La piccola fortezza a forma quadrata era poco più di un mucchio di rovine. Lo stesso valeva per il grande cavaliere grigio che l’abitava. Era talmente vecchio da non riuscire a capire le domande che gli venivano poste. Qualsiasi cosa gli si dicesse, non faceva altro che sorridere e mugugnare: «Ho tenuto il ponte contro ser Maynard. Capelli rossi e brutto carattere, aveva, ma non fu in grado di farmi muovere. Sei ferite ho ricevuto prima di ucciderlo. Sei!».
Il maestro che si prendeva cura di lui era un uomo giovane, per fortuna. Dopo che l’anziano cavaliere si fu addormentato sul suo scranno, li chiamò da parte. «Temo che stiate andando alla ricerca di un fantasma» disse. «Abbiamo ricevuto un corvo messaggero, molto tempo fa, almeno la metà di un anno. I Lannister avevano catturato lord Beric presso l’Occhio degli Dèi. L’hanno impiccato.»
«Già, impiccato, è vero, ma Thoros lo ha tirato giù dal cappio prima che moriva.» Il naso spezzato di Lem non era più rosso e gonfio come prima, ma stava guarendo in posizione sghemba, conferendo alla faccia dell’uomo grande e grosso un aspetto asimmetrico. «Il lord è uomo duro da uccidere, questo lui è.»
«E anche un uomo duro da trovare, si direbbe» disse il maestro. «Avete chiesto alla lady delle Foglie?»
«Lo faremo» disse Barbaverde.
Il mattino dopo, mentre superavano il piccolo ponte di pietra dietro la fortezza, Gendry chiese se fosse quello il ponte su cui aveva combattuto il vecchio soldato. Nessuno lo sapeva.
«Probabile di sì» fece Jack Fortunello. «Non vedo nessun altro ponte.»
«Lo sapresti per certo, se qualcuno avesse composto una canzone» disse Tom Settecorde. «Una bella canzone, sì. Sapremmo chi era ser Maynard e per quale ragione voleva assolutamente attraversare questo ponte. Quel povero vecchio di lord Lychester potrebbe essere famoso come il Cavaliere del drago se solo avesse avuto l’accortezza di tenere presso di sé un cantastorie.»
«I figli di lord Lychester sono morti durante la ribellione di Robert» rumoreggiò Lem. «Certi combattendo per una parte, certi per quell’altra. È da allora che lui non è più giusto nella testa. E nessuna fottuta canzone può metterla a posto, quella cosa lì.»
«Che cosa intendeva il maestro, quando ha detto di chiedere alla lady delle Foglie?» domandò Arya ad Anguy mentre continuavano ad avanzare.
L’arciere sorrise. «Aspetta e vedrai.»
Passarono tre giorni. Nell’attraversare un bosco ingiallito dall’autunno, Jack Fortunello si tolse il corno dalla spalla e lanciò un segnale, diverso dal precedente. Il suono si era appena affievolito quando alcune scale di corda si srotolarono dai rami degli alberi.
«Legate i cavalli, forza saliamo» disse Tom, quasi ritmando le parole. «Presto in ciel ci arrampichiamo.»
C’era un villaggio nascosto nelle biforcazioni superiori degli alberi, celato dietro barriere di rosso e d’oro: un labirinto di camminamenti di corda e di casette coperte di muschio. Vennero accompagnati dalla lady delle Foglie: una donna dai capelli candidi, magra come uno stecco, che indossava una tunica di lana grezza.
«Con l’autunno che avanza, non potremo rimanere qui ancora per molto» disse loro l’anziana donna. «Nove giorni fa, una dozzina di uomini del lupo del Nord sono passati per la strada di Hayford, andando a caccia. Bastava che guardavano su, e ci vedevano.»
«E lord Beric?» chiese Tom Settecorde. «Lui lo hai visto?»
«È morto.» La vecchia aveva la voce affranta. «La Montagna che cavalca lo ha preso e gli ha piantato una daga nell’occhio. Questo ci ha detto un confratello questuante. Lo aveva saputo dalle labbra di un uomo che lo ha visto accadere.»
«Quella lì è una vecchia storia, e falsa» disse Lem. «Il lord della folgore non è così facile da uccidere. Ser Gregor gli avrà anche cavato un occhio, ma un uomo non crepa a quel modo. Te lo può dire Jack.»
