ARYA

Tempio di Pietra era la città più grande che Arya avesse mai visto da quando aveva lasciato Approdo del Re. Ed era stato in quel luogo, le disse Harwin, che Eddard Stark, il lord suo padre, aveva vinto una celebre battaglia.

«Gli uomini del re Folle davano la caccia a Robert, cercando di catturarlo prima che potesse ricongiungersi con tuo padre» le spiegò mentre cavalcavano verso i portali. «Robert era rimasto ferito, e alcuni suoi amici lo stavano curando quando lord Connington, Primo Cavaliere di Aerys, invase Tempio di Pietra con forze numerose e iniziò una ricerca casa per casa. Ma prima che potessero trovarlo, lord Eddard e tuo nonno lord Hoster calarono sulla città e diedero l’assalto alle mura. Per respingerli, lord Connington combatté duramente. Lottarono nelle strade e nei vicoli, addirittura sui tetti, e tutti i septon suonarono le loro campane in modo che il popolino capisse di chiudere le porte delle case. Quando le campane si misero a suonare, Robert uscì dal suo nascondiglio per unirsi alla battaglia. Uccise sei uomini quel giorno, dicono. Uno era Myles Mooton, un famoso cavaliere che era stato scudiero del principe Rhaegar. Robert avrebbe ucciso anche il Primo Cavaliere, ma le sorti del combattimento non li portarono mai faccia a faccia. Connington però ferì seriamente tuo nonno Tully, e uccise ser Denys Arryn, il prediletto della Valle. Ma quando si rese conto che la battaglia era perduta, si diede alla fuga più veloce dei grifoni dipinti sul suo scudo. La battaglia delle Campane, così la chiamarono in seguito. E Robert ha sempre detto che era stato tuo padre a vincerla, non lui.»

Ma erano state combattute anche battaglie più recenti, pensò Arya osservando il posto. Le porte della città erano fatte di legno grezzo, tagliato di fresco. Assi annerite dal fuoco ammucchiate all’esterno delle mura chiarivano che fine avessero fatto le porte precedenti.

Tempio di Pietra era sbarrato, ma quando il capitano del corpo di guardia riconobbe chi stava arrivando, aprì per loro la porta secondaria. «Come state a cibo?» chiese Tom Settecorde quando entrarono.

«Non poi così male. Il Cacciatore Pazzo ha portato un branco di pecore, e c’è stato del commercio tra una sponda e l’altra delle Acque Nere. A sud del fiume, il raccolto non è bruciato. E certo però che tanti vogliono quello che abbiamo noi. Un giorno i lupi del Nord, un altro giorno i Guitti Sanguinari. E quelli che non cercano cibo, fanno razzie o stupri. E quelli che non hanno fame d’oro o di baldracche cercano il dannato Sterminatore di re. Voci dicono che è sgusciato via tra le dita di lord Edmure Tully.»

«Lord Edmure Tully?» Lem Mantello di limone aggrottò la fronte. «Allora lord Hoster è morto?»

«Morto o morente. Pensi che i Lannister stanno tornando verso le Acque Nere? È la via più rapida per arrivare ad Approdo del Re, dice il Cacciatore.» Il capitano non aspettò risposta. «Ha sguinzagliato i suoi cani ad annusare un po’ in giro. Se ser Jaime è da queste parti, lo troveranno. Quei cani, io li ho visti sbranare degli orsi. Pensi che a loro piaccia il gusto del sangue del leone?»

«Un cadavere mezzo divorato non serve a nessuno» disse Lem. «E il Cacciatore Pazzo questo lo sa fottutamente bene.»

«Quando sono venuti gli uomini dell’Ovest, al Cacciatore hanno stuprato la moglie e la sorella, hanno dato fuoco ai suoi campi, si sono mangiati metà delle sue pecore e gli hanno ammazzata l’altra metà per spregio. Hanno anche ammazzato sei cani, buttando le carcasse dentro il pozzo. A lui un cadavere mezzo divorato gli sta più che bene, te lo dico io. E sta più che bene anche a me.»

