TYRION

Quando udì i rumori oltre la pesante porta di legno della sua cella, Tyrion Lannister si preparò a morire.

“Era ora” pensò. “Forza, dài, ponete fine.” Si alzò in piedi. Aveva le gambe intorpidite per averle tenute piegate sotto di sé troppo a lungo. Si chinò in avanti e le massaggiò vigorosamente, per cercare di eliminare le fitte della sofferenza. “Non andrò al ceppo del boia barcollando e incespicando.”

Si chiese dove lo avrebbero ucciso, se là sotto, nelle tenebre, o se invece lo avrebbero trascinato per le vie della città, in modo che ser Ilyn Payne potesse staccargli pubblicamente la testa. Dopo quella turpe farsa da guitti che era stato il processo, forse la sua delicata sorellina e il suo amorevole padre preferivano liquidarlo in silenzio. “Sanno che potrei rivelare alla marmaglia un po’ di interessanti cosette, se avessi la possibilità di parlare.” Ma sarebbero stati così stolti?

Le chiavi sferragliarono nella serratura. Con un cigolio la porta della cella venne aperta verso l’interno. Tyrion si addossò con la schiena contro la parete satura d’umidità, e desiderò di possedere un’arma. “Posso ancora mordere e scalciare. Morire con in bocca il sapore del sangue… non è poi male.” Desiderò anche di essere in grado di pronunciare le ultime parole destinate a essere famose. Difficilmente “Andatevene tutti a fare in culo” gli avrebbero fruttato un posto d’onore nei libri di storia.

La luce baluginante di una torcia investì il suo volto. Tyrion alzò una mano per schermarsi gli occhi. «Fatti avanti! Cos’è, hai paura di un nano? Forza, figlio di una puttana impestata… Forza!» La sua voce, rimasta troppo a lungo in silenzio, aveva qualcosa di raschiante.

«Puttana impestata? Ma ti pare questo il modo di parlare della veneranda lady nostra madre?» Un uomo avanzò nello spazio angusto, reggendo la torcia con la mano sinistra. «Questo posto è addirittura più fetido della cella dove mi avevano messo a Delta delle Acque, anche se non altrettanto umido.»

Per un momento, Tyrion si ritrovò con il fiato mozzato. «Tu?»

«Diciamo la maggior parte di me.» Jaime Lannister appariva deperito, i capelli corti. «Una mano l’ho lasciata a Harrenhal. Far arrivare i Bravi Camerati dall’altra sponda del mare Stretto non è stata una delle idee più brillanti di nostro padre.» Sollevò il braccio destro.

Tyrion vide il moncone. Uno scoppio di riso isterico gli sgorgò dalla bocca. «Ah, per gli dèi…» Poi riuscì a calmarsi. «Jaime, perdonami ma… dèi, siate misericordiosi: tu guardaci, fratello. “Senzamano” e “Senzanaso”: i ragazzi Lannister.»

«Certi giorni la ferita è così maleodorante che vorrei essere io il Senzanaso.» Jaime abbassò la torcia, illuminando il volto del fratello. «Non male la cicatrice.»

Tyrion girò la faccia per il chiarore troppo intenso. «Mi hanno mandato in battaglia senza il mio valoroso fratello a proteggermi.»

«Ho sentito dire che per poco non bruciavi tutta la città.»

«È una sporca menzogna. Ho bruciato solo il fiume.» All’improvviso, Tyrion si ricordò di dove si trovava e del motivo per cui era là. «Sei venuto a uccidermi?»

«Sei proprio un ingrato. Se continui a essere così scortese ti lascerò marcire qui dentro.»

«Marcire non è esattamente la fine che Cersei ha in mente per me.»

«Effettivamente no, hai ragione. Verrai decapitato domani, sul vecchio campo dei tornei.»

Tyrion rise di nuovo. «Ci sarà almeno da mangiare? E tu dovrai anche aiutarmi con le mie ultime parole, la mia arguzia continua a girare in tondo come un topo in un barile.»

«Non avrai bisogno di ultime parole, Tyrion.» C’era un’insolita solennità nella voce di Jaime. «Sono venuto a salvarti.»

