Veronica era seduta al tavolo di cucina, assorta nei preparativi per il party. Con un bicchiere di vino accanto, affettava e tagliava menta e pomodori, che ammucchiava sul tagliere in marmo. Indossava una camicetta in seta, chiusa al collo da una spilla d'oro, e aveva steso uno strofinaccio sui pantaloni gessati di colore blu marine. La casseruola per il cuscus emetteva un leggero sibilo, appannando la finestra oltre la quale era ormai calata l'oscurità.
«Stavo giusto per mandare qualcuno a cercarti, sai», esclamò, sorridendo. «Credevo che saresti tornato per le sette.»
Jack prese la bottiglia di Glenmorangie dalla mensola sopra la porta, riempì un bicchiere, v'intinse un dito e se lo succhiò.
«Sul terrazzo ci sono due casse di Oddbins da aprire», continuò lei, pulendo il coltello nel tovagliolo. «Potresti preparare del garam masala per gli spinaci, se te la senti, oppure lavare il pestello.»
Jack posò il bicchiere sul frigorifero ed estrasse dalla tasca della giacca tabacco e cartine. «Non sono riuscita a trovare bicchieri decenti, così la mamma ha deciso di prestarci i suoi calici fiorentini. Bisogna usarli con estrema cautela, d'accordo?» Tagliò due limoni, ne spremette uno e guardò Jack da sopra la spalla. «Jack, mi hai sentito?»
Lui lasciò cadere una presa di tabacco sulla cartina, l'arrotolò, sigillò la sigaretta e si tastò la giacca cercando un accendino.
«Jack, hai sentito o no?»
«Ho sentito.»
Veronica posò il limone e fece passare il braccio sopra la spalliera della sedia. «Allora?»
«Allora cosa?»
«La mamma ci presta i suoi gioielli. I suoi bicchieri preferiti. Pensa! Confida nel fatto che i nostri terribili amici non li facciano a pezzi. Dovremmo gettarci ai suoi piedi in segno di gratitudine.»
«Io no di certo.»
Il volto di lei cambiò espressione. «No, sul serio. Dovremmo ringraziarla, sai.»
Jack tolse un pezzette di tabacco dalla lingua. «Non sto scherzando.»
La donna lo guardò con circospezione e scoppiò in una breve risata. «Va bene, Jack», esclamò, tornando al proprio lavoro. «Ho un milione di cose da fare per domani. Non ho davvero l'energia per…»
«Mi hai mentito.»
«Cosa?» Veronica si voltò lentamente verso di lui. «Cos'hai detto?»
«Pensavo che rischiassi di morire.»
«Come?»
«Io ti ho creduto. Ho creduto che l'Hodgkin fosse tornato.»
La donna increspò le labbra, scuotendo la testa, incredula. «Ma tu sei malato. Lo sei davvero. Pensi veramente che mi sarei inventata una cosa del genere?»
«Ho incontrato il dottor Cavendish.»
Veronica si bloccò. Jack riusciva quasi a immaginarsi la lunga serie di possibili bugie e scuse che gli avrebbe snocciolato. Dopo un istante, lei strinse le labbra in modo tanto energico che Jack scorse i muscoli del suo collo flettersi. Poi si voltò e prese a tagliare i limoni con piglio rabbioso, spremendoli e vuotandone il succo in una caraffa con movimenti bruschi.
«Ho detto che ho visto il dottor Cavendish.»
«Sì, e allora?» ribatté lei, gettando via le bucce dei limoni. «Credevo che fosse tornato. Non puoi biasimarmi. Sei difficile, Jack. Per me è stato molto difficile stare con te.»
«Grazie tante. Anche per me è stato fottutamente difficile stare con te.»
«Non so se ti rendi conto in che casino ti trovavi quando ci siamo conosciuti, Jack. Un vero casino. Uscivi dal letto solo per andare a lavorare o per spiare quel grasso coglione oltre la ferrovia, tormentato dal pensiero di quell'idiota di tuo fratello. Io ti ho tirato fuori da tutto questo.» Aveva ripreso a tagliare i limoni facendo forza col polso sul coltello. «Io… Sono stata io a tirarti fuori, fuori della merda in cui sguazzavi. Tutti – mamma, papà – dicevano che stavo sprecando tempo, ma io non ho dato retta a nessuno… Oddio, che stupida sono stata.»