«Meglio che non lo uccide, un Lannister» insistette Lem. «Io ti dico solo questo. Meglio che non lo uccide, e tu sei un dannato idiota.»

Arya cavalcò tra Harwin e Anguy l’Arciere mentre i fuorilegge s’inoltravano nelle strade dove un tempo suo padre aveva combattuto. Vide il tempio in cima alla collina e, più un basso, un compatto, robusto maniero di pietra grigia che appariva decisamente troppo piccolo per quella città così grande. Ma una casa su tre era ridotta a un guscio sventrato, carbonizzato e le strade erano deserte.

«Sono tutti morti gli abitanti?»

«Hanno paura, ecco tutto.» Anguy indicò due arcieri su un tetto, e alcuni ragazzi dalle facce annerite accucciati tra le rovine di un’osteria. Più avanti, un fornaio spalancò le imposte di una finestra e gridò qualcosa a Lem. Il suono della sua voce portò altra gente a uscire dai loro nascondigli. Lentamente, tutto attorno a loro, Tempio di Pietra parve tornare alla vita.

Nella piazza del mercato, al centro della città, c’era una fontana a forma di trota a mezz’aria che gettava acqua in una bassa vasca, dove le donne riempivano secchi e caraffe. A pochi passi di distanza, una dozzina di gabbie di ferro erano appese a scricchiolanti pali di legno. “Gabbie per corvi” riconobbe Arya. Ma i corvi stavano soprattutto fuori dalle gabbie, abbeverandosi alla fontana o appollaiati sulle sbarre. Perché dentro le gabbie c’erano uomini.

Lem trattenne le briglie. «E questo?» ringhiò. «Che cosa sarebbe?»

«Giustizia» rispose una delle donne alla fontana.

«Vale a dire che siete a corto di corda di canapa?»

«Lo avete fatto per decreto di ser Wilbert?» chiese Toni.

«Lo hanno ammazzato i leoni, ser Wilbert» ribatté un uomo con una risata tetra. «Più di un anno fa. Tutti i suoi figli sono andati con il Giovane lupo, a ingrassare all’Ovest. Credi che a loro gliene frega qualcosa di gente come noi? È stato il Cacciatore Pazzo che ha preso questi lupi qua.»

“Lupi.” Arya sentì un brivido di freddo. “Uomini di Robb… e di mio padre.” Si sentì spinta verso le gabbie. Lo spazio tra le sbarre era così angusto che i prigionieri non potevano né stare seduti né voltarsi. Rimanevano là in piedi, completamente nudi, esposti al sole, al vento, alla pioggia. Le prime tre gabbie contenevano tre cadaveri. I corvi avevano beccato via gli occhi, eppure le cavità orbitali svuotate parevano seguirla a ogni passo. Quando Arya passò davanti alla quarta gabbia, l’uomo all’interno si mosse debolmente. La barba spelacchiata attorno alla bocca era incrostata di sangue, coperta di mosche.

«Acqua…» Fu poco più di un gorgoglio. Le mosche volarono via dalle sue labbra, continuando a ronzargli attorno alla testa. «Acqua… ti prego …»

Udendo quelle parole, l’uomo nella gabbia successiva aprì gli occhi. «Qui» disse. «Qui. Da me.» Era un vecchio, la barba grigia, la pelle del cranio ormai calvo chiazzata dal marrone dell’età.

Oltre il vecchio, nella sesta gabbia, c’era un altro cadavere, un uomo grande e grosso dalla barba rossa, con una benda grigia putrescente che gli fasciava l’orecchio sinistro e parte della terapia. Ma la cosa peggiore si trovava in mezzo alle sue gambe: non rimaneva niente, solo una voragine marrone coperta di croste, brulicante di vermi. Più oltre ancora, c’era un uomo grasso. La gabbia per corvi era talmente stretta che sembrava impossibile fossero riusciti a cacciarlo dentro. Il ferro gli scavava dolorosamente il ventre, spingendo rigonfiamenti di carne nei vuoti tra le sbarre. Lunghi giorni sotto il sole lo avevano scottato brutalmente, facendo assumere alla sua pelle, dalla testa ai piedi, un colore rosso scuro.

