11

Kayleigh Hatch venne identificata dalla zia. «Si è tagliata i capelli, ma è sempre lei. Ne sono sicura.»

E così l'AMIP aveva identificato quattro corpi su cinque. Il commissario capo aveva deciso d'interrompere il silenzio stampa quella sera, perciò Maddox fu d'accordo a rischiare un sopralluogo al pub.

A Londra era ormai arrivata, com'era triste consuetudine, la pioggia. Era una pioggia fresca, acre, scintillante come la primavera, rispetto alla solita acquerugiola sporca, però restava sempre pioggia. Sette agenti, tutti con indosso l'impermeabile, presero posto in due auto. Diamond portò due uomini della squadra F nella Sierra. Jack prese la Ja guar, su cui caricò Maddox, Essex e Logan.

Il Dog and Bell, tutto vernice scrostata e sudiciume, occupava un'area compresa tra un'agenzia di viaggi fatiscente e una lavanderia a gettone, la Kleenezie. Dentro puzzava di tabacco e di disinfettante. Tutte le conversazioni s'interruppero all'istante e, nella cappa di fumo azzurrognolo, i clienti abituali, intenti a godersi le loro pinte di birra, si voltarono a guardare con occhi inespressivi i sette detective. Diamond si diresse verso l'uscita più lontana, Logan si posizionò sotto la grossa scala curva dalla lucida ringhiera vittoriana. Maddox chiuse la porta alle sue spalle col piede. La barista, una donna sulla sessantina, magra come una stringa, ombretto blu intenso e capelli neri tinti, fumava dietro il banco, osservandoli coi suoi grandi occhi da ipertiroidea.

«Bene, signori.» Mostrando il distintivo, Maddox annunciò: «Niente panico, è solo un controllo di routine».


Jack si allontanò dal banco e, nell'arco di dieci minuti, aveva identificato due delle persone citate da Harrison. La barista si chiamava Betty e la ballerina di quel giorno, una bionda alta e irritabile originaria del Nord, gli occhi azzurri ravvicinati, le mani e i piedi così piccoli da sembrare quelli di una ragazzina, si chiamava Lacey.

Indossava un paio di collant e un maglione largo rosso che le arrivava ai fianchi. Era nella toilette del piano di sopra, intenta a mettersi un po' di glitter argenteo sulle guance, quando Jack bussò alla porta. In osservanza alle regole fondamentali di ogni trattativa, aveva con sé una vodka doppia con succo d'arancia.

«Chiuda la porta», borbottò lei, prendendo il drink. «Qui dentro fa un freddo dell'accidente. E dovrebbe essere estate.»

Lui chiuse la porta e si sedette su un piccolo sgabello nell'angolo. Lacey diede un tiro alla sigaretta, inalando avidamente il fumo. Poi si appoggiò al lavandino, lo sguardo fisso su Jack che le riferiva la notizia.

La prese stoicamente. «Capita, a quei tipi», commentò, stringendosi nelle spalle e voltandosi verso lo specchio. «Ma la cosa non mi preoccupa. Io sto molto attenta.»

«Sappiamo che conosceva Shellene.»

«Le conoscevo tutte. Ma non significa che mi fidassi di tutte. O che mi piacessero.» Posò la sigaretta sul bordo del lavandino, e quella si consumò lentamente, lasciandovi l'ennesimo segno marrone di nicotina. «Non potevi lasciare i vestiti nello spogliatoio quand'erano in giro. Ecco il problema con chi si fa di eroina. Se proprio lo vuol sapere, avranno avuto un bisogno matto di procurarsi una dose e saranno andate a fare un lavoretto per qualche porco maniaco.»

«E Petra?»

«Non era una tossica, perciò non lo faceva per la roba. Ma ciò non significa che non facesse qualche lavoretto, non le pare?»

«Conosce i clienti abituali di questo posto?»

«Non ci vengo molto spesso.» Diede un ultimo tiro alla sigaretta e gettò il mozzicone sotto il rubinetto. «Lo chieda a Pussy Willow: fa quasi tutti gli spettacoli. Oggi è vuoto, ma, quando c'è lei, fanno a botte per entrare. Vanno tutti matti per le sue tette gonfiate.»