«Be’, io crepato non sono crepato» rispose Jack Fortunello, che aveva un occhio solo. «Mio padre l’ha impiccato lo sceriffo di lord Piper, mio fratello Wat è finito alla Barriera e i Lannister hanno ammazzato i miei altri fratelli. Un occhio? Roba da niente.»
«Tu puoi giurarmi che non è morto?» La vecchia afferrò il braccio di Lem. «Che tu sia benedetto, Lem: è la notizia più bella che ho avuto in metà di un anno. Possa il Guerriero proteggerlo, e anche il prete rosso.»
La notte successiva trovarono rifugio tra i resti anneriti di un tempio, in un villaggio bruciato chiamato Danza di Sally. Delle vetrate colorate non rimanevano altro che schegge deformi. L’anziano septon che li accolse disse loro che i saccheggiatori avevano razziato le costose tonache della Madre, la lanterna istoriata della Vecchia e la corona d’argento che era stata in capo al Padre. «Sono addirittura arrivati a mutilare i seni della Vergine, per quanto fossero solo di legno» disse il prelato. «E gli occhi, gli occhi erano di lacca e di lapislazzuli e di madreperla, li hanno strappati con i coltelli. Possa la Madre avere misericordia di tutti loro.»
«E chi è stato?» chiese Mantello di limone. «I Guitti sanguinari?»
«No, questi erano uomini del Nord» rispose il vecchio. «Barbari che adorano gli alberi. Volevano lo Sterminatore di re, hanno detto.»
All’udirlo, Arya si morse il labbro. Avvertiva lo sguardo di Gendry fisso su di lei e si sentì piena di rabbia e di vergogna.
Una dozzina di uomini vivevano all’interno della cripta nel sottosuolo del tempio, circondati da ragnatele, radici e botti di vino spezzate, ma nemmeno loro avevano notizie di Beric Dondarrion E neppure il loro capo, il quale portava un’armatura annerita dalla caligine e aveva una rozza folgore ricamata sul mantello. Barbaverde notò Arya che osservava l’emblema con occhi sbarrati. «Il lord della folgore è in tutti i luoghi e in nessun luogo, scoiattolino» rise il tyroshi.
«Non sono uno scoiattolo» protestò lei. «Presto sarò quasi una donna fatta, undici anni.»
«E allora farai bene a stare attenta: guarda che ti sposo, ah!» Cercò di solleticarla sotto il mento. Arya lo fermò con uno schiaffo su quella sua stupida mano.
Quella notte, Lem e Gendry giocarono a dama con i loro ospiti improvvisati, mentre Tom Settecorde si esibiva in una ridicola canzone su Ben il Pancione e l’oca dell’Alto Sacerdote. Anguy permise ad Arya di provare il suo arco lungo, ma a dispetto dell’energia che ci impiegò, non fu in grado di tenderlo. «Ti serve un arco più leggero, milady» disse il lentigginoso arciere. «Se a Delta delle Acque c’è del legno ben stagionato, magari te ne faccio uno io.»
Tom lo udì. «Sei un giovane stolto, arciere» disse, interrompendo la canzone. «Se mai ci andremo, a Delta delle Acque, sarà solo per incassare il suo riscatto. Non ci sarà nemmeno un attimo per oziare e costruire archi. Sii grato se ne uscirai salvandoti il collo. Lord Hoster impiccava fuorilegge già da prima che tu cominciassi a farti la barba. E c’è quel suo figlio, Edmure, si chiama… non c’è da fidarsi di un uomo che odia la musica, dico sempre.»
«Non è la musica che odia» disse Lem. «Sei tu, buffone.»
«Bene, non ha motivo. Quella servetta era pronta a fare di lui un uomo, è forse colpa mia se aveva bevuto troppo per riuscire a metterlo dove andava messo?»
Dal naso spezzato, Lem lanciò un grugnito. «E chi è che ci ha scritto sopra una canzone, tu o qualche altro culorotto troppo innamorato del suono della sua voce?»
«L’ho cantata una volta sola» protestò Tom. «E poi chi dice che era proprio su di lui, quella canzone? Parlava di un pesce…»
«Un pesce molle» rise Anguy.
Ad Arya non interessava affatto di che cosa parlassero le stupide canzoni di Tom. Si voltò verso Harwin. «Che cosa intendeva con riscatto?»