Quando spostò il peso, la gabbia ondeggiò cigolando. Arya notò strisce di epidermide pallida là dove le sbarre avevano bloccato i raggi solari. «Agli ordini di chi eravate?» chiese.

Al suono della sua voce, l’uomo grasso aprì gli occhi. La pelle attorno a essi era arrossata al punto di farli sembrare uova bollite galleggianti in un piatto pieno di sangue. «Acqua… un sorso…»

«Di chi?» ripeté lei.

«Non far caso a loro, ragazzino» le disse uno degli abitanti. «Non è cosa che ti riguardi. Va’ per la tua strada.»

«Che cos’hanno fatto?» chiese Arya.

«A Cascata di Roccia hanno passato otto persone a fil di spada» rispose l’uomo. «Volevano lo Sterminatore di re, ma lui là non c’era, così hanno stuprato e ammazzato.» Con un secco cenno del pollice indicò il cadavere evirato. «È quello che ha fatto gli stupri. Adesso muoviti.»

«Un sorso» implorò il prigioniero grasso. «Abbi pietà, ragazzo, un sorso.»

Il vecchio sollevò un braccio, afferrandosi alle sbarre. Quel movimento fece ondeggiare violentemente la gabbia.

«Acqua» implorò di nuovo quello con la barba coperta di mosche.

Arya osservò i loro capelli luridi, le barbe malconce, gli occhi arrossati. Osservò le loro labbra aride, fessurate, sanguinanti. “Lupi” pensò di nuovo. “Come me.” Era davvero questo il suo branco? “Com’è possibile che siano uomini di Robb?” Voleva colpirli. Voleva far loro del male. Voleva piangere. Tutti sembravano fissarla, i vivi e anche i morti. Il vecchio era riuscito a spingere tre dita tra le sbarre. «Acqua» ripeté. «Acqua.»

Arya con un volteggio scese da cavallo. “Non possono farmi alcun male. Stanno morendo.” Staccò la tazza dalla coperta arrotolata legata alla sella e andò alla fontana.

«Cosa credi di fare, ragazzino?» sbraitò l’uomo che le aveva parlato prima. «Non ti riguardano questi qua.»

Arya lo ignorò. Sollevò la tazza alla bocca del pesce di pietra. L’acqua le scivolò tra le dita, ruscellandole dentro la manica, ma lei non si mosse fino a quando la tazza non traboccò. Nel momento in cui tornò a voltarsi verso le gabbie, l’uomo venne a sbarrarle la strada.

«Stai lontano da loro, ragazzo.»

«È una ragazza» disse Harwin. «E tu la lascerai stare.»

«Aye» concordò Lem. «Lord Beric non mette uomini in gabbia a morire di sete. Perché non li impiccate in modo decente?»

«Non c’è niente di decente in quello che hanno fatto a Cascata di Roccia» ringhiò l’uomo in risposta.

Le sbarre erano troppo ravvicinate perché la tazza potesse passare tra esse, ma Harwin e Gendry furono d’aiuto. Arya mise un piede sulle mani di Harwin tenute a coppa, si issò sulle spalle di Gendry e afferrò le sbarre sulla sommità della gabbia. L’uomo grasso si contorse, premendo la guancia contro il ferro. Arya verso l’acqua su di lui. L’uomo la succhiò avidamente mentre il prezioso liquido gli scorreva dalla testa, sulle guance e sulle mani, leccando anche l’umido dalle sbarre. Avrebbe leccato anche le dita di Arya, ma lei le ritrasse di scatto. Nel tempo che impiegò a dare da bere anche agli altri due, si era raccolta una folla.

«Il Cacciatore Pazzo lo verrà a sapere» minacciò qualcuno. «E non gli piacerà. Non gli piacerà, no.»

«C’è un’altra cosa che gli piacerà ancora meno.»

Anguy l’Arciere impugnò l’arco lungo, tolse una freccia dalla faretra, incoccò, tese, lanciò. L’uomo grasso ebbe un sussulto nel momento in cui l’asta attraversò da parte a parte tutti i suoi svariati menti. La costrizione della gabbia gli impedì di crollare. Le due frecce successive posero fine all’agonia degli altri due uomini del Nord. Gli unici suoni rimasti nella piazza del mercato di Tempio di Pietra furono il fruscio dell’acqua della fontana e il ronzare delle mosche.

