Quando arrivarono, Susan si trovava ancora al pronto soccorso, in stato d'incoscienza. L'infermiere che l'aveva portata in ospedale, Andrew Benton, un giovane di colore dal viso aperto e con una barba tanto corta da sembrare di un giorno, era rimasto scosso dall'esperienza. Ne parlarono in una piccola stanza vicino al gabbiotto delle infermiere.
«Cazzo, sa, le dirò, ho visto tante cose nella mia vita, ma questa…» Scosse la testa. «Questa mi ha fatto veramente andare fuori di testa. E per quanto riguarda lui, il marito…»
«L'ha trovata lui?» chiese Maddox.
«Ma se lo immagina? Trovare la tua donna in quello stato! Si trovava nel cassonetto di fronte a casa loro. Ecco il valore che quel bastardo le ha dato. Una vita umana uguale spazzatura.»
«A che ora è arrivata la chiamata?»
«Alle undici. Mi hanno detto che si trattava di un'ubriaca.» Poi, guardandolo negli occhi, aggiunse: «Sa, il signor Lister, quando ha chiesto aiuto, pensava che fosse una vagabonda. Quel tizio, quell'animale, aveva buttato la donna a testa in giù nel cassonetto, dandola per spacciata». La sua faccia si contrasse. «Non riuscirò a dormire stanotte, pensando a come si sentirà lui.»
«Mi parli della donna. Era vestita?»
«No. Era avvolta in un sacco per le immondizie. Credo che alcuni della sua squadra l'abbiano preso come prova o qualcosa del genere. Hanno setacciato il luogo in lungo e in largo. Prima ancora che la tirassi fuori, avevano già delimitato la zona.»
«Dobbiamo proteggere il luogo di un crimine», spiegò Maddox, un po' imbarazzato. «Per impedire eventuali contaminazioni…»
«Sì, sì, lo so», lo interruppe Benton. «Non intendevo criticare.»
«Ma certo… Che cosa può dirmi delle ferite?»
«Sono brutte. E sono tante. Probabilmente quella donna morirà per emorragia, se non per setticemia. Il medico ha dichiarato che presenta insufficienza respiratoria da pneumococco e blocco renale; l'hanno attaccata all'ossigenatore. Quando sono arrivato, ho visto che era cosciente solo a tratti.»
«Dove si trovano i tagli?»
«Sul seno», rispose Benton. «È stata ricucita. Sulle prime, ho pensato che fosse stata sottoposta a qualche intervento chirurgico… non so, un lavoro da macellaio. Ma il marito ha cominciato a spiegarmi il modo in cui era scomparsa, e allora l'ho caricata sulla barella e…»
«E?»
«Non sono un genio, ma anch'io ho notato che c'era qualcosa di strano.»
«Qualcosa di strano?»
«L'infezione era così diffusa da rendere molto difficile individuarle, ma le suture erano tutte… Come dire? Be', sì, da folle.»
Jack si guardò le mani. «E la testa?» chiese poi.
«La donna è stata schiaffeggiata un paio di volte ed era truccata pesantemente, come una… sgualdrina. Il marito pensa che le abbiano anche tagliato i capelli. Ripeteva: 'Perché le ha tagliato i capelli? Perché le ha tagliato i capelli?' come se quella fosse la cosa più importante al mondo.»
«Niente parrucca…» mormorò Jack.
Benton lo fissò. «Come?»
Jack si alzò in piedi e s'infilò la giacca. «Niente», rispose e, guardando Maddox, aggiunse: «Devo dare un'occhiata alla signora Lister. Ci rivediamo sul posto tra quanto? Due ore?»
«Dove stai andando?»
«Non ci metterò molto. Ho un'idea… Lasci che ne parli prima con qualcuno a Lambeth… Vediamo se sono sulla strada giusta.»
Era distesa su un lenzuolo blu, supina, le braccia aperte, la faccia rivolta alla porta proprio come se stesse aspettando un visitatore, ma, a un certo punto, stanca di aspettare, si fosse messa a dormire. Le ciocche di capelli sugli occhi lividi erano quasi bianche, del colore della sabbia schiarita dal sole. Qualcuno l'aveva lavata in modo approssimativo, ma la sua bocca era ancora macchiata di rossetto rosso, e mani e unghie erano sporche di… polvere.