«Abbiamo grande necessità di cavalli freschi, milady. E anche di armi. Spade, scudi, lance. Tutte cose che il conio può comprare. E poi semi da piantare nella terra. L’inverno sta arrivando, ricordi?» La toccò sotto il mento. «Non sei la prima prigioniera di alto lignaggio che scambiamo. E non sarai l’ultima, mi auguro.»
Questo era vero, Arya lo sapeva. Cavalieri e nobili venivano catturati e riscattati in continuazione, a volte anche donne. “Ma che succederà se Robb rifiuta di pagare il prezzo?” Lei non era un famoso cavaliere, e si supponeva che un re dovesse anteporre il reame a qualsiasi altra cosa, incluse le proprie sorelle. E la lady sua madre? Lei che cosa avrebbe detto? L’avrebbe comunque voluta indietro, dopo tutte le cose che aveva fatto? Arya si morse il labbro piena di angoscia.
Il giorno seguente, arrivarono in un posto chiamato Cuore Alto, una collina massiccia dalla cui sommità Arya ebbe l’impressione di poter vedere mezzo mondo. Tutto attorno alla vetta, sorgeva un anello di pallidi tronchi mutilati, uniche vestigia di quelli che un tempo erano stati possenti alberi-diga. Arya e Gendry percorsero la collina e li contarono. Ce n’erano trentuno, i tronchi talmente larghi che avrebbero potuto usarli come letti.
Cuore Alto era stato un luogo sacro per i Figli della foresta, le disse Tom Settecorde, e lassù parte della loro magia continuava a esistere. «Nulla di male potrà accadere a coloro che dormono qui» disse il cantastorie. Arya pensò che dovesse essere vero: la collina era talmente alta, e le terre circostanti talmente piatte, da impedire a qualsiasi nemico di avvicinarsi senza essere avvistato.
Il popolino della zona circostante però evitava il posto, le aveva poi detto Tom. Si diceva che fosse infestato dagli spettri dei Figli della foresta che erano morti lassù quando un re andalo chiamato Erreg il Fratricida aveva fatto abbattere tutti i tronchi. Arya sapeva dei Figli della foresta, e sapeva anche degli andali, ma gli spettri non le facevano paura. Da piccola, andava a nascondersi nelle cripte di Grande Inverno, giocando a vieni nel mio castello e a mostri e fanciulle tra le statue dei re del Nord sedute sui loro troni di pietra.
Ma pur con tutto questo, quella notte le venne la pelle d’oca. Stava dormendo quando una tempesta la svegliò. Il vento le strappò di dosso la coperta e la mandò a vorticare tra i cespugli. Nel rincorrerla, Arya udì della voci.
Accanto alle braci del fuoco dell’accampamento, vide Tom, Lem e Barbaverde che parlavano con una donna minuscola, un palmo più bassa di Arya e addirittura più vecchia della vecchia Nan. Era tutta rugosa e avvizzita, e si appoggiava a un bastone contorto di legno nero. I suoi capelli bianchi erano così lunghi che quasi toccavano terra. Quando il vento soffiava più forte, si sollevavano a formare una nube livida attorno alla sua testa. La pelle della vecchia addirittura più bianca, dello stesso colore del latte, ma ad Arya parve che gli occhi fossero rossi, scintillanti, anche se era difficile dirlo con certezza da dietro i cespugli.
«Gli antichi dèi sono inquieti, e non mi lasciano dormire» diceva la vecchia. «Ho sognato un’ombra dal cuore infuocato che faceva a pezzi un cervo dorato, sì. Ho sognato un uomo privo di volto, in attesa su un ponte che ondeggiava e sussultava nel vento. Appollaiato sulla spalla aveva un corvo annegato, con alghe che gli pendevano dalle ali. Ho sognato un fiume ruggente e una donna che era un pesce. Da morta, galleggiava, rosse lacrime che le scorrevano lungo le guance, ma quando i suoi occhi si sono aperti, oh, mi sono svegliata per il terrore. Tutto questo io ho sognato, e molto di più, sì. Avete doni per me, per pagare i miei sogni?»
«Sogni» brontolò Lem Mantello di limone. «A che servono i sogni? Donne pesce e corvi annegati. L’ho fatto anch’io un sogno, l’altra notte. Baciavo questa baldracca da taverna che conoscevo una volta. Mi paghi per quel sogno lì, vecchia?»
«La baldracca è morta» sibilò la donna. «Solamente i vermi la baciano, adesso.» Si rivolse a Tom Settecorde. «Voglio la mia canzone, se no voglio che ve ne andiate.»