“Vaiar morghulis” fu l’unico pensiero di Arya. “Tutti gli uomini devono morire.”


Sul lato orientale della piazza del mercato c’era una locanda modesta, le pareti imbiancate, le finestre rotte. Metà del tetto era bruciata di recente, ma lo squarcio era stato rattoppato. Sull’ingresso, appesa a due corti tratti di catena, c’era un’insegna a forma di pesca morsicata. Smontarono di fronte alle stalle adiacenti e Barbaverde chiamò a gran voce gli stallieri.

Nel vedere i fuorilegge, la prosperosa locandiera dai capelli rossi si mise a ululare di gioia, e altrettanto prontamente si mise a prenderli in giro. «Guarda un po’: Barbaverde, giusto? O forse dovrei dire Barbagrigia? Madre, abbi misericordia: ma quand’è che sei diventato così vecchio? Lem, sei proprio tu? Sempre con addosso quel mantello da straccione, a quanto vedo. E io so perché non lo lavi mai. Hai paura che il piscio coli via e si scopra che in realtà sei un cavaliere della Guardia reale! Tom Sette, vecchio caprone randagio! Sei venuto a vedere quel tuo figliolo? Be’, sei arrivato tardi. Se n’è andato assieme a quel maledetto Cacciatore Pazzo. E non dirmi che non è tuo figlio!»

«Non ha la mia voce» protestò debolmente Tom.

«In compenso ha il tuo naso. Aye, e anche altre parti, a sentire le chiacchiere delle ragazze.» Notò Gendry e si avvicinò a dargli un pizzicotto sulla guancia. «E guarda un po’ questo bel manzo. Aspetta che Alyce veda queste braccia. Oh, e arrossisce anche come una fanciulla. Bene, Alyce ti mette a posto, ragazzo, vedrai.»

Arya non aveva mai visto Gendry diventare così rosso.

«Tansy, lascia in pace il Toro, è un bravo ragazzo» disse Tom Settecorde. «Tutto quello che vogliamo da te sono dei letti sicuri per una notte.»

«Cantastorie, parla per te.» Anguy circondò con un braccio la vita di una servetta che passava, una ragazza lentigginosa come lui.

«Letti ne abbiamo» replicò Tansy dai capelli rossi. «Non c’è mai scarsità di letti, qua alla Pesca. Ma prima tutti quanti entrate in una tinozza. L’ultima volta che siete passati sotto il mio tetto, mi avete lasciato le pulci.» Piantò il dito indice nel petto di Barbaverde. «E le tue erano pure verdi. Volete mangiare?»

«Se hai qualcosa, non diciamo certo di no» concesse Tom.

«E quando mai hai detto no a qualcosa, Tom?» berciò la locandiera. «Per i tuoi amici, farò un po’ di montone arrosto. A te invece darò un vecchio ratto rinsecchito, che è più di quello che ti meriti. Ma se mi gorgheggi una o due canzonane magari diventerò più arrendevole. Ho sempre compassione per gli afflitti. Forza, forza. Cass, Lanna, mettete i pentoloni a bollire. Jyzene, aiutami a togliergli i vestiti: facciamo bollire anche quelli.»

Minacce che Tansy tramutò in realtà. Arya cercò di dirle che a Sala delle Ghiande lei il bagno lo aveva fatto ben due volte, e questo nemmeno una settimana prima, ma la locandiera dai capelli rossi non volle sentire ragioni. Due delle serve la trasportarono di peso al piano di sopra, discutendo se fosse un ragazzo o una ragazza. Ebbe ragione quella chiamata Helly, per cui fu l’altra ad andare a prendere l’acqua bollente e a strigliare Arya con una brusca dalle setole dure che per poco non le tolse la pelle dalla schiena. Dopo di che, le rubarono tutti i vestiti che lady Smallwood le aveva dato e la ricoprirono di lino e pizzi, come una di quelle bambole con cui giocava sua sorella Sansa. Ma per lo meno, una volta che le due serve ebbero finito, Arya poté sedersi a mangiare qualcosa.