Il vetro si appannò per il suo respiro. Jack allungò il polsino della camicia e lo pulì.
Era comparsa un'infermiera: stava in piedi e controllava la flebo, oscurandogli la visuale. Jack si allontanò dalla porta. Aveva visto tutto ciò che gli serviva.
«È come le altre?»
«Proprio così, signor Caffery. È assolutamente identica alle altre.»
Jack aveva capito.
Si stava facendo buio quando parcheggiò fuori dei laboratori della Scientifica a Lambeth Road, il parabrezza della Jaguar costellato di moscerini. Le luci dell'atrio proiettavano le lunghe ombre delle piante di yucca sul mosaico in corridoio che raffigurava Catherine Howard, la quinta moglie di Enrico VIII, col rosario tra le mani.
L'addetto alla sicurezza si alzò dal banco e consegnò a Jack un pass. «Le dirò che sta salendo, ma lei dovrà uscire entro dieci minuti, signore, perché stiamo per chiudere.»
Lei gli andò incontro all'ascensore. Indossava pantaloni da jogging color grigio marna, una felpa verde e un paio di Reebok, e teneva in mano una lattina aperta di Coca-Cola. Jack fece scorrere lo sguardo sui capelli grigi tagliati corti e sul corpo slanciato – gli arrivava quasi alla spalla – e trovò la dottoressa Jane Amedure stranamente bella.
«Mi spiace, detective Caffery», mormorò lei, poi gli fece strada lungo corridoi silenziosi alle cui pareti erano appese file regolari di stampe Audubon. Superarono guardie che effettuavano i controlli dell'ultimo minuto e tecnici che si stavano togliendo i camici usa e getta. «Mi spiace per la notizia, e mi spiace averla dovuta dare a terzi», aggiunse la Amedure. «Ho cercato di chiamarla ma…»
«Non… non si preoccupi. Grazie per l'aiuto, ma non è questo il motivo per cui sono qui.»
Lei gli lanciò un'occhiata in tralice. «E purtroppo non credo che lei sia qui per invitarmi fuori. Quindi la mia astuta mente di scienziata può giungere a un'unica risposta: lei è venuto per Harteveld.»
Jack sorrise. «Lei è in gamba.»
«Va bene, allora», disse la Amedure, tenendogli aperta la porta del suo ufficio. «Abbiamo avuto tutto dalla sua squadra, oggi: i campioni di Harteveld, un capello molto interessante…»
«Le larve…»
«Oh, sì. Anche quelle piccole bastarde. Grazie a Dio, sono già state spedite al museo di storia naturale. Il dottor Jameson effettuerà un test sull'intero campione: ricreerà l'ambiente in cui si trovavano e le osserverà nella fase in cui si trasformano in crisalidi.» La Amedure gli porse una sedia e s'infilò dietro una scrivania ricoperta di pile di carta, lattine di Coca-Cola, posacenere. Una lampada da tavolo orientabile era stata abbassata sulla superficie di lavoro e, appoggiata alla finestra dietro la donna, una maschera funebre nigeriana fissava l'ufficio. «A prima vista, sembra tutto a posto… Un paio di anomalie, è vero, ma per il resto pare esattamente uguale alle altre.»
«Lo so. È quello che ha affermato Krishnamurthi. Ed è quello che mi preoccupa.»
«Che cosa la preoccupa?»
Lui avvicinò la sedia alla scrivania. «Mi spieghi soltanto una cosa: le mosche della carne, quelle che hanno deposto le uova nelle ferite…»
«No, no. Non si tratta di uova. La nostra piccola amica, la mosca della carne, non depone uova. Depone larve.»
«Sempre nelle ferite?»
«Sì.» La Amedure sollevò una lattina di Coca-Cola e la scosse. Vuota. Passò alla successiva, cercando d'identificare quella che aveva appena posato. «Ora, da quel poco che capisco di entomologia, succede questo: le mosche della carne depongono le larve sulle mucose, vale a dire su bocca, ano, vagina, occhi, narici e via discorrendo. Nei casi di morti violente che si verificano, tanto per dire, in un giardino, ci sono ferite, sangue… e, mentre i ditteri si mettono al lavoro, le mosche si annidano nelle ferite.»
