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Quando Jack arrivò, Maddox si trovava sui gradini della stazione di polizia di Greenwich. Era al sole e, mentre mangiava un samosa, avvolto in un sacchetto unto, fissava con aria distratta gli studenti che bevevano birra fuori del Funnel and Firkin. Le sottili rughe tra le sue sopracciglia erano più profonde del solito. Quando Jack gli rivolse una domanda, lui si accigliò e voltò la testa bruscamente verso la stazione, esclamando: «Quella testa di cazzo là dentro. Ha arrestato Gemini. E non mi ha nemmeno interpellato».

Sei sorpreso, Steve? pensò Jack. Sei veramente sorpreso? «Allora niente party», borbottò poi.

«Oh, cazzo…» Maddox si batté la mano sulla fronte. «No, ci vengo, ci vengo», mormorò, scuotendo la testa e abbassando la mano con un gesto di esasperazione. «'Fanculo tutto. Comunque di straordinari non ne facciamo più. No, metteremo Diamond a lavorare in archivio, gli faremo fare ammenda. L'agente Betts può iniziare gli interrogatori, io subentrerò subito dopo.»

«Devi solo dire una parola, Steve, e lascio perdere. Lo faccio solo per…»

«Lo so. Tutti lo facciamo per loro. È questo il punto. È l'ultima iniziativa del capo: vita familiare felice significa poliziotti felici. Non più uomini che picchiano le mogli, non più alcolizzati, nessun suicidio.»

«Fa molto anni '90.» Jack aprì la porta. «Alle otto allora?»

Maddox finì il samosa, appallottolò il sacchetto e lo gettò in un bidone della spazzatura ai piedi della scalinata. «Alle otto va bene.»

Jack evitò il locale di custodia e salì invece al secondo piano, raggiungendo le stanze che lì, come in ogni stazione di polizia, erano riservate all'AMIP. In una di esse sedeva Rebecca: era sola e guardava fuori della finestra. Muoveva elegantemente il piede con un distratto gesto d'impazienza e succhiava il pendente messicano d'argento che portava al collo. Indossava un paio di pantaloni larghi di colore verde e una camicia chiara di popeline. Quando vide Jack, lasciò cadere il pendente sul petto e gli rivolse un sorriso tirato. «Salve.»

«Mi fa piacere rivederla.»

«Davvero?»

Jack tacque per un istante. «Per cominciare, diamoci del tu.»

«Sì».

«C'è qualcosa che non va?»

«Sì.»

Si sedette di fronte a lei e avvicinò le mani, congiungendo le dita. «Dimmi tutto.»

«Per caso ti sto seccando? Non voglio sembrarti una rompiscatole, però avevo una cosa molto… Penso che sia un personaggio importante…»

«Non ti seguo.»

«Ti ho lasciato un messaggio in segreteria.»

«In segreteria?» Jack reclinò la testa. «E questo quando…?»

«Ieri sera.»

«Hai chiamato sul cellulare?»

«Sì.»

Veronica. Jack scosse la testa. «Rebecca, non ho ricevuto il messaggio. Mi dispiace.»

A quelle parole, i suoi occhi si addolcirono. «Non intendevo essere invadente, è solo che non ho chiuso occhio tutta la notte. Ho pensato alle tue parole, al fatto che dovrebbe trattarsi di una persona molto organizzata, di qualcuno di cui le ragazze si fidavano…» Rabbrividì. «Sì, insomma, di qualcuno di cui si fidavano al punto di permettergli d'iniettare loro una dose.»

«Non avrei dovuto dirtelo. Spero che…»

«Non ho parlato con nessuno.» La ragazza si protese in avanti, e i capelli lunghi e lucidi le ondeggiarono sulle spalle. «L'anno scorso, Joni mi aveva portato a un party, organizzato da una persona che non faceva mistero del fatto di avere dell'eroina… Per di più questa stessa persona si offriva d'iniettarla a chiunque l'avesse voluta. Un tempo era un medico, diceva, e sapeva come farlo, in modo indolore, conosceva la dose esatta da iniettare.» La ragazza si appoggiò allo schienale della sedia. «Accettarono in molti.»

«Era un medico?»

«Lo era stato, o almeno aveva studiato per diventarlo, anni prima. Adesso occupa una posizione importante in una ditta farmaceutica e penso che abbia a che fare col St. Dunstan's.» Gettò all'indietro la frangia e aggiunse: «Molte ragazze della zona finivano in quel posto. Tutta la roba era gratis e della migliore qualità, offerta in piccole ciotole. Solitamente, alla fine della serata, lui pagava le ragazze disposte a fare sesso. E le pagava bene. Andava avanti così da anni».

«Dagli interrogatori non è emerso nulla.»

«È un uomo molto riservato. Il suo motto e: se vuoi che t'inviti di nuovo, devi tenere la bocca chiusa. È molto ricco, intelligente, di bell'aspetto, anche se assai strano. Possiede un meraviglioso Patrick Heron, da lasciarci l'anima.» Scosse la testa con aria di commiserazione e proseguì: «Quel magnifico quadro è là, sul muro, e tutt'intorno ci sono soltanto prostitute che sniffano coca, ridacchiano… E non sanno nemmeno che cos'hanno davanti». Si voltò verso di lui, e il sole creò riflessi color miele nelle iridi verdi. «Quella notte mi aveva puntato. Per lui era una cosa normale. Pensava che fossi una prostituta: mi aveva chiesto di rimanere e io avevo risposto di no. Si era accesa una discussione. Niente di drammatico, però. Poi gli avevo graffiato il collo…»

«E allora lui aveva smesso?»

«Alla fine, sì… Però, se tu mi chiedessi che cosa penso, se lo ritengo un individuo capace di commettere crudeltà, violenza carnale e forse un omicidio…»

«Risponderesti…»

«Non so perché, ma risponderei di sì. Senza esitare. Quell'uomo ha dentro di sé una sorta di disperazione…»

«Dove abita?»

Rebecca si girò sulla sedia e fece un cenno col capo. «Al di là del parco. In una di quelle ville dalle parti di Croom's Hill.»

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