L'ambulatorio della polizia di Greenwich era privo di finestre. Alle pareti, un ingiallito manifesto sull'eroina e un poster plastificato che illustrava il diritto del detenuto all'assistenza legale. Sparpagliati sul tavolo di formica, alcuni opuscoli che nessuno avrebbe mai letto: HIV – Sei a rischio?, Crack/cocaina: una guida legale e Gruppo di Sostegno per tossicodipendenti – Aiuta le vittime del crimine.
«Sollevi la manica.» Il medico legale strofinò la pelle, infilò le mani bianche e pulite nei guanti di lattice e aprì un kit per il prelievo di campioni: una siringa, una bacinella, contenitori, etichette e tamponi. Gemini fissò il filo pendulo in corrispondenza del terzo occhiello del camice bianco. Le cose, doveva ammetterlo, si erano messe male.
Quando, due giorni prima, il detective Diamond aveva messo il naso in casa sua, Gemini non aveva ancora sentito i notiziari. Era già abbastanza scosso dall'andirivieni della polizia per immaginare che le ragazze erano morte e che la roba di Dog c'entrava qualcosa con gli omicidi. Alla seconda visita di Diamond, le cose erano ulteriormente peggiorate. Gemini ormai aveva letto i giornali. Sapeva che non era una storia di droga, ma aveva capito di essersi immischiato con gente sbagliata, e ora aveva una paura tale da mettersi a pregare.
Diamond gli aveva assicurato che non volevano arrestarlo, che non aveva nessun obbligo, che si trattava solo di poche domande, unicamente per poterlo eliminare dalle indagini; non conosceva forse il concetto di dovere civico? Così Gemini aveva indossato la sua felpa YDL ed era uscito, freddo come il ghiaccio.
Recita, recita.
Alla stazione di polizia tutti sembravano rilassati. Gli avevano offerto caffè e sigarette, promettendogli che ben presto avrebbe riavuto la GTI. Uno degli uomini gli aveva mostrato di nuovo le quattro foto ma lui, benché fosse terrorizzato, si era limitato a stringersi nelle spalle e a rispondere: «No, non le ho mai viste».
Allora gli avevano sorriso, dicendo «va bene», e gli avevano chiesto se fosse disposto a farsi prelevare alcuni campioni.
«È solo una formalità per escluderla dalle indagini, signor Henry, poi sarà libero di andarsene.»
Capelli prelevati dalla radice con l'aiuto di un paio di pinzette. Peli pubici (prelevati nello stesso modo). Poi le urine: nella toilette, il medico era rimasto accanto a lui e lo aveva osservato mentre urinava in un contenitore di plastica bianco. E poi, appena uscito dal bagno, mentre percorreva il corridoio, aveva sentito la mano di Diamond appoggiarsi sul suo braccio, il suo alito cattivo sul viso, gli occhi slavati contratti come se l'uomo fosse in preda a uno spasmo, come se non riuscisse a contenere l'eccitazione.
«Non credere che sia finita qui, piccolo bastardo del cazzo», gli aveva sussurrato Diamond, in modo che il medico non sentisse. «Sappiamo tutti che stai mentendo.»
«Sollevi la manica, per favore.»
«Che?» chiese Gemini, alzando lo sguardo.
«La manica.» Il dottore svolse con un colpo secco un legaccio emostatico, facendolo schioccare come una frusta, e lo appoggiò sul braccio di Gemini per legarlo intorno al bicipite.
«Che vuole ora?»
«Non si preoccupi.» Il medico picchiettò una vena nell'incavo del gomito, strofinò la pelle con un antisettico e introdusse l'ago. Gemini trasalì.
«Come diavolo volete provare con 'sta roba che sono stato io a fare quelle cose alle ragazze?»
Il medico lo guardò dritto negli occhi. «Può rifiutarsi, ma, in base alla legge, il rifiuto di fornire un campione può essere considerato una prova di colpevolezza.»
«Che?»
«E se lei non mi fa prelevare un campione di sangue, possiamo costringerla a fornirci un campione di saliva, che acconsenta o no.» Il medico ritrasse lo stantuffo e la siringa iniziò a riempirsi. «Stia fermo, per favore, signor Henry.»
Gemini invece allontanò il braccio di scatto. «No, amico. Adesso mi spiegate cosa mi state facendo e in che modo la mia piscia in una tazza dimostra che ho fatto quelle cose di cui mi accusate.»
Il medico lanciò uno sguardo all'ago che ciondolava dalla vena. «Ha dato il suo consenso e renderebbe le cose molto più semplici se restasse fermo.»
«Allora mi stia a sentire.» Gemini batté le mani sul tavolo, muovendo l'incavo del gomito in avanti. Il medico arretrò leggermente, pur rimanendo seduto. L'ago oscillava, ma rimase conficcato nella vena. «Adesso ritiro il consenso. L'ho detto già a quell'uomo, gli ho detto che non conosco quelle donne. Non ho fatto niente!»