«Ma questo non è successo con la Jackson, vero?»
«Con nessuna delle vostre vittime. Sebbene la mosca della carne sia larvale, come i ditteri, non passa attraverso uno stadio intermedio tra due mute; così abbiamo scoperto che era arrivata in seguito. Il che per noi è stato illuminante: abbiamo capito che le ferite sono state infette dopo il decesso. I livelli di serotonina nelle lesioni ci hanno aiutato a essere più precisi sui tempi.» La Amedure identificò infine la lattina piena. Ne bevve un sorso, poi guardò Jack e proseguì: «Probabilmente c'è un vuoto temporale che va dalle sessanta alle settantadue ore».
«Sessanta ore? Questo è il minimo?»
«È solo una stima.»
«D'accordo, ma quando, secondo lei, hanno deposto le larve?»
«All'incirca? Parandomi al meglio il culo? Direi… hmm… mercoledì mattina. Come negli altri casi: un vuoto di circa tre giorni.» Tacque per un istante e abbassò la lattina. «Può essere importante?»
«Sì», rispose lui portandosi una mano alle tempie. Harteveld era sotto sorveglianza da martedì pomeriggio. Alle dieci del mattino di mercoledì era morto. «Dottoressa Amedure…» continuò, lasciando cadere la mano e sollevando lo sguardo. «Su tutte le vittime c'era polvere di cemento.»
«Lo so. Negli altri casi abbiamo supposto che provenisse dall'area industriale, vero? Per alcuni, immagino, sarà un brutto colpo, ma così è. Abbiamo avviato una diffrazione a raggi X. Quando sarà completata, contatteremo il database CCRL di Gaithersburg, nel Maryland, perché esegua un esame più approfondito.»
«Non esiste un database nel Regno Unito?»
«Il Maryland ha il migliore: possono lavorare con un diffrattogramma o una stampata delle analisi di fase e confrontare clorati e solfati coi loro campioni.»
«Quanto tempo ci vorrà?»
«Da parte nostra? Meno di ventiquattro ore. Ma per il Maryland… Non so. Di solito sono piuttosto veloci.»
«Lo può iniziare stanotte?»
«Hmm, signor Caffery», rispose la Amedure sorridendogli da dietro la lattina. «Non credo serva ricordarle quanto l'AMIP dovrebbe pagare per un turno di notte.»
«Non lo sa, vero?» Jack si dimenò, a disagio. «Stanotte è successo qualcosa che ha rimesso tutto in gioco. Non possiamo dirlo con certezza, ma ce ne potrebbe essere un altro.»
La faccia della Amedure cambiò all'istante. Posò la lattina, sollevò il telefono e compose un numero. «Parlo con l'amministratore di turno. Se abbiamo lo staff, potremmo riuscirci.» Aspettando la linea, frugò tra le carte e recuperò una spettrografia. «Ecco il capello di cui le ho accennato. Stesso colore e stessa lunghezza dei capelli della parrucca, ma una bella sezione trasversale circolare: è decolorato e appartiene a un individuo di razza bianca. Inoltre è caduto naturalmente.»
«Da una delle altre vittime?» Jack si allungò e prese il foglio.
Lei scosse la testa. «Non coincide con quelli di nessuna vittima, neanche in modo superficiale. E tutto ciò che possiamo ottenere da esso sono il DNA mitocondriale e alcune informazioni sullo stile di vita del proprietario. Vede quel simpatico picco nel centro? È il metabolita della marijuana.»
«E questo?»
«È alluminio.»
«Alluminio?»
«Sì, quello…» iniziò a spiegare lei, spostando il ricevitore all'altro orecchio, «… potrebbe voler dire pressoché qualsiasi cosa. Ricordo che, una volta, ho visto un tracciato che quasi usciva dal foglio: risultò essere di un paziente affetto da un disturbo ossessivo-compulsivo nei confronti degli anti-traspiranti.»
«Questo potrebbe significare un'altra vittima di cui ancora ignoriamo l'esistenza?»