Seduta nella sala comune con indosso quegli stupidi vestiti da signorinetta, Arya ricordò quello che le aveva insegnato Syrio Forel: il trucco di guardare con gli occhi e di vedere quello che c’era. E nel guardare con gli occhi, Arya si rese conto che in quella locanda circolavano molte, molte più servette del necessario, la maggior parte delle quali erano giovani e attraenti. E con il calar del sole, nella Pesca turbinò un fenomenale andirivieni di uomini. Uomini che non rimasero troppo a lungo nella sala comune, nemmeno quando Tom tirò fuori la sua arpa di legno e si mise a intonare Sei vergini alla fonte. I gradini di legno erano vecchi e ripidi, e scricchiolavano ogni volta che uno degli uomini portava una ragazza al piano di sopra.

«Credo che questo sia un bordello» bisbigliò Arya a Gendry.

«Tu neanche sai che cos’è un bordello.»

«Sì che lo so» insistette lei. «È come una locanda, solo che ci sono le ragazze.»

Gendry stava arrossendo di nuovo. «E allora che ci fai qua, eh?» insorse. «Un bordello non è posto per nessuna stramaledetta ragazza di lignaggio, lo sanno tutti.»

«E chi è la ragazza di lignaggio?» chiese una delle servette sedendosi accanto a Gendry. «Questa qui così magrolina?» Guardò Arya e rise. «E poi anch’io sono figlia di un re.»

Arya capiva bene quando qualcuno la prendeva in giro. «No che non lo sei.»

«Be’, porrei esserlo, invece.» La ragazza scrollò la testa, una delle spalline scivolò giù, scoprendo la sua pelle liscia. «Dicono che quando era nascosto qui, prima della battaglia delle Campane, re Robert si è scopato mia madre. Non che non si sia scopato anche le altre ragazze, ma Leslyn dice che è mia madre quella che gli piaceva più di tutte.»

In effetti, quella ragazza aveva proprio i capelli del vecchio re, una massa folta, nera come il carbone. “Questo non significa niente, però. Anche Gendry ha gli stessi capelli. Un sacco di gente ha i capelli neri.”

«Il mio nome è Bella» disse la ragazza a Gendry. «Pronta alla battaglia. E mi sa che potrei suonare anche la tua, di campana. Ti va?»

«No» fece lui ruvidamente.

«Invece io credo di sì.» Gli fece scivolare una mano lungo il braccio muscoloso. «Per gli amici di Thoros e del lord della Folgore è gratis.»

«No, ho detto.» Gendry si alzò di colpo, si allontanò dal tavolo e uscì nella notte.

Bella si girò verso Arya. «Cos’è, non gli piacciono le ragazze?»

«È stupido e basta.» Arya scrollò le spalle. «A lui piace lucidare elmi e picchiare martellate sulle spade.»

«Oh.» Bella rimise a posto la spallina scivolata giù e si spostò a chiacchierare con Jack Fortunello. Non ci volle molto perché gli finisse seduta sulle ginocchia, ridacchiando e bevendo vino dalla sua coppa. Di ragazze, Barbaverde ne aveva due, una su ciascun ginocchio. Anguy era scomparso assieme alla servetta dalla faccia lentigginosa, e anche Lem si era dileguato. Tom Settecorde era seduto vicino al fuoco, intento a cantare Le fanciulle che fioriscono di primavera. Arya sorseggiò la coppa di vino allungato con l’acqua che la locandiera dai capelli rossi le aveva offerto, rimanendo ad ascoltare. Dall’altra parte della piazza, gli uomini morti stavano putrefacendosi nelle gabbie da corvi, ma all’interno della locanda della Pesca erano tutti quanti allegri. Ad Arya però sembrava che alcuni degli uomini stessero ridendo un po’ troppo forte.