«E chi dice che voglio essere salvato?»

«Sai una cosa, mi ero quasi scordato di che tappetto irritante sei in realtà. Ma adesso che mi hai rinfrescato la memoria, credo proprio che non impedirò a Cersei di tagliarti la testa.»

«Oh, no invece.» Tyrion arrancò fuori della cella oscura. «È giorno o notte, là sopra? Ho totalmente perso la cognizione del tempo.»

«Tre ore dopo la mezzanotte. La città dorme.» Jaime tornò a sistemare la torcia nella nicchia tra due celle.

Il corridoio era così male illuminato che Tyrion per poco non inciampò nel carceriere, sdraiato a faccia in giù sul gelido pavimento di pietra. Gli diede un paio di corpetti con la punta dello stivale. «È morto?»

«Addormentato. E anche gli altri tre. L’eunuco ha riempito il loro vino di dolcesonno, ma non in quantità tale da ucciderli. O almeno questo è ciò che spergiura. Ci sta aspettando vicino alle scale, con addosso una tonaca da septon. Scenderai con lui fino alle fogne, e così raggiungerai il fiume. Una galea ti attende nella baia. Agenti di Varys nelle città libere faranno in modo non ti manchi il conio… ma cerca di non farti notare troppo. Cersei manderà sicari a cercarti, non c’è dubbio su questo. Farai meglio a cambiare nome.»

«Cambiare nome? Ma certo. E quando gli Uomini senza Faccia verranno a uccidermi, io gli dirò: “Ma no, ve la state prendendo con l’uomo sbagliato, io sono un nano diverso da quello che ha queste grottesche cicatrici in faccia”.» Tyrion e Jaime non poterono fare a meno di ridere per l’assurdità della situazione. Jaime appoggiò un ginocchio a terra e baciò il fratello su entrambe le guance, sfiorando con le labbra i margini frastagliati delle cicatrici.

«Ti ringrazio, fratello» disse Tyrion. «Per la mia vita.»

«Era… un debito che avevo con te.» La voce di Jaime era strana.

«Un debito?» Tyrion inclinò la testa di lato. «Non capisco.»

«Meglio così. Certe porte devono rimanere chiuse.»

«Per gli dèi, che sarà mai?» esclamò Tyrion. «C’è forse dietro qualcosa di tetro e di sinistro? Non è che qualcuno ha detto qualcosa di crudele nei miei confronti, vero? Cercherò di non piangere. Forza: dimmelo.»

«Tyrion…»

“Jaime ha paura!” «Parla, fratello» insistette Tyrion.

Jaime distolse lo sguardo. «Tysha» disse in un soffio.

«Tysha?» Lo stomaco di Tyrion si contrasse. «Che cosa c’entra Tysha?»

«Non era una baldracca, Tyrion. E non fui io a portartela. Quella fu una menzogna che nostro padre mi ordinò di dirti. Tysha era… esattamente quello che sembrava: la figlia di un contadino, incontrata per caso su una strada.»

Tyrion poteva udire il respiro risuonare come un sibilo nella cicatrice che aveva preso il posto del suo naso. Jaime non riusciva a guardarlo negli occhi. “Tysha.” Tyrion cercò di ricordare il suo viso. “Una ragazzina, nient’altro che una ragazzina, dell’età di Sansa.”

«Mia moglie» la sua voce era un rantolo. «Volle sposarmi…»

«Per il tuo oro, disse nostro padre. Lei era del volgo, mentre tu eri un Lannister di Castel Granito. Quello che lei voleva era il tuo oro, il che non la rendeva diversa da una baldracca, quindi… non sarebbe stata una menzogna, non del tutto, e poi… lui diceva che avevi bisogno di una bella lezione. Dalla quale avresti imparato, e un giorno mi avresti ringraziato…»

«Ringraziato?» Tyrion stentava ad articolare le parole. «Nostro padre l’ha gettata in pasto alle sue guardie. Un intero baraccamento pieno di guardie. E mi ha costretto… a guardare!» “Aye, e non solo… poi l’ho presa anch’io… mia moglie…”

«Non avevo idea che avrebbe fatto una cosa del genere. Devi credermi.»