Il cantastorie suonò e cantò per lei, rime talmente sommesse che Arya riuscì a udire solo frammenti di parole, anche se il ritmo le risultò in qualche modo conosciuto. “Sansa la conoscerebbe, questa canzone, ci scommetto.” Sua sorella conosceva tutte le canzoni, e sapeva anche suonare un po’ e cantare dolcemente. “Tutto quello che sapevo fare io era solo strillare le parole.”
La mattina dopo, la piccola donna bianca era scomparsa. Mentre sellavano i cavalli, Arya chiese a Tom Settecorde se i Figli della foresta vivessero ancora là a Cuore Alto.
«L’hai vista, vero?» sogghignò il cantastorie.
«Era un fantasma?»
«Da quando i fantasmi si lamentano delle giunture che gli scricchiolano? No, è solo una vecchia donna nana. È una tipa strana, però, dall’occhio malvagio. Ma sa certe cose che non dovrebbe sapere, e certe volte, se la tua faccia le piace, te le dice.»
«E la tua faccia le piaceva?» chiese Arya in tono dubbioso.
«Quanto meno, le piaceva la mia voce» rise il menestrello. «Mi fa sempre cantare la stessa stramaledetta canzone, però. Non è una brutta canzone, voglio dire, ma ne conosco altre migliori.» Scosse il capo. «Quello che conta è che adesso abbiamo una pista. Ben presto incontrerai Thoros e il lord della folgore, te lo garantisco.»
«Ma se siete loro uomini, perché si nascondono da voi?»
Tom Settecorde alzò gli occhi al cielo. Fu Harwin a darle una risposta. «Io non lo chiamerei nascondersi, milady, però è vero: lord Beric si sposta di continuo, e comunica di rado quali sono i suoi piani. In quel modo, nessuno può tradirlo. Ormai, devono esserci centinaia di uomini che gli hanno giurato fedeltà, forse addirittura migliaia. Ma sarebbe un errore andargli tutti quanti dietro. Finiremmo per devastare le campagne per rifornirci, oppure per essere massacrati in battaglia da un esercito più numeroso. Mentre se siamo dispersi in tante piccole bande, possiamo colpire simultaneamente in una dozzina di luoghi diversi, e svanire da qualche altra parte prima che i nostri nemici sappiano che cosa li ha colpiti. E quando uno di noi è preso e viene interrogato, bene, non siamo in grado di dire dov’è lord Beric, qualsiasi cosa ci venga fatta.» Esitò. «Tu sai che cosa intendo con “viene interrogato”?»
Arya annuì. «Polliver e Raff la chiamano “intervista”. E anche gli altri.»
Disse loro del terribile villaggio sulle rive dell’Occhio degli Dèi, dove lei e Gendry erano stati catturati. Disse loro delle domande che Messer Sottile poneva: “C’è dell’oro nascosto nel villaggio?” era così che cominciava sempre. “Argento, gemme? C’è cibo? Dov’è lord Beric? Quali di voi lo hanno aiutato? Quanti cavalieri aveva? Quanti arcieri? Quanti di loro erano a cavallo? Com’erano armati? In quanti erano feriti? E dov’è che sono andati, hai detto?” Anche solo a pensarci, le sembrava di udire le urla, il tanfo della merda e del sangue e della carne che bruciava.
«Faceva sempre le stesse domande» disse con solennità ai fuorilegge. «Ma il modo in cui li torturava, quello cambiava ogni giorno.»
«A nessuna fanciulla dovrebbe essere imposta una simile sofferenza» disse Harwin quando lei ebbe finito. «La Montagna che cavalca ha perduto metà dei suoi uomini al Mulino di Pietra, abbiamo saputo. Può darsi che questo Messer Sottile stia galleggiando a faccia in giù sulla Forca Rossa del Tridente da un pezzo, con i pesci che lo divorano a pezzetti. In caso contrario, bene, è un crimine in più del quale dovranno rispondere. Ho sentito lord Beric dire che questa guerra ha avuto inizio quando il Primo Cavaliere lo ha inviato a portare la giustizia del re a Gregor Clegane. Ed è nello stesso modo che lui intende finirla.» Le diede un paio di rassicuranti colpetti sulla spalla. «Meglio che tu monti in sella, milady. È una lunga strada fino a Sala delle Ghiande, ma alla fine avremo un tetto sopra la testa e una minestra calda dentro la pancia.»
