Madre e del Padre, era in attesa di unire le loro vite in una sola. Sansa vide Dontos, nel suo costume da giullare, che la fissava con grandi occhi sgranati. C’erano ser Balon Swann e ser Boros Blount, anche loro nel bianco della Guardia reale, ma ser Loras non c’era. “Non c’è nessuno dei Tyrell” si rese improvvisamente conto Sansa. Invece, c’era fin troppa abbondanza di altri testimoni: Varys l’eunuco, maestro delle spie; ser Addam Marbrand, nuovo comandante della Guardia cittadina di Approdo del Re; lord Philip Foote, cortigiano; ser Bronn, mercenario fatto cavaliere dopo la battaglia delle Acque Nere; Jalabhar Xho, principe in esilio delle isole dell’Estate e una dozzina di altri. Il vecchio lord Gyles Rosby tossiva malamente, l’infante lady Ermesande veniva allattata, la figlia incinta di lady Tanda singhiozzava senza alcuna ragione apparente. “Che pianga pure” pensò Sansa. “Forse anch’io lo farò prima che questo giorno sia concluso.”

La cerimonia si svolse come in un sogno. Sansa fece tutto quello che ci si aspettava facesse. Ci furono preghiere, promesse e inni. Alte candele vennero accese, cento luci che nei suoi occhi offuscati dalle lacrime divennero migliaia. Fortunatamente, nessuno parve notare che stava piangendo, là in piedi, avvolta nei colori di suo padre. O, se anche lo notarono, fecero finta di niente. In quello che parve un battito di ciglia, si arrivò allo scambio dei mantelli.

Quale padre del reame, Joffrey prese il posto di lord Eddard Stark. Quando le mani del giovane sovrano si avvicinarono alle spalle di lei, e le dita presero ad armeggiare per aprire il fermaglio del mantello, Sansa rimase immobile, rigida come una picca. Una delle mani di Joffrey le sfiorò un seno, soffermandosi a dare una rapida strizzata. Poi il fermaglio fu aperto, Joffrey le tolse la cappa dalle spalle con una regale piroetta e un sogghigno.

Andò meno bene con lo zio nano del re. Il mantello da sposa che Tyrion reggeva era enorme, pesante, di velluto porpora riccamente ornato di leoni, bordato di satin dorato e di rubini. Solo che nessuno si era ricordato di provvedere uno sgabello, e Tyrion era di ben tre spanne più basso della sua sposa. Nel momento in cui il Folletto si spostò dietro di lei, Sansa sentì una decisa tirata alla gonna. “Vuole che m’inginocchi” pensò, arrossendo. Era mortificata. Non era così che avrebbe dovuto essere. Mille volte Sansa aveva sognato le sue nozze, e sempre aveva visto il suo promesso sposo, alto e forte, in piedi dietro di lei, che le posava sulle spalle il mantello, simbolo della sua protezione maritale, dandole un tenero bacio sulla guancia mentre si chinava in avanti a serrare il fermaglio.

Sansa sentì un’altra tirata alla gonna, questa volta più insistente. “Non mi metterò in ginocchio, no. Per quale motivo dovrei avere rispetto per quello che lui prova, quando nessuno si degna di fare altrettanto con me?”

Il nano diede una terza tirata. Ostinatamente, Sansa serrò le labbra e finse di non essersene accorta. Dietro di loro qualcuno ridacchiò. “La regina” intuì Sansa. Ma a quel punto non aveva più importanza. Ormai la risata era generale, e Joffrey rìdeva più forte di tutti.

«Dontos, mettiti a quattro zampe» comandò il re. «Mio zio ha bisogno di una spinta per montare sulla sua sposa.»

E fu così che il lord suo marito avvolse Sansa Stark nel mantello con i colori della nobile Casa Lannister: stando in piedi sul dorso del cavaliere ubriacone, degradato a giullare di corte.

Sansa si voltò. Il nano la stava fissando dal basso, rosso in faccia come il mantello che ora lei aveva sulle spalle. Di colpo Sansa si sentì piena di vergogna per quella sua ostinazione. Si lisciò le gonne e mise un ginocchio a terra di fronte a lui, in modo che i loro volti fossero alla stessa altezza. «Con questo bacio io ti prometto il mio amore, e ti prendo come mio signore e marito.»