«Ah, davvero?» ringhiò Tyrion. «E perché mai dovrei crederti? Era mia moglie, Jaime!»

«Fratello…»

Tyrion lo colpì. Un manrovescio in cui mise tutta la sua forza, tutta la sua paura, la sua rabbia, la sua sofferenza. Jaime, accovacciato sui talloni, perse l’equilibrio. Il colpo lo fece cadere all’indietro sulla pietra. «Questo… io credo di essermelo meritato.»

«Oh, ti sei meritato ben di più, Jaime. Tu e la nostra dolce sorella e il nostro amorevole padre, oh, sì, non hai idea di quello che tutti voi vi siete meritati. Ma lo avrete, te lo giuro. Un Lannister ripaga sempre i suoi debiti.»

Tyrion si allontanò con quella sua andatura ondeggiante, e nella foga quasi inciampò di nuovo nel carceriere. Dopo una decina di iarde, si ritrovò a urtare contro la grata di ferro che sbarrava il passaggio. “Ah, per gli dèi…” Ma riuscì a trattenere la sua rabbia.

Jaime arrivò alle sue spalle. «Ho le chiavi del carceriere.»

Tyrion si fece da parte. «Allora usale.»

Jaime fece scattare la serratura, aprì la grata con una spinta e passò per primo. Oltre la soglia, si voltò verso Tyrion. «Non vieni?»

«Non con te.» Tyrion varcò a sua volta la grata. «Dammi le chiavi e vattene. Troverò Varys da solo.» Inclinò il capo, fissando il fratello con i suoi occhi asimmetrici. «Jaime, puoi combattere con la mano sinistra?»

«Meno bene di te» rispose Jaime con amarezza.

«Magnifico. Dovessimo incontrarci di nuovo, sarà uno scontro alla pari. Lo storpio e il nano.»

Jaime gli diede il mazzo delle chiavi. «Io ti ho detto la verità. Adesso mi devi la stessa cosa. Sei stato tu? Lo hai ucciso veramente?»

Per Tyrion, quella domanda fu una seconda lama girata dentro le viscere. «Sei certo di volerlo sapere?» chiese al fratello. «Joffrey sarebbe stato un re ben peggiore di Aerys il Folle. Ha rubato una delle daghe di suo padre e l’ha data a un sicario, mandandolo poi a tagliare la gola a Brandon Stark. Lo sapevi?»

«Io… sospettavo che potesse averlo fatto.»

«Bene, tale padre, tale figlio. Quando fosse salito al potere, Joff avrebbe assassinato anche me. Poco ma sicuro. Per il crimine nefasto di essere basso e brutto, crimine del quale sono chiaramente colpevole.»

«Non hai risposto alla mia domanda.»

«Povero cieco storpio patetico. Vuoi proprio che ti dica tutto? D’accordo. Cersei non è altro che una puttana bugiarda. Si è fatta fottere da Lancel, da Osmund Kettleblack e, per quanto ne so, probabilmente anche dal nostro guitto di corte. E io sono il mostro che tutti dicono. Sì, l’ho ucciso io quel tuo figlio infame.» Tyrion cercò di sorridere. Il ghigno del Folletto. Nella semioscurità sanguigna della torcia, doveva essere uno spettacolo orribile a vedersi.

Senza dire una parola, Jaime gli voltò le spalle e se ne andò.

Tyrion lo osservò allontanarsi, sulle lunghe gambe forti e una parte di lui voleva urlare, dire al fratello che non era vero, implorare il suo perdono. Ma poi gli tornò alla mente Tysha. E così rimase in silenzio. Ascoltò il rumore dei passi che si affievoliva. Poi, quando non udì più nulla, si incamminò alla ricerca di Varys.


L’eunuco era come in agguato nelle tenebre sotto una scala a chiocciola, drappeggiato in una tonaca marrone divorata dalle tarme, il pallore del volto celato dal cappuccio.