Fu una lunga strada.
Cavalcarono tutto il giorno, ma al tramonto guadarono un torrente e raggiunsero Sala delle Ghiande, con le sue mura di pietra e il suo castello di quercia. Il suo signore stava combattendo nelle schiere di lord Karyl Vance, e i portali del castello erano chiusi e sbarrati durante la sua assenza. Ma la lady sua moglie era una buona amica di Tom Settecorde. Anguy aggiunse che un tempo erano stati anche amanti. Eccezion fatta per Gendry, il giovane arciere era il più vicino in età ad Arya tra i fuorilegge, e cavalcava spesso accanto a lei, raccontandole lunghe storie delle Terre Basse di Dorne. Ma Anguy non sarebbe mai riuscito a ingannarla. “Non è mio amico. Mi sta vicino soltanto per sorvegliarmi, in modo da assicurarsi che io non cerchi di scappare di nuovo.” Bene, anche Arya sapeva sorvegliare. Syrio Forel le aveva insegnato come fare.
Lady Smallwood accolse i fuorilegge con ragionevole calore, per quanto diede loro una solenne lavata di capo per aver trascinato una ragazzina tanto giovane nel mezzo di una guerra. Quando Lem le disse che la ragazzina in questione era di alto lignaggio, la nobildonna s’infuriò ancora di più.
«Chi ha osato far vestire la povera figliola con gli stracci di Bolton?» li fulminò. «E quell’emblema, poi… ci sono uomini là fuori, molti uomini, che la impiccherebbero in un battito di ciglia solo perché porta sul petto l’uomo scuoiato di Forte Terrore.»
Prontamente, Arya si ritrovò spinta su per le scale, infilata in una vasca da bagno e sommersa da cascate d’acqua bollente. Le servette di lady Smallwood la strofinarono talmente forte che lei ebbe l’impressione che la stessero davvero scuoiando. Infine, sciolsero nella vasca un qualche unguento dolce che odorava di fiori.
Dopo, insistettero perché si vestisse con abiti da ragazza: calze di lana marrone e una leggera sottoveste di lino, e sopra questa, un abito verde pallido con ghiande in filo marrone ricamate su tutto il corpetto, altre ghiande erano ricamate sugli orli.
«La mia prozia è septa in un convento di Vecchia Città» disse lady Smallwood mentre le servette allacciavano il corpetto dell’abito sulla schiena di Arya. «È là che ho mandato mia figlia quando la guerra ha avuto inizio. Al suo ritorno, sarà diventata troppo grande per questi indumenti, non ne dubito. Ti piace la danza, piccola? La mia Carellen è una danzatrice deliziosa. E canta anche meravigliosamente. A te che cosa piace fare?»
Arya contrasse un alluce sotto la calza. «Ricamo.»
«Molto riposante, non trovi?»
«Ecco» disse Arya. «Non come lo faccio io.»
«No? Io ho sempre trovato che lo sia. A ciascuno di noi, gli dèi concedono diversi doni e talenti, dice sempre mia zia. Ogni gesto può diventare una preghiera, se viene compiuto al massimo delle nostre capacità. Non è un pensiero delicato? Ricordatene, la prossima volta che ti cimenterai nel ricamo. Lo fai ogni giorno?»
«Lo facevo, ma poi ho perduto il mio Ago. E quello nuovo, non è altrettanto buono.»
«In tempi come questi, dobbiamo tutti fare il meglio che possiamo.» Lady Smallwood le aggiustò un’invisibile grinza sul corpetto. «Adesso sì che hai l’aspetto che si confa a una giovane lady.»
“Io non sono una lady” avrebbe voluto dirle Arya. “Io sono un lupo.”
«Io ignoro chi tu sia, figliola» disse la nobildonna. «E forse è meglio così. Qualcuno d’importante, temo.» Lisciò il colletto di Arya. «In tempi come questi, è meglio che tu rimanga insignificante, però. Quanto vorrei poterti tenere qui con me. Ma non saresti al sicuro. Ci sono le mura, certo» sospirò «ma ben pochi uomini a difenderle.»
La cena stava venendo servita quando Arya, tutta lavata, vestita e pettinata, finalmente riapparve nella sala grande al piano terreno. Gendry le lanciò una mezza occhiata e scoppiò a ridere talmente forte che il vino gli schizzò fuori dal naso. Smise solo quando Harwin gli assestò una sventola dietro l’orecchio. Il pasto era ordinario ma nutriente: montone e funghi, pane nero, purea di piselli e mele cotte con formaggio giallo. Portati via i piatti e congedati i servitori, Barbaverde abbassò la voce e chiese a lady Smallwood se sapesse qualcosa del lord della folgore.