«Con questo bacio io ti prometto il mio amore» rispose il nano con voce roca «e ti prendo come mia signora e moglie.»

Tyrion si protese verso di lei e, per un breve attimo, le loro labbra si toccarono.

“È così brutto” non poté fare a meno di pensare Sansa, la faccia vicinissima a quella di lui. “È addirittura più brutto del Mastino.”

Il septon sollevò alto il cristallo sacro, in modo che i colori dell’arcobaleno si diffondessero sugli sposi. «Qui, alla vista degli dèi e degli uomini» recitò «io solennemente dichiaro Tyrion della Casa Lannister e Sansa della Casa Stark marito e moglie, un corpo, un cuore, un’anima, ora e sempre, e maledetto sia chiunque verrà a frapporsi tra loro.»

Sansa si costrinse a mordersi il labbro per evitare di scoppiare in singhiozzi.


La festa di nozze si tenne nella sala piccola. C’erano circa cinquanta invitati, per la maggior parte cortigiani e alleati dei Lannister, i quali vennero ad aggiungersi ai convenuti alla cerimonia. Fu tra loro che Sansa trovò i Tyrell. Margaery le rivolse uno sguardo colmo d’indicibile tristezza. Quando la regina di Spine fece il suo ingresso, scortata da Destro e Sinistro, non la degnò nemmeno di un’occhiata. Elinor, Alla e Megga sembravano non averla mai conosciuta. “Belle amiche” pensò Sansa piena di amarezza.

Tyrion bevve molto e mangiò poco. S’interruppe per ascoltare ogni volta che qualcuno si alzava in piedi a proporre un brindisi, e di tanto in tanto concesse un secco cenno del capo, ma per il resto la sua faccia rimase una maschera di pietra. La festa parve andare avanti per un’eternità, anche se Sansa non riuscì a toccare cibo. Sperava solo che il banchetto finisse, e al tempo stesso era terrorizzata all’idea di quello che sarebbe venuto dopo. Perché dopo il banchetto ci sarebbe stata la prima notte di nozze. Gli uomini l’avrebbero trasportata fino al talamo nuziale, spogliandola lungo la strada e ragliando battute volgari sul destino che l’aspettava tra le lenzuola. Questo mentre le donne riservavano a Tyrion gli stessi onori. Soltanto dopo che entrambi fossero stati nudi e infilati nel letto, li avrebbero lasciati soli, ma anche allora sarebbero rimasti fuori dalla stanza degli sposi, gridando turpi suggerimenti attraverso la porta. Quando Sansa era ancora una bambina, la prima notte di nozze le era parsa incredibilmente ribalda ed eccitante, ma ora che quella notte incombeva su di lei, ciò che provava era solo terrore. Pensava di non poter tollerare che le venissero strappati i vestiti di dosso, ed era certa che alla prima battuta oscena sarebbe scoppiata in lacrime.

I musicanti cominciarono a suonare. Timidamente, Sansa posò una mano su quella di Tyrion: «Mio signore, non dovremmo aprire le danze?».

La bocca del Folletto si storse in una smorfia. «Direi che li abbiamo già fatti divertire quanto basta per l’intera giornata, non credi?»

«Come preferisci, mio signore.» Sansa ritirò la mano.

Furono Joffrey e Margaery a danzare per primi. “Com’è possibile che un mostro come lui balli così meravigliosamente?” si chiese Sansa. Molte volte aveva sognato a occhi aperti come avrebbe ballato alle sue nozze, gli sguardi di tutti puntati su di lei e sul suo avvenente signore. Nei sogni, quegli occhi erano sorridenti. “Ma qui, ora, nemmeno mio marito è sorridente.”

Presto, altri ospiti si unirono nella danza al re e alla sua promessa sposa. Elinor ballò con il suo giovane scudiero, Megga con il principe Tommen. Lady Merryweather, la bellezza della città libera di Myr, dai capelli corvini e dai grandi occhi neri, volteggiò in modo così provocante da attirare su di sé gli sguardi di tutti gli uomini presenti nella sala. Lord e lady Tyrell si unirono al ballo in modo meno appariscente. Ser Kevan Lannister chiese l’onore di danzare con lady Janna Fossoway, sorella di lord Mace Tyrell. Merry Crane scelse come cavaliere il principe in esilio Jalabhar Xho, splendido nei suoi abiti di piume di uccelli esotici. Cersei Lannister danzò prima con lord Redwyne, poi con lord Rowan e quindi con il proprio padre, lord Tywin, il quale esibì una levigata e algida grazia.