«Qualche cliente lavora in ospedale?»

«Sono avvocati, impiegati statali, studenti. Sa, questo posto non è solo per la feccia.» Sorseggiando la vodka, aggiunse: «E poi ci sono un paio di tipi che arrivano tutti in tiro, con gli stivali, credo siano medici o qualcosa del genere».

Jack prese un po' di tabacco dalla tasca e lo mise in una Rizla. «Da dove vengono?»

«Dal St. Dunstan's.»

«Ricorda i nomi?»

«No.»

«Sono di sotto in questo momento?»

Lei rifletté per un istante. «No, quand'ho guardato l'ultima volta non c'erano.»

Lui chinò il capo e arrotolò la sigaretta. «Grazie per l'aiuto, Lacey, grazie mille.»


Ai piedi della scala vittoriana, Jack si fermò, il braccio appoggiato alla ringhiera consumata.

Maddox si trovava a meno di mezzo metro da lui, scrutava il locale, le braccia conserte. Gli agenti erano sparpagliati, gli impermeabili buttati sugli sgabelli accanto a loro. Su ogni tavolo le foto delle ragazze trovavano a malapena posto tra i bicchieri e i posacenere, e già avevano alcune macchie circolari di birra. Diamond aveva la giacca sbottonata e i pantaloni sollevati quel tanto da mostrare un paio di calzini della Warner Bros., quelli con la figurina di Taz. Di fronte a lui una coppia di operai sedeva, accigliata, davanti alle sue birre.

La porta si aprì e un giovane di colore sulla ventina s'infilò nel locale, riparandosi dalla pioggia. Portava un cappellino grigio da baseball di Tommy Hilfiger e un paio di Nike alte alla caviglia; era piccolo ma muscoloso. Aveva il canino destro ricoperto da una capsula d'oro. Arrivò quasi al banco prima di accorgersi che tutti lo stavano osservando.

Il detective Diamond gli fu addosso in pochi attimi, fremendo per l'eccitazione della caccia. Gli posò una mano sulla spalla e lo condusse a un tavolo.

«Non può lasciare che lo interroghi lui», mormorò Jack all'orecchio di Maddox. «Non in qualità di testimone. Lo trasformerà subito in un indiziato.»

«Non intrometterti», ribatté Maddox.

«Ha già deciso chi è il colpevole.»

«Non intrometterti. È un ordine», ribadì Maddox.


Jerry Henry, noto nel quartiere di Deptford come Gemini, non era mai stato incastrato dalla polizia. Lui lo attribuiva al fatto di essere un pesce piccolo. Quella era la sua forza: per gli sbirri non era importante. Si considerava uno squaletto che vagava per le periferie di Deptford, pronto a raccogliere gli scarti delle due grandi organizzazioni che tenevano in pugno la zona. Non faceva del male a nessuno.

Ma c'era il rovescio della medaglia: essere piccolo significava anche essere indifeso. Gli sbirri non erano stupidi, sapevano che la roba doveva arrivare da qualche parte. E talvolta davano la caccia a uno come lui solo per risalire, passo dopo passo, agli alti papaveri. Non ci avrebbero pensato due volte a sacrificarlo, se ciò li avesse aiutati a mettere le mani su una delle grandi organizzazioni di South London.

Qualsiasi cosa vogliano, sta' calmo, nega tutto, lascia che lo provino, si ripeteva Gemini, mentre seguiva il poliziotto al tavolo. Pensò a ciò che aveva con sé quel giorno: poteva quasi rientrare nell'«uso personale»… Sennonché Dog di New Cross aveva sottratto del crack a uno dei laboratori di Peckham, una piccola quantità, pasticche che Gemini aveva poi tritato. «Tienile in bocca, amico. Buttale giù se hai dei casini», gli aveva detto. Gemini però non aveva voluto, le aveva infilate nelle scarpe e adesso avrebbe pagato per quella scelta.

«Nega tutto. Recita.»