«Qualcosa?» sorrise lei. «Sono passati di qui nemmeno una settimana fa. Loro e un’altra dozzina di uomini che spingevano delle pecore. Stentavo a credere ai miei occhi. Thoros me ne ha date tre come ringraziamento. È una di esse che avete mangiato questa sera.»
«Thoros che fa il pastore?» rise Anguy.
«È stata proprio una cosa strana da vedersi, sono d’accordo, ma Thoros, in qualità di prete rosso, asseriva di sapere come si fa a occuparsi di un gregge di pecore.»
«Sì» sogghignò Lem Mantello di limone «e anche a tosarle.»
«Qualcuno potrebbe comporre una rara, magnifica canzone da questo.» Tom pizzicò una delle corde della sua arpa.
Lady Smallwood gli rivolse un’occhiataccia. «Qualcuno che sappia fare di meglio che una rima tra carillon e Dondarrion, per esempio. E che non si metta a suonare: Oh, giaci sull’erba, mia dolce fanciulla a tutte le contadinelle dei dintorni… per poi lasciarne almeno due con un bimbo in grembo.»
«Quella era: Lasciami dissetare con la tua bellezza» ribatté Tom, sulla difensiva. «E le contadinelle sono sempre contente di sentirla. E anche una certa nobile signora, se ricordo bene. Io suono per compiacere.»
«Le terre dei fiumi sono piene di fanciulle che hai compiaciuto.» Le narici della lady si dilatarono. «Tutte che adesso bevono tè della luna. Si pensa che un uomo della tua età dovrebbe aver imparato come gettare il seme sul ventre della sua occasionale compagna. Tu invece no. Tra non molto, invece di Tom Settecorde, ti chiameranno Tom Settefigli.»
«In realtà» disse Tom «i sette figli li ho superati da parecchio tempo. E sono tutti bravissimi ragazzi, con voci dolci come il canto dell’usignolo.» Era evidente che non gli importava granché di quell’argomento.
«Il lord della folgore ha parlato di dov’era diretto, milady?» chiese Harwin.
«Lord Beric non menziona mai i suoi piani, ma c’è carestia giù verso Tempio di Pietra e il bosco da Tre Soldi. È da quelle parti che io andrei a cercarlo.» La lady bevve un sorso di vino. «Ed è meglio che lo sappiate, ho avuto anche altri visitatori, e decisamente meno piacevoli. Un branco di lupi del Nord è venuto a ululare sotto le mie mura, con l’idea che ospitassi Jaime Lannister.»
«Allora è vero.» Tom cessò di pizzicare l’arpa. «Lo Sterminatore di re è di nuovo il libertà.»
Lady Smallwood lo guardò dritto negli occhi. «Dubito molto che gli starebbero dando la caccia se si trovasse ancora ai ceppi a Delta delle Acque.»
«E tu che cosa gli hai detto, milady?» chiese Jack Fortunello.
«Che cosa? È chiaro, che avevo ser Jaime nudo nel mio letto, ma che lo avevo lasciato troppo esausto perché potesse scendere. Uno di loro mi ha fatto l’affronto di darmi della mentitrice, per cui li ho scacciati con qualche dardo di balestra. Credo che si siano diretti verso la Piega Nera.»
«E questi uomini del Nord che stavano cercando lo Sterminatore di re…» Arya si agitò a disagio sulla sedia «…chi erano?»
Lady Smallwood apparve sorpresa che lei avesse parlato. «Non hanno detto i loro nomi, bambina, ma erano vestiti di nero, con sul petto l’emblema di un sole bianco.»
Disco solare bianco su fondo nero, il sigillo di lord Rickard Karstak di Karhold, si rese conto Arya. “Erano uomini di Robb!” Si chiese se fossero ancora nei paraggi. Se fosse riuscita a sfuggire ai fuorilegge e a raggiungerli, forse l’avrebbero portata da sua madre a Delta delle Acque…
«Hanno detto come ha fatto Lannister a scappare?» chiese Lem.
«Lo hanno detto» rispose la lady. «Non che io abbia creduto una sola parola, però. Secondo loro, è stata lady Catelyn Stark a liberarlo.»