Il dottore strinse le labbra. «Molto bene, signor Henry», esclamò con lo sguardo puntato sull'ago, poi si alzò e lasciò la stanza per riapparire dopo qualche secondo accompagnato dal detective Diamond che, fermo sulla soglia, rivolse a Gemini un largo sorriso. «Signor Henry!»
«Tu!» esclamò l'altro, passandosi la lingua sui denti con evidente disprezzo. «Tu, perché vai a dire in giro che racconto balle?»
«Tu non stai raccontando la verità. Quelle ragazze erano nella tua macchina. Ne abbiamo le prove.»
«'Fanculo.»
Diamond socchiuse gli occhi e, rivolgendosi al poliziotto in corridoio, esclamò: «Chiami l'agente di custodia».
«L'ultima volta che ho visto quella ragazza era viva e vegeta, amico. Se vuoi, vai a trovare i loro grassi clienti nelle loro ville di lusso di Croom's Hill. E ora tiratemi fuori questa roba dal braccio.»
Mel Diamond incrociò le braccia. «Jerry Henry…»
«Non ho fatto niente…»
«Jerry Henry… Lei è in arresto per presunti stupro e omicidio di Shellene Craw, di Stepney Green, a Londra, commessi la notte del 19 maggio…»
«Non ho stuprato nessuno.»
«Ha diritto di non parlare, ma potrebbe compromettere la sua difesa se evitasse di rispondere a domande relative ad argomenti che potrebbero essere sollevati a sua discolpa durante il processo. In base al paragrafo 54e del Codice, le chiedo ora di spogliarsi.» Diamond lanciò un'occhiata al medico che si era spostato dietro il tavolo. «Vada a prendere una tuta da mettergli.»
«Io non ho stuprato nessuno! E non ho ucciso nessuno!» L'ago uscì dalla pelle e cadde a terra, rimbalzando. Dalla vena zampillò un getto di sangue e Diamond fece un balzo all'indietro nel corridoio, allontanandosi. Dietro di lui comparvero due agenti.
«Dobbiamo ammanettarlo, signore?»
«Attenti al sangue. Quello si fa di eroina.»
«Giusto, sono un negro che si fa di ero e adesso v'infetto con l'AIDS.» Gemini volse il braccio verso gli uomini, digrignando i denti. «Porci!» Dietro il tavolo, il medico aprì con calma una confezione di guanti di lattice. Gemini si voltò verso di lui. «Che stai facendo?»
Senza scomporsi, il medico rispose: «Sto proteggendo i miei colleghi, signor Henry». E lanciò i guanti a Diamond e ai due poliziotti.
«Mi vuoi fare incazzare o che?» Gemini si avvicinò a lui col braccio sollevato, mentre il sangue colava sul pavimento. «Lo vuoi l'AIDS, eh?»
«Si calmi.»
«Sì», esclamò Diamond, più sicuro di sé dopo aver indossato i guanti. «Penso sia meglio mettergli le manette.»
«Non ho fatto niente!» gridò Gemini, balzando verso il detective. «Le ho solo dato un po' di crack e basta! Non ho ucciso nessuno!»
«Va bene, fratello.» Diamond prese con destrezza la mano di Gemini, la portò dietro la schiena e fece scattare le manette. «Adesso falla finita.»
«Non sono un assassino, non sono un assassino!» Henry si raggomitolò e sputò su Diamond, scalciando e agitandosi. «Se volete trovare l'assassino, andate dai loro clienti a Croom's Hill!»
Con un sospiro, Diamond alzò una mano. «Hai diritto a un avvocato. Se lo desideri, possiamo contattare l'avvocato d'ufficio, se invece rinunci al tuo diritto, devi spiegarmene il motivo. Ai fini del codice di detenzione, l'arresto decorre da questo momento, non dal momento in cui sei entrato in questo ufficio. E ora qualcuno vada a chiamare quel fottuto agente di custodia.»
Un vecchio giamaicano curvo entrò nell'ambulatorio con uno straccio e un secchio per pulire il pavimento dal sangue. Maddox arrivò da Shrivermoor con un fascio d'incartamenti – e col mal di testa – solo per trovare il locale completamente sottosopra. «Che cosa avete fatto?» chiese.
«Stava diventando violento.»
«Bene, siamo nella merda fin sopra i capelli», esclamò il commissario, appoggiando la mano fredda sulla testa. Dalla cella di detenzione provvisoria si udivano i lamenti di Gemini. «Ventiquattr'ore significa fino a domani mattina alle dieci. Sai una cosa, Diamond? Soltanto tu puoi essere tanto furbo da interrompere la colazione del giudice per una proroga.»