Sansa rimase seduta con le mani intrecciate in grembo, osservando la regina muoversi, ridere e scuotere i riccioli biondi. “Come riesce a incantarli tutti” pensò cupamente. “E come la odio.” Distolse lo sguardo, ritrovandosi a osservare Ragazzo di luna che ballava con Dontos.

«Lady Sansa.» In piedi accanto alla piattaforma c’era ser Garlan Tyrell. «Posso avere l’onore, se il tuo signore lo concede?»

Gli occhi asimmetrici del Folletto si strinsero. «La mia signora può danzare con chi le pare e piace.»

Forse avrebbe dovuto restare al fianco di suo marito, ma Sansa aveva così tanta voglia di danzare. E ser Garlan era il fratello di Margaery, di Willas… di Loras, il suo cavaliere di Fiori. «Ora capisco, cavaliere, perché ti chiamano Garlan il Galante» disse quando lui la prese per mano.

«Mia signora, sei gentile a dire questo. In realtà, è stato mio fratello Willas a darmi questo soprannome. Per proteggermi.»

«Per proteggerti?» Sansa gli lanciò un’occhiata interrogativa.

Ser Garlan rise. «Ero un ragazzino robusto, temo, e in effetti abbiamo uno zio chiamato Garlan il Grasso. Così Willas colpì per primo, ma non senza avermi prima minacciato con nomi come Garlan l’Itterico, Garlan il Gallinaccio e Garlan il Mostro.»

La storiella era talmente delicata e sciocca che Sansa, a dispetto di tutto, non poté fare a meno di ridere. Più tardi, provò un’assurda gratitudine. In qualche modo, ridere le aveva dato di nuovo speranza, sia pure per breve tempo. Sorridendo, si lasciò trasportare dalla musica, perdendosi nei passi della danza, nel suono del flauto, dei pifferi, dell’arpa, nel ritmo del tamburo… e in alcuni momenti, quando il ballo li avvicinò l’una all’altro, si abbandonò tra le braccia di ser Garlan.

«La lady mia moglie è molto preoccupata per te» lui le disse a bassa voce in uno di quei momenti.

«Lady Leonette è incredibilmente dolce. Dille che sto bene.»

«Nel giorno delle sue nozze, una sposa dovrebbe stare più che bene.» La voce di ser Garlan non era priva di calore. «E tu sembri sull’orlo delle lacrime.»

«Lacrime di gioia, cavaliere.»

«I tuoi occhi guidano la tua lingua alla menzogna.» Ser Garlan la fece volteggiare, attirandola poi al proprio fianco. «Mia signora, ho visto il modo in cui guardi mio fratello. Loras è valoroso e avvenente, e noi tutti lo amiamo profondamente… ma il tuo Folletto sarà un marito migliore. È un uomo più grande di quanto appaia.»

La musica li divise prima che Sansa potesse pensare a una qualsiasi replica. Venne il turno di ballare con lord Mace Tyrell, rosso in faccia e sudato, e quindi con lord Meriyweather, e poi con il principe Tommen. «Anch’io voglio sposarmi» dichiarò il piccolo principe cicciottello, orgoglioso dei suoi nove anni. «Sono più alto di mio zio!»

«Certo che lo sei» lo rassicurò Sansa, prima che il suo compagno di danza cambiasse di nuovo. Ser Kevan Lannister le disse che era bellissima, Jalabhar Xho le sussurrò qualcosa nel suo linguaggio delle isole dell’Estate che lei non capì, lord Redwyne le augurò molti figli ben pasciuti e lunghi anni di serenità. E poi la danza la portò a faccia a faccia con Joffrey.

La mano del re toccò la sua e Sansa s’irrigidì. Joffrey serrò la presa, attirandola a sé. «Non dovresti fare quella faccia triste. Mio zio è un brutto storpio, ma tu avrai sempre me.»

«Tu sei destinato a sposare Margaery!»