Twang! In un sussulto, Tom aveva fatto saltare una corda dell’arpa. «Ma andiamo» disse. «Questa è pura follia!»
“Non è vero” nemmeno Arya riusciva a crederci. “Non può essere vero.”
«Anch’io ho pensato la stessa cosa» disse lady Smallwood.
Fu a quel punto che Harwin si ricordò di Arya. «Questo non è un genere di discorsi adatto alle tue orecchie, milady.»
«No, io voglio sentire.»
Ma i fuorilegge non cedettero. «Adesso esci di qui, scoiattolino» disse Barbaverde. «Fa’ la brava signorina e va’ a giocare nel cortile mentre noi parliamo, forza.»
Arya se ne andò, piena di rabbia. Avrebbe sbattuto la porta se non fosse stata così pesante.
Su Sala delle Ghiande erano calate le tenebre. Alcune torce brillavano sulle mura, ma nient’altro. Le porte del piccolo castello erano chiuse e sbarrate. Arya aveva promesso ad Harwin di non tentare di scappare di nuovo, lo ricordava, ma questo era stato prima che loro si mettessero a raccontare menzogne.su sua madre.
«Arya?» Gendry l’aveva seguita fuori. «Lady Smallwood dice che c’è una fucina. Vuoi darci un’occhiata?»
«Se tu vuoi» non aveva molto altro da fare.
«Questo Thoros» riprese Gendry mentre superavano i canili «è lo stesso Thoros che stava nel castello di Approdo del Re? Un prete rosso, ciccioso, con la testa rasata?»
«Credo di sì.» Che le riuscisse di ricordare, Arya non aveva mai parlato con Thoros ad Approdo del Re, sapeva però chi era. Lui e Jalabhar Xho, il principe dalla pelle nera e dal mantello di piume variopinte, erano stati i due personaggi più eccentrici di tutta la corte di re Robert. Thoros poi era stato anche un grande amico del re.
«Non si ricorderà di me, ma veniva nella nostra forgia.»
La fucina di Smallwood non veniva usata da tempo, il fabbro però aveva lasciato tutti i suoi utensili ordinatamente appesi alla parete. Gendry accese una candela, la sistemò su un’incudine e prese un paio di lunghe pinze.
«Il mio padrone, mastro Mott, lo rimproverava sempre per le sue spade fiammeggianti. Non era quello il modo di trattare del buon acciaio, gli diceva, ma questo Thoros non lo usava mai comunque, del buon acciaio. Prendeva una qualche spada da niente e la immergeva nell’altofuoco per dare fuoco alla lama. Era solo un trucco da alchimista, ma serviva a spaventare i cavalli e alcuni dei cavalieri più inesperti.»
Arya fece una smorfia, cercando di ricordare se il lord suo padre le avesse mai parlato di Thoros. «Non è un prete molto pio, giusto?»
«Per niente» ammise Gendry. «Mastro Mott diceva che Thoros riusciva a sbronzarsi ancora peggio di Robert. Erano fatti proprio della stessa pasta, quei due, crapuloni e ubriaconi.»
«Non dovresti chiamare il re un ubriacone» lo rimproverò Arya. Forse era vero che re Robert beveva troppo, ma era stato amico anche di suo padre.
«Parlavo di Thoros.» Gendry protese le pinze, come se volesse prenderle il naso. Arya le allontanò con un secco colpo della mano. «Gli piacevano i banchetti e i tornei, per questo re Robert gli voleva così bene. Ma questo Thoros era anche valoroso. Quando le mura di Pyke delle isole di Ferro sono state abbattute, Thoros è stato il primo a superare la breccia. Ha combattuto con una delle sue spade fiammeggianti, dando fuoco agli uomini di ferro a ogni fendente.»
«Vorrei averla anch’io, una spada fiammeggiante.» Arya aveva in mente parecchie persone a cui le sarebbe piaciuto dare fuoco.
«È solo un trucco, te l’ho detto. L’altofuoco rovina l’acciaio. Dopo ogni torneo, il mio padrone vendeva a Thoros una spada nuova. E ogni volta, loro due litigavano sul prezzo.» Gendry riappese le pinze e prelevò una grossa mazza. «Mastro Mott diceva che era ora che facessi la mia prima spada lunga. Mi aveva dato un buon pezzo d’acciaio, e io sapevo esattamente che forma dare alla lama. Ma poi è arrivato Yoren, e mi ha portato via per i Guardiani della notte.»