«Ci hai messo molto tempo» esordì nel vedere Tyrion. «Temevo che qualcosa fosse andato storto.»

«Oh, no.» La voce di Tyrion aveva un tono velenoso. «E che cosa mai avrebbe potuto andare storto?» Alzò la testa a guardare l’eunuco. «Ti avevo mandato a chiamare durante il processo.»

«Non sono potuto venire La regina mi faceva sorvegliare giorno e notte. Non ho osato aiutarti.»

«Adesso però mi stai aiutando.»

«Davvero? Ah.» Varys ridacchiò. Sembrò stranamente fuori luogo in quel luogo di gelida pietra e tenebra piena di echi. «Tuo fratello sa essere molto persuasivo.»

«Varys, sei più infido e viscido di un verme, te l’ha mai detto nessuno? Hai fatto del tuo meglio per uccidermi. E adesso forse dovrei restituirti il favore.»

L’eunuco sospirò. «Il cane fedele è preso a calci e, a dispetto di quanto intricata sia la tela del ragno, non è mai amato. Ma se tu dovessi uccidermi ora, temo per la tua sorte, mio signore. Potresti non ritrovare mai più la via che conduce alla chiara luce del sole.» Gli occhi del senzapalle, scuri, acquosi, scintillarono alla luce incerta della torcia. «Queste gallerie sono colme di trappole perniciose per l’incauto.»

Tyrion grugnì. «Incauto? Sono l’essere più cauto che sia mai esistito: ho imparato da te.» Si fregò il resto del naso. «Allora, dimmi, stregone, dove si trova la mia innocente e vergine mogliettina?»

«Triste a dirsi, ma ad Approdo del Re non ho trovato traccia alcuna di lady Sansa Stark. E nemmeno di ser Dontos Hollard, il quale, secondo inappuntabile logica, a quest’ora avrebbe dovuto rispuntare fuori ubriaco da qualche parte. La notte della scomparsa di lady Sansa, vennero visti assieme sulla scalinata di pietra. Dopo di che, più nulla. C’era molta confusione quella notte. I miei uccelletti tacciono.» Varys tirò lievemente il Folletto per la manica e lo guidò verso la scala a chiocciola. «Mio signore, dobbiamo procedere. Il tuo cammino porta in basso.»

“Questa, per lo meno, non è una menzogna.” Tyrion seguì l’eunuco, con i tacchi che strisciavano sulla pietra scabra. L’aria nel condotto della scala era gelida, e l’umido gli penetrò fino al midollo delle ossa facendolo subito tremare. «In quale parte delle segrete ci troviamo?» chiese.

«Maegor il Crudele volle quattro diversi livelli di segrete nella Fortezza Rossa» rispose Varys. «Al livello superiore, ci sono le celle più grandi, dove i criminali comuni possono venire confinati in gruppo. Queste celle sono dotate di strette finestre, in alto rispetto al pavimento. Il secondo livello ospita celle più piccole, dove vengono detenuti i prigionieri di lignaggio. Sono prive di finestre, ma la luce delle torce nei corridoi filtra attraverso le sbarre. Al terzo livello, le celle sono ancora più piccole e le porte sono di legno massiccio. Vengono chiamate “le celle oscure”. Tu eri detenuto in una di queste, come prima di te lo fu anche Eddard Stark. Infine c’è un altro livello, al di sotto delle celle oscure. Quando un uomo viene portato a questo quarto livello, non vedrà mai più la luce del sole, né udrà più una voce umana e il suo respiro non sarà mai più privo di terribile sofferenza. Maegor fece costruire le celle del quarto livello per un unico scopo: il tormento.»

Raggiunsero il fondo della scala a chiocciola. Di fronte a loro si apriva una porta priva di qualsiasi luce.

«Questo è il quarto livello. Dammi la mano, mio signore. È più sicuro avanzare al buio. Ci sono cose qui che è meglio tu non veda, credimi.»

“Crederti?” Tyrion ebbe un momento di esitazione. Varys lo aveva già tradito una volta. Chi poteva sapere quale fossero le vere intenzioni dell’eunuco? E quale luogo migliore per assassinare qualcuno di queste tenebre eterne, in un sotterraneo, che nessuno sapeva esistesse? Il suo corpo non sarebbe mai stato trovato.