«Un re può avere altre donne. Puttane. Mio padre ne ha avute, e anche uno degli Aegon ne ha avute. Il terzo dei Targaryen, o forse il quarto. Ha avuto un mucchio di puttane e un mucchio di figli bastardi.» Mentre volteggiavano al ritmo della musica, Joffrey le diede un bacio viscido. «Mio zio ti porterà nel mio letto tutte le volte che io glielo ordinerò.»

Sansa scosse la testa. «No, non farà questo.»

«Invece sì, o io avrò la sua testa. Quel re Aegon, lui ha avuto tutte le donne che voleva, sposate oppure no.»

Fortunatamente, venne di nuovo il momento di cambiare compagno di danza. Solo che le gambe di Sansa sembravano essere diventate di legno. Lord Rowan, ser Tallad e lo scudiero di Elinor quasi certamente pensarono che era una pessima ballerina. Alla fine, Sansa si ritrovò di nuovo tra le braccia di ser Garlan, e poi, ringraziando gli dèi, il ballo si concluse.

Ma il suo sollievo ebbe vita breve. «È ora di portarli a letto!» Sansa udì il grido di Joffrey nel momento stesso in cui cessò la musica. «Togliamole i vestiti di dosso! Vediamo un po’ che cosa ha da offrire a mio zio questa lupacchiotta!» Ululando, altri uomini si associarono al grido.

Lentamente, il marito nano di Sansa sollevò lo sguardo dalla coppa di vino. «Nessuno porterà a letto nessuno.»

Joffrey afferrò Sansa per un braccio. «Se io do l’ordine tu obbedirai.»

«Provaci con la tua, di moglie… magari con un bel cazzone di legno.» Il Folletto conficcò la daga nel piano del tavolo, con tale forza che la lama continuò a essere percorsa da una rapida vibrazione. «Provaci con la mia, e io ti taglio i coglioni, bamboccio. Te lo giuro!»

Tutta la sala piombò in un silenzio esterrefatto. Sansa si ritrasse da Joffrey. Ma lui non mollò la presa. La manica del costoso vestito di nozze si lacerò. Nessuno ci fece caso. La regina Cersei si rivolse al padre. «Ma lo hai sentito?»

Lord Tywin si alzò dallo scranno. «Ritengo che possiamo evitare la consuetudine della portata a letto. E sono certo, Tyrion, che non era tua intenzione minacciare la persona del re.»

A Sansa non sfuggì la vampata di furore che attraversò i lineamenti distorti del suo nuovo marito.

«Ho sbagliato a parlare» disse Tyrion. «È stato uno scherzo di cattivo gusto, sire.»

.«Tu hai minacciato di castrarmi!» La voce di Joffrey era stridula.

«È vero, maestà» rispose Tyrion. «Ma è stato solo a causa della mia invidia nei confronti della tua regale virilità. La mia è talmente piccola e monca.» La faccia del Folletto si contrasse in un sogghigno. «E se tu decidessi di farmi strappare la lingua, non mi resterebbe alcuno strumento per dare piacere alla dolce moglie che mi hai concesso.»

Una risata sfuggì dalle labbra di ser Osmund Kettleblack. Anche qualcun altro ridacchiò. Ma Joffrey non rise, e nemmeno lord Tywin. «Maestà» disse il signore di Castel Granito «mio figlio Tyrion è ubriaco, lo vedi tu stesso.»

«Sono ubriaco» ammise il Folletto «ma non al punto di non riuscire a portare a letto mia moglie da solo.» Saltò giù dalla piattaforma, afferrando rudemente Sansa. «Vieni, moglie, è ora di abbattere la tua grata di ferro. Voglio giocare a vieni-nel-mio-castello.»

Rossa in faccia, Sansa lasciò la sala piccola assieme a lui. “Che scelta mi resta?” L’andatura ondeggiante di Tyrion si accentuava quando lui camminava in fretta, come stava facendo in quel momento. Gli dèi furono misericordiosi: né Joffrey né alcun altro degli ospiti si mosse per seguirli.


Per la prima notte di nozze era stata messa a loro disposizione una luminosa stanza da letto nella Torre del Primo Cavaliere. Tyrion chiuse la porta con un calcio. «C’è una caraffa di ottima riserva oro di Arbor sul comodino, Sansa. Saresti così gentile da versarmene una coppa?»

