La sveglia suonò alle sette del mattino e lui era lì, sdraiato su un fianco, a guardare le ombre delle foglie sui muri. Dopo un'eternità, si rigirò sulla schiena, si coprì gli occhi e cominciò a respirare pesantemente.
Troppo oltre. Questa volta era andata troppo oltre.
Nel corso degli anni ce n'erano state altre come Veronica; altre relazioni erano finite male nel giro di alcuni mesi. Eppure, persino dove c'era stata amarezza, la vendetta non era mai stata tanto violenta, non l'aveva mai ferito così.
Devo imparare qualcosa da questo? È forse una «lezione di vita»?
Si premette le tempie e pensò a Rebecca mentre si scostava i capelli castani dagli occhi. Si domandava se avrebbe rovinato tutto anche in quel caso, si domandava quanto tempo avrebbe impiegato per rovinare la relazione.
Sei mesi, forse. O un anno, se si fosse impegnato. E poi si sarebbe ritrovato al punto di prima. Solo. Senza figli. Pensò ai genitori, ottimisti, pieni di speranza: avevano dato inizio alla vita dei loro due figli proprio lì, in quella camera da letto, nel corso di due luminose estati.
«Jack, Jack…» mormorò tra sé. «Dacci un taglio.» Si sollevò sui gomiti, guardando con occhi semichiusi la luce del mattino, e trascinò il telefono sul letto. Rebecca rispose subito, la voce assonnata.
«Ti ho svegliata?»
«Sì.»
«Sono il detect… Rebecca, sono io, Jack.»
«Lo so», rispose lei, in tono neutro.
«Scusami per ieri sera.»
«Non importa.»
«Mi chiedevo…»
«Sì?»
«Magari stasera. Potremmo vederci per un drink. O a cena?»
«No.» E, dopo un attimo di silenzio, aggiunse: «No, non credo sia il caso». E riattaccò.
Ti serva di lezione, Jack, pensò lui, e scese dal letto.
Maddox, il viso riposato e una camicia a maniche corte, lo incontrò in corridoio a Shrivermoor, con una tazza di caffè in mano.
«Jack? Che succede? Non sarà ancora quel piccolo pervertito?»
«Non è niente.»
«Hai un aspetto di merda.»
«Grazie.»
«Com'era il traffico?»
«Non troppo pesante. Perché?»
Maddox estrasse dalla tasca le chiavi della macchina della squadra e le fece tintinnare. «Perché adesso ti giri e torni indietro.»
«Che cos'è successo?»
«Probabilmente abbiamo trovato Peace Jackson. Una donna l'ha scoperta in un cassonetto delle immondizie un quarto d'ora fa.»
Royal Hill, che collega Greenwich a Lewisham, sale come se, pur desiderando arrivare alla stessa altezza di Blackheath, a un certo punto si fosse scoraggiata; dopo quattrocento metri gira a sinistra e sprofonda, fino a incontrare South Street. Quando arrivarono e parcheggiarono la macchina, si era già formato un capannello di persone. Dalle finestre più alte i vicini sbirciavano con le braccia conserte, le tende di pizzo agganciate per non essere d'ingombro. Gli impresari di pompe funebri incaricati dal coroner, due uomini corpulenti con gilet scuri ricamati e cravatte nere, aspettavano in piedi accanto al loro Ford Transit nero. Un agente stava cingendo col nastro il piccolo giardino anteriore e, sul sentierino di cemento, non contrassegnato in nessun modo se non dalla distanza cui si tenevano i poliziotti, c'era il cassonetto. Il detective Basset si trovava al cancello, la testa china, assorto in conversazione con la Quinn. Quando notò Maddox che espletava le procedure di riconoscimento con l'agente, gli si avvicinò, tendendogli la mano.
«Detective Basset», esclamò Maddox. «Che cos'abbiamo?»
«Sembra una vittima del suo Harteveld, signore. Donna, nuda, parzialmente avvolta in tre sacchi di plastica per la spazzatura. La Quinn ha dato un'occhiata dentro e posso assicurarle che l'abbiamo chiamata a ragione. La vittima presenta alcuni piccoli, indicativi punti di sutura sui seni, lo sterno è stato aperto. Non riusciamo a vedere la testa, ha il naso rivolto all'ingiù… ed è afrocaraibica, se questo può esserle d'aiuto.»
«Ah. Abbiamo in mente qualcuno.»
«Le gambe sono state avvicinate al petto, quindi significa che il rigor è scomparso.»
«Interessante.» Maddox arricciò il naso e guardò il cielo, commentando: «Quando avremo a che fare con bei cadaveri freschi?» Prese la mascherina e i guanti in lattice che Logan gli stava porgendo e si girò. «Jack… Perché non scambi due parole con la donna che l'ha trovata? Logan e io ci occuperemo delle cose qui fuori.»
All'interno della casa a schiera, Jack trovò la donna in cucina in compagnia di un sergente, pure donna. Fissavano entrambe il bollitore elettrico, in silenzio. Quando entrò sussultarono, sbigottite.
«Mi spiace, la porta era aperta.»
Il sergente aggrottò le sopracciglia. «Chi è lei?»
Jack cercò il distintivo. «AMIP. Detective Caffery.»
La poliziotta arrossì. «Mi spiace, signore», mormorò e, indicando il bollitore con un cenno del capo, aggiunse: «La signora Velinor e io stavamo preparando il tè. Ne vuole un po'?»
«Grazie.»