D’altra parte, che scelta aveva? Risalire la scala a chiocciola e uscire dalla porta principale? Non era possibile.

“Jaime non avrebbe paura” pensò Tyrion, ma poi si ricordò di quello che Jaime gli aveva fatto, della terribile menzogna che si era tenuto dentro per tutti quegli anni. Afferrò la mano dell’eunuco e lasciò che lui lo conducesse attraverso l’oscurità totale, seguendo solo il lieve fruscio del cuoio sulla pietra.

Varys camminava in fretta, sussurrando di quando in quando qualche avvertimento: «Attento, più avanti ci sono tre scalini» oppure «In questo punto il tunnel si inclina, mio signore». “Sono arrivato ad Approdo del Re a cavallo varcando una delle porte della città alla testa di uomini che mi avevano giurato fedeltà” rimuginò Tyrion “e adesso me ne vado come un topo che zampetta nel buio, tenuto per mano da un ragno.”

Davanti a loro, un debole chiarore apparve nelle tenebre. Troppo debole per essere la luce del giorno, ma che crebbe a mano a mano che Tyrion e Varys avanzavano in quella direzione. In breve, il Folletto riuscì a distinguere una porta ad arco, sbarrata da un’altra grata di ferro. Varys tirò fuori una chiave. Entrarono in una piccola stanza rotonda. Lungo la parete ricurva si aprivano cinque porte, tutte sbarrate in ferro. Nel soffitto c’era una sesta apertura, alla fine di una fila di pioli metallici infissi nel muro. Da un lato c’era un braciere a forma di testa di drago. I carboni nelle sue fauci spalancate erano ridotti a braci dalle quali emanava uno smorto bagliore arancione. Eppure, per quanto fioca, quella luce era la benvenuta dopo le tenebre del tunnel.

Per il resto la stanza con le cinque porte era vuota, a terra c’era un mosaico a tessere nere e rosse che raffigurava il drago con tre teste dei Targaryen. Un vago ricordo affiorò alla mente di Tyrion. Poi si fece chiaro. “Questo è il posto di cui mi parlò Shae, la prima volta che Varys la portò nel mio letto.”

«Qui siamo sotto la Torre del Primo Cavaliere» disse il Folletto.

«Esatto.» Cardini bloccati dal tempo cigolarono la loro protesta quando Varys aprì una porta rimasta chiusa troppo a lungo. Scaglie di ruggine si disseminarono sul pavimento. «Questo passaggio ci porterà fino al fiume.»

Tyrion raggiunse lentamente la scala metallica, sfiorò con la mano il piolo più basso. «E sale fino alla mia camera da letto.»

«Adesso in quella stanza dorme il lord tuo padre.»

Tyrion alzò lo sguardo verso il condotto. «Quanto in alto devo salire?»

«Mio signore, sei troppo debole per una simile follia. Inoltre, non c’è abbastanza tempo. Dobbiamo andare.»

«Ho qualcosa da fare lassù. Allora, quanto in alto?»

«Duecentotrenta scalini, ma qualsiasi cosa tu intenda…»

«Duecentotrenta scalini, e poi?»

«Il tunnel a sinistra, ma ascoltami…»

«Quanto dista la camera da letto?» Tyrion mise un piede sul primo piolo della scala.

«Non più di sessanta piedi. Mentre cammini, fai scorrere la mano lungo la parete. Sentirai le porte. La stanza da letto è la terza porta.» Il senzapalle sospirò. «È una vera follia, mio signore. Tuo fratello ti ha restituito la vita. Per quale motivo ora vuoi gettarla… assieme alla mia?»

«Varys, in questo momento l’unica cosa che per me ha meno valore della mia vita è la tua. Resta qui ad aspettarmi.» Voltò le spalle all’eunuco e iniziò a salire. E a contare mentalmente.