«È una cosa saggia, mio signore?»

«Nessuna cosa potrà mai essere più saggia di questa. Vedi, non sono veramente ubriaco. Ma intendo diventarlo.»

Sansa riempì un calice per entrambi. “Sarà più facile se sono ubriaca anch’io.” Sedette sul bordo del grande letto a baldacchino e scolò il vino in tre rapide sorsate. Era indubbiamente eccellente, ma lei era troppo nervosa per apprezzarne il sapore. Sentì la testa che cominciava a veleggiare.

«Vuoi che mi spogli, mio signore?»

«Tyrion.» Inclinò il capo da una parte. «Il mio nome, Sansa, è Tyrion.»

«Tyrion. Mio signore. Desideri che mi tolga l’abito, o preferisci essere tu a spogliarmi?» Sansa bevve un altro sorso di vino.

Il Folletto le voltò le spalle. «La prima volta che mi sono sposato fu di fronte a un septon ubriaco, con un branco di maiali a farmi da testimoni. Come banchetto di nozze, mia moglie e io ci siamo mangiati uno dei testimoni. Tysha mi ha imboccato di costolette e io le ho leccato via l’unto dalle dita, e poi siamo finiti a letto ridendo.»

«Tu sei già stato sposato? Io… io l’avevo dimenticato.»

«Non l’hai dimenticato. Semplicemente non lo hai mai saputo.»

«Chi era la tua prima moglie, mio signore?» A dispetto di tutto, Sansa era piena di curiosità.

«Lady Tysha.» La bocca di lui si contrasse. «Della Casa Pugno d’argento. Il loro emblema è una moneta d’oro e cento talleri d’argento su un lenzuolo insanguinato. Il nostro è stato un matrimonio molto corto… come è giusto che sia per un uomo molto corto, immagino.»

Sansa abbassò lo sguardo a fissarsi le mani, senza dire niente.

«Quanti anni hai, Sansa?» chiese Tyrion dopo qualche momento.

«Tredici. Al prossimo ciclo di luna.»

«Dèi, siate misericordiosi.» Il nano bevve un altro sorso di vino. «Bene, parlarne non ti renderà più adulta. Vogliamo procedere, mia signora? Se ti compiace?»

«Mi compiacerà compiacere il lord mio marito.»

Parole che parvero attizzare in lui la rabbia. «Ti nascondi dietro la cortesia come se fosse il muro di un castello.»

«La cortesia è l’armatura di una signora» replicò Sansa. La sua septa lo diceva sempre.

«Io sono tuo marito. Ora puoi togliertela, quell’armatura.»

«E i miei vestiti?»

«Anche quelli.» Le fece cenno con la coppa di vino. «Il lord mio padre mi ha ordinato di consumare questo matrimonio.»

Nel mettersi ad armeggiare con lacci e fibbie, le mani di Sansa tremavano. Le pareva di avere dieci pollici al posto delle dieci dita, e tutti quanti fratturati. Eppure, in qualche modo riuscì ad avere ragione di bottoni e stringhe. Il mantello, le gonne, il corpetto e la biancheria di seta finirono sul pavimento. Alla fine Sansa fu libera anche degli indumenti intimi. Aveva le braccia e le gambe irte di pelle d’oca. Tenne gli occhi rivolti a terra, troppo timida per guardare suo marito, ma quando finalmente ebbe finito di spogliarsi e alzò lo sguardo, vide che lui la stava osservando. C’era brama nel suo occhio verde, le parve, e furore in quello nero. Sansa non sapeva quale la terrorizzasse di più.

«Sei ancora una bambina» disse Tyrion.

Sansa si coprì i seni con le mani. «Ho avuto la mia prima florazione.»

«Una bambina» ripeté lui. «Ma io ti voglio. Questo ti spaventa, Sansa?»

«Sì.»

«Spaventa anche me. So di essere brutto…»

«No, mio…»

Tyrion si puntellò sul letto, alzandosi in piedi. «Non mentire, Sansa. Sono deforme, pieno di cicatrici e piccolo, ma…» Lei lo vide andare alla ricerca delle parole adatte. «…nel letto, dopo che le candele sono state spente, non sono fatto peggio degli altri uomini. E al buio, sono il cavaliere di Fiori.» Mandò giù altro vino. «Sono generoso. Sono leale verso chi è leale con me. Ho dimostrato di non essere un codardo. E sono più astuto di molti, e certo l’intelligenza conta qualcosa. Posso addirittura essere gentile. La gentilezza non è la maggior virtù di noi Lannister, temo, ma so che esiste, da qualche parte dentro di me. Io potrei… potrei andare bene per te.»