«Che hai detto?»

«Niente», borbottò Gemini, accasciandosi sulla sedia.

«Allora… Questo è solo un controllo di routine.» Diamond gettò all'indietro i lembi della giacca, si sedette a cavalcioni sullo sgabello, di fronte a lui, l'addome sporgente, i gomiti sul tavolo rotondo. Gemini si appoggiò mollemente allo schienale, una mano infilata nei jeans Calvin Klein, la testa china di lato, la bocca piegata in una smorfia ostile.

«Sta' calmo, nega tutto, lascia che lo provino. Recita», mormorò ancora, il che mandò il poliziotto su tutte le furie.

«Insomma che cosa borbotti?»

«Non t'innervosire, amico.» Gemini rimase impassibile di fronte a quel tono aspro e aprì la mano appoggiata alla sedia. «E tu chi sei?»

Il poliziotto deglutì rumorosamente e arretrò, tamburellando la penna a sfera sul tavolo. «Sono il detective Diamond», rispose, mettendo una particolare enfasi sulla parola «detective». «Sei un cliente abituale?»

«Cioè, amico?»

«Conosci le ragazze che lavorano qui?»

«No.» Gemini fece schioccare la lingua sui denti per confermare la risposta. «Non le conosco.»

«Non ne hai mai incontrato nessuna? Mi sembra incredibile.» Il poliziotto sostenne lo sguardo di Gemini coi suoi occhi slavati, arroganti, e gli avvicinò una fotografia sul tavolo. «Questa ti aiuta?»

Le riconobbe subito. Soprattutto la bionda, Shellene. Le vendeva roba da mesi, la scarrozzava da mesi. Un paio di settimane prima glielo aveva succhiato sul sedile posteriore della sua GTI in cambio di un po' di crack. Si chiese che cosa avessero detto agli sbirri della sua operazione.

«Non le ho mai viste. Forse questa… È una ballerina, no? Ma non so altro.»

«Sai che balla qui?»

«L'ho vista.»

«Quando l'hai vista per l'ultima volta?»

Gemini si strinse nelle spalle. «Un casino di tempo fa.»

«Hai visto qualcuno uscire con queste ragazze?»

Gemini scoppiò in una risata di scherno. «Ma che razza di domande mi fai, amico? E poi dicono che la polizia inglese è in gamba!»

«Hai intenzione di rispondermi?»

«So come ce l'hai.»

Il poliziotto s'impietrì e si fissò le mani. Gemini percepì la rabbia crescere sotto la pelle liscia e bianca di Diamond. Quando sollevò lo sguardo, le pupille del detective erano ridotte a due capocchie di spillo. «Come ti chiami?»

«Per te sono il signor Nessuno.»

«Ah, sì, naturalmente. Il signor Nessuno», ripeté sollevando le mani e lasciando due impronte di sudore sul tavolo. «Bene, signor Nessuno, signor 'Ti fotto', non ho capito l'ultima frase. Si trattava forse» – si protese, i denti scoperti, la voce bassa – «di una diffamazione dei rappresentanti della legge di questo Paese, il Paese che ti ha generosamente sostenuto e che sosterrà qualsiasi negretto che genererai, che ti dà una casa, che ti nutre e che interviene quando scippi a qualche povera vecchietta la pensione? Di questo si trattava?»

«Tu sei un razzista, amico», commentò Gemini, sorridendo pigramente. «Posso sembrarti uno stupido negro, ma conosco i miei diritti. So che cos'è la Police Complaints Authority, ho letto il rapporto Macpherson.»

Il poliziotto non batté ciglio. «Se avessi davvero letto il rapporto Macpherson, allora sapresti che non puoi provare nulla. Nessuno può sentire quello che sto dicendo. Ma io sì, sporco negro bastardo.» Sorrise: se la stava godendo. «Posso far ricadere tutto su di te. E la sai una cosa? Alla fine della giornata sarà la mia parola contro la tua. Con tutti quei negri che faranno casino e tutte le grida di 'razzista' pensi che qualcuno ti starà ad ascoltare, stronzetto?»