Il medico fece capolino dalla porta dell'ambulatorio, agitando un fascio di moduli in direzione di Maddox. «I rapporti della Scientifica. Chi li vuole?»
«Chiamerò il nostro addetto ai reperti», replicò Maddox.
«I campioni sono stati divisi. Saranno pronti quando arriverà il mandato.»
«Lasci che il detective gli dia un bacio portafortuna prima di spedirli. Sono tutto ciò che ha.»
A quelle parole, Diamond sospirò e alzò gli occhi al cielo.
Nello stesso momento, a circa dieci chilometri, nell'archivio di Shrivermoor, Jack approfittava degli uffici quasi deserti. Portando le mani a coppa, fece per accendersi una sigaretta.
«Ehi, ehi.» La Kryotos sollevò lo sguardo dal terminale.
«Credimi, ne ho bisogno.»
«Ti credo», rispose lei, bevendo un sorso di Dr Pepper dalla lattina. Si appoggiò allo schienale della sedia e incrociò le braccia. «Allora? Qual è la tua ultima teoria?»
«È assurda.»
«Assurda?»
«Sì.» Jack s'infilò gli occhiali, rimanendo dietro di lei e fissando lo schermo al di sopra delle sue spalle, mentre HOLMES azionava il suo potente cervello. «Penso di averlo incontrato. Penso che sia qui, da qualche parte. Puoi lasciarli scorrere?» chiese poi, indicando i nomi e le colonne delle azioni, che apparivano sullo schermo, simili a lucciole verdi.
«Certo», rispose la Kryotos. I due fissarono in silenzio il monitor, mentre i nomi sfilavano; il loro susseguirsi con ritmo regolare rispecchiava gli ultimi giorni d'indagine: nominativi emersi dagli interrogatori, persone senza volto che non erano mai state rintracciate, piste false, vicoli ciechi, pub di Archway, macchine sportive rosse, Lacey, North, Julie Darling, Thomas Cook, Wendy…
«Ferma!»
Emettendo un lieve sospiro, la Kryotos pigiò un tasto. «Cosa c'è? Che hai visto?»
«Qui», esclamò Jack, chinandosi e picchiettando sul monitor. «Cos'è questo, accanto al nome di Cook? Questo '2'?»
«Significa solo che è comparso due volte nel database.»
«E questa voce?»
«È il risultato degli interrogatori al St. Dunstan's.»
«E allora perché è comparso un'altra volta?»
«Perché…» Marilyn fece scorrere i nomi. «Qui, vedi…» disse, puntando il dito. «È già comparso stamattina. Vedi la lettera T?»
«Sì?»
«Significa che ha lasciato un messaggio telefonico. Com'è prevedibile, lo ha lasciato a me; vedi il nome qui? Il numero 22?»
«Gli hai parlato?»
«Sì. Mi ha detto che ha controllato: si trovava a casa entrambe le sere di cui gli hai chiesto.»
«Ah, già. La presunta fidanzata. Non mi convince», borbottò Jack, picchiettando sui denti l'unghia nera del pollice. «Prima ha affermato di essere daltonico e che nessuno lo aiutava a scegliere che cosa indossare…»
«Quindi non c'è nessuna ragazza?»
«Strano, eh?» Jack spense la sigaretta, sollevò un poco una veneziana e guardò fuori. La giornata era soleggiata e calda. «Sì, penso che andrò a trovarlo.»
«Faresti meglio a sbrigarti, visto che domani parte per la Thailandia.»
Jack abbassò la tenda. «Stai scherzando?»
«No. Dice che ama l'aria che si respira sulle montagne del Triangolo d'Oro.»
«Lo credo bene.» Jack recuperò la giacca e le chiavi della macchina dalla stanza del capo.
Ma la Kryotos lo richiamò. «Jack!» Era appoggiata allo schienale della sedia e aveva la cornetta del telefono contro il petto. «Ho Paul in linea. Faresti meglio a cambiare rotta e andare verso Greenwich. C'è qualcuno che vuole parlarti. Sostiene che la conosci già… Dice che si tratta, testuali parole, di un 'bel bocconcino'.»
«Dio mio», esclamò Jack, infilandosi la giacca. «Rebecca.»
«Dice anche che la gente sta incominciando a sbavarle attorno e questo la rende nervosa. Ma ci capisci qualco…»
«Va bene. Sono già per strada», la interruppe lui. «Dopo che me ne sarò andato, contatta Cook, va bene? Non spaventarlo, ma cerca di sapere che cosa farà domani.»
«D'accordo.»
«A stasera.»
«Sei sicuro a proposito dei bambini?»
«Certo che sono sicuro. Non vedo l'ora di vederli.» Le mandò un bacio e chiuse la porta, lasciandola sola a chiedersi perché mai le importasse – proprio a lei, una donna sposata con figli – che Jack s'interessasse di una certa Rebecca.