«Puoi ancora farle, le spade, se vuoi» disse Arya. «Quando arriveremo a Delta delle Acque, potrai farle per mio fratello Robb.»
«Delta delle Acque…» Gendry mise giù la mazza e la guardò. «Sei diversa. Sembri una ragazzina come si deve.»
«Sembro un albero di quercia, con addosso tutte queste stupide ghiande.»
«Carino, però. Un albero di quercia carino.» Gendry si avvicinò a lei e l’annusò. «E anche il tuo odore è carino, tanto per cambiare.»
«Tu invece no. Tu puzzi.»
Arya lo spinse contro l’incudine e fece per correre via. Gendry l’afferrò per un braccio. Lei infilò un piede tra i suoi e gli fece lo sgambetto. Nel cadere, lui riuscì a trascinarla a terra con sé. Rotolarono una sull’altro sul pavimento della forgia. Gendry era molto forte, ma lei era più svelta. Ogni volta che lui cercava di tenerla ferma, Arya gli scivolava via e gli dava un pugno. Colpi che lo facevano ridere. Il che fece infuriare Arya ancora di più. Alla fine, Gendry le serrò entrambi i polsi con una mano e cominciò a farle il solletico con l’altra. Così Arya gli piantò una ginocchiata tra le gambe e sfuggì alla sua stretta. Adesso, erano tutti e due ben lerci, e lei aveva strappato una manica di quello stupido vestito pieno di ghiande.
«Mi sa che adesso non sono più tanto carina» gli gridò.
Quando rientrarono nella sala, Tom stava cantando.
Profondo e soffice è il mio letto di piume,
ed è là che io giacere ti farò.
Di seta gialla ti vestirò,
e in capo una corona ti porrò.
Perché tu la signora del mio amore sarai,
e il tuo lord io diverrò.
Al caldo e al sicuro io ti terrò,
e con la mia spada ti proteggerò.
Ad Harwin bastò guardarli appena per scoppiare in una risata. Anguy sfoderò uno dei suoi balordi sorrisi lentigginosi. «Ma siamo proprio sicuri che questa qui è una lady nata nobile?»
«Vuoi fare a botte?» Lem Mantello di limone assestò a Gendry un sonoro sberlone sul cranio. «Allora fai a botte con me! È una ragazza e ha la metà dei tuoi anni! E non provarci a metterle di nuovo le mani addosso, mi hai capito?»
«Ho cominciato io» disse Arya. «Gendry stava parlando e basta.»
«Lascia in pace il ragazzo, Lem» intervenne Harwin. «È stata Arya, stanne sicuro. Era sempre così anche a Grande Inverno.»
Tom le strizzò l’occhio e riprese a cantare.
E come rideva, come sorrideva,
la fanciulla dell’albero.
Si ritirò da lui e gli disse,
niente letto di piume per me.
Indosserò una gonna di foglie dorate,
e legherò i miei capelli con fili d’erba.
Ma tu potrai essere il mio amore della foresta,
e io nella foresta la tua fanciulla.
«Io non ho nessuna gonna di foglie dorate» disse lady Smallwood ad Arya con un lieve sorriso affettuoso. «Ma Carellen ha lasciato altri vestiti che ti potrebbero andare bene. Vieni, piccola, andiamo di sopra e vediamo di trovare qualcosa.»
Fu addirittura peggio di prima. Non solo Lady Smallwood insistette perché Arya si facesse un altro bagno, ma arrivò anche a tagliarle e ad acconciarle i capelli. Il vestito che le fece indossare era di una specie di color lilla, decorato con perle nane. Unico aspetto positivo: quell’abito era talmente delicato che sarebbe stato impossibile indossarlo per cavalcare. Per cui, la mattina successiva, mentre stavano facendo colazione, lady Smallwood le diede da indossare brache, cintura, tunica e un giubbetto marrone di pelle di cerbiatto con borchie di ferro.
«Questi appartenevano a mio figlio» disse la nobildonna. «Morì all’età di sette anni.»
«Sono tanto dispiaciuta, mia lady.» Improvvisamente, Arya si sentì piena di tristezza per lei, e piena di vergogna. «Sono anche dispiaciuta di aver rovinato il vestito con le ghiande. Era grazioso.»
«Sì, piccola. Anche tu sei graziosa. Sii coraggiosa.»