Salì nelle tenebre. Un piolo metallico dopo l’altro, una presa dopo l’altra. All’inizio della scalata, riusciva a distinguere debolmente il contorno dei pioli e le contorte venature della pietra dove erano infissi. Ma poi, a mano a mano che saliva, il buio si fece sempre più fitto. “Tredici, quattordici, quindici, sedici.” A trenta, si trovò con le braccia scosse da tremiti per lo sforzo. Si fermò un momento a riprendere fiato, gettando uno sguardo verso il basso. Un flebile cerchio di luce brillava in fondo al condotto, parzialmente ostruito dalle sagome nere dei suoi piedi. Tyrion riprese a salire. “Trentanove, quaranta, quarantuno.” A quota cinquanta, le sue gambe erano in fiamme. Quella scala sembrava senza fine, quasi ipnotica. “Sessantotto, sessantanove, settanta.” Arrivato all’ottantesimo piolo, Tyrion aveva la schiena ridotta a puro tormento. Eppure riprese a salire. Senza nemmeno sapere per quale ragione. “Centotredici, centoquattordici, centoquindico.”

Duecentotrenta. Il condotto era nero come la pece, ma Tyrion poteva sentire il calore che fluiva dal tunnel alla sua sinistra, simile al respiro di una bestia immane. Goffamente, cercò a tentoni con il piede, sporgendosi dalla scala metallica. Il tunnel era addirittura più angusto del condotto verticale. Qualsiasi uomo di dimensioni normali sarebbe stato costretto a procedere carponi. Ma Tyrion era basso quanto bastava per camminare in posizione eretta. “Era ora: un posto progettato per i nani.” I suoi stivali strisciavano sommessamente sulla pietra. Avanzò piano, contando i passi, cercando i vuoti nella parete.

Voci. Cominciò a udirle poco più avanti. All’inizio soffocate e indistinte, poi sempre più chiare. Tyrion tese le orecchie. Erano due guardie del lord suo padre, Lum e Lester, che stavano scambiando turpi battute riguardo alla puttana del Folletto, su come sarebbe stato bello scoparla, di quanto lei doveva desiderare un vero cazzo al posto dell’arnese corto e deforme del nano.

«Probabilmente ha qualche bozzo» disse Lum, che poi cominciò a disquisire su come Tyrion sarebbe morto il mattino seguente. «Vedrai che piagnucolerà come una femminuccia e implorerà misericordia» insistette Lum.

Lester invece era certo che il Folletto avrebbe affrontato l’ascia con un coraggio da leone, per il fatto che era un Lannister. L’armigero arrivò addirittura a scommetterci gli stivali nuovi.

«Ah, io ci cago sopra ai tuoi stivali nuovi» ribatté Lum. «Lo sai benissimo che non ci entro nemmeno morto. Facciamo così: se vinco io, tu mi lustri la mia fottuta maglia di ferro per metà mese.»

Per un tratto, Tyrion udì con cristallina chiarezza ogni loro singola parola. Mentre continuava ad avanzare, le voci tornarono a poco a poco ad affievolirsi. “Non mi stupisce che Varys non voleva che io scalassi quella scala del cazzo” pensò Tyrion, sorridendo nel buio. “Uccelletti… ma certo.”

Raggiunse la terza porta. Ci mise parecchio, procedendo a tentoni, prima che le sue dita incontrassero finalmente il piccolo uncino di ferro incuneato tra due pietre. Lo abbassò. Udì un rumore di sfregamento, che nel silenzio rimbombò come una valanga. A meno di un piede alla sua sinistra apparve in un riquadro un tetro lucore arancione.

“Il focolare!” Per poco, Tyrion non scoppiò a ridere. Il caminetto era pieno di cenere incandescente, e al centro un ceppo annerito, con il nucleo ancora vivido, pulsante. Tyrion lo aggirò con cautela, a passi rapidi per non bruciarsi gli stivali, mentre le braci gli scricchiolavano debolmente sotto le suole. Nel ritrovarsi in quella che un tempo era stata la sua stanza da letto, Tyrion si fermò per un lungo momento, respirando in silenzio. E se suo padre lo avesse sentito? Che cosa avrebbe fatto lord Tywin, avrebbe afferrato la spada, lanciato l’allarme?