«Io non ti amo, Veronica. Non ti voglio più in casa mia. Lasciami le chiavi.»
Lei lasciò cadere il coltello e lo guardò, sconcertata. Lo fissò a lungo, tanto che era difficile capire se stesse pensando a una risposta o cercando di non piangere. Infine, scoppiò in una flebile risata. «Magnifico, Jack. Ah, sì, davvero magnifico.» Si chinò in avanti, rimanendo seduta sulla sedia, le spalle tremanti. «E lo sai perché è magnifico?» esclamò, puntando un dito incerto verso di lui. «Perché anch'io stavo pensando che non ti amo. Anzi penso di non averti mai amato.»
«Allora siamo pari.»
«Sì, siamo pari», quasi gridò lei, tremando ancor di più. «Resterò… per il party e poi uscirò dalla tua vita. E non pensare che cambi idea, perché non lo farò di certo.»
«Lo annulleremo, il party.»
«No. Non puoi farlo. Non ora. Se lo fai, giuro che…» Tacque per un momento, e gli occhi le si riempirono di lacrime. «Giuro… Per favore, Jack, giuro che mi distruggerai se fai una cosa del genere.»
«Per l'amor del cielo, Veronica…»
«Per favore, Jack! È anche la mia festa. Vengono i miei amici. Ti prego, non rovinare tutto. Fallo per me!»
Jack prese il bicchiere.
«Dove stai andando?» chiese lei.
«A fare un bagno.»
«Ascolta», esclamò Veronica, alzandosi di scatto e posandogli la mano tremante sul petto. «Mi dispiace, Jack, mi dispiace davvero. Ma è che ti amo così tanto…»
Lui la guardò con tale disprezzo che gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime. Le allontanò lentamente la mano dal petto e la respinse. Veronica ricadde sulla sedia, singhiozzando senza più ritegno. «Bastardo… Bastardo! Tu me lo hai fatto fare, tu mi hai costretto a mentire. Tu e la tua ossessione del cazzo…»
Jack prese la bottiglia dal frigorifero, chiuse la porta e andò di sopra.
Più tardi, dopo che si fu calmato, portò la bottiglia di Glenmorangie in bagno e scivolò nell'acqua con gli occhi chiusi e le dita serrate intorno al bicchiere, appannato dal vapore, che aveva posato sul bordo della vasca. Un'ondata di stanchezza lo travolse. Rimase disteso, immobile, respirando attraverso il naso, autocommiserandosi e pensando irragionevolmente che era tutta colpa di Penderecki. Penderecki aveva messo nel suo cuore una piccola pietra, che gli aveva impedito di crescere bene, in modo sano, escludendolo da un diritto innato e universale, il diritto di amare.
Credette di sentire Veronica che prima spostava qualcosa al piano di sotto e poi chiudeva piano la porta a chiave. Bevve altro whisky e s'immerse nell'acqua, mentre la medaglietta di san Cristoforo che portava al collo, regalo di sua madre, emergeva in superficie, galleggiando delicatamente sotto il mento, leggera come un pesce che sbuca dall'acqua.
Pensò a Rebecca, all'espressione che aveva in cima alle scale.
Ho paura, sa. Sì, ho paura dell'assassino.
Un gradino scricchiolò. Per un attimo, Jack fu certo che il cellulare avrebbe squillato. Sollevò la testa, le orecchie tese.
Silenzio. Si lasciò scivolare di nuovo nell'acqua. Rebecca. Avvertiva nello stomaco la ben nota sensazione di desiderio. Avrebbe fatto anche a lei quello che aveva fatto alle altre… obbligarla a svelarsi, a perdere la patina di dignità per poi abbandonarla, dimenticandola, perché aveva qualcosa di molto più importante cui pensare?
Si sedette, finì il whisky, uscì dalla vasca e si asciugò. Veronica era a letto, supina, immobile.
«Veronica?»
La donna non rispose, aveva lo sguardo fisso.
«Veronica? Mi dispiace.»
Di nuovo non ricevette risposta.
«Ho pensato.»
«A cosa?» chiese lei con voce flebile. «A cosa hai pensato?»
«Al party. Ci sarò.»
Veronica sospirò e si voltò dall'altra parte, volgendogli le spalle. «Grazie.»
«Questa notte dormirò sul divano.»
«Sì», convenne lei con le braccia mollemente abbandonate. «Dormi sul divano.»