Il sangue freddo di Gemini svanì. «Non sono obbligato ad ascoltare tutto questo», esclamò, alzandosi. «Tu vuoi che ti aiuti, e allora vieni a prendermi.»

Il poliziotto balzò in piedi in un lampo, bloccando la porta. «Dove cazzo pensi di andare?» chiese con tono affabile. Le parole che gli uscivano di bocca suonavano dolci come miele. «Sporco negro di merda.»

Gemini reagì. Prese una pinta di birra dal tavolo più vicino e la gettò in faccia al poliziotto, che non fu tanto rapido da chiudere gli occhi: si girò su se stesso, colpito in pieno, portandosi le mani alla faccia. «Pezzo di merda!»

Gemini guadagnò la porta prima che qualcuno potesse intervenire.


A Jack, che si trovava accanto alla scala, l'intera scena sembrò svolgersi con la lentezza surreale di un film muto. I due uomini stavano sorridendo, parlando quasi con noncuranza, e un attimo dopo Diamond era piegato in due, le mani sulla faccia, quasi pietrificato. Jack si aspettava di veder scorrere del sangue, ma invece Diamond si pulì rapidamente gli occhi e si gettò fuori della porta, la giacca svolazzante. Dimenticando gli interrogatori, due uomini della squadra F balzarono in piedi per sbarrare la soglia, e lasciarono che la pioggia li inzuppasse mentre seguivano con lo sguardo il loro capo.

Non dovettero aspettare a lungo. Mel Diamond riapparve, ansimando pesantemente, la giacca intrisa di pioggia e di birra. «Tutto bene», borbottò, chinandosi e sputando sul marciapiede. «Gli ho preso la targa. Piccolo stronzo merdoso.»


Sulla via del ritorno a Shrivermoor guidò ancora Jack. Al suo fianco c'era Maddox, l'impermeabile bagnato piegato alla rovescia sulle ginocchia. Essex e Logan sedevano scompostamente sul sedile posteriore, emanando un lieve odore di birra. Jack era silenzioso. Nel retrovisore esterno scorgeva la Sierra che lo seguiva a breve distanza, con Diamond al volante. A ogni movimento dei tergicristalli, Jack lo vedeva parlare e ridere. La Sierra aveva i finestrini annebbiati per la condensa, mentre quelli della Jaguar erano freddi e puliti.

«Sono stati tutti d'accordo a presentarsi per un tampone orale.» Maddox sospirò, guardando fuori mentre superavano le due cupole gemelle del Naval College. «Tutti tranne il nuovo amico di Diamond. Ha una GTI rossa e due testimoni dichiarano di aver visto Shellene andarsene con lui…»

«È bianco», mormorò Jack. «È sicuramente bianco.»

«Come?»

«I serial killer non scelgono quasi mai le loro vittime in altri gruppi razziali. Non lo fanno e basta. È un principio tanto semplice da risultare ridicolo.»

Per un attimo nessuno parlò. Poi Maddox si schiarì la gola e disse: «Jack, lascia che ti spieghi una cosa: non c'è nulla, nulla sulla faccia della terra, che mandi in bestia il capo più di uno che si atteggia a profiler. Credo di avertene parlato quando sei stato trasferito».

«Sì», rispose Jack, annuendo. «E credo sia venuto il momento di discuterne.»

«Forza, allora.»

Jack lanciò un'occhiata nel retrovisore a Essex e Logan. «In privato.»

«Davvero? Va bene. Facciamolo. Subito. Su, fermati.»

«Adesso? D'accordo.» Jack svoltò a sinistra, nel parco, fermò l'auto sul ciglio della strada e accese i lampeggiatori. Poi Maddox e lui scesero dalla macchina.

«Bene.» La pioggia che sgocciolava da una vecchia quercia ticchettava e rimbalzava sul marciapiede, schizzando sulle loro caviglie. Maddox si mise l'impermeabile sopra la testa, a mo' di mantello. «Che ti succede?»