«Milord?»

Una voce di donna.

“Questo un tempo mi avrebbe fatto soffrire, quando ancora potevo soffrire.” Il primo passo fu il più difficile. Tyrion si avvicinò al letto, scostò i tendaggi del baldacchino. Lei era là, che si girava verso di lui con un sorriso sonnolento sulle labbra. Un sorriso che svanì non appena vide chi aveva davanti. Si strinse le coperte sotto il mento, come se quel gesto potesse proteggerla.

«Aspettavi forse qualcuno di più alto, tesoro?»

Grandi lacrime le riempirono gli occhi. «Non intendevo dire tutte quelle cose che ho detto. Ti prego. Mi fa così tanta paura il lord tuo padre.» Si mise a sedere sul letto, lasciando che la coperta le scivolasse in grembo. Sotto era nuda. Tranne la collana che aveva attorno al collo. Una catena di piccole mani d’oro massiccio, intrecciate l’una all’altra.

«Mia lady Shae» disse Tyrion in tono lieve. «Per tutto il tempo in cui sono rimasto giù nella cella oscura, per tutto il tempo in cui ho atteso di morire, ho continuato a ricordare quanto eri bella. Vestita di seta, o di cotone grezzo, o vestita di nulla…»

«Milord tornerà presto. È meglio che vai, adesso, oppure… sei venuto a portarmi via con te?»

«Ti è mai piaciuto, mia lady Shae?» Le prese il mento con una mano, ricordando tutte le volte che aveva compiuto quel gesto. Tutte le volte che aveva fatto scivolare le mani attorno alla sua vita, palpando i suoi piccoli seni sodi, accarezzandole gli scuri capelli corti, che aveva toccato le sue labbra, le sue guance, le sue orecchie. Tutte le volte che aveva esplorato il suo alveo con il dito, alla ricerca della sua dolcezza segréta, facendola gemere di piacere. «Ti è mai piaciuto come ti toccavo?»

«Più di qualsiasi altra cosa» rispose lei «mio gigante di Lannister.»

“Questa, piccola mia, è la cosa peggiore che mi potevi dire.” Tyrion fece scivolare la mano destra sotto la catena di suo padre, la catena del Primo Cavaliere del re. Diede un secco giro di torsione. Le maglie di metallo si strinsero, affondando nella gola della donna. «Perché sempre fredde sono le mani dell’oro» sussurrò il Folletto «ma sempre calde sono quelle di una donna.»

Diede alle fredde mani dell’oro una seconda torsione. Mentre le calde mani della donna colpivano il suo volto rigato di lacrime.


Più tardi, sul tavolo accanto al letto, Tyrion trovò la daga di lord Tywin e se la infilò nella cintura. Alle pareti erano appese una mazza a forma di testa di leone, un’ascia da guerra e una balestra. L’ascia da guerra era troppo massiccia per essere usata negli spazi angusti di una fortezza e la mazza era appesa troppo in alto, ma subito sotto la balestra c’era un grosso baule di legno rinforzato con fasce di ferro. Tyrion vi salì sopra, staccò la balestra dalla parete e prese anche una faretra di cuoio piena di dardi. Mise un piede contro la staffa dell’arma, mise la fune in tensione fino a quando non udì lo scatto del perno. Incoccò un dardo nell’innesto.

Jaime gli aveva impartito svariate lezioni sui difetti delle balestre. Se Lum e Lester fossero emersi dai loro pregnanti conversari, non sarebbe mai riuscito a ricaricare. Ma quanto meno avrebbe trascinato uno dei due all’inferno con lui. Lum, sarebbe stata la sua scelta. “Dovrai strigliarti da solo la tua fottuta maglia di ferro, Lum. Hai perso la scommessa.”

Raggiunta la porta, rimase in ascolto per un momento. L’aprì lentamente. Un lume brillava in una nicchia di pietra, proiettando una luce giallastra sul corridoio vuoto. L’unico movimento era l’ondeggiare della fiamma. Tyrion sgusciò fuori, tenendo la balestra contro la gamba.