«Esatto.»
Jack posò il foglio sulla scrivania e si alzò. «Dottoressa Amedure, faccia quell'esame comparativo. Costi quello che costi, d'accordo?»
«Se lo dice lei.» La donna mise la mano sopra la cornetta. «Se l'AMIP ha i soldi, non c'è niente che non possiamo fare.»
Era l'una del mattino e la notte estiva era diventata fresca. La municipalità di Greenwich aveva fornito un sistema d'illuminazione a giorno, isolando inoltre la strada. I giornalisti che, in precedenza, avevano invaso la zona si erano spostati verso l'ospedale, evidentemente sperando di sentire l'odore del sangue di Susan Lister. Jack e Maddox erano seduti nel la Jaguar, sotto un lampione, oltre il blocco stradale.
«Polvere», disse Jack al suo capo. «Polvere di cemento…» Si dimenò sul sedile di pelle, che scricchiolò, e poi, lasciando cadere il braccio dietro lo schienale, guardò Maddox. «Lasci che le spieghi.» Espose le sue idee, i suoi puri e semplici sospetti, la prima traccia approssimativa di ciò che credeva stesse accadendo. Era una teoria incompleta, ma Jack era convinto di aver avuto l'intuizione giusta. Spiegò ogni collegamento, giustificò ogni salto della sua immaginazione.
«Non lo so, Jack», osservò Maddox dopo un lungo silenzio. «Non ne sono convinto…» Picchiettò le dita sul cruscotto, rimanendo a fissare la strada. Il detective Basset si trovava al di fuori dell'aria delimitata, sotto un riflettore, intento a bere un caffè e a osservare la Quinn che, ben riconoscibile con la sua veste bianca luminosa, mescolava una polvere per il rilevamento delle impronte in un piccolo contenitore di plastica. Solo dopo molto tempo Maddox si raddrizzò e cominciò ad abbottonarsi la giacca.
«Ho bisogno di pensarci. Dormiamoci sopra. Ci rivediamo a Shrivermoor per le sei… Va bene? Puoi parlarne con Essex e la Kryotos prima della riunione, per vedere che cosa dicono.»
Dopo che Maddox se ne fu andato, Jack si arrotolò l'ultima sigaretta e gironzolò lungo la strada. Dai giardini proveniva un forte odore di gelsomino. Si fermò a fissare un rettangolo giallo di luce sopra il tetto di un garage basso. Fu allora che si rese conto di dove si trovava.
Malpens Street era una perpendicolare di South Street. C'erano arrivati da una direzione diversa, ma lui, in quel momento, si trovava soltanto a quattro o cinque porte dal negozio del rigattiere. Un muretto basso delimitava i giardini lungo la strada principale, e l'angolo gli consentiva di vedere i bovindi posteriori, tagliati in diagonale dal tetto di un garage. Una finestra illuminata, leggermente aperta nella notte.
La cucina di Rebecca.
Jack arretrò e si appoggiò alla macchina, lontano dai lampioni, ed estrasse il cellulare dalla giacca. Riuscì a sentire il telefono di lei che suonava al di là dei tetti. «Pronto?» Ma sentì un clic e si rese conto che stava parlando con una segreteria telefonica.
Era la voce di Joni: «Ci spiace che abbiate speso tempo e soldi per chiamare quando non abbiamo neppure la decenza di essere in casa per rispondervi…»
Jack imprecò tra i denti. «Sentite, so che c'è qualcuno in casa. Sono Jack, il detective Jack Caffery. Rispondete al telefono.» Aspettò. Niente. Con un sospiro, proseguì: «Rebecca, Joni, sentite: se mi state ascoltando, voglio che stiate attente, non è ancora finita. Tenete solo chiuse porte e finestre, d'accordo? E, Rebecca…» Tacque per un attimo, poi aggiunse: «Fammi uno squillo. Quando hai tempo».
Chiuse la comunicazione e rimase nell'oscurità, a fissare la finestra. Dopo alcuni istanti, la luce della cucina si spense e una figura si avvicinò alla finestra per chiuderla. Jack non riuscì a individuarla. Infilò il cellulare nella tasca e rientrò nella Jaguar.