Sarebbe stato il momento adatto per uscire di soppiatto e rubare un cavallo, ma Arya proprio non vedeva in che modo questo potesse aiutarla. Sarebbe riuscita ad arrivare solamente fino alle porte della città. “Quel capitano non mi lascerebbe mai passare. E se anche lo facesse, Harwin mi correrebbe dietro, o se non lui quel Cacciatore Pazzo con i suoi cani.” Quanto avrebbe voluto avere ancora con sé la sua mappa, in modo da vedere quanto distava Tempo di Pietra da Delta delle Acque.

Quando ebbe svuotato la sua coppa, Arya si ritrovò a sbadigliare. Gendry non era rientrato. Tom Settecorde stava cantando Due cuori che battono come uno solo, baciando una ragazza diversa alla fine di ogni strofa. Nell’angolo vicino alla finestra, Harwin e Lem parlavano a bassa voce con Tansy, la locandiera dai capelli rossi.

«…passato la notte nella cella di Jaime» Arya sentì dire la donna. «Lei e anche quell’altra, quella che ha sgozzato Renly. Tutti e tre assieme, e al mattino lady Catelyn lo ha liberato… per amore» concluse la locandiera con una risatina gutturale.

“Non è vero!” Arya non riusciva a crederci. “Non lo avrebbe mai fatto!” Si sentiva triste, infuriata e sola.

Un vecchio venne a sedersi accanto a lei. «Bene, bene, ma guarda che graziosa piccola pesca c’è qui.» Il suo alito era fetido quasi quanto quello dei cadaveri nelle gabbie, i suoi occhi porcini strisciavano su di lei da tutte le parti. «E ce l’ha un nome, la mia dolce piccola pesca?»

Per un istante, Arya dimenticò chi faceva credere di essere. Non era la piccola pesca di nessuno, ma neppure poteva essere Arya Stark, non lì, con un vecchio ubriacone puzzolente che non aveva mai visto. «Io sono…»

«È mia sorella.» Gendry piazzò una mano a tenaglia sulla spalla del vecchio e diede una stretta. «E tu la lasci in pace.»

L’uomo si girò, pronto alla rissa, ma quando vide la stazza di Gendry ci ripensò. «Tua sorella, eh? E allora che razza di fratello sei? Io mia sorella non ce la porterei mai in un posto come la Pesca, proprio no.» Si alzò dalla panca e se ne andò mugugnando, alla ricerca di un’altra piccola pesca.

«Perché hai detto così?» Anche Arya balzò in piedi. «Non sono tua sorella.»

«Difatti» rispose lui con rabbia. «Sono troppo fottutamente plebeo per essere all’altezza della mia lady, vero?»

Il furore che trapelava dalla sua voce colse Arya alla sprovvista. «Non è questo che intendevo.»

«Sì, invece.» Gendry si lasciò cadere sulla panca, rigirando una coppa di vino tra le dita. «Va’ via. Voglio bere in pace il mio vino. E dopo magari vado a cercare quella ragazza dai capelli neri, e suono la sua campana.»

«Ma…»

«Ho detto va’ via. Milady.»

Arya si voltò di scatto e lo piantò lì. “Uno stupido bastardo dalla testa di toro, ecco cosa sei.” Che suonasse pure tutte le campane che voleva, non poteva importarle di meno.

La stanza che Tansy aveva assegnato ai fuorilegge si trovava in cima alle scale, sotto le travature del tetto. Forse alla Pesca non c’era davvero scarsità di letti, ma quelli come loro ne avevano uno soltanto. Era un letto grande, però. Riempiva l’intera stanza, più o meno, e il materasso imbottito di paglia fresca sembrava vasto abbastanza da ospitare tutto il gruppo. In quel momento, comunque, Arya lo aveva interamente per sé. I suoi veri vestiti erano appesi a un chiodo nel muro, tra la roba di Gendry e quella di Lem. Arya si tolse il lino e i merletti, si sfilò la tunica dalla testa, salì sul letto e s’infilò sotto le coperte.

«Regina Cersei» sussurrò contro il cuscino. «Re Joffrey, ser Ilyn, ser Meryn. Dunsen, Raff e Polliver. Messer Sottile, il Mastino, ser Gregor la Montagna che cavalca.»