Trovò il lord suo padre là dove sapeva che l’avrebbe trovato: seduto nella penombra della latrina, con la vestaglia da notte sollevata fino alle anche. Al rumore dei passi, lord Tywin alzò lo sguardo.

Tyrion gli rivolse un sorriso di scherno. «Mio lord.»

«Tyrion.» Anche se aveva paura, Tywin Lannister non lo diede a vedere. «Chi ti ha fatto uscire dalla cella?»

«Non sai che cosa darei per dirtelo, padre caro, ma ho fatto un sacro giuramento.»

«L’eunuco» decise lord Tywin. «Avrò la sua testa per questo. È la mia balestra che hai in mano? Mettila via.»

«E che cosa farai se rifiuto, padre, mi punirai?»

«Questa tua fuga è pura follia. Non verrai ucciso, se è questo che temi. Ho tuttora intenzione di mandarti alla Barriera, ma non posso farlo senza il consenso di lord Tyrell. Metti giù la balestra, seguimi nelle mie stanze e parliamone.»

«Possiamo parlarne benissimo qui. Forse, padre, la Barriera non è proprio la destinazione di mio massimo gradimento. Fa un freddo fottuto da quelle partì e, sai, ho già fatto il pieno qui da te di tutto il freddo che posso sopportare. Per cui dimmi una sola cosa e io vado per la mia strada. Un’unica, semplice risposta. In fondo, me la devi.»

«Non ti devo niente.»

«In tutta la mia vita, tu mi hai dato meno di niente, ma questa risposta me la devi dare. Che cosa ne hai fatto di Tysha?»

«Tysha?»

“Non si ricorda nemmeno il suo nome.” «La ragazza che sposai.»

«Oh, certo. La tua prima puttana.»

Tyrion allineò il tiro al torace di lord Tywin. «Pronuncia un’altra volta quella parola, padre, una sola volta ancora, e io ti uccido.»

«Non avrai il coraggio di farlo.»

«Vogliamo davvero scoprirlo? È una parola che sulle tue labbra sembra formarsi con facilità.» Tyrion fece un gesto impaziente con la balestra. «Tysha. Che cosa ne hai fatto di lei dopo avermi impartito quella… bella lezione?»

«Non ricordo.»

«Sforzati. L’hai fatta uccidere?»

Sulle labbra di lord Tywin comparve una smorfia. «Non c’era ragione di farlo, aveva imparato qual era il suo posto… ed era anche stata ben pagata per la sua giornata di lavoro, mi sembra di ricordare. Suppongo che il nostro attendente l’abbia mandata per la sua strada. Non me ne sono più occupato.»

«La sua strada per dove

«Ovunque vadano le puttane.»

Il dito di Tyrion si contrasse. Twang! La balestra sussultò nel momento stesso in cui lord Tywin cominciava ad alzarsi dal cesso. Il dardo gli affondò sopra l’inguine, facendolo crollare di nuovo con un grugnito. Il sangue ribollì attorno all’asta, impregnando i peli del pube, scorrendo lungo le cosce nude.

«Mi hai colpito.» Era incredulo, lord Tywin, con gli occhi vitrei per lo stupore.

«Sei sempre stato rapido a cogliere le situazioni, mio lord» disse Tyrion. «Dev’essere per questo che sei il Primo Cavaliere del re.»

«Tu… non sei… mio figlio…»

«È proprio qui che ti sbagli, padre caro. Infatti, io sono quasi certo di essere la tua copia conforme. Ora, fa’ un atto di gentilezza: crepa in fretta. Ho una nave da prendere.»

Per una volta tanto, suo padre fece quello che Tyrion gli chiedeva. La prova fu l’improvviso fetore generato dallo svuotarsi delle viscere al momento della morte. “Be’, quanto meno eri nel posto giusto” pensò il Folletto. Il fetore che dilagò nella latrina fu un’ulteriore prova che la battuta ripetuta fin troppo volte su suo padre era solo un’altra menzogna.

Lord Tywin Lannister, alla fin fine, non cacava oro.

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