“Ha tanta paura quanta ne ho io” si rese conto Sansa. E questo, forse, avrebbe dovuto farla sentire meglio disposta verso di lui. Ma non fu così. Tutto quello che provava era compassione, e la compassione era la morte del desiderio. Tyrion la stava guardando, in attesa che lei dicesse qualcosa, ma tutte le sue parole si erano disseccate. Sansa riusciva solamente a rimanere immobile, tremante.

Alla fine, Tyrion Lannister si rese conto che non avrebbe ricevuto risposta. Scolò il vino fino all’ultima goccia. «Capisco» disse con amarezza. «Mettiti a letto, Sansa. Dobbiamo fare il nostro dovere.»

Sansa salì sul materasso di piume, conscia dello sguardo di lui. Una candela profumata di cera d’api era accesa sul tavolino da notte di fianco al letto, petali di rosa erano stati sparsi tra le lenzuola. Afferrò una coperta, fece per coprirsi. «No» lo udì esclamare.

Sansa tremava di freddo, ma obbedì. Con gli occhi chiusi, rimase in attesa. Dopo un momento, udì il rumore degli stivali che suo marito si toglieva, il fruscio dei suoi abiti che finivano a terra. Infine Tyrion balzò sul letto, le fece scivolare una mano sul seno. Sansa non riuscì a reprimere un sussulto. Giacque con gli occhi chiusi, tutti i muscoli contratti, paralizzata dalla paura di quanto stava per accadere. L’avrebbe toccata di nuovo? L’avrebbe baciata? E lei, avrebbe forse dovuto allargare le gambe? Non aveva idea di che cosa Tyrion si aspettasse da lei.

«Sansa.» La mano di Tyrion si era allontanata. «Apri gli occhi.»

Sansa aveva promesso di obbedire, così aprì gli occhi. Il Folletto era seduto vicino ai suoi piedi, nudo. All’innesto delle gambe, la sua virilità, rigida, eretta, emergeva da un cespuglio di ispida peluria bionda. Ma era l’unica cosa di lui a essere eretta.

«Mia signora» disse Tyrion. «Sei bellissima, non fraintendermi, ma… non posso farlo. Che mio padre sia dannato. Aspetteremo. Un ciclo di luna, un anno, una stagione, tutto il tempo che ci vorrà. Aspetteremo fino a quando mi avrai conosciuto meglio, forse fino a quando ti fiderai di più di me.» Il suo sorriso avrebbe voluto essere rassicurante. Ma, senza naso, rese la sua faccia ancora più grottesca e sinistra.

“Guardalo” si disse Sansa. “Guarda tuo marito, guarda ogni parte di lui. Septa Mordane diceva che tutti gli uomini sono belli. Trova la bellezza in lui, provaci.” Osservò le sue tozze gambe deformi, l’arcata sopracciliare marcata, brutale, l’occhio verde e quello nero, il crudo naso mozzato, la storta cicatrice rosacea, l’ispido groviglio di peli biondi e neri che era la sua barba. Perfino la sua virilità era brutta, spessa e venosa, con un bulboso terminale purpureo. “No, non è giusto, non è possibile, quale peccato ho commesso perché gli dèi mi debbano fare questo?”

«Sul mio onore di Lannister» disse il Folletto. «Io non ti toccherò fino a quando tu non vorrai che lo faccia.»

Ci volle tutto il coraggio che era in lei per guardarlo in quei suoi occhi asimmetrici. E per dire: «E se io non volessi mai, mio signore?».

«Mai?» La bocca di Tyrion si contorse come se fosse stato schiaffeggiato in piena faccia.

Sansa riuscì a stento ad annuire tanto il suo collo era rigido.

«Ecco perché…» Tyrion Lannister annuì. «Ecco perché gli dèi hanno creato le puttane: per piccoli mostri come me.»

Serrò a pugno le dita corte, tozze, e scese dal letto.

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