I nomi dell’odio. A volte, le piaceva pronunciarli cambiandone l’ordine. La aiutava a ricordare chi erano e che cosa avevano fatto. “Forse alcuni di loro sono morti” pensò. “Forse sono dentro gabbie di ferro, appesi da qualche parte, con i corvi che strappano loro gli occhi.”

Scivolò nel sonno non appena chiuse gli occhi.


Sognò i lupi. Si aggiravano nelle tenebre di un’umida foresta, gli odori della pioggia, della decomposizione e del sangue rendevano densa l’aria. Ma, nel sogno, erano odori buoni e Arya sapeva di non avere nulla da temere. Lei stessa era forte, rapida e feroce, e tutto attorno a lei c’era il suo branco, i suoi fratelli e le sue sorelle. Assieme, trascinarono a terra un cavallo terrorizzato, gli squarciarono la gola, banchettarono con le sue carni. E quando la luna si aprì un varco tra le nubi, lei sollevò le fauci al cielo e ululò…


… ma quando la luce del giorno tornò, fu il latrare dei cani a svegliarla.

Sbadigliando, Arya si mise seduta. Alla sua sinistra, Gendry cominciava a stiracchiarsi. Alla sua destra, Lem Mantello di limone russava sonoramente. Ma era l’abbaiare proveniente dall’esterno a dominare tutti i rumori. “Devono esserci almeno cinquanta cani là fuori.” Arya emerse da sotto le coperte, saltellò oltre Lem, oltre Tom, oltre Jack Fortunello e raggiunse la finestra.

Quando spalancò le imposte, vento, pioggia e freddo dilagarono tutti assieme. Era una giornata grigia, il cielo coperto. In basso, nella piazza, i cani abbaiavano, correndo in cerchio, ringhiando, latrando. Un intero branco, grandi mastini neri, snelli levrieri da caccia, cani da pastore bianchi e neri e altre razze che Arya non conosceva, bestie dal pelo arruffato, dalle lunghe zanne giallastre. Tra la locanda e la fontana, una dozzina di guerrieri a cavallo osservava gli abitanti della città aprire la gabbia che ancora conteneva il corpo dell’uomo grasso. Strattonarono un braccio inerte e flaccido fino a quando il cadavere rigonfio stramazzò nel fango. I cani si avventarono in un attimo, strappando brandelli di carne dalle ossa.

Arya udì la risata di uno dei guerrieri. «Ecco qua il tuo nuovo castello, fottuto bastardo d’un Lannister» disse. «Un po’ strettino per uno come te, ma riusciremo a farti entrare, non temere.» Accanto a lui c’era un prigioniero dall’aria torva, i polsi legati da giri di fune di canapa. Gli abitanti gli gettavano sterco addosso, ma lui non batteva ciglio. «Marcirai in quelle gabbie» gli stava urlando il suo carnefice. «I corvi ti beccheranno gli occhi mentre noi ci godiamo il tuo oro di Lannister! E dopo che i corvi avranno finito, rimanderemo quello che resta al tuo fottuto fratello. Anche se dubito che ti riconoscerà.»

Le urla avevano svegliato metà degli avventori della Pesca. Gendry si sporse alla finestra, infilandosi a fianco di Arya. Tom si affacciò dietro di loro, nudo come il giorno in cui era venuto al mondo.

«E che è tutto questo baccano?» si lagnò Lem, ancora a letto. «Qui c’è qualcuno che sta cercando di dormire.»

«Dov’è Barbaverde?» gli chiese Tom.

«A letto con Tansy» disse Lem. «Perché?»

«Meglio che vai a svegliarlo. E anche l’Arciere. Il Cacciatore Pazzo è tornato, con un altro uomo per le gabbie.»

«Lannister» disse Arya. «Ho sentito che diceva Lannister.»

«Hanno preso lo Sterminatore di re?» volle sapere Gendry.

Giù nella piazza, una pietra colpì il prigioniero su una guancia e l’impatto gli fece voltare la faccia. “Non è lo Sterminatore di re” pensò Arya vedendolo in viso. Gli dèi avevano ascoltato le sue preghiere, dopotutto.

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