«Allora…» Jack si coprì la testa con la giacca, e i due si avvicinarono. Nell'auto, Essex e Logan trovarono qualcos'altro su cui concentrare l'attenzione. «Ho l'impressione, Steve, che lei e io stiamo andando in direzioni diverse.»

«Continua. Sputa il rospo.»

«Intendo proprio ciò che ho detto. L'autore del crimine non è un nero.»

Maddox roteò gli occhi. «Quante volte devo dirti…» Ma si fermò, scuotendo il capo. «Ne abbiamo già parlato, ti ho detto qual è la posizione del capo.»

«Ma se sapesse che abbiamo esaminato un paio di lerce bottiglie di rum - bottiglie peraltro ritrovate dal nazista della squadra – e deciso di conseguenza che il nostro bersaglio è un nero, quale sarebbe la sua posizione? Ci rifletta.» Sollevò la mano, le dita ravvicinate, bianche per la pressione. «Pensi agli uccellini. Riesce veramente a credere che quel pezzo di merda del pub abbia l'intelligenza… no, l'immaginazione di fare una cosa del genere?»

«Jack, Jack, Jack… Forse hai ragione. Ma guardala dal mio punto di vista. Non desidero che sia un nero esattamente come non lo desideri tu, e nemmeno il capo lo desidera. Proprio per questo dobbiamo andare oltre la realtà nuda e cruda…»

«La realtà nuda e cruda?» ripeté Jack, quasi ansimando. «E questa la chiama realtà nuda e cruda?»

«Sul cuoio capelluto di Shellene Craw è stato ritrovato un capello di tipo afrocaraibico, c'è la segnalazione dell'area industriale, più tutta la merda che abbiamo raccolto nell'ultima ora. E abbastanza da preoccuparmi. Non te la prendere, Jack, ma ricorda che, nella squadra B, sono io che comando, non tu. E se devo scegliere tra ascoltare uno nuovo, che conosco da cinque minuti, e compiacere il capo, be', Jack, con tutto il rispetto…» Tacque per un istante, prese fiato e aggiunse: «Be', tu che faresti?»

Jack lo fissò a lungo. «Allora voglio che sia messo per iscritto.»

«Va' avanti.»

«Stiamo prendendo la direzione sbagliata. Qualcuno pensa che si tratti di un medico. Io credo che dovremmo cercare qualcuno che lavora in ospedale. Un bianco.»

Maddox inarcò le sopracciglia. «In base a…?»

«In base a quanto ha dichiarato Krishnamurthi, il bersaglio conosce i rudimenti della medicina… Steve, oggi non era una giornata normale al pub, abbiamo scelto il momento sbagliato. Di solito il locale è pieno, e alcuni dei suoi clienti abituali lavorano in ospedale.»

«Va bene, va bene, calmati. Sta' tranquillo fino alla riunione di domani, d'accordo? Poi ne potremo parlare con la dovuta obiettività.»

«Voglio iniziare subito.»

«Che pensi di fare? Di sorvegliare tutti gli ospedali della zona 4?»

«Cominceremo proprio da qui, dal St. Dunstan's. È il più vicino al pub. Procederemo per esclusione, con un interrogatorio a tappeto. Se non otterremo nulla, allora passeremo a Lewisham, e forse a Catford.»

Maddox scosse il capo. «Non accetteranno. La gente che lavora in ospedale è tosta.»

«Mi lasci provare.»

Il commissario scostò l'impermeabile e alzò la testa al cielo, chiudendo gli occhi sotto la pioggia. Quando abbassò lo sguardo, aveva un'espressione calma. «Va bene, hai vinto. Puoi prendere Essex, se vuoi, e hai quattro giorni a partire da lunedì per scoprire qualcosa.»

«Quattro giorni?»

«Quattro giorni.»

«Ma…»

«Ma, cosa? Troverai il tempo. E bada a non perdere neppure una riunione della squadra; se dovrò toglierti l'incarico, lo farò senza preavviso. C'è altro?»

«Sì.»

«Che cosa?»

«Viene sempre al nostro party?»

«Chiedimelo di nuovo quando non sarò più incazzato con te.»

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