La donna gli rivolse un debole sorriso. Era attraente, un viso severo, incavato, quasi egizio, i capelli scuri raccolti in una coda. Indossava un costoso tailleur fatto su misura. La sua valigetta era posata sul tavolo e, vicino a essa, c'erano tre copie di Management Todays, una pila di test psicometrici di Saville & Holdsworth e un Guardian ripiegato. La fotografia di Harteveld fissava il soffitto. Accanto alla finestra, quattro salviette gialle, appese ad asciugare. «Vorrà farmi qualche domanda», disse la signora Velinor. «Ma prima, la prego, mi lasci bere un po' di tè. Non mi sono sentita bene.»
«Faccia con comodo.»
Jack diede una mano a prendere zucchero e latte e portare il tutto sul tavolo. Si sistemarono vicino alla finestra. La donna sorseggiò il tè e lentamente il suo viso riprese colore e lei si rilassò visibilmente. «Ora va meglio», dichiarò infine.
Jack prese il notes.
«Mi descriva l'accaduto, lentamente, dicendomi tutto quello che ricorda. Stava andando al lavoro ed era uscita per buttare la spazzatura, vero?»
Lei annuì e posò la tazza sul piattino. «Pensavo che qualcuno avesse gettato via qualcosa di puzzolente, per fare uno scherzo. Il mio compagno è bianco, io sono… Be', come può vedere, sono di sangue misto, e la gente ha ancora atteggiamenti strani a questo proposito. Due settimane fa la porta d'ingresso era piena di graffiti. Credevo fosse l'inizio di una serie di… Si sentono tante cose orribili, mettono lettere nelle cassette della posta, ha presente? Insomma, pensavo si trattasse di una cosa del genere.»
«E quindi lo ha aperto.»
«Dovevo vedere che cos'era. Quella cosa – lei - aveva una puzza orribile, rivoltante. Mi aspettavo che ci fosse qualcosa…» Esitò, premendosi il setto nasale e contraendo il viso. «Ma non quello. Non mi sarei mai aspettata… quello.»
«Per quanto tempo pensa che quella donna sia rimasta lì?»
«Non lo so. Non ne ho idea.»
«Faccia un'ipotesi.»
«Dalla notte scorsa, credo. Ma questo non può essere perché Harteveld è morto… Da quando? Da ieri mattina, no?» Fissò il Guardian, gli occhi castani seri. «Quella… ragazza là fuori ha qualcosa a che fare con lui, vero?»
«Che cosa le ha fatto pensare che sia successo la notte scorsa?»
«Be'…» rispose la donna lentamente, frastornata. «Non lo so. Suppongo che mi sarei accorta di avere un cadavere nel mio cassonetto…» Sorrise a quella battuta assurda. «Ma non è necessariamente così. Voglio dire, il coperchio era ben chiuso e se io stamattina non avessi buttato via la spazzatura ci sarei passata davanti e non lo avrei mai saputo.»
«Quand'è stata l'ultima volta che ha buttato via la spazzatura?»
«Ho cercato di pensarci. I netturbini sono venuti lunedì. Il mio compagno è venuto martedì sera e abbiamo bevuto qualcosa insieme. Era il suo compleanno. Perciò c'era una borsa piena di carta da regalo e bottiglie, quel genere di cose. Ora, pensavo di averle buttate ieri notte. Ma mi devo essere sbagliata, devo averlo fatto ieri mattina.»
«Dove lavora, signora Velinor?»
«All'ospedale St. Dunstan's.»
Jack sollevò le sopracciglia. «Al St. Dunstan's?»
«Sì. Perché?»
«Riesce a pensare a qualche motivo per cui il signor Harteveld possa aver scelto lei per questo?»
«Scelto me?» Lei scosse la testa. «No, nessuno. Siamo stati nello stesso comitato ospedaliero un paio di volte, lui conosceva il mio assistente, ma non posso credere che significassi qualcosa per lui, non più di altri, almeno. Sapeva a malapena che esistevo.»
Quando Jack ebbe finito e si affacciò alla porta d'ingresso, il cassonetto, coperto di polvere per il rilevamento delle impronte, era stato capovolto su un lato e adagiato su un grande telo in plastica per cadaveri. Logan, con indosso una tuta bianca e un paio di stivaletti, era accovacciato vicino all'apertura. Accanto a lui si trovava la Quinn, carponi, la parte superiore del corpo quasi interamente infilata nel cassonetto. Maddox era rimasto fuori della zona delimitata e, al di sopra della mascherina bianca, osservava con aria grave gli altri due.
La Quinn arretrò un poco e, alzando lo sguardo su Maddox, se ne uscì con un sonoro: «Bingo!» seppure la voce fosse attutita dalla mascherina. Prese quindi a muovere la mano intorno alla propria testa e spiegò: «Ha dei segni sul capo. Tiriamola fuori».
Jack stava sulla soglia, le mani in tasca. Si trovavano a mezzo chilometro dall'appartamento di Rebecca. Probabilmente, per andare in centro, lei passava per quella strada. Come sono singolari, gli invisibili grovigli sotterranei della vita, rifletté lui. Poi si mise a osservare la Quinn e Logan, che stavano infilando le mani sotto il bacino del cadavere per estrarlo dal cassonetto. A Jack venne in mente un parto: la pelle della donna era chiazzata e umida, i capelli apparivano sporchi di muco del grande omento della decomposizione, gli arti erano inanimati… Il cadavere scivolò fuori e ricadde sul telo, la testa ciondolante. L'agente al cancello si mise la mano sulla faccia e si voltò. I tratti erano stati alterati dalla putrefazione, ma, dalla porta, i due uomini riuscirono a vedere il trucco degli occhi e della bocca, le suture blu cobalto sui seni. L'incisione toracica irregolare.
La Quinn si avvicinò al viso della donna. Socchiuse gli occhi, poi guardò Maddox e abbassò la mascherina. «Credo abbia un neo sul labbro superiore.»
Maddox annuì, la faccia lievemente contratta. «La Jackson. Quella è la Jackson.»